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Di seguito si indicheranno le salienti modifiche apportate alla Sezione II (“Concorsi interni”) del capo IV (“Assegnazione dei magistrati alle sezioni.

Tramutamenti dei magistrati nell’ambito dello stesso ufficio”) del titolo II della circolare (“Organizzazione degli uffici giudicanti di merito”).

Viene eliminata la possibilità del doppio concorso separato, ossia del successivo e separato concorso per l’attribuzione dei posti di risulta. Ciò per le criticità spesso rilevate in sede di analisi delle variazioni tabellari relative ai concorsi interni e per l’ingiustificato deteriore trattamento che può interessare magistrati più anziani a fronte della pubblicazione dei posti di risulta.

Il concorso diventa, quindi, unico. Sicché nel bando - rispetto al quale si è rafforzato l’onere motivazionale con riguardo alle ragioni organizzative che sorreggono la scelta della pubblicazione, che devono essere specificate (114 comma 1) - i dirigenti devono stabilire quali posti tra quelli vacanti intendono pubblicare, ma anche indicare preventivamente “gli eventuali posti di risulta che provvederanno sicuramente a coprire”, cioè di quali tra i posti di eventuale risulta ritengano necessaria la copertura in funzione della efficiente organizzazione dell’ufficio (art. 114, comma 2). Naturalmente il dirigente potrà indicare preventivamente che coprirà tutti i posti di risulta, ovvero indicare criteri predeterminati di individuazione delle risulte a “copertura necessaria” (es. la contestuale scopertura di più posti nella medesima sezione, da indicare specificamente).

I magistrati che partecipano al bando (compresi quelli di nuova destinazione per effetto di tramutamento) dovranno, quindi, indicare, in ordine di preferenza, i posti pubblicati e quelli di eventuale risulta cui aspirano. Per ragioni di buon andamento dell’attività amministrativa, fermo il limite già previsto di due domande in caso di pubblicazione da due cinque posti, si è posto un limite al numero di domande che ciascun magistrato potrà presentare in tutti i concorsi, anche con riferimento agli eventuali posti di risulta, limite pari a tre domande (art. 117).

Si è chiarito, poi, anche alla luce di diverse incertezze registrate con riguardo alla gestione di questo aspetto del concorso interno, che i magistrati di nuova destinazione possono aspirare anche ad eventuali posti di risulta.

Si è, altresì, precisato l’iter procedimentale da seguire nel caso in cui i magistrati di nuova destinazione siano risultati perdenti sui posti per cui hanno espresso preferenza o non abbiano partecipato al bando. In tal caso devono essere, in primo luogo, assegnati d’ufficio ad uno dei posti rimasti vacanti tra quelli pubblicati. In caso non siano rimasti posti vacanti tra quelli pubblicati, essi devono essere collocati d’ufficio “in uno dei posti di risulta che il dirigente già nel bando aveva indicato che avrebbe sicuramente coperto (c.d. posti a copertura necessaria) rimasti vacanti”.

Solo in ulteriore subordine il dirigente provvederà ad espletare un ulteriore concorso per un numero di posti pari a quello dei magistrati di nuova destinazione ancora da collocare, scegliendo quali posti pubblicare tra quelli liberatisi all’esito del concorso (di risulta) ovvero tra i posti liberi e non pubblicati, indicando le ragioni organizzative della scelta (art. 138).

Stante il fatto che il dirigente deve spiegare nel testo del bando le ragioni

organizzative che lo inducono a pubblicare determinati posti vacanti, è stato previsto che ciascun magistrato interessato può fare osservazioni sulle scelte organizzative ivi esplicitate, osservazioni di cui il dirigente può tener conto modificando le sue determinazioni o a cui può rispondere con controdeduzioni nel decreto stesso che definisce la procedura di concorso interno (114, comma 4).

Quanto ai criteri di valutazione tra più magistrati aspiranti all’assegnazione o al tramutamento, si è confermato che, per le cd. funzioni specializzanti (tra cui è stata inserita la materia delle esecuzioni), il criterio attitudinale prevale “in ogni caso” (art. 125), mentre, per tutte le altre funzioni, esso prevale soltanto entro una fascia di anzianità di ruolo non superiore ad otto anni (art. 125). Nella valutazione delle attitudini si è puntualizzato che le “altre esperienze”, ossia le esperienze diverse da quelle “relative ad aree o materie uguali od omogenee al posto da ricoprire”, ivi comprese le esperienze non giurisdizionali, possono essere valorizzate soltanto

“in caso di pari attitudini”, ed “in via complementare”, se “pertinenti ed idonee a comprovare l’idoneità professionale dell’aspirante in relazione al posto messo a concorso” (art. 126, ultimo comma).

