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La conferma del successo raggiunto da Jacopino del Conte: la Predica del Battista (1538)

IL CONSOLIDARSI DEI RAPPORTI CON IL CONTESTO ARTISTICO ROMANO JACOPINO DEL CONTE NELL’ORATORIO DI SAN GIOVANNI DECOLLATO:

3.7. La conferma del successo raggiunto da Jacopino del Conte: la Predica del Battista (1538)

Dopo il primo riquadro eseguito all’inizio della parete destra, Jacopino tornò a lavorare per l’Oratorio, licenziando nello stesso 1538 la scena con la Predica del Battista (Fig. 78). Il fatto che la Confraternita decidesse di rivolgersi nuovamente a Jacopino rappresenta senz’altro un indicatore del successo e del gradimento ottenuto dal pittore con l’Annuncio.

132 L’episodio, come è noto, trova una sua descrizione visiva in un dipinto di Battista Franco, Il trionfo di Montemurlo, conservato presso la Galleria Palatina di Firenze: a sinistra dell’opera, infatti, è raffigurato Baccio

Valori mentre viene catturato dai soldati di Cosimo. Biferali-Firpo 2007, con bibliografia precedente.

133 Jean Weisz (1984, p. 63), preceduta da Partridge (1978, p. 172), ha interpretato la figura di Apollo come un

possibile riferimento alla figura di Cristo.

134 Zeri 1948, pp. 180-183.

135 Cheney 1954, p. 36, n. 2; Ead. 1970, p. 39. Come è noto, per diverso tempo nell’effigiato si tendeva a

riconoscere il volto di Michelangelo. Si veda Steinmann 1908; Id. 1913, p. 23. La proposta di Steinmann è stata di recente ripresa da Pina Ragionieri, in Ragionieri 2003, p. 22, cat. 3. Quanto all’ipotesi avanzata da Donati (2010, p. 150) circa la possibilità di riconoscere nell’effigiato il datario pontificio Baldassarre Turini da Pescia si dirà a proposito del ritratto di Cambridge.

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Da un punto di vista stilistico la Predica rivela una difformità notevole con la prima prova eseguita all’Oratorio: allo stile lineare, calibratissimo del primo affresco si sostituisce l’opulenza curvilinea ed ornamentale del secondo. La presenza di un disegno preparatorio, inizialmente attribuito a Jacopino del Conte da Popp ma restituito a Perino del Vaga da Pouncey136, paternità ormai concordemente accettata, consente di giustificare il divario137 (Fig. 79).

Poiché non esiste alcun riferimento documentario ad un coinvolgimento del Bonaccorsi nel cantiere dell’Oratorio, Michael Hirst ipotizzò che il foglio fosse stato in un primo tempo pensato da Perino per la cappella di San Giorgio e San Giovanni Battista nel Duomo di Pisa; a seguito del suo rientro a Roma nel 1537, il Bonaccorsi avrebbe poi consegnato il disegno al giovane Jacopino138. Che il foglio di Perino con la Predica del Battista fosse stato ideato per Pisa può trovare conferma non solo dal soggetto rappresentato (la decorazione commessa al Bonaccorsi, difatti, era incentrata su storie di san Giorgio e san Giovanni Battista), ma anche dall’analisi di un secondo foglio perinesco conservato anch’esso presso Albertina di Vienna (Fig. 80). Il disegno è noto soprattutto in relazione alla presenza in primo piano (molto significativamente) di uno schizzo tratto dalla Battaglia di Cascina di Michelangelo. Nondimeno, sullo sfondo del campo visivo, già Arthur Popham riconosceva una prima idea per l’impaginato della parete della cappella nel Duomo di Pisa139. Entro una ricca struttura architettonica, opera di Stagio da Pietrasanta, è possibile riconoscere all’interno di segmenti quadrangolari la storia di San Giorgio e il drago140 e quella del Battesimo di Cristo. Il soggetto della decorazione e il formato piuttosto quadrangolare delle scene a fresco previste nei riquadri della campitura architettonica potrebbero fornire una conferma alla supposizione di Hirst.

