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Confronto tra accesso civico e accesso agli atti della PA “

Negli anni passati sia l’ANAC sia il Consiglio di Stato hanno rimarcato le differenze fra l’istituto dell’accesso civico, regolato dall’art. 5 del d.lgs. 33/2013, ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi.

L’accesso civico, come abbiamo visto, introduce una legittimazione generalizzata, gratuita e senza necessità di motivazione, a richiedere la pubblicazione di documenti, informazioni o dati per cui sussiste l’obbligo di pubblicazione da parte delle PP.AA. ai sensi della normativa vigente. Il diritto di accesso agli atti di cui all’art. 22, legge 241/1990, definito come “il diritto degli interessati di prendere visione e di

estrarre copia di documenti amministrativi”, è invece finalizzato alla protezione di un

interesse giuridico particolare: può essere esercitato solo da soggetti portatori di tali interessi e ha per oggetto atti e documenti ben individuati.

Pertanto, chiunque – cittadini, imprese, associazioni, etc. – rilevi, nei siti istituzionali delle PP.AA. e degli altri soggetti indicati nell’art. 11 del d.lgs. 33/2013, l’omessa o incompleta pubblicazione di documenti, informazioni e dati previsti dalla normativa vigente in materia di trasparenza, utilizzando l’istituto dell’accesso civico può, dunque, avvalersi del diritto di accesso civico e segnalare l’inosservanza direttamente al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza per ottenere il riesame dell’istanza di accesso o presentare ricorso al giudice amministrativo. In caso di mancata presenza, nei siti istituzionali delle amministrazioni, delle necessarie indicazioni relative all’istituto dell’accesso civico o di mancata risposta alla richiesta di accesso civico (o in caso di ritardo), è possibile inoltrare una segnalazione all’ANAC, sull’omessa pubblicazione di dati ai sensi della normativa vigente, attraverso l’apposita

procedura on-line “Comunica con l’Autorità” disponibile sul sito

www.anticorruzione.it. Nella segnalazione vanno indicati gli estremi (data di invio) della richiesta di accesso civico inoltrata all’amministrazione, in assenza dei quali la segnalazione non viene trattata. In caso di risposta ricevuta dall’amministrazione si richiede di chiarire, nel campo “note aggiuntive” del modulo, le ragioni per cui la stessa sia ritenuta incompleta o insoddisfacente. L’Autorità, nella sua attività istituzionale di vigilanza sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalla normativa vigente, verifica sui siti delle PP.AA. l’effettiva messa a disposizione,

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per chiunque ne abbia interesse, delle informazioni necessarie per poter esercitare il diritto di accesso civico. A differenza dell’accesso civico, eventuali segnalazioni in ordine a disfunzioni del procedimento di accesso agli atti, non devono essere trasmesse all’ANAC, che non ha competenze in materia, ma ai soggetti indicati nella legge 241/1990, art. 25 (difensore civico o Commissione per l’accesso).

Con sentenza n. 5515 del 20 novembre 2013, il Consiglio di Stato, ha spiegato le differenze tra l’accesso civico previsto dal d.lgs. 33/2013 e l’accesso ai documenti amministrativi previsto dalla legge 241/1990, anche se entrambi si ispirano al principio di trasparenza che si vuole sempre più affermare nella PA. Con la sentenza, il Consiglio di Stato ha ribadito che “le nuove disposizioni, dettate con D.Lgs. 14.3.2013, n. 33 in

materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni disciplinano situazioni, non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7.8.1990, n. 241, come successivamente modificata ed integrata”.

Con il d.lgs. 33/2013, infatti, si è proceduto al riordino della disciplina, intesa ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia accessibilità alle informazioni, riguardanti l’organizzazione e l’attività delle PP.AA., al fine di attuare “il principio democratico e i

principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione”, quale integrazione del diritto “ad una buona amministrazione”, nonché

per la “realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino” (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013). La normativa – avente finalità dichiarate di contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione – intende anche attuare la funzione di “coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione

statale, regionale e locale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera r) della Costituzione” (art. 1, comma 3, decreto 33/2013), tramite pubblicazione obbligatoria di

una serie di documenti (specificati nel medesimo decreto legislativo e concernenti l’organizzazione e specifici campi di attività delle amministrazioni) nei siti istituzionali delle stesse, con diritto di chiunque di accedere a tali siti “direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione”. Solo in caso di omessa pubblicazione può essere esercitato, ai sensi dell’art. 5 del citato d.lgs., l’“accesso civico”, consistente in una richiesta – che “non deve essere motivata” e può effettuarsi

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gratuitamente – di eseguire tale adempimento, con possibilità, in caso di conclusiva inadempienza all’obbligo in questione, di ricorrere al giudice amministrativo, secondo le disposizioni contenute nel relativo codice sul processo (d.lgs. 2.7.2010, n. 104).

