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Economie marginali e crisi dei sistemi produttivi

Le ricadute della violenta tempesta economica scatenata dalla crisi globale hanno lasciato profondi strascichi sulla struttura produttiva del nostro paese. Ora è necessario rilanciare, attraverso adeguate politiche di sviluppo, proprio le aree ed i settori più colpiti per sostenere la crescita e recuperare l’occupazione.

In particolare, le conseguenze della crisi sono state estremamente dure sull’occupazione e in special modo rispetto alle condizioni delle fasce più deboli del mercato del lavoro. Nel nostro meridione, nel corso dell’ultimo anno, gli occupati sono diminuiti di quasi duecentomila unità; molti lavoratori precari ed a termine si sono trovati improvvisamente senza lavoro, senza reddito e privi della copertura del sistema degli ammortizzatori sociali, con la conseguenza di un’ulteriore divaricazione delle realtà territoriali.

Dall’analisi delle strutture economico-produttive dei territori oggetto degli studi di campo emergono notevoli affinità: da un lato la polverizzazione e sottocapitalizzazione del sistema delle imprese con conseguente incapacità innovativa e di competizione con i mercati globali, dall’altro una evidente arretratezza in termini infrastrutturali e di governance a livello territoriale. Queste realtà, più di altre, pagano la mancanza negli anni di vere politiche industriali o di sviluppo economico: il caso del porto di Gioia Tauro che avrebbe dovuto avere un ruolo centrale per lo sviluppo industriale non solo per la provincia e per la regione nel suo complesso ma per tutto il bacino del Mediterraneo, mentre ora svolge solo una funzione di

transhipment (ovvero è un porto di passaggio delle merci), il declino industriale dello storico

grande polo energetico di Priolo-Gargallo in provincia di Siracusa, il sistema agricolo della Capitanata foggiana incapace di adeguarsi alle nuove tecniche di coltivazione, l’inabilità a valorizzare un territorio a forte potenzialità turistica come il litorale domiziano, rappresentano quattro evidenti esempi dei motivi del ritardo di sviluppo delle regioni meridionali. Gli indicatori utilizzati nella definizione della mappatura evidenziano, inoltre, forti tassi di disoccupazione e inattività (soprattutto tra le donne e le nuove generazioni), un reddito pro capite sensibilmente al di sotto della media italiana e, conseguentemente, una propensione al consumo piuttosto bassa.

Più in generale, i dati forniti dai maggiori osservatori istituzionali mostrano come sul valore aggiunto, sull’occupazione, sugli investimenti delle imprese - con una inevitabile ricaduta sui redditi e sul bacino delle povertà - il Mezzogiorno stia pagando più degli altri il difficile momento

congiunturale. I ritardi strutturali da un lato e la condizione contingente di crisi economica dall’altro, sono le cause di un impatto particolarmente negativo sul tessuto economico-produttivo delle regioni meridionali. La fase congiunturale negativa, peraltro, ha riguardato sia la domanda interna che quella internazionale e sia i settori manifatturieri che quelli del terziario. L’apparato produttivo meridionale appare, dunque, particolarmente esposto alla crisi ed è forte la preoccupazione che l’attuale recessione indebolisca ulteriormente la già provata struttura produttiva delle regioni meridionali fatta soprattutto di piccole imprese. La presenza di una politica industriale nazionale orientata ad allocare nel Mezzogiorno il segmento “alto” della produzione, insieme alla distribuzione di una quota significativa di investimenti ed incentivi in ricerca e sviluppo consentirebbe alle regioni del Sud di creare e difendere nuova occupazione. A questo, certo, deve seguire una maggiore capacità da parte delle istituzioni locali di rispondere in termini di qualità, trasparenza ed efficienza nei servizi. Queste condizioni appaiono determinati se si vuole riuscire ad invertire un lento processo di marginalizzazione dell’industria meridionale.

Che il Mezzogiorno, infatti, abbia subito durante l’ultimo quindicennio un rallentamento strutturale della propria crescita economica, più intenso di quello sperimentato nel resto del Paese, è un fatto assodato. In qualunque modo lo si voglia misurare, a partire dalla metà degli anni Novanta il tasso di crescita delle regioni meridionali, sia complessivo che pro capite, tanto della produttività quanto del progresso tecnologico, si è decisamente ridotto e ha continuato a diminuire fino ad arrivare negli anni più recenti a valori prossimi allo zero. L’attuale crisi internazionale e la globalizzazione dei mercati hanno ulteriormente aggravato quest’iniziale stato di debolezza, con ulteriori conseguenze restrittive sull’economia reale del Mezzogiorno, misurate in termini di variazioni negative del valore aggiunto e dell’occupazione. Poiché l’economia del Sud era debole già prima della crisi ci si può oggi chiedere quale destino l’attenda nel prossimo futuro, e se la più recente politica per lo sviluppo del Sud, caratterizzata da stanziamenti limitati di fondi, oggetto di continue erosioni, rischi di fare allargare ulteriormente il divario tra il Nord ed il Sud del Paese, incrinando definitivamente la prospettiva di una crescita forte ed equilibrata dell’intera economia Italiana.

7.1.1 I settori produttivi

Nello specifico della nostra indagine sono stati indagati due particolari settori produttivi. Dovendo indagare le criticità che sono alla base di possibili elementi di tensione sociale (come accaduto nel caso di Rosarno), la scelta è ricaduta sull’agricoltura e l’edilizia.

Condizioni di lavoro particolarmente dure, la forte presenza di lavoro sommerso, l’ampio ricorso alla manodopera immigrata, i numerosi casi di sfruttamento, la stagionalità del lavoro, il decisivo ruolo del caporalato, il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo del cemento e nella filiera della distribuzione dei prodotti agricoli, sono alcuni degli aspetti che ci hanno indotto a seguire con particolare attenzione questi settori.

