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PARTE I. WELFARE, EDUCAZIONE, LAVORO: COSTRUIRE UN DIALOGO PER

CAPITOLO 2. WELFARE ED EDUCAZIONE: DAL TRADE-OFF ALL’INTEGRAZIONE PER

3.2. Transizioni scuola-lavoro come rischio e opportunità

La posizione dei giovani nel mercato del lavoro assume connotati di particolare criticità nelle società contemporanee, a causa di alti tassi di disoccupazione e conseguente diminuzione nelle aspettative individuali di veder realizzate le proprie ambizioni. Il deterioramento delle condizioni dei giovani nel mercato del lavoro è stato descritto come un processo di lungo periodo caratterizzante le economie capitalistiche avanzate, innescato dalla globalizzazione dei mercati e dall’innovazione tecnologica all’interno della più ampia transizione alla società postindustriale (Esping-Andersen, 1998). Secondo Ryan (2008), la complessiva riduzione della domanda di lavoro comporta l’esistenza di un double skill

bias, ovvero di una doppia penalizzazione relativa alle competenze sviluppate dagli individui in vista

della loro partecipazione al mercato del lavoro.

In primo luogo, lo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro nel settore del mercato del lavoro a bassa richiesta di competenze, determina un accresciuto svantaggio per coloro i quali sono scarsamente qualificati e poco educati. Bonoli & Mouline (2012) parlano a tal proposito di post-industrial

employment problem. In secondo luogo, tuttavia, anche gli individui con minor esperienza lavorativa

alle spalle devono affrontare prospettive occupazionali in peggioramento. Ecco perché, nonostante i più giovani siano mediamente più educati rispetto alle generazioni precedenti, la loro condizione sul mercato del lavoro è spesso quella di outsiders, ovvero di chi subisce condizioni e opportunità occupazionali meno favorevoli rispetto a uno o più gruppi di insiders (Lindbeck & Snower, 2001). Conseguentemente, lo svantaggio relativo delle fasce di popolazione giovanile in termini occupazionali non è spiegabile attraverso il livello educativo raggiunto (che sta crescendo), ma piuttosto attraverso i gap che si vengono a sviluppare nelle altre due componenti del capitale umano, ovvero l’esperienza lavorativa generica e specifica (Pastore, 2011).

I giovani tendono a passare attraverso differenti status nel mercato del lavoro, poiché combinano educazione, formazione, lavoro spesso in occupazioni atipiche (non full time e/o non a tempo indeterminato), così come frequenti transizioni tra occupazione, disoccupazione e inattività. In parte,

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la maggior mobilità dei giovani nel mercato del lavoro, denominata anche job shopping, rappresenta una conseguenza dell’atteggiamento di sperimentazione e ricerca del miglior posto di lavoro. I giovani all’inizio della loro carriera lavorativa sperimentano posti diversi, anche accettando lavori di bassa qualità, poiché cercano per il miglior matching possibile tra opportunità disponibili e competenze e aspirazioni personali. In questa fase il loro obiettivo è anche quello di accrescere la propria esperienza lavorativa al fine di raggiungere un’occupazione stabile (Piopiunik & Ryan, 2012). D’altro canto anche i datori di lavoro sono alla ricerca del miglior match per la loro azienda. Nella fase di transizione quindi, quanto descritto può tradursi anche in ripetute esperienze di lavoro temporaneo o part-time a bassa paga. Nelle situazioni migliori e auspicabili, queste dovrebbero fungere da stepping stones, ovvero punti di ascesa progressiva nella carriera lavorativa, per consentire di superare lo svantaggio di ingresso costituito dalla mancanza di competenze legate all’attività lavorativa di cui si è accennato in precedenza.

