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PARTE I. WELFARE, EDUCAZIONE, LAVORO: COSTRUIRE UN DIALOGO PER

CAPITOLO 2. WELFARE ED EDUCAZIONE: DAL TRADE-OFF ALL’INTEGRAZIONE PER

3.4. Sistemi di welfare in Italia e Germania nel “welfare modelling business”

Come ricordato, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni Settanta, si strutturano importanti differenziazioni tra modelli nazionali di welfare. A questa giuntura evolutiva si riferisce il dibattito del “welfare modelling business” (Abrahamson, 1999; Powell & Barrientos, 2008; Arts & Gelissen, 2002), che vede il suo più influente contributo nella distinzione fra tre differenti regimi di welfare (regime liberale, regime conservatore-corporativo, regime socialdemocratico), individuata da Esping-Andersen (1990) sulla base delle interazioni tra Stato, mercato e famiglia nell’allocazione di risorse e opportunità. In seguito, la ricerca ha condotto all’ulteriore individuazione di un sistema di welfare mediterraneo o familistico (Ferrera, 1996; Mingione, 1997) nei paesi del Sud Europa, e di un sistema di welfare della transizione caratterizzante i paesi ex comunisti dell’Europa dell’Est (Cerami, 2006). Nella ricerca comparata sui sistemi di welfare, la Germania, il cui welfare state ha le proprie radici nella legislazione sociale bismarckiana di fine ‘800 pur raggiungendo un’effettiva maturità solo dopo la seconda guerra mondiale (Fleckenstein, 2012), è generalmente considerata l’esempio archetipico del welfare state corporativo (o bismarckiano, che comprende anche Austria, Francia e Belgio): si tratta di un modello di welfare state che cerca, attraverso l’erogazione di benefici e servizi finalizzati a proteggere i cittadini dai principali rischi sociali (come disoccupazione, malattia, anzianità), di

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mantenere le pre-esistenti differenze di status tra gli individui e supportare forme familiari tradizionali con nuclei costituiti da un singolo breadwinner, solitamente di sesso maschile (Esping- Andersen, 1990). In Germania le politiche sociali sono dunque concepite in modo meritocratico, poiché gli schemi contributivi riproducono lo status socio-economico raggiunto dalle famiglie sul mercato del lavoro attraverso la posizione del capofamiglia. Dal momento che la generosità dei benefici dipende dall’ammontare del salario precedente, il sistema di welfare si fonda fortemente sul salario e sulla contrattazione atta a fissarne limiti e livelli. Le persone che si trovano in condizione di bisogno e non sono titolate per l’accesso ai benefici contributivi, possono comunque rivolgersi a una rete assistenziale di ultima istanza finanziata tramite la tassazione generale.

La famiglia costituisce la prevalente agenzia sociale ma è fortemente supportata nel suo ruolo di cura dallo stato, ovvero attraverso benefici (sotto forma di servizi e trasferimenti economici) diretti a specifici target, secondo un principio di sussidiarietà attiva (Kazepov, 2010). Il rapporto tra stato e famiglia è fondato su un principio di reciprocità, poichè l’intervento estensivo dello stato è comunque mediato dal ruolo dell’istituzione familiare in termini di accesso e erogazione dei benefici. Idealmente, un lavoratore standard riceve un salario familiare e un supporto attraverso il sistema di tassazione e politiche familiari, e può quindi provvedere al mantenimento del nucleo familiare. Comunque, in situazione di difficoltà, il sistema di welfare interviene in modo più estensivo proteggendo gli individui e le rispettive famiglie. Conseguentemente, il grado di de-commodification, ovvero di sottrazione dall’influenza del mercato, è minore che nei paesi socialdemocratici ma maggiore rispetto a quelli liberali. Peculiarità di questo modello è poi il fatto che la governance sia regolata da arrangiamenti corporativi (Busemeyer & Trapusch, 2012), ovvero da complessi meccanismi di gestione e negoziazione che coinvolgono, oltre all’attore pubblico, corpi e autorità intermedie (soprattutto associazioni datoriali e sindacali, Camere di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato).

Gli schemi assicurativi per lavoratori dipendenti (accesso, livello e qualità dei benefici) dipendono dalla posizione del lavoratore impiegato sul mercato del lavoro (moglie e figli sono come detto assicurati tramite il breadwinner) e offrono protezione a una vasta maggioranza della popolazione senza implicare una netta separazione tra categorie occupazionali (l’unico sistema separato esistente riguarda i dipendenti pubblici). Questi programmi, insieme a un sistema di contrattazione collettiva inclusivo finalizzato a determinare i livelli salariali, ha fortemente contribuito alla riduzione della povertà e a un livello di disuguaglianze economiche relativamente basso (Fleckenstein, 2012; Bosch, 2015a).

