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LA FORTUNA E IL CONSENSO NEL CONTESTO ROMANO TRA GLI ANNI ’40 E GLI ANNI ’50 DEL CINQUECENTO

4.1 “Essendo stato infin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale, ha voluto che questa sia stata sua principale professione”.

I ritratti: indagine sulla committenza

Nell’edizione giuntina delle Vite, accanto ad alcune sporadiche citazioni degli affreschi dell’Oratorio di San Giovanni Decollato, Giorgio Vasari inserì un breve commento relativo alla vicenda biografica e professionale di Jacopino del Conte, all’interno di un paragrafo titolato “Di diversi artefici italiani e fiamminghi”. Il biografo aretino, nello specifico, focalizzò la propria attenzione sull’impegno di ritrattista del nostro:

“Costui dunque, essendo stato infin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale, ha voluto che questa sia stata sua principale professione, ancora che abbia, secondo l’occasioni, fatto tavole e lavori in fresco pure assai in Roma e fuori. Ma de’ ritratti, per non dire di tutti, che sarebbe lunghissima storia, dirò solamente che egli ha ritratto, da papa Paulo Terzo in qua, tutti i pontefici che sono stati, et tutti i signori et ambasciatori di importanza che sono stati a quella corte; e similmente capitani d’eserciti e grand’uomini di casa Colonna e degli Orsini, il signor Piero Strozzi, et una infinità di vescovi, cardinali et altri gran prelati e signori, senza molti letterati et altri galantuomini, che gli hanno fatto acquistare nome, onore et utile; onde si sta in quella città con sua famiglia molto agiata et onoratamente. Costui, da giovanetto, disegnava tanto bene che diede speranza, se avesse seguitato, di farsi eccellentissimo: e saria stato veramente, ma, come ho detto, si voltò a quello a che si sentiva da natura inclinato. Nondimeno non si possono le cose sue se non lodare. (…) Ha fatto per Roma molti quadri e figure in varie maniere, e fatto assai ritratti interi, vestiti e nudi, d’uomini e di donne, che sono stati bellissimi, però che così erano naturali. Ha ritratto anco, secondo l’occasioni, molte teste di signore, gentildonne e principesse che sono state a Roma; e fra l’altre so che già ritrasse la signora Livia Colonna, nobilissima donna per chiarezza di sangue, virtù e bellezza incomparabile. E questo basti di Iacopo del Conte, il quale vive e va continuamente operando”1.

Le parole di Vasari, replicate con alcune varianti anche da Giovanni Baglione2 e dalla letteratura artistica seguente3, se da una parte forniscono una conferma della copiosa attività

1 Vasari 1568, vol. VI, p. 222.

2 “Gran fortuna di un virtuoso, affrontarsi ne’ tempi, che le sue fatiche sieno da Principi nobilmente rimunerate.

Ciò in vero adivenne a Giacopo del Conte Fiorentino, il quale giunse a Roma, teatro di virtù sotto Paolo III, padre di magnificenze, e diedesi a far de’ ritratti, li quali assai bene egli conduceva, e ritrasse il gran Pontefice Paolo, e tutti gli altri papi del suo tempo; e ne acquistò tal nome, e grido, che fece ritratti anche per tutti i cardinali e principi romani, ed ambasciatori, e tutta la nobiltà di questa mia Patria e Madre commune dei virtuosi;

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ritrattistica del nostro, dall’altra hanno incoraggiato e sostenuto le ricerche di certa parte della letteratura specialistica, da sempre impegnata nel dirimere l’intricata matassa attributiva relativa ai numerosissimi ritratti ancora in cerca d’autore; tale indirizzo di ricerca, di fatto, ha favorito un incremento disorganico del corpus di Jacopino per ciò che concerne il genere in esame, divenuto nel tempo un contenitore di opere molto diverse tra loro4.

come altresì ritrasse le Principesse, e Signore, e Dame Romane, e tra le altre fabbricò il famoso ritratto della Signora Livia Colonna, il quale diedegli gran nome e utile assai”. Baglione 1642, p. 75.