Nella valutazione delle attitudini relative allo svolgimento delle funzioni gip/

gup (art. 127), si è ritenuto di dover equiparare le funzioni di giudice del riesame a quelle di giudice dibattimentale, visto che le prime riguardano la materia delle misure cautelari, che costituisce un aspetto qualificante, e non certo secondario, di quelle svolte da un magistrato addetto alle funzioni gip/gup. Con norma di chiusura, si è, poi, stabilito che, se nessuno degli aspiranti possegga il predetto requisito biennale di esercizio delle funzioni dibattimentali, o di funzioni ad esse equiparate, si applicano i criteri suppletivi di cui all’art. 111, comma 3, sopra indicati (si veda il paragrafo 8 della presente relazione).

In materia di concorsi interni, l’innovazione più significativa apportata dalla presente circolare è quella relativa al concetto di anzianità (art. 125): essa viene qui agganciata, sempre e comunque, all’anzianità di ruolo; fino ad ora, invece, l’anzianità di ruolo concorreva con l’anzianità di servizio nell’ufficio, in un bilanciamento piuttosto articolato e di non immediata comprensibilità (art. 135/2017).

Le ragioni di tale modifica sono le seguenti: 1) si attua una semplificazione e si rende più agevole l’attività amministrativa per gli uffici e per i magistrati interessati;

2) l’anzianità di ruolo è complessivamente più significativa su un piano professionale dell’anzianità di servizio, visto che le esperienze professionali conseguite in uffici diversi da quello di attuale appartenenza possono risultare altrettanto significative;

3) non si vuole penalizzare la mobilità tra uffici, spesso frutto di legittime esigenze personali o familiari e, comunque, foriera sia di confronto tra i colleghi sia di circolazione di esperienze e buone prassi; 4) per la presidenza dei collegi, la normativa primaria fa prevalere il magistrato maggiormente anziano in ruolo (cfr. art.

47 quinquies dell’ordinamento giudiziario) ed appare opportuno che l’ordinamento detti regole omogenee anche per la prevalenza nei concorsi interni, risultando non del tutto ragionevole che il magistrato che prevale nella presidenza di un collegio

debba soccombere in un concorso interno rispetto ad un magistrato meno anziano in ruolo; 5) come si leggerà nel prosieguo del presente paragrafo, la nozione giuridica di “anzianità di ruolo” fatta propria dall’ordinamento e dalla presente circolare è da intendersi come “riscontrato e positivo esercizio della funzione giudiziaria”, mentre invece la “anzianità di servizio” è correlata unicamente alla presenza del magistrato in quell’ufficio, senza che per essa possano rilevare le periodiche verifiche sulla sua professionalità o le perdite di anzianità comunque subite, anche per ragioni disciplinari.

Per coerenza, si è stabilito all’art. 154, comma 2, che, in caso di trasferimenti d’ufficio, la scelta deve cadere sul magistrato che abbia minore anzianità di ruolo, calcolata nei termini di cui al predetto art. 125, comma 4.

In punto di anzianità di ruolo, si precisa nella circolare (art. 125, comma 4) che

“per anzianità di ruolo deve intendersi quella stabilità dal decreto ministeriale di nomina e, all’interno dello stesso decreto ministeriale di nomina, dalla collocazione nella relativa graduatoria di concorso”.

Tuttavia, è possibile che il magistrato abbia subìto una perdita di anzianità, anche per ragioni disciplinari, ovvero non abbia conseguito una positiva valutazione di professionalità: vuoi perché abbia ricevuto una valutazione di professionalità negativa o non positiva, vuoi perché non abbia attivato il relativo procedimento amministrativo, inoltrando in ritardo o non inoltrando la propria autorelazione al dirigente dell’ufficio, vuoi perché tale procedimento abbia avuto una durata ingiustificata e non si sia concluso.

