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3. La nozione di guerra dal punto di vista del diritto internazionale

3.2. Dalla nozione di guerra a quella di conflitto armato

Nel diritto internazionale l’istituto della guerra ha subito e continua tutt’oggi a subire una marcata evoluzione. Oggi, infatti, il termine

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82 Secondo l’A., infatti, la guerra “presenta due aspetti distinti: quello di

procedimento giuridico e quello di stato giuridico; il primo comporta il ricorso effettivo alla forza armata in modo generale e completo da parte di almeno uno degli Stati belligeranti nei confronti dell’altro; il secondo comporta la cessazione dello stato di pace e il costituirsi di particolari rapporti giuridici tra gli Stati belligeranti e tra ciascuno di questi e gli Stati neutrali”. Vedi A.P. SERENI, Il

concetto di guerra nel diritto internazionale contemporaneo, cit., p. 573. Sul punto

si veda inoltre Q. WRIGHT, Changes in the Conception of War, in American

Journal of International Law, 1924, p. 761.

83 Potrebbe essere interessante valutare se un intervento di uno Stato – durante una

guerra civile in un altro Stato – a sostegno degli insorti sia idoneo ad integrare il concetto di guerra in senso materiale. Sembra che il mero fatto di fornire armi ai ribelli non possa rappresentare un uso della forza armata. Sul punto, v. Y.

guerra è considerato “a relic of a past time”84. Vuoi per il superamento della teoria dello stato di guerra, vuoi per l’emanazione della Carta delle Nazioni Unite e del divieto della minaccia o dell’uso della forza ivi contenuto, il concetto di guerra può definirsi ormai obsoleto. I belligeranti, infatti, non essendo più disposti ad utilizzare il termine “guerra”, preferiscono usare una diversa terminologia, come ad esempio la locuzione “conflitto armato”.

A seguito dell’entrata in vigore della CNU, infatti, il termine guerra è stato affiancato da quello di conflitto armato.

Già nell’art. 2 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 194985 – le quali sostituirono le due precedenti Convenzioni di Ginevra del 1929 – venne previsto che quanto disposto da tali Convenzioni si debba applicare anche in caso di guerra o di qualsiasi altro conflitto armato, anche se le parti del conflitto neghino l’esistenza dello stesso86. Da una lettura di tale articolo, peraltro, emerge che esiste un conflitto armato internazionale in quanto vi sia un uso della forza armata da parte di uno Stato nei confronti di un altro. In breve, ogniqualvolta vi sia tra due o più Stati un ricorso ad operazioni militari, anche qualora le Parti, o alcune di esse, dovessero negarne l’esistenza per il fatto della mancanza di una dichiarazione di guerra, si potrà parlare di conflitto armato internazionale.

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84 Così D. SCHINDLER, State of War, Belligerancy, Armed Conflict, in A.

CASSESE, The New Humanitarian Law of Armed Conflict, Napoli, 1979, p. 19.

85 Le Convenzioni di Ginevra del 1949 riguardano: I) il miglioramento delle

condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; II) il miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare; III) il trattamento dei prigionieri di guerra; IV) la protezione delle persone civili in tempo di guerra.

86 L’art. 2 par. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, infatti,

dispone che “[…] la presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse”. Tali strumenti, inoltre, si applicano anche in assenza di una formale dichiarazione di guerra.

Del resto, le Convenzioni sono applicabili anche in tutti i casi di occupazione militare totale o parziale del territorio di una Parte contraente (art. 2 par. 2). Quindi, l’uso della forza posto in essere da singoli individui o da gruppi di individui non è sufficiente a configurare un conflitto armato internazionale87.

Tale strumento – creato con il preciso scopo di tutelare e salvaguardare le persone in tempo di guerra – se da un lato decreta il definitivo superamento della nozione di guerra, dall’altro omette di fornire una definizione di conflitto armato88. La stessa, però, è stata dettata nel Commentario ufficiale: “any difference between two States and leading to intervention of armed forces is an armed conflict within the meaning of Article 2, even if one of the Parties denies the existence of a state of war. It makes no difference how long the conflict lasts, or how much slaughter takes place”89.

Tale modo di intendere la nozione di conflitto armato, tra l’altro, ha riscosso successo, tantoché è stato fatto proprio anche dalla giurisprudenza successiva. Infatti, nel noto caso Tadic90, la Camera d’Appello del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia ha fornito una nozione semplice e più moderna di conflitto armato: “an armed conflict exist when there is a resort to armed force between States or protracted armed violence between governmental authorities and organized armed groups or between such groups within a State”91. Tale nozione, infatti, è certamente meno rigida di quella di “guerra” e

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87 Cfr. C. GREENWOOD, The Handbook of International Humanitarian Law,

Oxford, 2009, pp. 46-47.