3 Orlandi 1753, p. 322; Lanzi 1809, p. 203.

4 A dimostrazione di questo incremento, si veda di seguito un elenco molto sommario dei numerosissimi ritratti

riferiti a Jacopino dalla letteratura critica. Tale elenco, naturalmente, non ha alcuna pretesa di completezza ma intende solamente documentare quanto il nome dell’artista sia stato sovente utilizzato per fornire un’identità a dipinti altrimenti di difficile collocazione. A questi ritratti (di cui non si cita in questa sede la successiva storia attributiva) dovranno aggiungersi quelli discussi e citati nel proseguio del testo: Ritratto d’uomo, già collezione Goldschmidt di Francoforte (Venturi 1933, p. 221); Ritratto di uomo della famiglia Scarlatti, Firenze, Galleria Palatina, inv. n. 238 (Giglioli 1926, pp. 64-67); Ritratto d’uomo, Fort Worth (Texas), Fort Worth Art Center, inv. n. 1936.2.G.P. (Giglioli 1936, pp. 191-194); Ritratto di Onofrio Bartoloni, Firenze, Galleria Palatina, inv. n. 36 (Venturi 1933, p. 221); Ritratto di Bindo Altoviti, Berlino, Bodemuseum, inv. 234 (Cheney 1982, p. 20); Ritratto di Bandinelli, Boston, Museo Gardner, (Zeri 1948, p. 180, poi respinto in Zeri 1978, p. 119); Ritratto di donna, già Firenze, collezione Contini-Bonacossi (Costamagna-Fabre 1991, p. 24); Ritratto virile, già Firenze, collezione privata (Cheney 1963, p. 484); Ritratto virile, Firenze, Museo Horne, inv. 38 (Cheney 1970, p. 39, n. 51); Ritratto di vecchio, già Firenze, Sotheby’s 9 ottobre 1971, lotto 76; Ritratto virile, già Londra, Sotheby’s, 28 ottobre 1970, lotto 117;

Ritratto di donna, già Londra, Christie’s, 16 dicembre 1988, lotto 36; Ritratto d’uomo, già Londra, Christie’s, 7 luglio

1989, lotto 89; Ritratto di religioso con libro, già Roma, Christie’s, 19 novembre 1990, lotto 176; Ritratto di Giulia

Gonzaga, Monaco, Ministero delle Finanze (Lucco); Ritratto di gentildonna, Firenze, Galleria Palatina, inv. n. 351

(Zeri); Ritratto d’uomo, Magonza, già collezione Michel (Voss 1920, ed. 1994, p. 106); Ritratto d’uomo, Roma, Galleria Borghese, inv. 86 (Quintavalle 1948, p. 204); Ritratto d’uomo, Roma, Galleria Pallavicini (Zeri 1959, pp. 240-241, fig. 449); Ritratto di Giannettino Doria, Roma, Galleria Doria-Pamphilj (Bellosi 1980, p. 40); Ritratto di San

Bonaventura, Firenze, Gallerie dell’Accademia (Venturi 1933, p. 224); Ritratto di un Cavaliere di Malta, New York,

Metropolitan Museum, inv. n. 41.100.5 (Salinger 1944, pp. 164-165); Ritratto di Andrea Fausti, Parigi, Musée du Louvre, inv. n. 1516A (Freedberg 1963, II, p. 230); Ritratto di cardinale, già Londra, Sotheby’s, 12 giugno 1968, lotto 74 (Scheda Foto Zeri 15703); Ritratto di cardinale, già Milano, Ufficio esportazioni, segnalato nell’agosto 1952 (Scheda Foto Zeri 31456); Ritratto femminile, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte (Arcangeli; Scheda Foto Zeri 36592); Ritratto di cardinale, già Firenze, Galleria Frascione (Scheda Foto Zeri 15706); cosiddetto Ritratto del

cardinale Carlo Borromeo, già Philadelphia Museum of Art, collezione Wilstach (Scheda Foto Zeri 15707; sulla

corretta identificazione dell’effigiato come Marco Sittico Altemps si veda Vannugli 2012, pp. 25-43); Ritratto di

Marco Antonio Goretti Miniati, già Villa “Il Tordo”, Porchiano del Monte, Teramo (Fototeca della Fondazione