Tutte e tre le ipotesi ora indicate, pur nella loro diversità, determinano comunque un arretramento del magistrato nel ruolo di anzianità nella magistratura, che viene elaborato dal Ministero della Giustizia ai sensi della generale disposizione di cui all’art. 55 del d.P.R. n. 3/1957, tuttora vigente; ruolo di anzianità che è agevolmente consultabile da tutti i magistrati sul sito intranet cosmag. Si afferma, quindi, nella circolare che “in caso di valutazione di professionalità negativa o non positiva, in caso di mancato conseguimento della valutazione di professionalità astrattamente dovuta in base al decreto di nomina, o per qualunque perdita di anzianità, anche per ragioni disciplinari, il magistrato retrocede nell’anzianità di ruolo nei termini indicati dal ruolo di anzianità nella magistratura, elaborato dal Ministero della Giustizia ai sensi dell’art. 55 del d.P.R. n. 3/1957 e pubblicato sul sito intranet del Consiglio superiore della magistratura”. Tale soluzione normativa si impone anche alla luce della seguente risposta a quesito data dal Consiglio in data 12 febbraio 2014: “ai fini dell’individuazione del magistrato più anziano deve farsi riferimento al magistrato che abbia conseguito la superiore valutazione di professionalità”. A sostegno di tale risposta a quesito il Consiglio ha affermato che: ai sensi dell’art. 201 dell’ordinamento giudiziario “l’anzianità dei magistrati si computa dalla data del decreto di nomina in ciascun grado”; tale norma, “pur facendo riferimento ad un sistema di progressioni in carriera ormai desueto (le cd. promozioni) pur tuttavia enuncia un principio oggi adattabile al vigente sistema delle valutazioni periodiche di professionalità; “il legislatore della riforma dell’ordinamento giudiziario non ha abrogato né modificato tale norma”.

Tuttavia, tra le ipotesi sopra indicate di arretramento nel ruolo di anzianità nella magistratura, ve n’è una che non è addebitabile al magistrato, ossia quella in cui il

procedimento per il conseguimento della valutazione di professionalità astrattamente dovuta in base al decreto di nomina, non si conclude nei termini stabiliti non già per inadempienza del magistrato interessato (che non presenta, o presenta in ritardo, l’autorelazione che dà il via al procedimento), bensì per ingiustificata dilazione dei termini del procedimento, ad esempio perché il dirigente ritarda senza ragione nel redigere il rapporto valutativo e/o il Consiglio giudiziario ritarda senza ragione nell’emettere il parere di competenza e/o il Consiglio superiore ritarda senza ragione nell’emettere la delibera conclusiva del procedimento. In questi casi appare iniquo che il magistrato interessato debba comunque retrocedere nel ruolo di anzianità nella magistratura. Per ovviare a ciò, e per regolare in maniera diversa ipotesi che non sono uguali, il predetto art. 125, comma 4, così termina: “la collocazione nel ruolo di anzianità nella magistratura si presume valida ad ogni effetto, salvo che il ritardato conseguimento della valutazione di professionalità dipenda dalla dilazione dei termini del relativo procedimento; se tale dilazione derivi però dalla ritardata presentazione, da parte del magistrato interessato, dell’autorelazione che dà avvio al procedimento, rimane valida la collocazione stabilita nel ruolo di anzianità nella magistratura”.

11) Redistribuzione degli affari e dei ruoli e riequilibrio dei carichi di lavoro La norma di cui all’art. 174/2017 (ora art. 167) in tema di riequilibrio dei carichi di lavoro è stata confermata ma è stato precisato che le esigenze di servizio che stanno alla base dei provvedimenti di riequilibrio - ovvero la ragionevole durata del processo e la tempestività della riposta giudiziaria - possono essere soddisfatte anche attraverso la redistribuzione parziale o totale dei ruoli vacanti.

