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Il confronto tra le categorie dell’elemento magico e la saga di Harry Potter

Meta-riflessione

2. Deduttivo: adozione delle recenti scoperte in ambito cognitivista alla comprensione della funzione svolta dall’elemento magico nel testo di Rowling e più in generale ai racconti di fate

3.1. Il confronto tra le categorie dell’elemento magico e la saga di Harry Potter

Il primo contatto che il lettore della saga di Harry Potter sperimenta nei confronti della magia riguarda una serie di eventi che si potrebbero definire improbabili, bizzarri e iperbolici. È infatti la categoria magica dell’iperbole ad accompagnare chi legge nella scoperta del soprannaturale, con quest’ultimo che viene inizialmente ridimensionato o addirittura rifiutato dai personaggi del racconto.

“It was on the corner of the street that he noticed the first sign of something peculiar — a cat reading a map.For a second,

Mr. Dursley didn’t realize what he had seen — then he jerked his head around to look again. There was a tabby cat standing on the corner of Privet Drive, but there wasn’t a map in sight. What could he have been thinking of? It must have been a trick of the light” (Rowling 1998, 2)

L’idea stessa che un simile avvenimento possa essere ritenuto reale viene scartata nelle righe successive, quando quello stesso gatto inizia a leggere i segnali stradali; tuttavia, se ci si sofferma e si analizza la forma magica utilizzata dalla scrittrice è subito evidente come la stessa manifestazione del soprannaturale possa corrispondere a più categorie. Un gatto che legge un cartello, o una mappa,

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ad esempio, implica sia un essere antropomorfizzato, esattamente com’era per Pinocchio prima di incontrare la fata dai capelli turchini, sia, come si apprenderà nelle pagine successive, un’entità che ha subito una metamorfosi. Le due prospettive sono molto differenti, perché da una parte, nel caso dell’antropomorfizzazione, ci si relaziona con un cambiamento di status puramente cognitivo; come nel caso di Pinocchio, poiché il suo corpo era di legno e tale rimane anche dopo la comparsa di altre facoltà. D’altronde il fatto di parlare come un essere umano e comportarsi come tale non modifica lo status ontologico del soggetto in questione, che per l’appunto rimane un bambino di legno (un giocattolo). Nel secondo caso invece, quello della metamorfosi, a cambiare è proprio lo status ontologico, al quale può corrispondere, o meno, anche una modifica delle facoltà cognitive. Ad esempio, un cane che si trasforma in un drago non ne cambia anche i processi psichici e i pensieri. Ed è per questo che è importante considerare la manifestazione dell’elemento magico secondo un punto di vista specifico, capace quindi di conferire a quell’evento, per quanto assurdo, una cornice interpretativa precisa e adatta a coglierne più sfumature. Se si assume infatti la prospettiva di Silente, oppure quella di Hagrid, quel gatto rappresenta un essere umano che ha subito una metamorfosi, mentre se si prende in considerazione il giudizio dei Dursley, ecco che l’interpretazione più ovvia è quella dell’iperbole, mentre per il narratore (che esprime la voce del dubbio) si tratta di un’antropomorfizzazione. Il lettore infine, ancora ignaro dalle regole e delle possibilità offerte dal mondo magico narrato, si adeguerà al punto di vista più confacente alle sue inclinazioni (che probabilmente risulterà essere quello del narratore).

Una scena analoga, e che richiede la medesima lettura degli eventi, si verifica poco dopo e sempre la sera stessa, quando i Dursley ascoltano il notiziario della televisione.