L’impatto del nostro con l’insegnamento del Vaga – ovvero con la sua peculiare parafrasi del raffaellismo in termini sottilmente aggraziati, decorativi ed ornamentali (cioè pienamente manieristici) da leggersi in parallelo con il suo interesse ad aggiornarsi su Michelangelo – fu

136 Citato da Gere 1960, p. 13, n. 16.

137 Vienna, Albertina, inv. n. 23751, penna e inchiostro su carta bianca, 21,7 x 23 cm. Popp 1927; Gere 1960, p.

13, n. 16; Davidson 1966, p. 39, n. 35; Hirst 1966, p. 402. Si veda Parma Armani 2001, p. 177, cat. n. 70 (con bibliografia precedente). L’ipotesi di Vannugli, il quale, come si è detto, ha proposto di posticipare al 1538 anche la redazione dell’Annuncio (2013, p. 121), qui accolta e confermata da ultimo dai ritrovamenti documentari di Elisabetta Valente (di prossima pubblicazione), induce a motivare la notevole differenza stilistica evidente nella

Predica proprio con la presenza di un disegno di Perino.

138 Hirst 1966, p. 402. A proposito della mancata conclusione dei lavori nel Duomo di Pisa (dove Perino era

giunto nel 1534), e a conferma di quanto il lavoro fosse stato già avviato almeno per ciò che concerne l’esecuzione di disegni preparatori, Giorgio Vasari racconta: “Dolse veramente quest’opera a Perino avendo già fatti

i disegni che erano per riuscire cosa degna di lui”. Vasari 1568, vol. V, p. 146 (il corsivo è mio).

139 Vienna, Albertina, inv. n. 122. Popham 1945, p. 89. Si veda Parma in Parma Armani 2001, pp. 174-176, cat.

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140 Vasari conferma la scelta del soggetto: “Venne in questo tempo in Pisa, tornando da Genova, Perino (…) fu

condotto allo Operaio; e discorso insieme de le cose dell’Opera del Duomo, fu ricerco che a un primo ornamento, dentro alla porta ordinaria, e sopra quella una storia, quando San Giorgio ammazzando il serpente libera la figliuola di quel re”. Vasari 1568, vol. V, p. 144.

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causa di un repentino mutamento stilistico da parte di Jacopino. Tuttavia, egli non riuscì ad assimilare pienamente l’arte del Bonaccorsi, il che è dimostrato dalla distanza tra l’idea perinesca e la sua traduzione in affresco; mentre il foglio, infatti, colpisce per la raffinata gestione dello spazio, per la composizione animata e allo stesso tempo equilibrata dei vari piani nei quali si dispiega il racconto, per la capacità di suggerire allo spettatore la successione della storia mediante una cadenzata concatenazione dei gesti dei vari personaggi, ideati come “figure addensate a conca per formare un vivente piedistallo al Battista”141, l’affresco di Jacopino si presenta come un intarsio affollato, composto paratatticamente, in cui l’episodio biblico è affiancato da numerosi particolari che, in parte, distolgono l’attenzione: secondo Giuliano Briganti, “in uno spazio gremito fino all’inverosimile e in una sorta di vuoto atmosferico dove le figure si incastrano come in una tarsia, i palesi richiami ai motivi della volta Sistina si cristallizzano nell’aria immobile e si arricchiscono di infiniti orpelli e di particolari decorativi trasfigurati dalla lente dell’impegno più straordinario che sia dato riscontrare in un affresco”142.

Nella messa a punto di questo nuovo stile ornamentale, ebbe senz’altro un ruolo non trascurabile la contiguità “fisica” con Francesco Salviati, che nello stesso momento lavorava accanto a Jacopino, probabilmente sugli stessi ponteggi, alla sua Visitazione, opera che manifesta altrettanto chiaramente, e come vedremo per ragioni ben precise, il segno di una elevatissima tangenza formale con Perino. Del resto, l’opera licenziata da Cecchino ottenne immediato successo, tanto che, secondo le parole di Vasari,

“ella è fra le più graziose e meglio intese pitture che Francesco facesse mai, da essere annoverata nell’invenzione, nel componimento della storia e nell’osservanza et ordine del diminuire le figure con regola, nella prospettiva et architettura de’ casamenti, negl’ignudi, ne’ vestiti, nella grazia delle teste, et insomma in tutte le parti: onde non è maraviglia se tutta Roma ne restò ammirata”143.

