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PARTE I. WELFARE, EDUCAZIONE, LAVORO: COSTRUIRE UN DIALOGO PER

CAPITOLO 2. WELFARE ED EDUCAZIONE: DAL TRADE-OFF ALL’INTEGRAZIONE PER

2.5. Conclusioni

La rassegna del tormentato rapporto tra istruzione e politiche sociali, dai contributi orientati a considerarli separatamente secondo l’ipotesi del trade-off fino ai tentativi di integrazione tra i due settori di policy, ha condotto a una duplice conclusione di estrema importanza per il prosieguo della ricerca.

Innanzitutto, il social investment costituisce un framework analitico i grado di giustificare e definire una ricerca tesa ad analizzare interazioni tra i settori delle politiche sociali e del lavoro, dell’istruzione e formazione professionale, inscrivendoli all’interno del raggio d’azione del welfare state. Secondo il SI, l’investimento in sistemi e politiche educative favorisce la crescita e economica e la coesione sociale in un contesto economico e di mutamenti della domanda di lavoro che determina un’inedita rilevanza della dotazione di capitale umano. Ciò dovrebbe anche aumentare la sostenibilità dei sistemi di welfare: da un lato, sarebbero disponibili maggiori risorse provenienti dalla tassazione; dall’altro, vi sarebbero minori bisogni di intervento diretto tramite tradizionali misure di compensazione passiva, per via di una popolazione con più capitale umano e quindi più equipaggiata rispetto ai nuovi rischi che caratterizzano la società postindustriale (Hemerijck, 2017). Sviluppando le proprie competenze, gli individui diverrebbero insomma meno dipendenti dal welfare state e più resilienti rispetto a condizioni economiche avverse (Giovannini, 20152; OECD, 2014).

In secondo luogo, tuttavia, lo “speciale” statuto delle politiche educative rispetto alle tradizionali misure redistributive, ne rende potenzialmente ambigui gli esiti in termini di inclusione sociale e uguaglianza delle opportunità, dando luogo a una ulteriore criticità derivante dall’adozione di una strategia di investimento sociale. In particolare, è possibile che la promozione di politiche educative favorisca le classi più abbienti. Inoltre, il confine tra empowerment degli individui e re- commodification non appare automaticamente chiaro ed evidente.

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Questo secondo aspetto rimanda alla necessità, nell’alveo degli studi riferiti al SI, di casi studi volti ad analizzare le singole configurazioni istituzionali, ovvero a ricomporre il policy mix utilizzato per far fronte ai nuovi e mutati rischi sociali. Le modalità nazionali (e locali) di gestire i processi di cambiamento comune (dinamiche esogene ed endogene di carattere demografico, sociale, economico) sono estremamente differenti: le istituzioni filtrano la de-industrializzazione e i percorsi di postindustrializzazione contribuendo a generare esiti differenti (Esping-Andersen, 1998).

A partire da questi presupposti, nel capitolo successivo specificheremo la questione centrale della presente ricerca, il cui oggetto è costituito dai sistemi di transizione scuola-lavoro come set di limiti e opportunità per l’azione individuale (Raffe, 2014), e che si pone come obiettivo l’analisi delle configurazioni istituzionali e del policy mix che influiscono sulla struttura della transizione dall’istruzione all’occupazione in Italia e Germania. Il social investment costituisce il framework analitico di riferimento della ricerca, in ottica di benchmarking (Hemerijck, 2013). Ciò vuol dire che gli esiti delle configurazioni istituzionali saranno analizzati alla luce del doppio principio della partecipazione di qualità dei giovani al mercato del lavoro e dell’uguaglianza delle opportunità; focalizzando l’attenzione sul ruolo del welfare state nel coordinamento di politiche educative e del lavoro dirette ai giovani, al fine di ricostruire un welfare mix che coinvolge una costellazione di livelli istituzionali (coordinamento verticale) e attori (coordinamento orizzontale) differenti.

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Capitolo 3. Ricomporre il corpus istituzionale e il policy mix: sistemi di

transizione, welfare, rescaling

3.1. Introduzione

Per la popolazione giovanile, la transizione dall’educazione all’occupazione rappresenta un ponte sociale ambivalente, ambito al contempo di opportunità e vulnerabilità. Attraverso il sistema educativo infatti, l’individuo acquisisce competenze, titoli e qualifiche che possono consentirgli un migliore e più rapido accesso al mercato del lavoro. Viceversa, l’abbandono scolastico prematuro può condizionare fortemente la carriera lavorativa successiva, rendendo più difficili l’ingresso e la permanenza nel mercato del lavoro. Bassi livelli di scolarizzazione risultano infatti associati non soltanto a una maggior esposizione al rischio di disoccupazione, ma a biografie occupazionali frammentate in cui si alternano disoccupazione e impieghi temporanei, a bassa remunerazione e scarso livello di competenze richieste. Tali condizioni tendono ad avvitarsi in circoli viziosi, in un continuo susseguirsi di lavori scarsamente qualificati (dead-end jobs), bassi salari e alto rischio di disoccupazione e in-work poverty. Viceversa, un più alto livello di scolarizzazione risulta associato con salari più alti e maggiori possibilità di progressioni di carriera, rappresentando quindi un’importante fonte di resilienza individuale intesa come capacità di resistere e reagire a una situazione avversa proveniente dall’esterno, tornando autonomamente alle condizioni precedenti (Giovannini, 2015). Al di là di queste considerazioni di carattere generale, tuttavia, i vantaggi relativi ai titoli di studio conseguiti e agli esiti dei percorsi di transizione scuola-lavoro variano fortemente tra differenti paesi e contesti istituzionali (OECD, 2014). Occorre infatti considerare il ruolo svolto da ciascun setting istituzionale che entra nel processo di transizione e il policy mix disegnato per modellare tale ponte sociale. Così delineata, la struttura complessa delle transizioni scuola-lavoro rappresenta anche un peculiare ambito di intervento pubblico, laddove l’obiettivo primario è il sostegno agli individui orientato alla partecipazione al mercato del lavoro, in un’ottica di sviluppo e valorizzazione del capitale umano. Secondo la prospettiva dell’investimento sociale, le politiche sociali costituiscono infatti un fattore produttivo in grado di favorire crescita economica e inclusione sociale: investire negli individui vuol dire quindi promuoverne lo sviluppo di competenze e capitale umano durante le transizioni del corso di vita. Ne deriva una riconsiderazione del ruolo delle politiche sociali e del welfare state, il cui ambito di intervento si estende appunto dalle politiche sociali alle politiche del lavoro, di educazione e formazione professionale.

Rispetto alla transizione scuola-lavoro, l’efficacia di politiche di investimento è connessa alla relazione tra mercato del lavoro, sistema educativo e welfare state. Il coordinamento tra setting istituzionali e il

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policy mix che ne deriva diventano infatti fondamento necessario per la realizzazione di interventi atti a facilitare il passaggio dall’educazione all’occupazione.

Dopo esserci soffermati, nel capitolo precedente, sui principi costitutivi dell’approccio del SI e sul rapporto tra education e social policies, in questo capitolo specifichiamo l’oggetto della presente ricerca, ovvero i sistemi di transizione scuola-lavoro. Approfondiamo, inoltre, cosa implichi l’adozione di una prospettiva di investimento sociale rispetto a tale tematica: ovvero, l’analisi di complementarietà istituzionali e effetti sinergici tra politiche, che si instaurano nell’interazione tra livelli istituzionali e attori differenti. Nell’ultimo paragrafo, viene esplicitata la domanda di ricerca e il relativo modello analitico.