A questa predisposizione alla ricerca corrisponde tuttavia anche il rischio di un prolungamento indefinito di tale fase di mobilità, in cui la flessibilità contrattuale non funge da rampa di lancio per progressi di carriera, ma può assumere piuttosto una precisa connotazione in termini di strato sociale coinvolto. Nel caso dei giovani, si parla di segmentazione generazionale (Reyneri, 2005), e si sottolinea il rischio che ad essa si accompagnino processi di precarizzazione, di formazione di “cicatrici” di lungo periodo (scarring effects) o di “trappole” (entrapment o dead-end jobs, ovvero circoli viziosi di lavoro precario, disoccupazione e inattività) che poi producono effetti negativi e perduranti sulla successiva biografia lavorativa dell’individuo (Cuzzocrea, 2014; Berton et al., 2009).

La condizione dei giovani nella fase di transizione dal sistema educativo al mercato del lavoro e, più in generale, alla vita adulta, è oggetto di analisi anche delle ricerche sul corso di vita (Cavalli, 1997). Pur presentando un approccio differente rispetto alla sociologia del mercato del lavoro e della skill

formation, tali contributi evidenziano come nella tarda modernità si assista a una destandardizzazione

delle biografie e delle traiettorie di vita (Mortimer & Shanahan, 2003). Soprattutto i giovani tracciano percorsi biografici sempre meno lineari e caratterizzati da reversibilità e continui cambiamenti di status (Facchini & Villa, 2005; Biggart & Walther, 2006). In quest’ottica, le transizioni, intese come eventi o sequenza di eventi tali da modificare lo status del soggetto in vari ambiti sociali (ad esempio famiglia o mercato del lavoro), implicano la ricerca di un nuovo equilibrio tra risorse e bisogni. Inoltre, esse sono radicate in differenti configurazioni istituzionali che influiscono sul modo in cui il soggetto accede alle risorse necessarie al proprio benessere.

La diminuita prevedibilità del corso di vita, insieme al duplice carattere di rischio e opportunità insito nelle transizioni, richiede allora anche una rilettura critica del ruolo delle istituzioni che modellano il corso di vita, e degli strumenti di policy finalizzati a supportare le transizioni dei giovani adulti. L’interazione tra azione (scelte del soggetto) e struttura (istituzioni e contesto) varia infatti secondo differenti regimi di transizione (Walther, 2006), chiamando in causa, oltre alle percezioni degli

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individui coinvolti, il ruolo di fattori strutturali socio-economici e demografici, di fattori culturali, delle configurazioni istituzionali e degli interventi di policy nel modellare un complesso insieme di limiti e opportunità per l’azione individuale.

Nel caso degli esiti della transizione dal sistema di istruzione al mercato del lavoro, i paesi europei mostrano ampie variazioni in termini di disoccupazione giovanile e performance occupazionali, così come nella diffusione e caratteristiche dell’occupazione atipica. Tali differenze esistenti suggeriscono come, pur constatando l’esistenza di sfide strutturali comuni che interessano i sistemi di welfare e i mercati del lavoro, nonché la conseguente distribuzione di risorse all’interno di una società, la forma e l’estensione di tale influenza sia comunque modellata dai differenti setting istituzionali e relativi mix di politiche e misure adottate (Eichhorst & Neder, 2014). Data l’assenza di un collegamento diretto tra pressioni strutturali ed esiti sociali, la ricerca deve quindi considerare il ruolo cruciale giocato dalle politiche esistenti e dalle riforme di policy attuate all’interno di un determinato contesto istituzionale (Emmenegger et al., 2012). Come detto, l’obiettivo di un’alta occupazione di qualità attraverso la promozione dei processi educativi e formativi per lo sviluppo di un capitale umano allineato alle necessità del mercato del lavoro, rappresenta anche un tratto costitutivo dell’investimento sociale (Morel et al.,2012). L’aumento di eterogeneità delle transizioni delle biografie individuali dovute alla mutata natura dei rischi sociali è infatti affrontata tenendo in considerazione le dinamiche del ciclo di vita e le particolari vulnerabilità connesse, ad esempio, nel passaggio dall’istruzione al lavoro (Hemerijck, 2017). In questo ambito, dunque, poiché le condizioni per politiche efficaci di investimento sui giovani e relative skills dipendono dall’interfaccia tra sistema educativo, mercato del lavoro e welfare state (Kazepov & Ranci, 2016), l’analisi delle configurazioni istituzionali nazionali acquisisce rilevanza cruciale (Lundvall & Lorenz, 2012).