Nell’affresco di Jacopino, l’imponente figura del Battista offre l’unico ricordo di Andrea del Sarto e della medesima figura ideata per lo Scalzo, benché questa consonanza debba intendersi più che altro come risultato di un’esigenza iconografica e narrativa. Un altro riferimento

141 Venturi 1933, p. 230.

142 Briganti 1985, p. 49. Vale la pena di leggere una volta di più anche le parole di Bernice Davidson a commento

del foglio dell’Albertina, esposto alla mostra sui disegni di Perino del 1966: “Il disegno di Perino si basa su un’asimmetria sottilmente bilanciata. All’asse diagonale dominante (…) si contrappone una diagonale incrociata subordinata, una forte spinta verso il piano di superficie (attraverso le figure che fanno da quinte sul primo piano) e un’abile distribuzione delle masse. Questa tensione leggermente bilanciata tra gli elementi di massa, di spazio, di movimento, e della superficie compositiva, dà luogo a una composizione di grande complessità e animazione, gran parte della quale si disperde nella pittura dura, piatta, simmetrica di Jacopino”. Davidson 1966, p. 40.

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importante per l’ideazione del protagonista del racconto potrebbe essere un foglio conservato presso la Biblioteca Reale di Torino tradizionalmente attribuito a Baccio Bandinelli, a testimonianza di quanto, ancora in questi anni, lo scultore fiorentino debba essere considerato un modello per Jacopino144 (Fig. 81).

La scena è dedicata al momento in cui il Battista predica alle folle, ammaliate dalla veemenza delle sue parole oltre che dal suo aspetto, reso insolito dalla vita eremitica nel deserto. Una moltitudine di figure attornia Giovanni, accalcandosi e stagliandosi l’una sull’altra, “nella tensione lineare dei contorni, schiacciandosi allo stesso tempo contro la superficie quasi fossero silhouettes di metallo lavorato a sbalzo”145. Alle due giovani “di memoria botticelliana o filippinesca”146 che discendono dalla collina sul fondo, si affiancano alcuni personaggi che mostrano una consonanza formale con i profeti della Sistina, come le figure degli scrivani. Del resto, quanto la figura dello scrivano a destra della scena (presente anche nel disegno dell’Albertina) evidenzi emblematicamente il segno dell’interesse coltivato da Perino nei confronti del Buonarroti è dimostrato da un confronto che è possibile stabilire tra questa e le medesime figure imponenti che di lì a poco impersoneranno gli Evangelisti nella cappella del Crocifisso in San Marcello (Figg. 98; 99)147. Del resto, qualora si accetti l’ipotesi di riconoscervi Perino del Vaga, si consideri la notizia, di cui si dirà, di un “Piero Buonaccorsi” documentato nel cantiere della Sacrestia Medicea a Firenze nel 1526: tale informazione potrebbe consentire di riconoscere nel contesto laurenziano un ulteriore ed immediato momento di aggiornamento per il Bonaccorsi. Infine, un altro debito michelangiolesco, con riferimento ai disegni e agli studi di teste ideali, si palesa nei due volti di donna rappresentati di profilo tra la folla.