Longhi); Ritratto di San Carlo Borromeo, già Galleria Nazionale d’Arte Antica (Vannugli 1992, p. 116, n. 47, Scheda Foto Zeri 29165); Ritratto maschile, ubicazione sconosciuta (Scheda Foto Zeri 15688); Ritratto di giovane uomo, ubicazione sconosciuta (Scheda Foto Zeri 15689); Ritratto di giovane uomo, collezione privata (Cheney 1982, pp. 17- 20; già Alana collection 2013, pp. 77-81, n. 10. Si ringrazia Andrea Zezza); alcuni piccoli Ritratti d’uomo, Madrid, Museo Cerralbo (Vannugli 1998, p. 602); Ritratto d’uomo, Napoli, Museo di Capodimonte, inv. n. C1031 (Vannugli 1998, p. 602); Ritratto di Niccolò Capponi, Princeton, The Art Gallery University, inv. 35.59 (Vannugli in Natoli- Petrucci 2003, p. 112); Ritratto di Marcantonio Colonna, Roma, Galleria Colonna, inv. 146 (Vannugli 1992, pp. 115- 116, cat. n. 44); Ritratto di donna (Settimia Jacobacci?), Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte (Leone de Castris in Spinosa 1995, II, pp. 96-97); copia del Ritratto di Leone X di Raffaello, Milano, Galleria Baratti (Petrucci 2005, pp. 60-61, n. 4); Ritratto d’uomo, palazzo Bianco di Genova, inv. PB 897 (Donati 2012, p. 54, p. 56, fig. 17).

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Non è un caso se alcuni dei più antichi contributi sul pittore, prima ancora delle puntuali ed ampie ricognizioni avviate e portate avanti da Federico Zeri, fossero principalmente incentrati su proposte attributive relative a ritratti5.

Come si è detto, la questione è spinosa, tanto più relativamente ad un artista come il del Conte, il cui profilo appare difficilmente delineabile a causa di uno sviluppo stilistico rapidissimo e ancora per certi aspetti incerto. Sovente, infatti, alcune attribuzioni sembrano delle vere e proprie forzature, essendo basate esclusivamente sulla scorta delle generiche osservazioni di Vasari summenzionate. D'altra parte, come nel caso di tutti i generi frequentati dal nostro, l’insufficienza di ritratti certamente assegnabili a Jacopino rende impervia la strada da percorrere nel tentativo di riconoscerne univocamente lo stile.

Sembra utile, pertanto, vagliare il problema secondo una duplice prospettiva. In primo luogo, come di norma, le opere discusse dovranno essere analizzate per il tramite di un setaccio a maglie molto strette, prospettando un confronto serrato e costante sullo sfondo dei lavori certi. In questo contesto, l’Oratorio di San Giovanni Decollato rappresenta ancora una volta un termine di paragone ineludibile cui fare appello, tanto più utile considerando la frequente inclusione di ritratti di contemporanei negli affreschi. In secondo luogo, si intende recuperare il profilo di Jacopino ritrattista prendendo di volta in volta in esame le fonti e i documenti relativi a questa sua attività e ai personaggi che si fecero effigiare da lui. Ne deriva, come vedremo, un panorama inaspettatamente coerente: i committenti dei ritratti di Jacopino appartengono per lo più a un medesimo contesto, entro il quale va riconsiderato l’emergere dell’artista nella città pontificia e più in generale il suo ruolo nello svolgimento delle vicende artistiche del Cinquecento.

Ad una lettura meno affrettata del passo vasariano sulla ritrattistica di Jacopino è possibile far seguire alcune riflessioni, in primo luogo sulle istanze storiografiche e le convinzioni teoriche dell’aretino, che certamente informarono l’impostazione di questa breve biografia. Tra le righe, infatti, è possibile scorgere il segno di una malcelata critica nei confronti delle scelte professionali del nostro. La preferenza accordata da Jacopino ad un genere notoriamente redditizio, (egli conquistò “nome, onore et utile”, dice Vasari), ma altrettanto “facile”, vista la non necessaria applicazione in termini di studio, esercizio e soprattutto sperimentazione, non poteva che suscitare disapprovazione da parte del biografo. Secondo il punto di vista dell’aretino, infatti, la ritrattistica distolse per forza di cose Jacopino dall’imprescindibile esercizio del disegno, conducendolo verso una pratica dell’imitazione del naturale che, per

5 Giglioli Hillyer 1926, pp. 64-67; Panofsky 1927, pp. 43-51; Venturi 1932, pp. 332-337; Giglioli Hillyer 1936, pp.

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quanto limitata al genere, di fatto non poteva non costituire un limite alle istanze dell’accademico Vasari, il quale fu dunque spinto a non lesinare, ancorché sottilmente, parole di rimprovero.