L’organizzazione e l’erogazione dei servizi sociali avviene tendenzialmente a livello locale, cosa che può creare differenze tra i vari stati federali, pur in presenza di standard a livello nazionale. Inoltre, nel paese opera un complesso sistema di equalizzazione fiscale tra stati con diverso potere e risorse economiche, al fine di assicurare le stesse condizioni di vita ai cittadini residenti in tutte le parti del paese (Bosch, 2015b). In termini di differenziazione territoriale, occorre ovviamente soffermarsi sul

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periodo post-riunificazione, avvenuta nel 1990. La caduta del Muro di Berlino ha portato infatti alla nascita di uno Stato attraversato da una profonda frattura territoriale in termini di economia e mercato del lavoro, tra Ovest e Est del paese. L’annessione degli stati dell’Est comportò infatti un comprensivo trasferimento delle istituzioni della Germania dell’Ovest nei Länder orientali, nonché massicci flussi di trasferimenti economici per sostenere la perdita di posti di lavoro e la de- industrializzazione della Germania dell’Est (le cui imprese si trovarono sottoposte improvvisamente all’insostenibile concorrenza delle più efficienti aziende capitalistiche), attraverso il ricorso a schemi di pre-pensionamento e creazione di posti di lavoro tramite sussidi statali (Manow & Seils, 2000). Questi sforzi hanno condotto ad appianare in parte le disparità tra stati dell’Ovest e dell’Est, che tuttavia permangono come evidente dagli indicatori socio-economici sul mercato del lavoro: i livelli di reddito e i tassi di disoccupazione disegnano una situazione più difficile nelle regioni orientali. Nonostante ciò, i divari tra Länder non sono così elevati da far pensare a una dimensione di segmentazione rilevante quanto quella italiana (si vedano le pagine successive): le differenze tra i vari stati dell’Ovest disegnano, inoltre, una situazione più complessa non facilmente identificabile in una divisione dualistica (Jansen & Knuth, 2014), anche grazie agli sforzi del sistema di welfare, visibili nei già citati schemi di equalizzazione. Un esempio del fatto che la frattura territoriale non sia ritenuta una dimensione primaria di disuguaglianza bisognosa di ulteriori estensivi interventi di policy sta anche nella recente introduzione di una soglia di reddito unico garantito uguale per tutti gli stati, secondo una presa di posizione di principio che ha attribuito priorità a una visione unitaria del paese (Bosch, 2015a).

In letteratura, l’Italia così come gli altri paesi mediterranei sud europei sono accostati al cosiddetto modello familistico (Ferrera, 1998). Questo modello condivide importanti tratti con il sistema di welfare corporativo, di cui la Germania è considerata l’esempio più emblematico, tanto che spesso il welfare familistico è stato fatto confluire nel modello bismarckiano-corporativo, ritenendo che le particolari caratteristiche dei paesi mediterranei non fossero sufficienti a giustificare l’esistenza di una categoria autonoma (Esping-Andersen, 1998).

Il welfare familistico comprende i paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia), contraddistinti da stati sociali con gradi di maturazione differente: tra questi, lo stato sociale italiano ha raggiunto in tempi più brevi una maggior istituzionalizzazione e maturità, pur se con una forte differenziazione tra Nord e Sud del paese (Ferrera, 1998). Sistemi familistici e corporativi hanno in comune la doppia logica attraverso cui i rischi sono gestiti e socializzati, ovvero la centralità delle assicurazioni sociali (welfare provision fondata su contributi categoriali) e il principio di sussidiarietà che regola la relazione tra famiglia e stato (Kazepov, 2010).

Il sistema di garanzia del reddito in Italia ha dunque un’impronta bismarckiana, essendo frammentato lungo linee di demarcazione occupazionale con formule di prestazione che si sono a lungo mantenute molto generose (soprattutto in campo pensionistico). Nella gestione di questi schemi le parti sociali

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giocano un ruolo molto rilevante, poiché spesso gli interventi non discendono dall’esistenza di diritti sociali riconosciuti e garantiti (come nel caso delle CIG). La natura mista del modello di welfare italiano risulta evidente dall’affiancarsi all’impianto occupazionale sopra delineato, dall’impronta tendenzialmente universalistica nei settori della scuola e della sanità, così come dalla mancanza di un’articolata rete di protezione di base, elemento che distingue l’Italia dalla maggior parte dei paesi europei (Ascoli & Pavolini, 2013; Kazepov, 2015). Un’ulteriore caratteristica che contraddistingue l’Italia, in quanto appartenente al modello di welfare familistico, è l’elevato particolarismo nel finanziamento e nell’erogazione di servizi e benefici, che determina una bassa capacità di produrre beni collettivi e la tendenza a uno scivolamento distributivo delle prestazioni, ovvero alla distribuzione (in deficit spending) a gruppi molto ristretti di individui attraverso la manipolazione dei diritti sociali (Ferrera, 2008).