Da Raffaello e dalla sua scuola, invece, e in particolare da quell’inesauribile serbatoio di invenzioni che fu la stanza di Costantino, Jacopino (con la mediazione di Perino) sembra aver tratto spunto non solo per l’idea del bambino in primo piano intento a giocare con un cagnolino, presente nella Donazione di Costantino, ma anche per il particolare dello sfondo di paesaggio, che ripropone letteralmente un brano tratto dalla Battaglia di Costantino: l’edificio all’antica, a pianta centrale, sembra essere il medesimo. Quanto alle summenzionate figure di canefore rappresentate da Jacopino in alto a sinistra dell’affresco, sembra piuttosto calzante un confronto tra queste invenzioni e la figura di canefora inclusa da Salviati a sinistra della

144 Torino, Biblioteca Reale, inv. n. 15646. Goguel in Sciolla 1991, pp. 76-77. 145 Vannugli 1991, p. 77.

146 Zeri 1951, p. 140. Peraltro, l’idea di inserire le due canefore si deve a Jacopino: nel disegno di Vienna, infatti,

non è possibile distinguere una presenza analoga. Come proposto dalla Weisz, le due donne, intente a trasportare contenitori per l’acqua e per il vino, potrebbero suggerire un altro riferimento al Battesimo di Cristo e all’Eucarestia. Weisz 1984, p. 82.

147 Si rammenti anche la prossimità di Jacopino del Conte alla chiesa di San Marcello, cui apparteneva e difronte

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Visitazione (Fig. 105). Come si dirà più nello specifico nel prosieguo del testo, entrambe le invenzioni potrebbero risalire ad un prototipo perinesco: a tal proposito, si veda per confronto un foglio del Bonaccorsi conservato presso il Palais des Beaux-Arts di Lille (Figg. 115; 116)148.

In conclusione, sembra utile aggiungere un commento a margine su alcuni dettagli dell’affresco.

Come si è detto, diversi riquadri dell’intero ciclo decorativo del Decollato includono ritratti di contemporanei: nell’Annuncio fa capolino il volto di un uomo a sinistra della scena, lo stesso effigiato nel già citato dipinto del Fitzwilliam Museum di Cambridge; Salviati, nella Visitazione, raffigurò i committenti nell’atto di assistere all’incontro tra le due madri, così come accade nella Danza di Salomè di Pirro Ligorio. Infine, nella Deposizione di Cristo dalla croce, Jacopino del Conte inserì il ritratto di Antonio da Sangallo il giovane, a memoria di un confratello, morto da pochi anni (1546), che aveva avuto un ruolo importante all’interno della Compagnia149. Per molti di questi ritratti non è stata ancora proposta un’identità convincente. Nel caso dei tre confratelli ritratti alla base della scena con la Danza di Salomè, particolare per il quale è stato speso anche il nome di Jacopino del Conte (Fig. 82)150, si propone in questa sede di riconoscere nel volto colto di profilo a sinistra il canonico fiorentino Francesco da Castiglione sulla base di un confronto con uno dei numerosissimi personaggi ritratti da Giorgio Vasari nell’affresco dell’appartamento di Leone X in Palazzo Vecchio rappresentante L’ingresso di Leone X a Firenze (Fig. 85), come lo stesso aretino racconta nei suoi Ragionamenti:

“Ma dite, chi è quel prete, vecchio, magro, raso, che fa l’uffizio di suddiacono con quella toga rossa, portando la croce del papa?”, “Quello è M. Francesco da Castiglione, canonico fiorentino, il quale ha accanto a sé, e sopra, tutti i segretari del papa”151.

148 Cordellier 2005, pp. 88-91, cat. n. 52.

149 È stato possibile identificare il volto dell’effigiato sulla scorta di un confronto con un ritratto conservato a

Brera (in Deposito presso la Camera dei Deputati) attribuito a Jacopino del Conte.

150 Donati 2010, p. 134. A proposito dei ritratti posti alla base della Danza di Salomè, si rammenti che dell’affresco

di Pirro Ligorio (Fig. 82) si conserva presso il British Museum di Londra il disegno preparatorio (Fig. 83), (inv. n. 1964-3-31-1; 27,2 x 43,8 cm; Pouncey-Gere 1983, n. 193). La scena affrescata presenta molteplici varianti rispetto al progetto grafico: la gestione compositiva dello spazio e delle figure, infatti, sembra molto più equilibrata nel foglio che nell’affresco, che in effetti presenta soluzioni non sempre felici. Ad esempio, la figura di canefora all’estrema sinistra non presenta quella sproporzione che ha nell’affresco; nel disegno non sono rappresentate le figure in primo piano a destra assise sulla scalinata, il che conferiva alla scena maggiore respiro. Ma soprattutto nel foglio del British Museum mancano i ritratti dei confratelli in primo piano. Questi sembrano in effetti avere una certa autonomia rispetto all’affresco soprastante. Al fine di comprendere meglio le fasi lavorative relative a questo segmento di parete, si attendono i risultati del restauro che sta interessando questo lotto di decorazione.