Nondimeno, se da una parte il biografo critica le scelte di Jacopino, dall’altra lascia comunque affiorare chiaramente il ruolo centrale cui egli dovette assurgere, lavorando per i vertici della corte romana e fiorentina.

L’immagine tracciata da Vasari trova conferma nel fatto che, dopo aver eseguito nel 1541 la scena con il Battesimo di Cristo nell’Oratorio di San Giovanni Decollato, Jacopino del Conte è nuovamente documentato in una impresa pubblica soltanto nel 1547, allorché ereditò la commissione per la decorazione della cappella Dupré in San Luigi dei Francesi; parallelamente, le fonti relative al suo impegno di ritrattista si datano in prevalenza proprio alla metà degli anni quaranta, così come per la maggior parte dei ritratti di cui si discuterà si propone su basi stilistiche o per ragioni legate al percorso biografico degli effigiati una datazione compresa tra il 1541 e il 1548. Infine, dai primi anni cinquanta – ad esclusione della Maddalena per San Giovanni in Laterano e delle opere già in Santa Chiara al Quirinale – non esistono altre attestazioni pubbliche del suo lavoro; tuttavia, ancora nel 1568, andava “continuamente operando”, come racconta lo stesso Vasari: tale evidenza conferma la sua quasi esclusiva predilezione per la ritrattistica.

Alla luce di quanto detto, pare opportuno anticipare sin da ora una riflessione generale sul ruolo di Jacopino ritrattista nella Roma del Cinquecento. Nel corso delle ricerche, infatti, è emerso nitidamente il profilo di un artista di grande successo, chiamato a lavorare per il vertici della corte pontificia e della società romana, in particolare per un entourage molto coerente sotto il profilo culturale, politico e sociale. Conoscere la cerchia di committenti entro la quale egli venne ben presto a qualificarsi di fatto come ritrattista ufficiale ha aggiunto nuovi elementi all’intelligenza del nostro, prospettiva di certo più ampia della semplice addizione o sottrazione dal suo catalogo di singoli dipinti, considerando soprattutto che questo suo ruolo in tale contesto è sino ad oggi del tutto sfuggito alla individuazione degli studi, nonostante le poche fonti note relativamente all’impegno di ritrattista del nostro indicassero chiaramente i confini di tale contesto.

Giunto a Roma attorno alla metà del quarto decennio del Cinquecento, egli entrò in contatto con la nazione dei fiorentini, secondo un meccanismo invero piuttosto comune, legandosi in un primo momento alla fazione dei fuoriusciti antimedicei, come i cardinali Niccolò Ridolfi e Niccolò Gaddi. Numerose fonti, inoltre, dimostrano la prossimità dell’artista alla famiglia di Paolo III e ad alcuni dei più importanti membri della corte farnesiana.

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Jacopino del Conte fu dunque il ritrattista prediletto da alcune personalità, la maggior parte delle quali a partire dalla seconda metà degli anni trenta fecero parte della Accademia della Virtù e nei decenni seguenti continuarono ad essere accomunati dai medesimi interessi, rivolti all’antiquaria, all’architettura e alle arti figurative6. E’ un contesto in cui Michelangelo ebbe un ruolo dominante, e in cui dunque potrebbe avere avuto una funzione anche come promotore del nostro. L’avvicinamento di Jacopino a questo ambito verosimilmente avvenne sin dal suo ingresso entro il cantiere del Decollato, con cui quella cerchia mostra di avere molte tangenze, a partire dagli interessi per l’architettura.