“And finally, bird-watchers everywhere have reported that the nation’s owls have been behaving very unusually today. Although owls normally hunt at night and are hardly ever seen in daylight, there have been hundreds of sightings of these birds flying in every direction since sunrise. Experts are unable to explain why the owls have suddenly changed their sleeping pattern.” (Rowling 1998, 4)

Da questi due soli esempi e poche pagine, si può notare come l’introduzione che il lettore ha nei confronti della storia coinvolga sì l’inaspettato, ma pur sempre interpretabile come un fatto verosimile (ovviamente a patto che si accetti l’anormalità offerta dall’iperbole come forma esplicativa di ciò che è appena avvenuto). Si potrebbe a questo punto suggerire come l’iperbole funga da mezzo di ingresso nel mondo magico, consentendo di mantenere, ancora, quella che è la possibile e normale concezione della realtà da parte del lettore. Non essendoci infatti un indirizzo interpretativo specifico da parte del narratore, il lettore si può porre il dubbio sulla probabilità che quanto narrato sia reale, oppure no, poiché non ha ancora le prove né per accettare l’inspiegabile come effetto magico, né per

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scartare tale ipotesi. È come se la struttura iniziale del racconto richiedesse al lettore di presupporre come possibile ciò che all’apparenza sembrerebbe invece improbabile, o quanto meno bizzarro. D’altronde il narratore non prende una posizione, nonostante descriva i fatti da una prospettiva privilegiata, qual è quella della terza persona; ed il perché non scelga una linea interpretativa univoca dipende dal fatto che egli in realtà possiede un’onniscienza limitata, benché agli occhi del lettore appaia totale (Groves 2017, 100). E tale scelta ha una sua logica, ovviamente, poiché da sempre la lettura per l’infanzia predilige focalizzazioni interne, mentre quella per gli adulti esterne; è solo di recente che il mondo narrativo dei più piccoli sta adottano logiche narrative dirette a un pubblico più grande (Calabre 2013, 25). In secondo luogo, il narratore onnisciente permette al lettore di acquisire confidenza con il protagonista del racconto e, nel caso della saga di Rowling, si tratta di un fenomeno che, proprio in virtù di questa logica, accompagnerà solo il capitolo della Pietra Filosofale, per poi lasciare il passo a una focalizzazione interna fissa su Harry Potter (Calabrese 2010, 109; Groves, 2017, 108). Tuttavia, scegliere di focalizzare l’intero racconto su un unico soggetto presenta dei difetti, come quello di precludere al lettore i pensieri altrui (ad esempio fatti che il protagonista non conosce), ed è per questo che la terza persona onnisciente ricompare, anche se in forma limitata, all’inizio del Calice di Fuoco, del Il Principe Mezzo Sangue e del I Doni della Morte (Groves 2017, 108). Questa strategia narrativa è stata adottata sia da Rowling, ma anche da altri scrittori e scrittrici, tra cui Jane Austen, le cui opere sono state d’ispirazione per l’intera saga di Harry Potter (Ibidem).

La saga di Harry Potter inizia quindi a muovere i suoi primi passi da una focalizzazione e da un’introduzione all’elemento magico che abbandonerà nei successivi capitoli, ma che qui è importante perché aiuta il lettore ad accettare e a mantenere coerenti sia la struttura del mondo diegetico, sia la realtà extra testuale; tali approcci all’esistente, infatti, almeno in queste prime pagine, sono ancora perfettamente sovrapponibili. Nelle pagine successive, invece, l’iperbole inizia a richiedere un grado di implausibilità sempre maggiore, sino a lambire i confini delle altre categorie magiche, quali l’Adynaton e la Metamorfosi.

“He found what he was looking for in his inside pocket. It seemed to be a silver cigarette lighter. He flicked it open, held it up in the air, and clicked it. The nearest street lamp went out with a little pop. He clicked it again — the next lamp flickered into darkness.” (Rowling 1997, 9)

“He turned to smile at the tabby, but it had gone. Instead he was smiling at a rather severe-looking woman who was wearing square glasses exactly the shape of the markings the cat had had around its eyes. She, too, was wearing a cloak, an emerald one. Her black hair was drawn into a tight bun. She looked distinctly ruffled.” (Rowling 1997, 9)

