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Conflitto sociale: razzismo, xenofobia e “guerra tra poveri”

Attraverso le analisi condotte sui quattro territori si è cercato di individuare quali sono gli elementi che possono portare nelle aree in questione le condizioni di rischio di un vero e proprio conflitto sociale. All'interno di queste province, come è stato ampiamente osservato, sono stati individuati molti fattori di debolezza.

Rispetto al sistema produttivo, al mercato del lavoro, alle politiche locali, alle istituzioni. E sicuramente nel considerare i diversi aspetti che caratterizzano i quattro territori, si deve affrontare anche la questione del razzismo e della xenofobia. Ciò anche in considerazione del fatto che sfortunatamente ognuna di queste provincie è stata più volte teatro di episodi che hanno visto gli immigrati essere vittime di soprusi e violenze. In particolare è emerso che in questi territori, l’affermarsi ed il diffondersi di episodi di natura razzista e xenofoba, è strettamente correlato alla struttura socio-economica delle suddette provincie ed anche all’atteggiamento culturale prevalente.

Considerando il mercato del lavoro locale, i territori in questione sono infatti caratterizzati da grandi difficoltà quali, una capillare diffusione del lavoro nero, che non riguarda solamente la popolazione immigrata e che coinvolge tutti i settori produttivi, non solo quello edile ed agricolo. All'alta presenza di lavoro nero si deve aggiungere una totale assenza di politiche locali volte ad incentivare la formazione professionale, con il fine di specializzare la manodopera locale, sia essa italiana o straniera; una totale assenza di controlli, non solo per quanto riguarda la presenza dell’Ispettorato nei luoghi di lavoro, ma anche rispetto alla sicurezza dei lavoratori siano essi cantieri edili o imprese agricole. Infine, il fatto che in questi territori le principali cariche istituzionali locali sono state a lungo commissariate perché colluse con la criminalità organizzata (soltanto nel corso degli ultimi mesi sono state ripristinate le cariche precedentemente sospese). In questo quadro alquanto complesso ed instabile, sicuramente gli immigrati si trovano ad avere una posizione ulteriormente indebolita e marginale, aggravata sia dalla loro condizione giuridico-amministrativa relativa ai permessi di soggiorno, sia dal semplice fatto di essere stranieri, magari arrivati da poco tempo in Italia, quindi con una scarsa conoscenza del paese. Tutto questo fa sì che gli immigrati diventino i principali destinatari di meccanismi escludenti e discriminatori. Nelle province coinvolte nell’indagine è emerso in modo chiaro che nel corso degli anni, ad una presenza crescente degli immigrati, siano essi stanziali o stagionali, ha corrisposto un aumento degli episodi di razzismo e di xenofobia. In particolare, stando a quanto osservato, gli immigrati sono stati percepiti in modo diverso nel

corso degli anni. Da una parte la loro presenza è stata sempre ritenuta indispensabile per la sopravvivenza delle economie locali e dei piccoli produttori ed imprenditori. I lavoratori immigrati, infatti, rappresentano un’ingente quantità di manodopera a basso costo, utilizzata per attività poco specializzate ed altamente ricattabile. Inoltre, il fatto che spesso questi lavoratori non siano in possesso di un valido titolo di soggiorno, li priva di qualsiasi forma di tutela e garanzia contrattuale. Ma, spesso, anche nei casi in cui si tratti di cittadini comunitari, come romeni, polacchi e bulgari, le condizioni di lavoro e salariali non migliorano affatto. Il lavoro immigrato, stagionale o meno, è andato ad occupare quei comparti del mercato del lavoro che nel corso degli anni sono stati progressivamente abbandonati dai lavoratori autoctoni. In questo modo quindi la presenza degli immigrati è stata sempre tollerata, ed in molti casi è stata anche incentivata, proprio perché necessaria e funzionale ad un determinato sistema locale. Anche il settore delle costruzioni beneficia dell’ingente presenza dei lavoratori immigrati ed anche in questo caso le condizioni salariali e contrattuali sono precarie ed inique.

