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Il FOIA “made in Italy” stenta a decollare “

Il FOIA italiano non decolla. È vero, il decreto 97/2016, entrato in vigore il 23 dicembre 2016, ha permesso all’Italia di risalire dal 97esimo al 55esimo posto a livello mondiale nella classifica del “Right to Information Rating”, l’indice globale - sviluppato da Access Info Europe e dal Centre for Law and Democracy - che misura in 111 Paesi l’accessibilità di documenti, dati e informazioni detenuti dalle PP.AA. Ciononostante, dietro la rimonta italiana però vi sono soprattutto i punteggi sui principi e sul riconoscimento del diritto di accesso, mentre la seconda metà degli indicatori (utilizzati per misurare il rispetto degli standard internazionali di trasparenza) rimane ancora sotto la sufficienza111. Per capire come procede l’applicazione del Freedom of

information act “made in Italy”, l’associazione Diritto di Sapere112 ha effettuato un

monitoraggio denominato “Ignoranza di Stato”. “Abbiamo deciso di intitolarlo così per tre ragioni - si legge nel report dell’associazione -. La prima sono i numeri emersi alla fine di oltre sei mesi di lavoro: le 800 richieste di accesso generalizzato113

, inoltrate via email o pec (a Urp, ufficio ritenuto in possesso dei documenti o responsabile della materia in oggetto, ufficio protocollo di Asl, Prefetture, agenzie nazionali, forze dell’ordine, ministeri, ospedali, Regioni, Comuni, Enti privati) dal 23 dicembre 2016 al 28 febbraio 2017, da 56 volontari (15 cittadini, 18 giornalisti, e 23 attivisti di ong come Greenpeace, Legambiente, Transparency International Italia, Arcigay), hanno ricevuto una quota spropositata di non risposte (73%), entro i 30 giorni previsti dalla norma. È questa una cifra addirittura più alta del 65% del monitoraggio analogo che avevamo completato quattro anni fa sulla legge 241 di accesso agli atti che contemplava il

111 A fine 2016 Access Info Europe (AIE) ha bocciato i rimedi extragiudiziali del FOIA ritenendo

insufficiente il ricorso interno e ai difensori civici (quest’ultimo valido solo in caso di diniego da parte di un ente locale). “Il FOIA italiano costringe i richiedenti a passare attraverso i lenti procedimenti della giustizia amministrativa in caso di non pubblicazione di documenti, rendendo così difficile per i cittadini controllare l’operato dei funzionari pubblici e impossibile partecipare ai processi decisionali”, ha dichiarato Helen Darbishire, direttore esecutivo di Access Info Europe. Per quest’ultima sono da migliorare anche la promozione del diritto sia all’interno delle PP.AA. che tra i cittadini e l’imposizione di sanzioni alle amministrazioni inadempienti (da “Foia: l’Italia guadagna 43 posizioni nella classifica

mondiale sull’accesso” di Claudio Cesarano, 10 novembre 2016, https://blog.dirittodisapere.it).

112 Diritto di Sapere è un’associazione senza scopo di lucro creata nel 2012 con il sostegno dell’Open

Society Foundations. Il suo scopo è la difesa e l’espansione del diritto umano di accesso all’informazione.

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Le richieste sono state scritte partendo da un modello base che prende in considerazione: le linee guida Anac; i modelli di richieste di accesso generalizzato già resi disponibili da PP.AA.; gli standard internazionali sulla formulazione di una richiesta di accesso. Questi alcuni temi oggetto delle richieste: sanità, spesa pubblica, migranti, giustizia, trasporti, sicurezza, istruzione, lavoro, diritti, ambiente.

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silenzio amministrativo come legittimo, ma che ora è fuori legge (anche se non sanzionato). La seconda ragione è che 1 su 3 dei rifiuti (35%) che ci sono stati opposti sono di fatto illegittimi, sono “dinieghi irregolari”, perché l’accesso è stato negato per mancanza di motivazione o utilizzando eccezioni non previste dal decreto trasparenza, a riprova che la nuova norma sia ancora poco conosciuta e rispettata dalle PP.AA. La terza ragione è che abbiamo toccato con mano la scarsa conoscenza del nuovo istituto sebbene siano stati concessi alle PP.AA. ben sei mesi di tempo dalla sua approvazione (giugno 2016). Per quanto allarmante, il quadro che emerge dal monitoraggio dà anche una speranza di miglioramento. Alcune delle richieste erano infatti state presentate (e rigettate) nel 2013 perché basate sulla legge 241/1990 (che presentava molte più limitazioni). Quest’anno hanno ottenuto invece risposta positiva, permettendo di ottenere informazioni di indubbio interesse pubblico come, tra gli altri, copie degli scontrini delle spese degli eletti e informazioni sui rimpatri dei migranti. In breve, se applicato meglio e con meno discrezionalità da parte delle amministrazioni, nei prossimi anni il Foia potrebbe davvero contribuire a rendere l’Italia un po’ più trasparente”.

