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Corte di Cassazione

Il filo conduttore delle innovazioni contenute nella parte della circolare relativa alla Corte di Cassazione attiene ad una migliore e più puntuale specificazione degli indicatori utilizzabili per il conferimento di incarichi i cui presupposti erano fino ad ora non regolamentati, o non adeguatamente regolamentati, con il risultato di aprire il varco ad una discrezionalità eccessiva e sindacabile con difficoltà da parte del Consiglio.

Più in dettaglio, per la designazione dei presidenti titolari si è voluto specificare che saranno oggetto di valutazione le attività svolte ed i risultati ottenuti “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie”, con esclusione, quindi, delle attività svolte e dei risultati ottenuti fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie. La “capacità professionale” va poi “desunta anche dalla qualità dei provvedimenti redatti”; si è voluto così inserire un indicatore specifico ritenuto particolarmente pertinente (art. 221).

Quanto ai presidenti di sezione, non è stata qui ripetuta la norma di cui agli artt. 90, comma 1, e 94, comma 1, relativa, rispettivamente alle Corti d’appello ed ai Tribunali, e secondo cui “l’assegnazione di un unico presidente di sezione alla sezione stessa rappresenta il modello organizzativo più adeguato al fine di rendere più efficace e celere la risposta alle istanze di giustizia, anche tenuto conto della percentuale di esonero dal lavoro giudiziario fruibile dai Presidenti di sezione”. Per la Corte di Cassazione, in ragione delle funzioni nomofilattiche e della peculiare organizzazione interna, è infatti la stessa normativa primaria a stabilire che “a ciascuna delle sezioni civili e penali è preposto un presidente di sezione e possono essere assegnati più presidenti di sezione” (art. 66, comma 3, dell’ordinamento giudiziario). Del resto, come riscontro empirico rispetto a tali esigenze, vi è che in Corte di Cassazione c’è sempre stato un numero di presidenti di sezione eccedente rispetto al numero delle sezioni esistenti (attualmente i presidenti di sezione previsti in pianta organica sono 59, a fronte di sei sezioni civili e di sette sezioni penali).

Sui criteri di composizione dei collegi, valorizzando le valutazioni e le conclusioni contenute nella delibera consiliare del 10 aprile 2019, con la quale sono state approvate le tabelle della Corte di Cassazione attualmente in vigore, si è ritenuto opportuno precisare che tali criteri debbono essere “oggettivi e predeterminati”, al pari di quelli già previsti per “la ripartizione degli affari all’interno della sezione, tra i diversi collegi” e per “la designazione del relatore”; tali criteri debbono inoltre trovare applicazione “anche per la composizione dei collegi delle udienze straordinarie”. In coerenza con la generale valorizzazione dell’anzianità di ruolo in luogo dell’anzianità di servizio, si è ritenuto di dover indicare che, in mancanza del presidente di sezione, la presidenza dei collegi spetti al magistrato con maggiore anzianità “di ruolo”, che abbia però maturato almeno tre anni di anzianità in quell’ufficio, a garanzia delle funzioni nomofilattiche che, nella specifica realtà della Corte di Cassazione, devono essere assicurate dai presidenti di collegio (art. 230).

Si è poi regolamentata, in maniera parzialmente innovativa, la diversificazione, in ciascuna sezione, tra distinte “aree omogenee” (art. 231, comma 3). Anzitutto

prevedendo che l’individuazione, all’interno di una sezione, di aree omogenee di competenza sia una possibilità, non una necessità. In secondo luogo, si stabilisce che la presenza degli stessi magistrati nella medesima area omogenea deve avere dei

“congrui” limiti temporali, che la tabella dovrà indicare. Ciò per evitare che possa far capo ad un ristretto numero di magistrati, per un lungo numero di anni e senza un’adeguata rotazione, l’intera giurisprudenza di legittimità di un determinato settore.

In ordine ai criteri di assegnazione degli affari all’interno dei collegi, il Consiglio, con la suddetta delibera assunta in data 10 aprile 2019, non ha approvato le parti della pregressa tabella che, sul tema, non contenevano criteri “oggettivi, predeterminati e verificabili”, così come richiedeva e richiede la norma di circolare (art. 231, comma 2). Nel confermare tale previsione e, dunque i criteri di assegnazione in essa indicati, si è ritenuto opportuno, stanti le peculiarità del giudizio in Cassazione, regolamentare in maniera più dettagliata la possibilità di derogare ad essi: mentre il testo fino ad ora in vigore consente la deroga per “motivate esigenze di servizio”, il testo novellato precisa che tra tali motivate esigenze di servizio può “eccezionalmente” rientrare quella “derivante dalla necessità di risolvere particolari questioni di diritto”, da indicarsi “espressamente” (art. 232).

Per l’assegnazione dei magistrati alle Sezioni Unite l’esperienza di lavoro della Settima Commissione ha mostrato come il criterio della “specifica attitudine”, prioritario rispetto agli altri, sia stato spesso disatteso. Per rafforzarlo, e per dargli anche in punto di fatto la giusta priorità, si è ritenuto necessario introdurre nel procedimento concorsuale interno il necessario esame di un numero non inferiore a dieci e non superiore a venti di provvedimenti estratti a campione e di un pari numero di provvedimenti che possono essere prodotti dagli aspiranti (art. 234). Ritiene in proposito il Consiglio che la comparazione sulla qualità dei provvedimenti resi debba costituire uno snodo decisivo nella valutazione dei magistrati da assegnare alle Sezioni Unite.