La presenza di questi lavoratori ha cominciato a divenire “scomoda” e sempre meno gradita dalla popolazione locale e dalle stesse istituzioni nel momento in cui non viene più ritenuta indispensabili e funzionali all’andamento dell’economia locale. La crisi economico-finanziaria ha accelerato la chiusura di molte ditte di costruzioni e di imprese agricole, che si trovavano già in condizioni precarie, comportando un significativo aumento della disoccupazione ed un conseguenziale peggioramento delle condizioni di vita di tutta la popolazione, immigrata e locale. Inoltre, va anche ricordato il ruolo svolto dalle politiche agricole comunitarie, che con le nuove disposizioni hanno modificato notevolmente l'assetto economico di queste aree. A questi macro elementi si deve inoltre aggiungere la peculiarità di questi territori, ovvero la presenza della criminalità organizzata che ha il controllo di ampie porzioni dei settori produttivi, come l’intero ciclo del cemento, o la filiera agro-alimentare, fino alla grande distribuzione. Questi elementi, nuovi e vecchi, hanno implicato quindi una notevole riduzione della domanda di manodopera. In questo modo quindi gli immigrati, fino a quel momento ritenuti indispensabili, non sono stati più assorbiti dal mercato del lavoro locale. Da lavoratori invisibili, impiegati per più di 10 ore al giorno nelle campagne e nelle ditte edili, sono diventati abitanti dei paesi, presenti nelle piazze, nei bar, nei supermercati. L’essere diventati visibili ha creato problemi nell’equilibrio di questi sistemi locali, poiché la popolazione autoctona ha dovuto relazionarsi effettivamente per la prima volta con questi abitanti, che a loro volta si sono trovati senza nessun tipo di lavoro, quindi privati anche di quel minimo di sussistenza, in cerca di un’altra occupazione, entrando quindi in concorrenza con la stessa popolazione locale, altro elemento questo che ha contribuito ad alimentare la tensione ed il razzismo tra queste due componenti

della popolazione. Gli autoctoni hanno cominciato sempre più a percepire gli immigrati come dei rivali, nella ricerca di un lavoro - sia esso anche in nero e non regolare - nella ricerca di un’abitazione e nell’accesso ai servizi in generale. Si è andata delineando quella che molti dei testimoni incontrati nel corso dell’indagine hanno definito “una guerra tra poveri”.

Questa tensione tra le diverse componenti della popolazione sembra quindi accomunare tutti e quattro i territori in questione, anche se ovviamente all'interno di ogni ambito questo conflitto si articola in modo differente.

Nella provincia di Reggio Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, ad esempio, il conflitto latente tra popolazione locale ed immigrata si è chiaramente manifestato attraverso la rivolta dei lavoratori africani a Rosarno del gennaio 2010, in risposta ai continui soprusi ed atti di razzismo di cui erano bersaglio da numerosi anni all'interno della Piana di Gioia Tauro. Quei giorni di rivolta hanno appunto rispecchiato quanto sopra descritto, ovvero il fatto che questi lavoratori nel momento in cui non erano più necessari alla popolazione locale per il lavoro nei campi dovevano essere allontanati, e così è stato.

