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3. La nozione di guerra dal punto di vista del diritto internazionale

3.3. Conflitti internazionali e conflitti interni

I conflitti armati internazionali ed i conflitti armati interni non hanno una disciplina comune nel diritto internazionale.

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95 I conflitti posti in essere da minoranze etniche, nazionali, religiose o culturali

non possono essere qualificati come guerre di liberazione nazionale in quanto tali minoranze non hanno il diritto all’autodeterminazione. Il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione in favore di tali gruppi, infatti, porterebbe ad una frammentazione degli Stati. Per un’analisi approfondita del fenomeno delle guerre di liberazione nazionale v. N. RONZITTI, Le guerre di liberazione nazionale e il

Se un conflitto armato internazionale riguarda due Stati, o – nei casi sopra descritti – uno Stato ed un movimento di liberazione nazionale, un conflitto armato interno può essere definito come un confronto portato avanti con la forza armata – avente le caratteristiche dunque di un confronto armato o di una guerra civile – tra l’autorità governante ed un gruppo di persone sottoposte alla sua autorità o tra differenti gruppi che non agiscono in nome del Governo legittimo. In breve, i conflitti non internazionali sono quelli che si svolgono all’interno di uno Stato96.

Fino alla prima metà del secolo scorso, la guerra civile veniva considerata come un fenomeno facente parte del dominio riservato degli Stati, ed in quanto tale non è stata oggetto di regolamentazione umanitaria97.

È con le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, però, che è stata sancita l’applicabilità del diritto internazionale umanitario ai conflitti armati interni98.

Attualmente, infatti, tali tipi di conflitti sono disciplinati dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dal II Protocollo addizionale del 1977.

L’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 194999 – i cui principi umanitari sono stati riconosciuti dalla giurisprudenza come

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96 “The existence of civil war [comunque] is determined by precisely the same

rules as of international war”. Così, Q. WRIGHT, Changes in the Conception of

War, cit., p. 759.

97 I ribelli, dunque, erano assoggettati al diritto penale dello Stato, a meno che

quest’ultimo avesse posto in essere un riconoscimento di belligeranza. Del resto, le Convenzioni di codificazione del diritto internazionale bellico dell’epoca si occupavano solo delle guerre tra Stati. Così C. FOCARELLI, Introduzione storica

al diritto internazionale, cit., p. 357.

98 Cfr. C. GREENWOOD, The Handbook of International Humanitarian Law, cit.,

p. 55.

99 Sull’argomento v. R. BARSOTTI, Insorti, in Enciclopedia del Diritto, XXI,

Milano, 1971, p. 790 ss; Y. DINSTEIN, The International Law of Civil Wars and

facenti parte del diritto internazionale consuetudinario100 – ha previsto, infatti, uno standard minimo di trattamento obbligatorio per le parti del conflitto interno: in caso di un tale conflitto, pertanto, i belligeranti sono tenuti a garantire che le persone che non partecipano alle ostilità – compresi gli appartenenti alle forze armate che hanno deposto le armi o che siano fuori combattimento – vengano trattate con umanità senza alcuna discriminazione basata sul sesso, sulla razza, sulla religione, ecc101. Dunque, sono vietate nei confronti di questi soggetti le violenze nei confronti della vita e dell’integrità corporale, i trattamenti degradanti, le condanne pronunciate senza il preventivo giudizio di un tribunale precostituito, ecc. I ribelli, d’altro canto, non possono essere considerati come legittimi combattenti e, pertanto, non potranno essere considerati prigionieri di guerra102. La norma in

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100 International Court of Justice, Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua, cit., 114.

101 L’art. 3 par. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, infatti,

dispone che: “Nel caso in cui un conflitto armato privo di carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle Alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti belligeranti è tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:

1.! Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.

A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:

a.! le violenze contro la vita e l'integrità corporale, specialmente l'assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi;

b.! la cattura di ostaggi;

c.! gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti;

d.! le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili. 2.! I feriti e i malati saranno raccolti o curati”.

esame, però, omette di indicare le caratteristiche idonee a qualificare un conflitto armato come non internazionale.

Quanto stabilito dallo stesso art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra, inoltre, ha subito una notevole espansione con l’entrata in vigore del II Protocollo addizionale del 1977, il quale, a differenza dell’art. 3, definisce dei requisiti minimi in presenza dei quali si sia in presenza di un conflitto interno. L’art. 1 par. 2 di tale Protocollo, infatti, contiene una definizione di conflitto armato più restrittiva di quella desumibile dall’art. 3 comune. Tale articolo, pertanto, esclude dalla definizione di conflitto armato non internazionale le situazioni di disordine e le mere tensioni interne, gli atti di violenza sporadici e atti del genere103. A queste situazioni, comunque, si applicherà l’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra. Il II Protocollo, ovviamente, si applica nel caso in cui all’interno di uno Stato vi sia un conflitto armato tra le forze governative e gruppi armati organizzati esercenti un controllo su una parte del territorio del suddetto Stato. Gli insorti, infatti, esercitando un potere effettivo su una parte del territorio dello Stato, possono concludere accordi con il Governo contro il quale combattono e anch’essi sono obbligati al rispetto di quanto previsto nel sopra richiamato art. 3 comune104. Dal momento in cui acquistano la soggettività internazionale, dunque, le operazioni militari poste in

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103 L’art. 1 par. 2 stabilisce che “il presente Protocollo non si applicherà alle

situazioni di tensioni interne, di disordini interni, come le sommosse, gli atti isolati e sporadici di violenza ed altri atti analoghi, che non sono considerati come conflitti armati”. Un’altra definizione di conflitto armato non internazionale è contenuta nell’art. 8 par. 2 f) dello Statuto della Corte Penale Internazionale, il quale dispone che “paragrafo 2 lettera e) si applica ai conflitti armati non di carattere internazionale e pertanto non si applica alle situazioni di tensione e di disordine interne, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici ed altri atti analoghi. Si applica ai conflitti armati che si verificano nel territorio di uno Stato ove si svolga un prolungato conflitto armato tra le forze armate governative e gruppi armati organizzati, o tra tali gruppi”. Tale definizione, pertanto, è meno restrittiva di quella proposta dall’art. 1 par. 2 del II Protocollo addizionale: nella definizione proposta dallo Statuto della Corte Penale Internazionale, ad esempio, non si fa riferimento al controllo territoriale.

104 Tale constatazione è controversa in quanto gli insorti non possono aderire alle

essere dagli insorti contro lo Stato legittimo non costituiranno più una rivoluzione, bensì una guerra.

Il Protocollo, per questo, intende tutelare la popolazione civile contro gli effetti distruttivi delle guerre civili vietando gli attacchi contro la stessa105. Quindi, alla luce di ciò, si può legittimamente affermare che il confronto armato tipico dei conflitti non internazionali deve raggiungere un minimo livello di intensità e le parti coinvolte nello stesso devono dimostrare un minimo di organizzazione106.