88 Tale omissione, infatti, era dovuta al fatto che al tempo l’auspicio era quello di

non confinare il termine conflitto armato all’interno di tecnicismi giuridici, così come avvenne per la nozione di guerra. Quindi, proprio per garantire una maggiore elasticità e generalità della nozione si preferì non fornire una definizione precisa.

89 V. J. PICTET, Geneva Convention for the amelioration of the condition of the

wounded and sick in armed forces in the field: commentary I, Geneva, 1952, p. 32. 90 Internationl Tribunal for the Formed Yugoslavia, Prosecutor v Dusko Tadic,

Appeal Chamber, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, 2 October 1995.

per questo è idonea ad incorporare in sé situazioni che nel passato non potevano essere qualificate come guerra92. È il caso, ad esempio, delle guerre di liberazione nazionale, le quali si sono affermate perlopiù a partire dalla decolonizzazione della seconda metà dello scorso secolo93 in Africa e si sono poi diffuse in America Latina.

Tali guerre, infatti, - legittimate dal diritto internazionale – sono portate avanti da un popolo nei confronti di un governo al fine di far valere il proprio diritto all’autodeterminazione94, cioè nient’altro che il rispetto dei desideri e delle aspirazioni dei popoli. Fino all’entrata in vigore del I Protocollo addizionale del 1977 alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, le guerre di liberazione nazionale non erano disciplinate dalle norme relative ai conflitti internazionali, bensì da quelle concernenti i conflitti interni. Con il I Protocollo addizionale del 1977, però, tali guerre possono essere inquadrate nella categoria dei conflitti armati internazionali. Ai sensi dell’art. 1 par. 4 di tale strumento, infatti, possono qualificarsi come conflitti armati internazionali anche quelli nei quali “[…] i popoli lottano contro la dominazione coloniale e l'occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell'esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale concernenti le relazioni

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92 A dire il vero, una nozione di conflitto armato è contenuta anche nel nostro

codice penale militare di guerra, il cui art. 165 dispone che “per conflitto armato si intende il conflitto in cui almeno una delle parti fa uso militarmente organizzato e prolungato delle armi nei confronti di un’altra per lo svolgimento delle operazioni belliche”.

93 Il primo movimento di liberazione nazionale è stato, nel 1954, il Fronte di

Liberazione Nazionale algerino. Col passare del tempo hanno preso vita altri movimenti del genere come, ad esempio, il PAIGC (Guinea e Capo Verde), il FRELIMO (Mozambico), l’OLP (Palestina), la SWAPO (Namibia) e molti altri.

94 Sulle origini del principio dell’autodeterminazione dei popoli v. A. CASSESE, Self-Determinations of Peoples, Cambridge, 1995; ID., Diritto internazionale,

Bologna, 2006, p. 134-135; J. FISCH, A. MAGE, The right of self-determination of

people: the domestication of an illusion, New York, 2015. L’affermarsi di tale

principio, inoltre, ha ampliato il divieto di minaccia e uso della forza sancito dall’art. 2 par. 4 della Carta ONU, in quanto tale divieto è valido anche nei confronti dei popoli che invocano il diritto all’autodeterminazione.

amichevoli e la cooperazione fra gli Stati in conformità della Carta delle Nazioni”. Dunque, ai sensi del I Protocollo addizionale, le guerre di liberazione nazionale sono quelle combattute da un popolo sottoposto a dominazione coloniale (il quale ha, pertanto, il diritto di secessione dalla madrepatria, o di associarsi ad altro Stato indipendente), ad un regime razzista o a un’occupazione straniera95. La qualifica delle guerre di liberazione nazionale come conflitti armati internazionali, però, vale solo per gli Stati parti del I Protocollo addizionale poiché non sembra che quanto disposto dall’art. 1 par. 4 possa essere considerato come corrispondente al diritto consuetudinario. Da tale considerazione consegue che affinché possa essere applicato quanto disposto dalle Convenzioni di Ginevra e dal Protocollo, è necessario innanzitutto che il governo contro cui combatte il movimento di liberazione nazionale abbia ratificato tali strumenti (in caso negativo i membri di quest’ultimo non saranno considerati legittimi combattenti), e poi, che il movimento notifichi al depositario (Svizzera) una dichiarazione contenente la propria volontà di applicare tali strumenti.

Gli Stati oppressori, tra l’altro, hanno l’obbligo – derivante da una norma consuetudinaria – di consentire il diritto all’autodeterminazione ed a non impedirlo con l’utilizzo di mezzi coercitivi.