Nella provincia di Foggia, che offre un sistema produttivo analogo a quello reggino, rappresentato in questo caso dalla raccolta del pomodoro, il conflitto sociale tra italiani ed immigrati è sicuramente presente ma non è ancora stato esplicitato. Infatti, come è stato osservato soprattutto rispetto al territorio della Capitanata, la presenza degli immigrati è molto consistente durante il periodo della raccolta. Questi lavoratori, molto raramente entrano in contatto con la popolazione locale, perché occupati nei campi più di 10 ore al giorno, per soli 30 euro, con paghe cosiddette “di piazza”, e la sera tornano a dormire nei numerosi casali abbandonati sparsi nella campagna o nelle periferie urbane, dato che questo è l'unico modo che hanno per avere un'abitazione, che spesso si rivela essere diroccata e priva di servizi. La segregazione, occupazionale e sociale, non riguarda solamente coloro che lavorano stagionalmente nelle campagne e sono privi di un titolo di soggiorno, ma riguarda anche gli stanziali, chi è regolarmente soggiornate, o chi proviene da paesi comunitari. Attualmente tutta la popolazione immigrata presente nella Capitanata si trova quindi a vivere ai margini; e non solo in termini fisici ma anche in termini occupazionali, visto che il loro inserimento è circoscritto o all'attività della raccolta o saltuariamente nell'attività di muratore per qualche piccola impresa edile. Ed il rapporto di lavoro è in nero nella grande maggioranza dei casi. Questo isolamento forzato rende difficile qualsiasi contatto con la popolazione locale, che a sua volta demonizza sempre di più la presenza degli immigrati, che tra l'altro nel corso degli anni è andata crescendo. Questa forte tensione è ancora latente, ma non è da escludere che possa manifestarsi.

Lo stesso equilibrio precario, nel rapporto tra i residenti, è stato descritto rispetto alla provincia di Siracusa ed in particolare nella zona di Cassibile. Anche questo territorio si caratterizza per una forte preminenza del lavoro agricolo, che necessita di braccianti stagionali ed infatti a Cassibile in estate, il territorio riceve diverse centinaia di immigrati che però non è attrezzato per accogliere. È proprio sul problema dell'accoglienza di questi lavoratori, necessari ai produttori durante il periodo della raccolta, che si presentano le maggiori difficoltà e tensioni con la popolazione locale. Infatti questa con difficoltà accetta la loro presenza tanto che per alcuni anni si è addirittura opposta all'installazione delle strutture dormitorio e dei servizi igienici (comunque insufficienti in termini di capienza numerica per accogliere tutti) che erano stati predisposti per la stagione della raccolta. La rivolta di Rosarno del gennaio 2010 sembra aver placato in parte la tensione, e proprio per timore di trovarsi nelle stesse condizioni, le autorità locali hanno reinstallato le suddette strutture, ma attualmente anche in questo territorio la tensione tra immigrati ed autoctoni rimane alta.

Infine il casertano sembra offrire un quadro in parte differente. Difatti in questo territorio ed in modo particolare sulla via domiziana e nella zona intorno a Caserta la presenza degli immigrati si articola in modi diversi. Se da una parte ci sono anche qui ingenti masse di lavoratori, provenienti soprattutto dai paesi dell'Africa sub sahariana, che arrivano durante le stagioni della raccolta e lavorano a giornata, più di 10 ore al giorno, per 20 euro; dall'altra questo territorio si caratterizza per una presenza consistente e di lungo periodo di diverse comunità africane, specialmente lungo la via domiziana. Infatti, soprattutto nigeriani e ghanesi, sono presenti in queste zone da oltre vent'anni. Sono oramai stabili nel territorio, vivono con le loro famiglie, molti bambini nascono qui e molti di loro hanno aperto un'attività commerciale, con la quale riescono a mantenersi. Date queste condizioni il rapporto con la popolazione locale è diverso. Infatti, stando a quanto emerso nel corso dell'indagine, si può parlare di convivenza tra locali ed immigrati, che da anni oramai vivono fianco a fianco, soffrendo degli stessi problemi, quali l'assenza di un lavoro stabile ed un sistema inefficiente di servizi. Questo clima di convivenza è però colpito duramente dalle politiche securitarie messe in atto nel territorio (il cosiddetto modello Caserta) e dalla violenta e xenofoba campagna politica e propagandistica portata avanti dalle autorità locali. Queste misure, infatti, fino ad oggi hanno contribuito a creare un clima di forte tensione, mettendo gli uni contro gli altri, alimentando una “guerra tra poveri” rispetto all'accesso ai servizi, all'inserimento lavorativo e al diritto alla casa.

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