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Le caratteristiche del lavoro agricolo nel territorio

Il settore dell’agricoltura nel casertano nel corso degli ultimi anni ha subito significative trasformazioni e cambiamenti. Innanzitutto si è assistito alla forte riduzione della coltura del pomodoro. Infatti ad oggi in questa provincia non si verificano più le grandi raccolte di pomodori. Ad oggi invece una delle coltivazioni principali è quella delle pesche, e più in generale il comparto ortofrutticolo è quello più consistente, e si sviluppa all’interno di un sistema di piccole e medie proprietà imprese agricole, per la cui raccolta viene impiegata molta manodopera, alla quale non sono richieste particolari competenze e professionalità.

Inoltre non va dimenticato che questo territorio si caratterizza per la presenza di un’importante mercato caseario, in particolare specializzato nella produzione di mozzarella di bufala e la manodopera richiesta in questo settore deve essere necessariamente formata e dotata di specifiche conoscenze.

Il territorio si caratterizza anche per la coltivazione del tabacco, nella cui raccolta sono da sempre impiegate le donne, anche se nel corso degli ultimi 10/15 anni la manodopera femminile di questo comparto viene lentamente sostituita dalla manodopera immigrata, le cui caratteristiche verranno descritte più avanti.

Il settore agricolo riveste quindi un ruolo importante per l’economia locale, ma allo stesso tempo, stando a quanto è stato affermato nel corso di diverse interviste, nessuna delle autorità e degli organi competenti ha mai investito nel suddetto settore, sia in termini di risorse finanziarie che di nuove tecnologie, che in termini di formazione professionale. “Qui

l’agricoltura è stata sempre vista come un settore da spremere e mai come un settore nel quale investire veramente” (Angelo Paolella, Segretario Generale della Flai di Caserta).

Inoltre, a rimarcare l'importanza di questo settore per lo sviluppo di la provincia, vanno ricordati i due grandi stabilimenti della Barilla e della Ferrarelle, che oltre ad avere un ruolo trainante per l'economia locale, costituiscono un importante bacino di posti di lavoro.

Infine anche in questo territorio le disposizioni delle politiche comunitarie hanno svolto un ruolo per certi aspetti determinante. Difatti, si è venuto a stabilire anche qui il meccanismo per il quale i singoli proprietari terrieri hanno ricevuto significativi incentivi economici, con i quali sono riusciti a sostenersi, da parte della Comunità Europea, proprio in virtù della normativa comunitaria30 che fino al 2008 ha elargito i sostegni economico-finanziari in base alla quantità di prodotto raccolta, incentivando implicitamente un imponente meccanismo di truffa.