In una prospettiva diametralmente opposta, si pone l’accesso ai documenti amministrativi che è riferito al “diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre

copia di documenti amministrativi”, intendendosi per “interessati…. tutti i soggetti

(privati, comprese anche le associazioni rappresentative di interessi pubblici o diffusi)

…. che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (comma 1, ex art. 22, legge 241/90). In funzione di tale interesse la domanda

di accesso deve essere opportunamente motivata al fine di limitare l’esercizio di un diritto finalizzato ad un controllo generalizzato della PA. La richiesta di accesso classico (ex art. 22 legge 241) necessita pertanto di un supporto motivazionale particolarmente esaustivo. Tuttavia, può accadere che un soggetto titolare di una posizione giuridicamente rilevante possa ottenere un’adeguata soddisfazione dei propri interessi con l’esercizio del diritto di accesso civico, sicuramente più vantaggioso rispetto a quello “tradizionale”, dato che non necessita di motivazione rispetto alla richiesta di ostensione.

Per quel che attiene il versante oggettivo, i limiti previsti dal nuovo art. 5-bis (articolo introdotto dall’art. 6, co. 2, d.lgs. n. 97 del 2016), risultano “prima facie” più ampi e incisivi rispetto a quelli disposti dall’art. 24, legge 241/90, consentendo alle amministrazioni di impedire l’accesso civico nel caso in cui possa compromettere interessi pubblici e privati particolarmente rilevanti (l’argomento sarà trattato nel paragrafo II.7.). Ne deriva che rimarranno delle ipotesi (residuali) ove il soggetto potrà accedere attraverso l’accesso tradizionale (solo se sussistano i requisiti “ex lege” prescritti), ad atti e documenti per cui l’accesso civico è precluso dall’esistenza di una delle fattispecie preclusive previste dall’art. 5-bis.

Recentemente il Consiglio di Stato, con sentenza del 2 febbraio 2016, ha definito l’ambito di applicabilità del d.lgs. 33/2013 rispetto al diritto di accesso agli atti (ex art. 22 ss. legge 241/1990). Il caso di specie esaminato dal Collegio riguardava un ricorso ex art. 116 c.p.a. (Codice del processo amministrativo), avverso il diniego di accesso agli atti. Il Collegio ha ricostruito la normativa applicabile individuando quali siano gli

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atti accessibili come conseguenza della presentazione del ricorso avverso il diniego di accesso agli atti della PA e ritenuto che l’obbligo di pubblicazione degli atti (di cui al D.lgs. 33/2013) vale “con riferimento agli atti amministrativi (oggetto di domanda di

accesso) formatisi successivamente alla sua entrata in vigore e pertanto per gli atti formatisi anteriormente (come quelli oggetti della domanda) continua ad operare il principio del divieto di controllo generalizzato del procedimento”. Al contrario, per gli

atti non compresi nell’elenco del d.lgs. 33/2013, permane la necessità di verificare la sussistenza di un interesse diretto, attuale e concreto in capo al cittadino richiedente, continuando a trovare applicazione il dettato normativo dell’art. 22 e ss. L. 241/1990.

La differenza sostanziale tra i due istituti è stata oggetto di riflessione da parte del TAR Campania che, con la sentenza n. 188 del 14/01/2016, ha indicato che “i due

istituti sono tra loro diversi vista, in particolare, la difficoltà dei relativi presupposti”.

Da tale presupposto, il TAR è giunto a conclusioni differenti rispetto al Consiglio di Stato, ritenendo che “la pretesa attorea è stata azionata ai sensi e per gli effetti di cui

alla legge n. 241/1990 e, come tale, è stata coerentemente valutata dall’Amministrazione intimata, di talché è solo all’interno del suddetto perimetro normativo che è possibile valutare la legittimità del diniego”. Concludendo, secondo il

TAR Campania, “la mancata attivazione del procedimento in argomento (id est accesso

civico) priva il ricorso proposto ai sensi del combinato disposto dell’articolo 116 c.p.a. e dell’articolo 5 del D.Lgs. 33 del 2013 della relativa causa petendi”. Pertanto, il

tribunale amministrativo ha inteso il diritto di accesso civico condizione dell’azione per il ricorso ex art. 116 cpa.

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