Per le ragioni generali sopra indicate, il criterio selettivo residuale da seguire deve essere quello della maggiore anzianità di ruolo, e non già della maggiore anzianità di servizio. Resta comunque fermo che i consiglieri, per poter accedere alle Sezioni Unite civili e penali, devono aver prestato, nell’ultimo decennio, “servizio continuativo presso le sezioni per non meno di tre anni nell’ambito del settore civile o di quello penale” ovvero devono aver prestato servizio “complessivamente per non meno di quattro anni nell’ambito del settore civile e di quello penale” (art. 233, comma 2); ciò garantisce che i consiglieri che accedono alle Sezioni Unite abbiano comunque una mirata esperienza professionale in Corte di Cassazione e nel settore di riferimento, civile o penale.

Per la nomina del direttore e del vicedirettore del massimario, la norma fino ad ora vigente (art. 254/2017) non poneva alcun criterio valutativo. Per un più trasparente esercizio della discrezionalità amministrativa sottesa a tale nomina, si è ritenuto, invece, opportuno indicare gli specifici criteri attitudinali da seguire (art. 241), attingendo da quelli, di sicura pertinenza, valorizzati dal primo presidente nel decreto

n. 161 del 26 novembre 2018, oggetto della procedura consiliare n. 2347/FT/2019 e ritenuti condivisibili dal Consiglio con la delibera di approvazione assunta nella seduta del 17 luglio 2019. Tali criteri sono i seguenti: l’esperienza pregressa all’ufficio del massimario, da valutarsi anche qualitativamente soprattutto attraverso l’esame delle relazioni svolte per le Sezioni Unite; la vicinanza temporale di tale esperienza rispetto alla nomina da compiere; l’esperienza di coordinatore dell’ufficio del massimario;

l’appartenenza alle Sezioni Unite; l’esperienza maturata nella presidenza dei collegi;

i titoli scientifici; le esperienze formative. Anche in questo caso si è precisato che, a parità dei suddetti requisiti attitudinali, prevale il magistrato con la maggiore anzianità di ruolo.

Anche per la nomina dei coordinatori dei settori civile e penale del massimario, il vigente art. 255/2017 non pone alcun criterio attitudinale sicché, per le medesime ragioni di cui sopra, si è ritenuto necessario porre i seguenti e pertinenti criteri attitudinali specifici, per lo più mutuati dall’art. 72, comma 10, delle vigenti tabelle della Corte di Cassazione: la capacità e l’esperienza professionale maturate nel settore di riferimento; l’esperienza compiuta al massimario, valutata qualitativamente anche attraverso l’attività di massimazione; le capacità organizzative dimostrate nell’espletamento delle attività dell’ufficio; le capacità relazionali espresse con gli altri magistrati e con la direzione; l’attività scientifica svolta; la disponibilità a fare fronte alle esigenze di lavoro, che ne richiedono l’assidua presenza in ufficio. Pure in tale caso si è precisato che, a parità dei suddetti requisiti attitudinali, prevale il magistrato con la maggiore anzianità di ruolo.

La norma primaria relativa agli assistenti di studio ne prevede il facoltativo impiego tra i magistrati addetti all’ufficio del massimario, nel numero massimo di trenta (art. 115, comma 2, del regio decreto n. 12/1941); è infatti cessata l’efficacia temporale della norma transitoria di cui all’art. 74 del già citato decreto legge n.

69/2013, la quale prevedeva, per un quinquennio, il necessario impiego di metà dei magistrati del massimario come assistenti di studio. Dunque, all’attualità, il primo presidente dovrà indicare le ragioni per cui ritiene di destinare ai compiti di assistente di studio alcuni magistrati addetti all’ufficio del massimario. E’ possibile che l’interpello sia delimitato ai soli magistrati addetti al settore civile del massimario ovvero ai soli magistrati addetti al settore penale del massimario, ma ciò può accadere soltanto “in presenza di specifiche esigenze organizzative”, di cui il primo presidente deve espressamente dare conto nel decreto (art. 246). I criteri attitudinali per la scelta sono stati precisati nel senso di valorizzare la pregressa attività “giurisdizionale” del magistrato e le esperienze “maturate nell’esercizio delle funzioni di legittimità” (le parole riportate tra virgolette sono innovative rispetto al pregresso testo); in caso di parità attitudinale prevale il magistrato con maggiore anzianità di ruolo (art. 247).

I suddetti criteri attitudinali sono stati indicati anche per la selezione dei magistrati del massimario ai fini della loro applicazione per lo svolgimento di funzioni giurisdizionali di legittimità (art. 253). Anche in questo caso, decorsa ai fini della presente circolare l’efficacia temporale dell’art. 1, comma 980, della legge n. 2015 del 27 dicembre 2017, l’impiego dei magistrati del massimario “alle sezioni della Corte

per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità” (art. 115, comma 3, dell’ordinamento giudiziario) non è obbligatorio sicché il primo presidente deve indicare nel decreto che avvia la procedura selettiva le seguenti circostanze: le ragioni poste a fondamento della scelta; le priorità dell’ufficio della Corte di Cassazione ed i motivi per cui i magistrati debbono essere destinati a questa o quella sezione; i motivi per cui essi debbano essere eventualmente tratti soltanto dal settore civile o soltanto dal settore penale del massimario.