3.3.1 I lavoratori immigrati nel settore agricolo e le loro condizioni di lavoro.

I lavoratori immigrati hanno un ruolo di primo piano e diffusamente differenziato all’interno di questo settore. Prima di tutto va sottolineato che la presenza di manodopera straniera caratterizza da sempre il settore, difatti, come è stato osservato poc'anzi, già a partire dall’inizio degli anni Ottanta con i primi arrivi di immigrati, questi vennero impiegati proprio nell’agricoltura ed in particolare nelle grandi raccolte di frutta e di verdura. Quindi, il tipo di colture presenti nel territorio hanno rappresentato sin da subito un’importante bacino per l’inserimento lavorativo degli immigrati, sia perché c’era un’effettiva domanda di manodopera, sia perché per questo tipo di attività non venivano richieste professionalità e competenze specifiche e, stando alla struttura stessa del mercato dl lavoro locale, era molto facile effettuare delle assunzioni in nero, senza alcun tipo di garanzia e tutela ed ovviando anche in questo modo il problema del possesso o meno del permesso di soggiorno. Inoltre gli italiani non avevano desiderio di dedicarsi a questo tipo di attività, quindi gli immigrati andavano a coprire un comparto del mercato agricolo ormai abbandonato dalla popolazione locale. I lavoratori stranieri che sono stati impiegati in questo settore nel corso degli anni, provengono da diversi paesi. I primi arrivati provenivano dal Nord Africa e a seguire ci sono stati coloro che provengono, in parte dall’Africa sub sahariana ed in parte dall’Europa dell’Est. In maggioranza questi lavoratori vengono impiegati, come è stato già sottolineato, in attività che non richiedono alcun tipo di specializzazione, quali appunto la raccolta delle pesche, piuttosto che delle foglie di tabacco, dove, stando agli intervistati, per molti anni erano gli albanesi la comunità maggiormente impiegata in questo tipo di attività, ma negli ultimi anni sono stati in parte soppiantati dall'arrivo dei lavoratori provenienti da paesi comunitari, quali romeni e bulgari, “Soprattutto romeni, che oltre a non avere il problema del permesso di soggiorno, accettano anche paghe e condizioni da fame, rendendosi competitivi al massimo, esercitando una concorrenza sleale contro la quale gli altri lavoratori non possono e non vogliono giustamente competere” (Angelo Paolella, Segretario Generale della Flai di Caserta). Dalle interviste tenutesi nel corso di questa indagine è

stato raccontato come spesso si può parlare di un vero e proprio razzismo tra i lavoratori stranieri stessi, soprattutto nei confronti di coloro che provengono dai paesi dell'Africa sub sahariana, che spesso si trovano a svolgere le mansioni più dequalificate rispetto a coloro che provengono da paesi membri della Comunità Europa.

Esiste poi un altro importante comparto agro-alimentare, ovvero quello della produzione casearia, soprattutto di mozzarelle e latte, nel quale, secondo i testimoni sentiti nel corso dell'indagine, i lavoratori stranieri hanno da sempre trovato impiego, prima c'erano coloro che provenivano dal Nord Africa, mentre ad oggi ci sono in prevalenza coloro che provengono

dall'India. Questi lavoratori hanno trovato una loro professionalità ed una loro collocazione puntuale all’interno del mercato locale, lavorando appunto presso le aziende casearie, specializzandosi nella lavorazione dei latticini.

In generale nel settore agricolo i lavoratori immigrati nella maggior parte dei casi sono assunti in nero, quasi sempre a giornata, senza alcuna forma contrattuale e di conseguenza senza poter godere di alcun diritto e tutela. A queste condizioni va sommata la questione del possesso o meno di un permesso di soggiorno che ovviamente pone questi lavoratori in una posizione di ulteriore debolezza contrattuale. Qualcuno tra gli intervistati ha inoltre voluto precisare che nel settore agricolo di questa provincia, nonostante le difficili condizioni di lavoro, è però assai improbabile che si possano verificare episodi di riduzione in schiavitù o di para schiavitù. L'impossibilità della diffusione di questo fenomeno è stato spiegato con il fatto che la stessa struttura e caratteristiche del settore agricolo locale rendono molto difficile lo svilupparsi di certe “deformazioni” dei rapporti di lavoro. Nel casertano infatti si registra una prevalenza di piccole aziende agricole, che occupano una quota poco significativa di manodopera, che viene assunta esclusivamente a giornata, quindi non ci sono le condizioni per le quali si possa venire a creare una situazione di schiavitù, che invece si innesca con più facilità nei momenti delle grandi raccolte, ad esempio la stagione del pomodoro nel foggiano, durante i quali, come hanno riportato gli intervistati, centinaia di lavoratori immigrati sono costretti a vivere per settimane in capannoni abbandonati ed isolati in mezzo alla campagna, fino alla fine della stagione del raccolto, senza potersi muovere da lì, a completa disposizione del proprietario del terreno.