Più in dettaglio, si afferma nel suddetto art. 167, comma 2, della circolare che, relativamente ai ruoli vacanti, il dirigente può procedere alla loro redistribuzione, di regola parziale e relativa alle “cause più urgenti e più risalenti”, dando atto che non ci si può utilmente avvalere degli strumenti previsti dalla circolare del 20 giugno 2018 in tema di applicazioni e supplenze. L’art. 4 di quest’ultimo testo normativo prevede infatti che, in caso di mancanza o di impedimento del magistrato titolare di un ruolo, occorre avvalersi degli istituti della supplenza (ivi, art. 8), dell’assegnazione interna o congiunta (ivi, artt. 11 e 12) o delle applicazioni (ivi, artt. 13 e 14), nonché del supporto della magistratura onoraria (cfr. articoli 176 e seguenti della presente circolare); solo ove sia impossibile ricorrere a tali istituti, e sussistano “gravi carenze di organico dell’ufficio”, lo stesso art. 4 consente di procedere al “congelamento” del ruolo, con provvedimento motivato che deve essere “immediatamente” trasmesso al Consiglio superiore per le valutazioni di competenza.

Ebbene, il provvedimento di redistribuzione di cui al richiamato art. 167, comma 2, della presente circolare trae radice dagli stessi presupposti del congelamento del ruolo, ossia dalla non utile esperibilità dei rimedi indicati al suddetto art. 4, ma consente al dirigente di redistribuire tra gli altri magistrati del settore o della sezione almeno le cause “più urgenti e le più risalenti”.

Onde evitare che tale misura organizzativa possa essere impropriamente utilizzata, e finisca soltanto per aggravare i ruoli dei magistrati in servizio senza consentire una trattazione in tempi ragionevoli dei fascicoli provenienti dal ruolo vacante (come

accadrebbe ove si provvedesse alla ri-assegnazione di un numero consistente di fascicoli su ruoli già oberati), si è inteso puntualizzare che: le ragioni di servizio poste a fondamento del provvedimento diretto a riequilibrare i carichi di lavoro, eventualmente anche attraverso la redistribuzione, parziale o totale, di ruoli vacanti, debbono essere

“specifiche” (art. 167, comma 1); “il numero delle cause redistribuite deve risultare tale da garantire l’efficiente gestione del ruolo dell’assegnatario” (art. 167, comma 2, ultimo inciso); il dirigente dell’ufficio deve dare, altresì, atto dei prevedibili tempi di copertura del posto, che si è ritenuto debbano essere presumibilmente non inferiori all’anno (art. 167, comma 2).

Si è voluto, altresì, evitare che la stessa misura organizzativa possa essere percepita come punitiva dal magistrato che riceva un aggravio di procedimenti, pur avendo avuto un’elevata produttività. A tal fine, al comma 4 dell’art. 167, si è affermato che

“qualora, in sede di riequilibrio, la minor consistenza dei ruoli riceventi risulti frutto di un particolare impegno del magistrato assegnatario in ragione di un significativo indice di ricambio agganciato alla qualità dei provvedimenti, il dirigente ne dà atto nel provvedimento e di ciò si tiene conto nella valutazione di professionalità” (art. 167, comma 4); tale precisazione ha proprio lo scopo di evitare quella possibile percezione negativa di cui sopra e, allo stesso tempo, di positivizzare, in un momento significativo per i magistrati interessati, lo sforzo, quantitativo e qualitativo, prestato dal magistrato che si ritrovi gravato dal provvedimento di riequilibrio o di redistribuzione.

Nella prassi applicativa della Settima Commissione si è, poi, constatato, in più di un’occasione, che i provvedimenti di redistribuzione hanno riguardato procedimenti trattenuti a sentenza da magistrati poi cessati dall’ordine giudiziario, per lo più per collocamento a riposo. Si è, quindi, ritenuto opportuno (art. 168) precisare che, in questo caso, la redistribuzione è possibile soltanto dopo che il dirigente dell’ufficio abbia formalmente compulsato il magistrato cessato dall’ordine giudiziario, o collocato fuori dal ruolo organico della magistratura, a depositare tutte le sentenze e le ordinanze per le quali la lettura del dispositivo, ovvero il trattenimento a riserva o a sentenza del relativo procedimento, siano avvenuti prima della cessazione di appartenenza dall’ordine giudiziario del magistrato o prima del suo collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura; con la precisazione, quanto ai procedimenti trattenuti in riserva o a sentenza, che il dirigente può compulsare il magistrato interessato soltanto se i termini attribuiti alle parti, ed obbligatori per legge, siano decorsi prima dell’uscita dello stesso magistrato dall’ordine giudiziario o del suo collocamento fuori ruolo.