In generale, dal rapporto di Diritto di Sapere (che è stato chiuso il 30 marzo 2017) emerge che 7 richieste su 10 non hanno avuto risposta nei 30 giorni previsti dal decreto, sebbene sia stato eliminato il silenzio amministrativo. Anche concedendo alle amministrazioni un po’ più di tempo, dopo 45 giorni, la frazione di PP.AA. che ignora le richieste si attesta comunque oltre la metà (53%). “L’assenza di risposta a una richiesta di accesso non solo è una violazione di un diritto umano – scrivono i responsabili dell’associazione – ma è anche in contrasto con i principi della democrazia: l’obbligo di una risposta al cittadino permane, a prescindere dall’effettivo possesso dell’informazione di quell’istituzione e a prescindere dalle eventuali eccezioni all’accesso in cui quell’informazione può ricadere. La mancanza di una risposta allontana il cittadino dalle istituzioni, limitando la sua capacità di partecipare effettivamente e attivamente al processo di decisione pubblica”. Ben Worthy, ricercatore del Birbeck College dell’Università di Londra (autore di The Politics of

Freedom of Information: How and Why Governments Pass Laws That Threaten Their Power), sostiene che il ritardo nell’ottenere una risposta è un problema molto serio in

tutti i Paesi “Foia” ma la situazione sembra più grave in Italia. “In Gran Bretagna - spiega il ricercatore - solo una richiesta su 5 arriva oltre il limite di 20 giorni stabilito

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dalla legge. Dopo pochi anni dalla sua approvazione, in Australia, il 50% delle risposte arrivava in tempo e solo una su 5 dopo 45 giorni. L’inadempienza, i ritardi e i dinieghi permettono alle PP.AA. di ignorare semplicemente la legge e più questa viene ignorata e meno diventa efficace. Ciò innesca una spirale negativa che ostacola la cooperazione col cittadino disincentivando l’esercizio del diritto di accesso”. Per funzionare bene, un Foia, secondo Worthy, dovrebbe essere accompagnato da una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica (es. spot televisivi come in Scozia); dall’esercizio del diritto di accesso da parte di un’ampia varietà di individui nonché da una loro attività di pressione affinché questo diritto sia rispettato; dall’appoggio di politici e funzionari pubblici di alto profilo che si impegnino a promuovere tale diritto; da un efficace sistema di ricorsi e sanzioni.

“L’alto numero di dinieghi impropri, ad esempio, per motivazioni non stabilite dalla legge, suggerisce la necessità di assicurare una formazione migliore ai dipendenti pubblici - chiarisce Toby Mendel, fondatore del Centre for Law and Democracy di Halifax, in Canada -. Inoltre, alcune risposte (come il rifiuto motivato dalla mancanza di firma autografa) suggeriscono la necessità di ricordare ai funzionari pubblici il loro obbligo di assistere i richiedenti poiché un rifiuto su questa base non ha alcun senso”. Ma torniamo ai dati. La stragrande maggioranza delle PP.AA. contattate sembra considerarsi in diritto sia di ignorare le domande dei cittadini sia di poter andare contro una legge che li obbliga a fornire una risposta. Prendendo in considerazione solo gli enti a cui l’associazione ha inviato più di 50 richieste di accesso (Asl, Prefetture, Comuni, Ministeri, ospedali), pessimi segnali sono arrivati da ospedali (90% di richieste ignorate), Asl (70%) e Ministeri (60%). Comuni e Prefetture, in media, hanno ignorato una richiesta Foia su due. Un risultato migliore viene dalle Regioni che hanno risposto a 6 richieste su 10 (delle 50 inviate) e dalle Forze dell’ordine che hanno risposto al 75%. Se si escludono gli enti nazionali, che non hanno risposto a più della metà (55%) delle richieste Foia, sono poche le Regioni ad avere avuto grandi performance. Lombardia (67%) e Lazio (73%), ad esempio, hanno scelto di non dare alcuna risposta a più della metà delle richieste ricevute (111 richieste su 166 inviate bypassate in Lombardia e 61 richieste su 84 nel Lazio). Male anche la Calabria, dov’è stato ignorato l’86% della ventina di richieste inviate. Situazione migliore in Veneto e Piemonte (56% di richieste ignorate). Le cose sono andate meglio in Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Umbria.