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In entrambi quest’ultimi casi occorre infatti porsi la seguente domanda: cos’è che deve pensare il lettore di tali avvenimenti? E la risposta è duplice, nel senso che non si parla esattamente di magia, ma si lascia intendere che si tratti proprio di lei. Ad esempio, la Prof.ssa McGonagall porta degli occhiali che hanno una forma che riprende esattamente quella del contorno degli occhi del gatto, identificando quindi una metamorfosi che mantiene un legame tra fonte e effetto magico, proprio come vuole la legge della similarità. D’altronde sia la professoressa, sia il gatto, condividono una peculiarità che lascia intendere la presenza, nonché permanenza, di un tratto identificativo idiosincratico anche nell’atto della metamorfosi magica. Altrove invece, possiamo trovare un’applicazione della legge della similarità differente, com’è all’interno di La Bella e la Bestia, dove lo sfiorire di una rosa indica, in modo allegorico, il tempo che rimane alla Bestia prima di restare per sempre vincolata alla sua condizione animalesca (quindi si descrive sempre un processo di metamorfosi, che viene qui vincolato a un oggetto). Da questo esempio si evince come la magia determini una connessione mistica, esercitata per mezzo di un incantesimo, tale per cui due oggetti giungono a condividere un destino comune, benché non vi sia alcun rapporto causale descrivibile attraverso l’approccio scientifico. E sempre nel caso della rosa, maggiore sarà il suo deperimento, minori saranno le chance per la Bestia di tornare a essere un giovane umano, quindi di invertire il processo di metamorfosi; quella instaurata è perciò una relazione inversa. Ed il tratto comune, che lega tra di loro la rosa e la bastia è di natura allegorica e riconducibile a dei comportamenti; poiché è la mancata ospitalità ad aver reso l’essere umano una bestia e la rosa rappresenta solo lo sfiorire della sua anima, della sua gentilezza e gioventù. Un caso analogo è quello descritto da Oscar Wilde nel

Ritratto di Dorian Gray, dove un dipinto giunge ad acquisire ogni segno d’invecchiamento e danno

che sarebbero dovuti invece giungere al loro legittimo promotore, in questo caso Dorian Gray; il quale riesce invece a sfuggire al logorio del proprio corpo grazie al dipinto, che incassa, al suo posto, ogni sorta di malvagità. In questo caso il principio magico che rende possibile questa connessione, tra soggetto del dipinto ed essere umano, è proprio il principio della similarità perfetta tra la figura del dipinto e Dorian, espresso da una sorta di bambola voodoo più precisa. Una volta identificata la legge magica che anima questi esempi è poi possibile ammirarne la manifestazione come fenomeno e notare quindi come in entrambi i casi descritti siano coinvolte sia la categoria magica dell’antropomorfismo, sia quella della metamorfosi, le quali violano sia la legge della Conservazione, sia quella dell’Indipendenza descritte dal modello causale scientifico. Nel caso del ritratto, così come in quello della rosa della bestia è infine possibile notare come il principio della similarità da solo non basti per innescare la manifestazione magica, ma siano implicitamente presenti anche il principio del contagio e della partecipazione. La copresenza di più principi non è affatto un caso raro, come neppure la presenza di più categorie (o una loro molteplice chiave interpretativa), ma è comunque possibile

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identificare un principio fondativo e l’azione degli altri che funge da corollario. Tuttavia nel caso della Professoressa McGonagall, a prevalere è solo la legge della similarità e per tanto la combinazione di più leggi sarà trattata altrove. La complessità dell’elemento magico infatti, almeno nella saga di Harry Potter, si sviluppa sulla base della progressiva conoscenza del soprannaturale da parte del lettore. Il quale, almeno all’inizio della saga, non è costretto ad accettare che lo spegnersi delle luci, così come la trasfigurazione del gatto, siano opera della magia, poiché tale termine non è ancora stato menzionato e quindi sono ancora possibili altre ipotesi e spiegazioni riconducibili ad altri modelli causali. Compaiono poi altri oggetti assolutamente bizzarri, come ad esempio un orologio con dodici lancette e diversi pianeti, così come una motocicletta che si dice possa volare ed altre informazioni non contestualizzabili, poiché riportate da un narratore onnisciente che sfrutta la parallessi per immettere nel racconto più informazioni di quelle espresse dai punti di vista dei singoli attanti (Calabrese 2010, 111). Persino la motocicletta volante rientra nell’iperbole, poiché non vi è alcuna prova visiva di tale manifestazione del soprannaturale e per tanto la figura retorica non richiede un’assunzione letterale.