La letteratura comparata sui sistemi di transizione risponde a domande di ricerca relative al modo in cui processi e esiti delle transizioni tra istruzione ed occupazione variano da una nazione all’altra, e come queste differenze possano essere spiegate, includendo tematiche quali la spiegazione delle disuguaglianze, le dinamiche dei processi di transizione, la natura del mutamento sociale e l’efficacia degli interventi di policy (Raffe, 2014). Questo comporta appunto la comparazione di “sistemi nazionali di transizione” intesi come caratteristiche relativamente durature degli assetti istituzionali e contestuali che modellano processi e risultati di transizione (Smyth et al., 2001). Gli aspetti istituzionali che influiscono sulle transizioni riguardano non soltanto i sistemi educativi, ma anche le caratteristiche del mercato del lavoro, del welfare state, del contesto demografico, economico e culturale: occorre considerare queste dimensioni come interrelate. La rilevanza delle interazioni istituzionali risulta particolarmente pregnante ai fini del presente elaborato, dal momento che appare concordante con quanto sostenuto nei capitoli precedenti, circa la necessità di analizzare le specifiche configurazioni istituzionali e il relativo policy mix che influisce sulla transizione scuola-lavoro. Un’impostazione simile deriva anche dalla letteratura sulla collective skill formation e sui differenti skill

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system nazionali, che insistono sulle modalità in cui all’interno del sistema educativo, specialmente nel

sistema VET di formazione professionale e nel sistema di HE (università e istituzioni di livello educativo terziario), vengano prodotte competenze anche coinvolgendo attori non pubblici come le imprese o le associazioni categoriali, nonché sul grado in cui queste competenze rispondono alle esigenze del mercato del lavoro (Bosch, 2015c; Busemeyer & Trampusch, 2012; Ashton et al., 2000). Concludendo, possiamo affermare che analizzare i cambiamenti e le configurazioni dei sistemi di transizione scuola-lavoro implica valutare l’interazione tra le più stabili “dimensioni strutturali e istituzionali” e le “dimensioni di policy”, più suscettibili a cambiamenti (Raffe, 2008), che caratterizzano welfare state, sistema di istruzione e formazione professionale, mercato del lavoro. Infatti i processi di policy reform producono, nella maggioranza dei casi, cambiamenti incrementali all’interno di configurazioni istituzionali esistenti (Thelen, 2009; Béland, 2009): non ne deriva quindi necessariamente lo stravolgimento delle complementarietà istituzionali esistenti, ma l’instaurarsi di differenti condizioni di equilibrio nel sistema analizzato (Amable, 2016). Inoltre, l’adozione di una prospettiva di social investment implica il porre al centro dell’analisi il ruolo dello stato come attore di coordinamento, considerandone i differenti livelli istituzionali coinvolti e le relazioni con altri attori non pubblici o quasi pubblici.

Nei sensi sopra riportati, il caso italiano presenta molteplici motivi di interesse, specialmente a causa delle recenti riforme che sono intervenute sulla configurazione istituzionale di riferimento e sul relativo spettro di misure di policy, finalizzate alla gestione della transizione scuola-lavoro e al miglioramento delle opportunità occupazionali per le fasce più giovani della popolazione. Nella ricerca l’analisi dei sistemi di transizione scuola-lavoro è perseguita mediante l’adozione di un approccio comparativo: l’Italia è infatti posta a confronto con la Germania, stato europeo che si è dovuto a sua volta confrontare con una forte segmentazione territoriale (la frattura tra Germania Ovest e Germania Est, la struttura di governo federalista con conseguente protagonismo dei singoli stati o Länder) e che, per le caratteristiche del proprio modello di welfare e di struttura occupazionale, risulta un utile elemento di comparazione per la comprensione delle dinamiche caratterizzanti il caso italiano.