151 Vasari, I ragionamenti, in Vasari-Milanesi 1978-1982, vol. VIII, p. 142. Andrea Donati (2010, p. 134) propone di

riconoscere in uno dei tre confratelli il volto di Bartolomeo Cappelli, membro della Confraternita, notaio del consolato fiorentino dal 1531 al 1562, noto agli studi per aver annullato il contratto tra Michelangelo e il Duca di Urbino a proposito della tomba di Giulio. L’interessante proposta, tuttavia, purtroppo non può essere supportata

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Anche relativamente ai numerosi volti inclusi nella scena con la Predica del Battista si avanzano in questa sede delle inedite proposte identificative.

L’artista, volendo dar credito alle parole di Vasari, era stato

“infin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale”152:

conferma di tale predisposizione proviene ancora una volta proprio dal particolare in esame, posto a sinistra dell’affresco (Fig. 86).

Il dettaglio, del resto, è del tutto assente nel foglio preparatorio di Perino del Vaga, il che, se da una parte attribuisce a Jacopino la paternità dell’idea, dall’altra potrebbe avvalorare l’ipotesi di Hirst secondo il quale il disegno perinesco sarebbe stato pensato in primo luogo per il Duomo di Pisa e soltanto in seguito consegnato al del Conte153.

In questa sede, si propone di dare un nome al giovane uomo in questione. Avanzando un confronto con un dettaglio della Pietà già in Santa Chiara al Quirinale (Fig. 87) – in cui, secondo le parole del Baglione,

“è un ritratto [di Jacopino] in età cadente” –

con un dipinto che ritrae Jacopino conservato presso l’Accademia di San Luca a Roma (Fig. 88) ed infine con un raro disegno con l’autoritratto la cui attribuzione al nostro non ha incontrato ostacoli (Fig. 89), si può ipotizzare con un buon margine di sicurezza che l’effigiato sia proprio Jacopino del Conte154. Il volto affrescato, infatti, si distingue per alcune caratteristiche fisionomiche ricorrenti anche negli altri ritratti, come ad esempio il particolare disegno dell’arcata sopraccigliare, il colore chiaro degli occhi, il naso rotondo, il labbro inferiore carnoso e sporgente. Peraltro, il fatto che già nel 1538, a pochissimo tempo dal suo esordio romano, egli abbia inserito il proprio autoritratto in un luogo pubblico così importante

da alcun riscontro iconografico. Sulle notizie a proposito di Cappelli e della sua vicinanza all’Oratorio si veda Weisz 1984, pp. 8-9.

152 “Costui dunque, essendo stato infin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale, ha voluto che

questa sia stata sua principale professione”. Vasari 1568, vol. VI, p. 222.

153 Hirst 1966, p. 402.

154 Per il ritratto dell’Accademia di San Luca (olio su tela, 65,5 x 49,5 cm) si veda Incisa della Rocchetta 1979, p.

33, n. 60. Secondo Cesare D’Onofrio (1991, p. 96) si tratterebbe di un autoritratto. Di diversa opinione è Vannugli (1998, p. 601), il quale respinge l’attribuzione. Tradizionalmente il piccolo dipinto, donato insieme ad altri all’Accademia di San Luca da Ottavio Leoni, è considerato opera di autore ignoto del primo seicento. Sulla raccolta dei ritratti degli accademici si veda anche Susinno 1974, pp. 203-270.