Le più volte citate parole di Vasari, come anche la frequente menzione di suoi ritratti in documenti e in alcune missive di Paolo Giovio e Annibal Caro, confermano tale appartenenza. È del 1545 una lettera inviata da Giovio a Bernardino Maffei che documenta la presenza di Jacopino a Fermo al seguito del cardinale Niccolò Gaddi. Lo stesso Bernardino Maffei (1514- 1553) verosimilmente svolse un ruolo non secondario nell’impalcatura di relazioni intessute fittamente da Jacopino negli anni quaranta del secolo. Egli, infatti, giunse a Roma proprio all’indomani dell’elezione al soglio pontificio di Paolo III, pontefice cui dovette ogni fortuna. In un primo tempo fu incaricato di svolgere entro la corte pontificia mansioni di segretario speciale e di sovrintendere alla formazione del giovane cardinale Alessandro al fianco del cardinale Marcello Cervini degli Spannocchi (Fig. 163), altro perno centrale per la comprensione dell’ascesa di Jacopino come ritrattista.

Tra le personalità appartenenti al medesimo contesto con le quali l’artista ebbe modo di intrattenere rapporti si rammentino Jacopo Sadoleto, Niccolò Ridolfi, Niccolò Gaddi, Marcello Cervini, Annibal Caro, Paolo Giovio, monsignor Della Casa, Fulvio Orsini, Girolamo Garimberti e Gentile Delfini.

In quanto ritrattista di punta di questa élite, Jacopino sembra aver ereditato il ruolo che al principio degli anni trenta era stato di Sebastiano del Piombo, di cui le fonti indicano a più riprese l’appartenenza a questa cerchia. Diversamente da come suggerito generalmente dagli studi, il del Conte non sarebbe dunque subentrato al Luciani nel ruolo di esecutore di ritratti dopo la sua morte, avvenuta nel 1547 – interpretazione che di fatto ha contribuito a fare di Jacopino una perenne “seconda scelta”, impedendo di comprenderne il reale peso nello sviluppo della produzione artistica cinquecentesca – ma già all’inizio del quinto decennio del secolo, in un momento in cui Sebastiano, ancor vivo, aveva da tempo rallentato il suo

6 Si vedano almeno Pagliara 1986, pp. 5-85; Daly Davis 1994; Günther 2002, pp. 126-128; Ferretti 2004, pp. 456-

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impegno lavorativo e per di più aveva perso l’appoggio di Michelangelo, il quale forse per questa ragione potrebbe aver introdotto Jacopino entro questo ambito7.

Alla luce di questa lettura assumono ben altro peso le riprese del modello stilistico di Sebastiano del Piombo riscontrabili nei ritratti di Jacopino collocabili nel quinto decennio, e più in generale, le caratteristiche stilistiche messe a punto dal nostro nei suoi ritratti trovano una diversa e ben più significativa giustificazione: su un sostrato raffaellesco, interpretato anche attraverso il filtro di Sebastiano, Jacopino riuscì infatti ad innestare i suoi accenti precipuamente fiorentini e aggiornati soprattutto sul modello di Salviati.

In quest’ottica, la notizia riferita da Giovanni Baglione secondo la quale il nostro fu maestro di Scipione Pulzone8 consente finalmente di riconoscere in Jacopino del Conte un tramite fondamentale dell’intero sviluppo stilistico del genere del ritratto nel corso del Cinquecento, dato il suo ruolo di mediatore e di perno attorno al quale far gravitare il passaggio e la trasmissione di un modello stilistico: Jacopino viene finalmente ad occupare il posto che fu precipuamente suo nel passaggio generazionale dai grandi modelli di primo Cinquecento di Raffaello e di Sebastiano alla loro rivisitazione di un secolo successiva nelle opere di Pulzone, qualificandosi come garante di questa continuità e interprete davvero manierista di questa transizione. Alla luce di questa nuova interpretazione del suo ruolo di ritrattista, sia sotto il profilo stilistico che di contesto, i tempi potrebbero essere maturi per rivedere, ancorché cautamente, anche l’attribuzione di alcuni dipinti, come ad esempio il Ritratto del cardinale Reginald Pole dell’Ermitage, tradizionalmente riferito a Sebastiano del Piombo ma proposto da Vittoria Romani, significativamente, a Perino del Vaga9.

Ancor prima di avviare una ricognizione sistematica sulle opere meno discusse riferibili al nostro, non sembra privo di significato aggiungere a latere del commento sul passo vasariano ancora una considerazione su una delle frasi di apertura:

“Costui, dunque, essendo stato infin dalla sua giovanezza molto inclinato a ritrarre di naturale, ha voluto che questa sia stata sua principale professione”10.