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Tra le richieste che hanno ricevuto risposta nei 30 giorni previsti, il 59% ha garantito l’accesso a tutte le informazioni richieste (nel 15% dei casi totali le PP.AA. non hanno fornito alcun riscontro su uno o più punti della richiesta violando comunque il diritto di accesso). Aggiungendo le richieste classificate come soddisfacenti (in cui è stato ottenuto almeno l’80% delle informazioni) si arriva a un totale del 63%114. Le PP.AA.

che hanno garantito di più l’accesso nei 30 giorni sono state le Regioni (63% di risposte soddisfacenti) e i Comuni (76%) mentre a livello territoriale spicca su tutte la Valle d’Aosta con il 67% di risposte soddisfacenti. È interessante notare come le richieste inviate da Access Info Europe sui “centri di detenzione per migranti” e la “gestione delle proteste da parte delle forze di Polizia”, che non avevano ricevuto risposta in passato (con la legge 241/1990) hanno invece avuto riscontro grazie al Foia. Nel primo caso è stato possibile ottenere l’80% delle informazioni, mentre nel secondo il risultato è stato un accesso molto parziale (Polizia di Stato) o il diniego completo (Carabinieri).

Il dato che colpisce maggiormente è l’altissimo numero di rifiuti irregolari e legati alla mancata conoscenza da parte delle PP.AA. della normativa. Nonostante ogni richiesta utilizzi la definizione “accesso generalizzato” e il riferimento normativo specifico in diversi casi i responsabili del procedimento hanno trattato la richiesta secondo la precedente legge sull’accesso (241/1990) o considerandola come una richiesta di accesso civico, ovvero sugli obblighi di pubblicazione. Ad esempio, l’accesso è stato negato per mancanza di motivazione o di dettagli su come il richiedente intenda utilizzare i documenti richiesti, e questo anche se il decreto trasparenza specifica che i richiedenti non sono tenuti a fornire alcuna motivazione. “Molti dinieghi sono estranei a ciò che è previsto dal decreto e dalle linee guida Anac - si legge ancora nel report -. Tra queste citiamo: il “danno alla professionalità” delle persone coinvolte; il rischio che “i dipendenti interessati vengano discriminati o subiscano svantaggi personali o sociali sul luogo di lavoro”; una non meglio definita “confidenzialità delle informazioni”. In altri casi, pur detenendo le informazioni, il responsabile del procedimento ha risposto che “la richiesta va mandata all’ufficio

114 Questi alcuni dei dati ricevuti: i documenti presentati dai candidati al concorso per il posto di

professore associato bandito dall’Università del Molise; le email di reclamo inviate dai cittadini alle aziende che gestiscono i trasporti pubblici a Torino e Napoli; le copie delle ispezioni sanitarie realizzate dalle ASL lombarde nelle carceri di Pavia, Como, Busto Arsizio e Bergamo; documenti sulla gestione dei migranti: dai regolamenti interni dei CIE ai numeri dei rimpatri, da informazioni sull’accesso alle cure fino al nominativo e il contatto dei responsabili dei CIE; le ricevute delle spese di viaggio (copia dei biglietti e ricevute d’albergo) dei presidenti delle Regioni Toscana, Emilia Romagna e Valle d’Aosta.

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stampa”, o che è “il sindaco a dover stabilire quali informazioni è bene rendere note o meno”. Non mancano risposte ostili, quali “in questo momento non possiamo dedicare tempo a questa sua richiesta di cui non sappiamo a che titolo viene avanzata”. Alcuni volontari si sono trovati di fronte addirittura all’inconsapevolezza di cosa sia il Foia: “Scusi, è una società?”, ha chiesto al telefono un carabiniere che cercava di capire come gestire l’istanza. “Ci piacerebbe rispondere ma non abbiamo il personale per farlo”, hanno risposto da un’Asl, mentre da un piccolo Comune hanno replicato: “il file che

devo mandarvi è troppo pesante ma in questo Comune non possiamo usare WeTransfer. Aspetti un’oretta: il tempo di andare nel Comune qui vicino a inviarle i documenti da li!”. C’è poi il caso di un Ministero che invia una raccomandata, affrancata con 4,10

euro, per dire al richiedente di aver ricevuto l’email e di avergli risposto per email. E vi sono quelle amministrazioni che, di fronte a richieste simili, non si comportano allo stesso modo. Così, se la Gtt di Torino e l’Anm di Napoli hanno soddisfatto senza problemi la domanda, nessuna risposta è arrivata dall’Atac di Roma, mentre l’Atm di Milano si è rifiutata di consegnare la documentazione sostenendo che ciò avrebbe causato “un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi economici e commerciali dell’azienda”, in quanto le risposte agli utenti contenevano elementi che “costituiscono il know how aziendale”. Un’argomentazione che non convince Claudio Cesarano, project manager dell’associazione: “Così viene vietata la possibilità di esercitare un controllo civico su come è gestito un servizio pagato dai cittadini, esattamente ciò per cui è nato il Foia”115