Dal secondo capitolo in avanti, ne La Pietra Filosofale, invece, cambiano sia la quantità, sia la qualità dei fenomeni bizzarri, la cui ampiezza non può più essere descritta dall’iperbole e per questo si è costretti ad accedere alla categoria dell’adynaton, nella quale le situazioni assumono un carattere controintuitivo. In uno dei passaggi del testo, ad esempio, si verifica un effetto paradossale, dal carattere magico controintuitivo, generato direttamente dai pensieri di Harry.

“Another time, Aunt Petunia had been trying to force him into a revolting old sweater of Dudley’s (brown with orange puff balls). The harder she tried to pull it over his head, the smaller it seemed to become, until finally it might have fitted a hand puppet, but certainly wouldn’t fit Harry”. (Rowling 1997, 37)

Da queste poche righe si può notare come Harry non volesse indossare il maglione di Dudley e come questo oggetto abbia improvvisamente subito una trasformazione tale da renderlo adatto solo a un pupazzo. Ed è interessante notare come l’impossibile descritto da questo esempio afferisca certamente all’iperbole, ma di fatto risulti meglio compreso nella categoria del mentalismo, poiché si verifica una trasformazione volontaria e in continuità con i pensieri del protagonista; è il suo desiderio a plasmare la realtà. Una sorta di telecinesi che non si limita a spostare degli oggetti col pensiero, ma che può persino mutare a suo piacimento la realtà fisica nella quale essi sono immersi, ad esempio influenzando le dimensioni di un maglione. Ed è a partire da casi come questi che sorge un problema, perché benché la forma assunta dal fenomeno soprannaturale possa ricondursi a una o più categorie, sembrano comunque essere assenti le leggi del modello causale magico ipotizzate in precedenza, ovvero la similarità, il contagio e la partecipazione. Certamente viene violata l’indipendenza del

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modello causale scientifico, perché in questo specifico caso un oggetto è influenzato dal pensiero di una persona, ma qual è la legge magica che rende possibile tale prodigio? Per rispondere a questo quesito occorre riprendere l’immagine descritta dalle parole di Rowling per rendersi conto di come sia il contatto tra il corpo di Harry e l’insistenza della zia nel fargli indossare proprio quel maglione a produrre il restringimento dell’indumento. È quindi il contatto tra il maglione ed Harry, nonché i pensieri di quest’ultimo, che per contagio (ovvero grazie a un contatto fisico diretto), modificano la realtà e portano all’avverarsi d’esito desiderato. Il pensiero e con esso la volontà del giovane mago influenzano in modo diretto la realtà, ma è il contatto tra Harry e il maglione a rendere possibile la magia. Nei prossimi esempi, invece, la comprensione della forma assunta dall’elemento magico si fa molto più complessa.

“On the other hand, he’d gotten into terrible trouble for being found on the roof of the school kitchens. Dudley’s gang had been chasing him as usual when, as much to Harry’s surprise as anyone else’s, there he was sitting on the chimney.” (Rowling 1997, 37)

“Harry sat up and gasped; the glass front of the boa constrictor’s tank had vanished.” (Rowling 1997, 40)

In entrambi questi casi, così come in quello del maglione, sembrano essere i pensieri a rendere materico quello che nella realtà fisica sarebbe invece descritto come un wishful thinking, perché in tutte queste situazioni basta un desiderio da parte del protagonista per piegare la situazione a suo vantaggio e rendere così concrete le sue speranze (Kahneman 2013). Purtroppo mancano però sia un contatto fisico o simbolico, sia un qualsivoglia rapporto di somiglianza che permetta di giustificare la presenza di tale legge magica, così come per il contagio. Resta a disposizione una legge, la partecipazione. Ed è questa, in combinazione alla forma del paradosso a rendere possibili sia l’apparizione di Harry sul tetto senza l’uso di bacchetta, contatti e similarità di altro tipo, sia la sparizione della teca nel caso del serpente; ma questo argomento verrà affrontato quando si analizzerà il racconto Tre Fratelli, che appartiene all’ultimo testo della saga, e il senso della bacchetta di Sambuco.