7 Vasari 1568, vol. V, pp. 90-102; Hirst 1981a, pp. 108-146. Si rammenti anche quanto detto a proposito del

possibile legame, alla metà degli anni trenta del Cinquecento, tra Leonardo Grazia da Pistoia e Sebastiano del Piombo.

8 “Allievo di Iacopo del Conte Fiorentino fu Scipion Pulzone da Gaeta, e come il suo maestro fu eccellente

pittore, e particularmente in far l’altrui effigie, così egli a’ suoi tempi ritrasse gli altrui aspetti, e non solo passò il Maestro, ma nel suo tempo non hebbe eguale; e si vivi li faceva, e con tal diligenza, che vi si sarieno contatti fin tutti i capelli, e in particolare li drappi, che in quelli ritraheva, parevano del loro originale più veri, e davano mirabil gusto”. Baglione 1642, pp. 52-53.

9 Romani in Ragionieri 2005, pp. 114-117, cat. n. 33. 10 Vasari 1568, vol. VI, p. 222. Il corsivo è mio.

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La notizia, ancorché appena accennata, potrebbe consentire di ancorare ad una fonte coeva ed autorevole come le Vite di Vasari la certezza di un interesse per la ritrattistica coltivato da Jacopino sin dalla giovinezza, con la conseguenza di potergli ascrivere alcuni ritratti fiorentini databili agli anni trenta. Nondimeno, come si è detto, l’insufficienza di opere certe su cui impostare confronti stilistici rende disagevole la strada da percorrere nel tentativo di comporre anche solo per via di ipotesi un primo nucleo di ritratti riferibili alla sua prima attività11. D’altra parte, sono molti gli artisti che in base alle fonti condivisero un percorso formativo per certi versi analogo o prossimo a quello di Jacopino il cui catalogo attende ancora oggi una sistemazione, il che contribuisce a rendere ancora più difficoltoso il riconoscimento e la distinzione delle varie personalità artistiche attive tra Firenze e Roma al principio degli anni trenta12.

Vasari aggiunge anche che Jacopino del Conte

“ha fatto per Roma molti quadri e figure in varie maniere, e fatto assai ritratti interi, vestiti e nudi, d’uomini e di donne, che sono stati bellissimi, però che così erano naturali”.

Mentre, come si dirà più nello specifico, si conoscono alcuni ritratti a figura intera assegnabili a Jacopino, ad oggi mancano nel catalogo del pittore i nudi cui fa riferimento Vasari. La Lucrezia conservata presso la Galleria Borghese di Roma, infatti, è opera di Leonardo Grazia da Pistoia, come dimostrano non solo le caratteristiche formali e stilistiche del dipinto ma anche una fonte antica attendibile come la descrizione della collezione di Villa Borghese fornita nel 1650 da Jacopo Manilli, il quale registra la Lucrezia come opera del Pistoia (Figg. 75; 152)13.

11 Tra i ritratti databili ai primi anni trenta su cui la letteratura critica si è a lungo interrogata vale la pena

menzionare anzitutto il Ritratto di giovane del Museum of Art di Philadelphia (John G. Johnson Collection, inv. n. 81, olio su tavola, 65,5 x 46,5 cm). Il dipinto fu attribuito da Shearman (1965, I, p. 170, n. 4); respinto da Cheney (1970, p. 39, n. 51) e accolto da Costamagna (1994, p. 316, n. A101). Federico Zeri (1978, pp. 118-119) avanzava cautamente dei dubbi circa l’attribuzione del ritratto di Philadelphia; pur tuttavia, lo accostava per ragioni stilistiche al Ritratto d’uomo del Museo di Palazzo Bianco a Genova (inv. 262, olio su tavola, 88 x 64 cm, ora concordemente attribuito a Giorgio Vasari) e al Ritratto di monaco di ubicazione ignota (già Londra, Sotheby’s, 12 maggio 1976, lotto 16, olio su tavola, 82,5 x 59 cm), non escludendo del tutto che il piccolo nucleo di opere potesse essere di mano del giovane Jacopino. Altre proposte, non verificabili, sono state formulate da