Di seguito riportiamo in sintesi alcuni degli aspetti emersi nell’ambito della ricerca sul campo. La struttura produttiva agricola locale appare troppo esile e perciò a rischio di marginalizzazione. Consorzi e marchi di tutela non sono riusciti a ridurre la polverizzazione produttiva che crea un mercato fortemente sbilanciato: una miriade di piccole aziende agricole alcune delle quali anche con superficie coltivabile minima, si confrontano con poche catene della distribuzione, mentre a monte del processo produttivo dipendono dalle grandi aziende multinazionali che producono le sementi ormai indispensabili rispetto alle quali non hanno alcun potere contrattuale per trattare sui prezzi dei semi oltre che degli altri prodotti necessari per la coltivazione82. In molti territori si tratta di una agricoltura che il più delle volte si basa su sistemi arcaici, che non si adegua alle nuove tecniche di coltivazione, che non valorizza le proprie specificità con marchi di qualità, che non si consorzia, che non pensa ad una certificazione etica e sociale; un’agricoltura fortemente condizionata dai sistemi commerciali e che sottostà al ricatto dei commercianti, che stabiliscono il prezzo finale di vendita prima ancora dell’inizio della campagna agricola, e che tende a recuperare margini di redditività riducendo il costo del lavoro. Il basso costo della manodopera straniera disincentiva gli imprenditori agricoli, che la utilizzano, a razionalizzare il ciclo produttivo della loro azienda, evitando di effettuare investimenti onerosi in tecnologia e mantenendo antiquati e spesso illegali apparecchi ed attrezzature, mettendo a rischio la salute e la incolumità dei lavoratori stessi. Tutto questo, se, nel breve termine può essere visto come un risparmio di costi, nel lungo periodo non può che trasformarsi in una perdita di competitività dell’azienda, che si troverà con attrezzature e processi lavorativi obsoleti, inaffidabili, poco produttivi e qualche volta anche illegali83.

Il settore delle costruzioni continua a rappresentare uno dei maggiori settori di inserimento lavorativo della popolazione immigrata presente in Italia. Nonostante sia in molti casi un settore rifugio anche per la manodopera nazionale a bassi livelli di qualifiche e scolarità84, gli spazi

82 Infra, Di Giacomo M., La provincia di Siracusa e il caso del territorio di Cassibile

d’inserimento per gli immigrati si mantengono piuttosto elevati anche in questa fase di crisi85. Come detto, però, il comparto vive di numerosi fattori di criticità, soprattutto a causa della particolare “destrutturazione” del mercato del lavoro. Tra i fattori che maggiormente incidono vanno segnalati il carattere stagionale, l’occasionalità del lavoro, l’eccessiva frammentazione del mondo delle imprese, la diffusione incontrollata del sistema di appalti e subappalti e, soprattutto, l’ampio ricorso al lavoro nero, ovvero alla manodopera irregolare (spesso straniera).

Dopo una fase di forte crescita in cui il settore delle costruzioni ha avuto un ruolo trainante per il sistema produttivo delle aree in questione come di molti altri territori, oggi la crisi che attraversa il comparto si è fatta particolarmente dura. Nel 2010, infatti, si è calcolata una contrazione del fatturato di circa il 7% - il che porterebbe al 17% la riduzione del giro d’affari nell’ultimo triennio, riportando l’edilizia italiana ai livelli precedenti al 2000 - con una riduzione occupazionale del 3% circa. Le stesse associazioni dei costruttori evidenziano le gravi questioni che stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza di un tessuto imprenditoriale fatto di piccole e medie imprese che rappresentano uno degli assi portanti dell’economia del Paese: la forte riduzione di risorse per gli investimenti in infrastrutture; il mancato avvio del programma di opere medio-piccole; i ritardi nei pagamenti alle imprese; la stretta creditizia. Un quadro preoccupante che molte imprese non sono più in grado di sostenere con il rischio di ritrovare a crisi finita una struttura produttiva inadeguata, non competitiva e che rappresenta la parte peggiore di un settore comunque fortemente caratterizzato da fenomeni di irregolarità e illegalità. Uno dei motivi che hanno contribuito all'attuale grande crisi del settore è stata senza dubbio l'assenza totale di una politica rivolta agli investimenti, sia in termini finanziari che in termini di formazione e valorizzazione dei profili professionali86. Per calarci nella specificità dei territori oggetto di studio è interessante vedere come nel caso siciliano il valore delle gare relative a opere pubbliche di importo superiore a 150 mila euro aggiudicate in Sicilia si sia ridotto per il terzo anno consecutivo (-5,4%). Il ribasso medio di aggiudicazione per le opere di importo inferiore ai 5 milioni di euro e affidati in base alla normativa regionale è stato pari al 7,3%, mentre per le opere di importo superiore alla soglia comunitaria il ribasso ha superato il 28%. In tal senso, la Banca d’Italia fa notare come dal 2005, da quando è entrato in vigore il nuovo criterio di aggiudicazione per le opere di importo inferiore alla soglia comunitaria, si è registrata una crescente convergenza dei ribassi delle offerte presentate a ogni gara su un unico valore, anche considerando addirittura la quarta cifra decimale (7,3152 %), con l’aggiudicazione degli appalti per sorteggio tra numerose offerte identiche; tale fenomeno è stato più volte

85 Galossi E., Mora M., I lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni, V rapporto Ires-Fillea www.ires.it

oggetto di attenzione dell’Osservatorio regionale dei lavori pubblici e dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici87.