Ad ogni modo, questi esempi sono stati utili anche per introdurre il concetto di wishful thinking, che è di fatto una delle prove della sovrapposizione tra bias cognitivi e strategia narrativa del soprannaturale, la cui combinazione rientra perfettamente nello schema di continuità tra psiche e scrittura indicato all’inizio di questo elaborato. È come se l’impalcatura utilizzata da Rowling altro non fosse che un telaio forgiato dai processi cognitivi a cui è vincolato il pensiero umano e che trovano nella narrativa soprannaturale una sorta di metalessi bidirezionale perenne. Ovvero, da una parte vi è una metalessi discendente nel rapporto tra processi cognitivi e diegesi del racconto, poiché la

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frustrazione dei bias come il wishful thinking trovano finalmente una catarsi nel mondo finzionale (Calabrese 2007, 61-62). Dall’altra parte invece, il racconto finzionale stesso, diventa medium per la comprensione e controllo stesso della realtà per mezzo del soprannaturale, quindi una metalessi ascendente; così come verrà mostrato nelle prossime pagine e descritto in modo completo nel paragrafo 4.5. Le figure retoriche, infatti, trovano da sempre nella narrazione soprannaturale un terreno fertile per un’espansione maggiore rispetto al loro uso corrente, perché in questi racconti la letteralità espressa dal linguaggio figurato può finalmente essere assunta come dato di fatto e non esclusivamente come un rimando a qualcos’altro. Si verifica così un riavvicinamento tra significato denotativo e connotativo tale da annullare altri spazi interpretativi del senso, se non quelli legati alla struttura dell’elemento magico stesso. Sostenere ad esempio che con una motocicletta, come quella di Hagrid, “si possa volare”, non è più un mero rimando alle proprietà del mezzo di trasporto in sé, ma una possibile realtà dello stesso: la moto vola per davvero, anche se solo nella narrazione. Ed è di questa ambiguità, tra esperienza narrativa ed extradiegetica, che si nutre l’introduzione al mondo di

Harry Potter, il quale lascia il lettore nel dubbio, come sosteneva Todorov, che l’interpretazione della

realtà possa essere incerta; pagina dopo pagina. Tuttavia, già dal terzo capitolo di La Pietra Filosofale qualcosa cambia e questa tensione tra possibile e impossibile si esaurisce, e ciò si verifica proprio quando l’iperbole non riesce più a contenere fenomeni soprannaturali meglio descritti dall’adynaton, come ad esempio l’invasione di lettere a cui la famiglia Dursley dovrà far fronte al decimo compleanno di Harry.

“No post on Sundays,” he reminded them cheerfully as he spread marmalade on his newspapers, “no damn letters today —”. Something came whizzing down the kitchen chimney as he spoke and caught him sharply on the back of the head. Next moment, thirty or forty letters came pelting out of the fireplace like bullets. The Dursleys ducked, but Harry leapt into the air trying to catch one —.” (Rowling 1997, 32)

In questo caso il motivo per il quale le lettere perseguitano la famiglia Dursley, ed Harry, è da ricondurre al contatto fisico che la prima missiva ha avuto col suo destinatario. Fu Harry, infatti, a raccoglie la prima lettera dalla buca della posta e cercare di aprirla, ma i suoi famigliari glielo impedirono e da quel momento in poi le missive continuarono a piombare a casa dei Dursley a ritmo incessante. È come se da quel contatto in poi si fosse creato un legame stabile, invisibile ed indivisibile tale per cui ovunque Harry andasse lo seguissero anche le lettere. Questo filo del destino nasce quindi da un tocco, dal fatto che quelle lettere possiedano una missione, quella di raggiungere Harry, ovunque esso sia. Per questa ragione non si può dire che esse siano antropomorfizzate, poiché nel racconto non vi è accenno a una loro personalità, piuttosto vengono descritte come la piaga delle rane del Vecchio Testamento, ovvero come un’iperbole guidata da uno scopo ben preciso, ovvero

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comunicare qualcosa di importante ad Harry (Feld 2012, 137). Il problema è che tale interpretazione della categoria magica della lettera si può applicare solo ai primi episodi, mentre quando queste