Anche in questo territorio come altrove, nel corso delle interviste è stato messo in luce il fenomeno del caporalato, praticato da sempre ed in molti contesti ha rappresentato da sempre l'unica forma di assunzione e ne sono state descritte le caratteristiche peculiari locali. Innanzitutto i testimoni di questa indagine fanno una distinzione rispetto alla tipologia di datore di lavoro, poiché questa modifica le condizioni salariali e lavorative in generale. Difatti, se l'immigrato viene assunto, sempre attraverso la mediazione di un caporale, di solito italiano, che la mattina si reca alla rotonda, per lavorare per una grande azienda agricola, insieme ad altri 100/200 lavoratori, per più di una giornata, la sua paga sarà intorno ai 30/35 euro e avrà diritto ad una pausa per riposarsi durante l'orario di lavoro. Nel caso in cui invece si tratta di un piccola azienda agricola ed il caporale, che anche in questo caso è quasi sempre italiano, deve reclutare solo 4/5 lavoratori per una sola giornata, le condizioni di lavoro e salariali saranno molto dure, in genere infatti gli immigrati vengono costretti a lavorare per 8/10 ore consecutive, senza poter riposarsi e ricevendo 20/25 euro al giorno. Un'altra possibilità di assunzione si ha quando diversi proprietari terrieri, che hanno i campi contigui, decidono di

cooperare nel periodo della raccolta e di assumere, sempre tramite un caporale italiano, 25/30 lavoratori. Per il pagamento a fine giornata si contano le cassette di prodotto raccolto per ogni lavoratore ed ovviamente il caporale si prende una cospicua somma in percentuale su ciascun lavoratore, o a volte accade che la percentuale del caporale viene data in base ad ogni cassetta. Ad esempio, se ogni cassetta viene pagata 1,50 euro, il lavoratore deve dare al caporale 30 centesimi di euro.

In ciascuno dei casi sopra descritti il caporale è sempre italiano, ma nella provincia sono presenti anche forme di caporalato cosiddetto “etnico”. In questo caso il caporale proviene dagli stessi paesi dei lavoratori e molto spesso, come hanno riportato i testimoni, i lavoratori stessi non percepiscono questa figura come un caporale, ma vedendolo “simile” a loro, lo percepiscono come un amico, comunque come una persona che conosce meglio il sistema locale perché ci vive da più tempo. “Lo percepiscono come un amico, che ha ricevuto in subappalto un lavoro e

per questo ha lavoro da offrire agli altri. Poi magari i lavoratori non sanno quale è il vero prezzo di una giornata di lavoro e quindi questo caporale prende, a loro insaputa, una percentuale da

ognuno” (Jean René Bilongo, Responsabile del Coordinamento Immigrati Cgil di Caserta). La

percentuale sul lavoro ed il guadagno rispetto ad ogni singolo immigrato il caporale, cosiddetto etnico, non lo ottiene soltanto facendosi pagare a fine giornata, ma ci sono altri modi in cui prendere soldi dai lavoratori, attraverso il pagamento di alcuni “servizi”, come ad esempio la spesa relativa al carburante per la vettura con la quale si è raggiunto il luogo di lavoro, oppure pagare per bere e mangiare qualcosa durante la giornata di lavoro.

Infine, il caporalato è molto più diffuso nelle attività delle grandi raccolte, come può essere quella dei pomodori o delle pesche. Così come forme di caporalato si sono potute riscontrare anche nella raccolta del tabacco, dove, come è stato già sottolineato, sono impiegati soprattutto coloro che provengono dall'Albania e dalla Romania. “Spesso succede che questi lavoratori

immigrati vanno direttamente dal proprietario terriero e gli fanno un’offerta, ovvero dicono che, per esempio, per 3.000 euro raccolgono tutto il tabacco. Quindi si è venuto a creare un vero e proprio business di appalti e subappalti, che in alcuni casi ha portato a diversi scontri tra alcune comunità, tant'è che per rappresaglia sono stati anche bruciati alcuni campi” (Angelo Paolella, Segretario Generale Flai di Caserta).