Rispetto al rapporto di sussidiarietà tra stato e famiglia, il sistema di welfare familistico è meno generoso rispetto a quelli corporativi, e presenta forti squilibri dati dal prevalere dei trasferimenti monetari rispetto alle risorse investite in servizi. Inoltre, vi è un minore afflusso di risorse indirizzate alle politiche familiari. Come nel modello corporativo, importanza centrale è assunta dalla famiglia come agenzia sociale di redistribuzione, ma se in questo modello lo stato possiede un forte ruolo regolativo e interviene in modo diretto nel sostegno alla famiglia e alla sua funzione redistributiva (sussidiarietà attiva); nel modello familistico il principio di sussidiarietà viene declinato in modo passivo: lo stato assume un ruolo marginale con un conseguente sovraccarico della famiglia per quanto riguarda le responsabilità sociali e di cura (Ferrera, 1996; Mingione, 1997).

Infine, un tratto caratterizzante la “specificità italiana” riguarda la differenziazione territoriale (Fargion, 1997; Mingione, 2001): nelle analisi su disuguaglianze e welfare state, la dimensione territoriale occupa un ruolo molto rilevante, al fianco di altri tipi di disuguaglianze più tradizionalmente considerati anche a livello internazionale. In Italia, l’alto livello di frammentazione territoriale in termini di sviluppo economico si accompagna a forti differenze nella performance delle pubbliche amministrazioni locali e in differenze di accesso a simili servizi di welfare in base all’area geografica di residenza (Fargion et al., 2006; Pavolini, 2015). Le riforme degli ultimi anni sono state accompagnate da processi di regionalizzazione e decentramento amministrativo (trasferimento di poteri, responsabilità, risorse dal governo centrale ai governi regionali e locali, si veda: Kazepov & Barberis, 2013) che, in un paese già caratterizzato da profonde differenze economiche, hanno favorito il consolidarsi di due regimi di welfare, uno nel Centro-Nord e l’altro nel Sud del paese, con una crescente polarizzazione fra le “due Italie” del welfare (Ascoli & Pavolini, 2013). Il welfare state del Centro-Nord presenta maggiori similitudini con i welfare state continentali, con un importante settore di servizi di medio-alta qualità che è cresciuto negli ultimi anni. Invece, il welfare state del Sud Italia può essere descritto come un modello residuale caratterizzato da performance di basso livello nell’erogazione di servizi, ma anche nella distribuzione dei più diffusi trasferimenti sociali (pensioni di

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anzianità, disoccupazione e CIG). Ciò è dovuto al fatto che i principali programmi del welfare italiano sono legati a schemi assicurativi basati su principi categoriali-occupazionali: essendo l’erogazione connessa alla partecipazione al mercato del lavoro (soprattutto in grandi imprese con impiego full- time a tempo indeterminato), è sempre più stato più difficile per i meridionali accedere ai benefici, anche vista la perdurante assenza di una rete di assistenza sociale di ultima istanza. Se in altri paesi europei, come nel caso della Germania, lo stato tramite le politiche sociali cerca di agire in senso redistributivo per un riequilibrio delle disparità economiche, anche attraverso l’erogazione di servizi di alta qualità in regioni più svantaggiate, in Italia sviluppo economico e politiche di welfare sembrano connesse in modo tale da creare disuguaglianze ancora più pronunciate, innestandosi su preesistenti gap economico-sociali (Pavolini, 2015). Ciò suggerisce la debolezza di uno stato centrale che non sembra in grado di programmare, coordinare e monitorare ciò che accade a livello locale promuovendo processi sistemici di convergenza nel funzionamento delle pubbliche amministrazioni. La differenziazione territoriale influisce pesantemente sull’azione redistributiva dello Stato e la decentralizzazione ne ha ulteriormente indebolito le capacità di coordinamento (Vassallo, 2013): il tradizionale modello di welfare italiano è stato sostituito con uno stato sociale multilivello e territorialmente frammentato, in cui da un lato aumenta la pressione sulle famiglie, già in forte difficoltà per via dei cambiamenti demografici e per la crisi economica; dall’altro il godimento dei diritti sociali diviene sempre più connesso alla particolarità del contesto territoriale di appartenenza, stante le incongruenze del sistema regolativo e soprattutto la debolezza degli attori istituzionali regionali (Kazepov & Barberis, 2013).