Il disegno dell’Albertina (inv. n. 502, carboncino e penna su carta, 16,3 x 13 cm) proviene dalla collezione di Vasari e successivamente del Mariette. Sul recto reca la scritta “vivait sous Paoul 3 vers 1540”. Cheney 1970, p. 39 n. 51; Birke-Kertész 1992, I, p. 281.

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palesa la consapevolezza del successo già in parte raggiunto. Inoltre, la scelta di includere se stesso all’interno della “storia depicta”, nel consesso di persone accorse al cospetto del Battista, si inserisce perfettamente nell’alveo di una tradizione più che consolidata: “L’artista, mostrandosi a fianco degli interpreti della vicenda sacra, riveste nello stesso tempo il ruolo di firmatario dell’opera e di testimone della storia che illustra, ruolo ambiguo, al contempo modesto e orgoglioso, ma che è in ogni modo, per l’artista, una maniera di affermarsi in pubblico davanti ai suoi compatrioti e ai suoi contemporanei, che lo conoscono e lo riconoscono”155.

Anche per il bel volto d’uomo che sovrasta l’autoritratto di Jacopino del Conte si avanza in questa sede una proposta identificativa mai prospettata finora (Fig. 90). In ragione di un confronto con il ritratto inserito nelle Vite di Vasari di Perino del Vaga (Fig. 91), si propone di riconoscere nell’uomo effigiato nella Predica proprio il volto del Bonaccorsi. Colpisce una certa generale somiglianza, specialmente per quel che concerne la conformazione del naso, in entrambi i casi sottile e piuttosto allungato. Ma a conferma di tale congettura, si consideri soprattutto il ritratto di Perino, molto di rado riprodotto, facente parte della serie di ritratti degli accademici di San Luca di Roma (Fig. 92)156. Quest’ultimo, ancorché fortemente sciupato e deturpato da vistosi rifacimenti antichi che ne hanno compromesso la leggibilità (soprattutto nella zona del naso)157, mostra delle consonanze piuttosto vistose con il volto inserito da Jacopino nella Predica, ad esempio relativamente al colore dei capelli e della barba e alla descrizione di una leggera stempiatura. Inoltre, colpisce anche la posizione dell’effigiato, leggermente voltato di tre quarti sia nell’affresco che nel ritratto, il che solletica l’ipotesi che il dipinto dell’Accademia sia stato desunto dal medesimo prototipo.

Tale proposta identificativa, mai avanzata dalla critica, sembra di un certo interesse, anzitutto in relazione al ruolo rilevantissimo che il Bonaccorsi ebbe nei confronti della più giovane generazione di artisti, per i quali venne a qualificarsi come un punto di riferimento cui fare costantemente appello, ma anche rispetto agli intricati meccanismi di funzionamento del cantiere stesso del Decollato, all’interno del quale Perino del Vaga in un primo tempo fu probabilmente coinvolto dalla committenza nel ruolo di supervisore e di “fornitore” di disegni, messi poi in opera dai più giovani artisti direttamente impegnati come frescanti, per i quali il Bonaccorsi a queste date si qualifica come un punto di riferimento ineludibile.

155 Pommier 2007, p. 7.

156 Accademia di San Luca di Roma, inv. n. 748 (olio su tela, 72 x 54 cm). Si veda Incisa Della Rocchetta 1979, p.

29, cat. n. 31.

157 Del resto, la maggior parte dei ritratti più antichi della cospicua raccolta dell’Accademia di San Luca ha subito

pesanti ed estese ridipinture, talvolta anche decurtazioni, probabilmente eseguite sul limitare del XVII secolo per esigenze di uniformità decorativa. Susinno 1974, p. 206.

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Esattamente come Salviati, che inserì i ritratti dei committenti della Visitazione, o come lo stesso Jacopino, che omaggiò Antonio da Sangallo nella Deposizione, anche in questo caso, giusta l’ipotesi identificativa che qui si propone, si tratterebbe di un omaggio che il giovane pittore fiorentino rese pubblicamente a colui il quale aveva avuto un ruolo decisivo nella regia del cantiere e, nel caso specifico, nella definizione compositiva della scena messa poi in opera