Tale dovere del dirigente di compulsare il magistrato al deposito del provvedimento scaturisce dalla circostanza che il magistrato, pur cessato dall’ordine giudiziario, o a fortiori se collocato fuori ruolo, ha il dovere, ad ogni effetto rilevante, di provvedere al deposito della motivazione, i cui presupposti erano maturati quando era ancora in servizio o in ruolo.

A tale regola operativa si ritiene di dover derogare soltanto nel caso in cui il magistrato sia stato collocato fuori ruolo o sia cessato dall’ordine giudiziario per ragioni di natura disciplinare: in questo caso, la ragione posta a fondamento della misura cautelare applicata o della sanzione irrogata impedisce la prosecuzione di ogni ulteriore attività giurisdizionale ed impone la redistribuzione dei procedimenti

trattenuti in riserva o in decisione. A tale ipotesi si è voluta parificare quella relativa all’assunzione di un mandato politico elettivo: essa è ovviamente il frutto di un percorso legittimo, almeno sulla base della legislazione attualmente vigente, e ben diverso dall’ipotesi di una condanna disciplinare alla rimozione o da una misura cautelare disciplinare di sospensione dalle funzioni; tuttavia, l’assunzione di un mandato politico elettivo incide obiettivamente sulla percezione di indipendenza ed imparzialità del magistrato sicché non è opportuno che lo stesso continui ad esercitare l’attività giurisdizionale, sia pure per definire i processi già assunti in decisione.

Per comunanza argomentativa, e per fugare equivoci di sorta, si è inteso chiarire che i procedimenti trattenuti in riserva o in decisione da parte di magistrati in servizio non possono essere mai oggetto di redistribuzione, neppure se riguardino un magistrato trasferito ad altro ufficio o ad altra funzione. Pertanto, il magistrato trasferito ad altro ufficio o ad altra funzione deve provvedere al deposito dei provvedimenti da lui trattenuti in decisione o in riserva, fatta salva – anche in questa evenienza e per il solo caso di trasferimento ad altro ufficio – l’ipotesi in cui “la scadenza dei termini attribuiti alle parti ed obbligatori per legge avvenga dopo il trasferimento del magistrato ad altro ufficio”.

Sempre per comunanza argomentativa, in quanto si tratta di adempimenti successivi ad un trasferimento o ad un collocamento fuori ruolo, si segnala qui che viene modificato l’art. 109 stabilendo che anche il magistrato collocato fuori ruolo, oltre che il magistrato trasferito ad altro ufficio o ad altra posizione tabellare, deve trasmettere al presidente di sezione o, laddove non previsto in organico, al dirigente dell’ufficio, una sintetica relazione sullo stato del ruolo, nella quale evidenziare non soltanto eventuali urgenze ma anche “le controversie di maggiori complessità”. Si è, poi, aggiunto che detta relazione deve essere trasmessa, a cura del dirigente dell’ufficio, al magistrato che sia subentrato, in tutto o in parte, nel ruolo del magistrato trasferito, in modo tale che vi sia un’effettiva continuità nella gestione del ruolo tra il magistrato che lascia il ruolo ed il magistrato che vi subentra. Tenuto conto dell’importanza di tale adempimento per l’efficace gestione del ruolo, si precisa che l’ingiustificata redazione di tale relazione è tenuta in considerazione in sede di valutazione di professionalità e negli ulteriori pareri attitudinali demandati al Consiglio giudiziario.

Infine nella formazione dei ruoli si è ritenuto di dedicare particolare attenzione a quelli destinati ai magistrati di prima nomina al termine del tirocinio, per i quali si è previsto che, di regola, salvo perciò motivate esigenze di servizio, debbano essere escluse le cause ultratriennali e che vada assicurata un’equilibrata assegnazione di procedimenti a rito monocratico e collegiale, salve motivate esigenze organizzative (art. 124); ancora più restrittiva la disciplina dell’ipotesi in cui i magistrati al termine del tirocinio siano destinati a svolgere “in via esclusiva funzioni collegiali o monocratiche”, ipotesi, invero, poco funzionale alla corretta formazione di un magistrato di prima nomina; detta misura organizzativa, dunque, è consentita “solo in ragione di imprescindibili e prevalenti esigenze dell’ufficio o di specifiche condizioni personali” (art. 53).