. Eppure, se si prendono in considerazione solo le richieste che hanno ricevuto un riscontro, si può dire che i tempi di risposta sono migliorati rispetto al 2013: i dati del primo monitoraggio segnalavano come in media agli enti servissero 30 giorni per replicare a una richiesta di accesso con la 241/1990, oggi si deve aspettare in media 23 giorni. Inoltre, considerando le PP.AA. che hanno risposto prima dei 30 giorni, la media scende a 17 giorni, a conferma che se l’intenzione della PA è quella di rispondere, può farlo ampiamente nei tempi. Se bene applicato, quindi, il Foia funziona. “Quella che abbiamo testato negli ultimi mesi è una legge migliorabile e non deve spaventare il pensiero di dover mettere mano a una norma relativamente recente perché la storia del diritto mostra che esso è materia viva che deve evolvere insieme alla società che regola – conclude il report -. Il Foia statunitense […] è stato modificato più

115 Da “Trasparenza, il Foia all’italiana è ignorato: Il 73% delle amministrazioni non risponde alla

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volte […]. L’introduzione dell’accesso generalizzato è un passo avanti per l’Italia verso una trasparenza reattiva senza precedenti e sinergica agli open-data. Tuttavia, è inaccettabile che più di 7 volte su 10 le PP.AA. non rispondano ai cittadini e che, quando lo fanno, più di un rifiuto su tre sia irregolare”. Le raccomandazioni finali dell’associazione si dividono in due livelli di azioni, a breve e a medio termine.

1. A breve termine: corretta applicazione del Foia. Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione deve richiamare tutti i funzionari pubblici al rispetto degli obblighi previsti dal decreto trasparenza e assicurarsi che sia garantita un’adeguata formazione a tutte le persone coinvolte nel procedimento di richiesta affinché applichino correttamente la legge. Il Ministero deve richiedere resoconti periodici su come sono gestite le richieste, se le scadenze sono rispettate e quali siano le motivazioni dei dinieghi. Le PP.AA. devono assicurare che tutte le richieste vengano gestite e ricevano risposta entro il limite dei 30 giorni previsto dalla legge. Le PP.AA. possono negare l’accesso alle informazioni soltanto applicando le eccezioni previste per legge e notificandole per iscritto ai richiedenti. Il silenzio-diniego non è contemplato. Ogni PA deve avere procedure trasparenti e funzionali all’esercizio del diritto di accesso, deve indicare sul proprio sito istituzionale l’indirizzo che deve essere utilizzato per l’invio di richieste, chi è il responsabile della loro gestione e quali sono le procedure. La gestione della richiesta in prima istanza e il riesame devono essere gestiti da figure diverse: non può essere affidata al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza la gestione della richiesta in prima istanza. L’Anac deve revisionare le proprie linee guida e fornire alle PP.AA. istruzioni chiare sull’applicazione delle eccezioni.

2. A medio termine: riforma della legge per il diritto di accesso. La legge deve essere riformata per creare un ente supervisore che abbia poteri sufficienti per adempiere le seguenti funzioni: formare i funzionari pubblici nell’applicazione della legge; promuovere il diritto di accesso alle informazioni; ricevere reclami sulla gestione delle richieste e su altre violazioni della legge; ordinare la pubblicazione di informazioni e imporre altre misure alle PP.AA. per garantire il rispetto della legge; - sanzionare gli enti che non rispettano la legge.

È necessario creare un quadro normativo più chiaro, armonizzando il decreto trasparenza con l’accesso documentale (legge 241/1990) con un unico ente supervisore a tutela del diritto di accesso e del rispetto degli obblighi di pubblicazione. L’Italia deve firmare e ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sull’accesso ai documenti ufficiali e assicurarsi che il proprio ordinamento sia in linea con quanto previsto dalla Convenzione116.

116 Ignoranza di Stato – il primo Rapporto sull’applicazione del Foia italiano è consultabile integralmente

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