Meta-riflessione
2. L’approccio al testo
2.1. La formulazione delle ipotesi di ricerca
Gli autori presi in considerazione nel il primo capitolo hanno posto in evidenza alcune delle sfaccettature di quello che è stato sin qui definito come elemento magico e nel loro insieme hanno
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delineato la presenza di una modello causale composto da alcuni principi chiave e da leggi capaci di definire il soprannaturale sia nella sua forma letteraria, sia nella sua espressione cognitiva. Ed è proprio a partire da questa grande strutturazione, o matrice, che diventa ora possibile formulare delle ipotesi di ricerca.
È ora infatti indubbio che l’elemento magico e il suo modello causale si muovono per complementarietà ed opposizione rispetto al modello causale scientifico, e in parte a quello religioso, ed è stato inoltre suggerito come tra questi tre modelli esistano delle fasi di sviluppo che hanno seguito sia l’evoluzione della struttura della società, sia il processo d’acquisizione delle facoltà cognitive da parte dell’essere umano. Ritornare su questi concetti sarebbe ripetitivo, poiché si riprenderebbe quanto già esposto nel primo capitolo, tuttavia è importante sostenere ancora più saldamente l’esistenza di questi tre modelli e la congiunzione tra teorie cognitiviste e critica letteraria, poiché è da qui che sarà possibile formulare delle ipotesi più precise. Per fare questo il primo passo è quello di domandarsi che cosa renda possibile attribuire a una qualunque entità l’etichetta di esistente, ovvero quali siano i criteri per dire che qualcosa esista davvero e non sia semplicemente il frutto della propria immaginazione? Una delle possibili risposte a questa domanda chiama in causa l’interazione tra due processi: il primo è di natura percettiva, ed include i sensi e le risposte agli stimoli esteriori, mentre il secondo ingaggia direttamente l’articolato sistema decisionale umano. La fusione dei due conduce alla costruzione razionale dell’oggetto. In altre parole, la mente umana percepisce le entità del mondo attraverso i sensi, per poi interagire con esse e misurarle mediante esperimenti, e solo una volta terminate queste due operazioni diventa possibile la produzione di un costrutto razionale dall’etichetta stabile e che coinvolga un’entità percepita com’è. La ragione per la quale sarebbero necessari tutti questi passaggi è da ricercarsi nel bisogno di attribuire una maggiore stabilità a un altro fenomeno strettamente umano, ovvero l’esperienza soggettiva. La costruzione di un concetto razionale dell’oggetto percepito, infatti, conferisce una forza maggiore, un’oggettività, che altrimenti i soli sensi non sarebbero in grado di produrre (Subbotsky 2010, 140-143; 2019, 54-58).
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Questa stabilità così prodotta è necessaria a definire il rapporto tra ciò che è reale, PER, e ciò che invece appartiene al dominio del fantastico, PMR, nonché del sogno, IMR, e che per questo possiede inoltre uno status ontologico ritenuto più debole. È infatti possibile asserire che affinché qualcosa sia considerato come espressione della realtà ordinaria, PER, occorre che siano prima presenti tre elementi: il primo è la percezione stessa del fenomeno, il secondo è la sua costruzione razionale, attraverso esperimenti e misurazioni condivise da una collettività, e infine occorre che sia presente un’immagine mentale che permetta di richiamare l’entità una volta che essa sarà fuori dal proprio campo percettivo. Tali elementi devono necessariamente interagire tra di loro e tramite un rapporto di corrispondenza reciproco il cui scopo è quello di conferire forza al fenomeno esperito che si cerca di descrivere, attribuendoli di volta in volta uno status ontologico più o meno forte e di conseguenza l’appartenenza al mondo della realtà, PER, o a quello della fantasia, PMR, a seconda dei rapporti di reciprocità stabiliti (Subbotsky 2010, 147-150).
Fig. 6 Gerarchia ontologia del soprannaturale
Per comprendere meglio il concetto appena espresso, Subbotsky propone due esempi. Il primo è quello di considerare oggetti di cui esistano solo l’immagine mentale e il concetto razionale, e che per questo presentino un deficit, o uno status ontologico traballante. Un esempio potrebbe essere l’ubicazione di oggetto in luogo al momento inaccessibile alla percezione, com’è il caso di un libro sullo scaffale di una libreria pubblica dove ci si è recati qualche mese fa, oppure un ricordo del proprio passato, come una vacanza con gli amici. Entrambe queste situazioni rimandano infatti a entità di cui si è persa, o per la quale è momentaneamente assente, la percezione diretta del fenomeno, e questo vale per ogni ricordo afferente alla sola sfera mentale, oppure per ogni oggetto fuori dal proprio campo percettivo. D’altronde, benché sia presumibile che queste entità fossero inizialmente ontologicamente molto forti e stabili, poiché esperite e in accordo sia con un’immagine mentale, sia con costrutto razionale, al momento risultano però prive di quell’ultimo tassello procedurale, che è tuttavia necessario per assicurare loro lo stesso status ontologico originario, e per il quale risultano infatti indicate come deboli (contrassegnate quindi con l’etichetta “medium” della tabella qui sopra). Il secondo esempio proposto dal cognitivista russo, invece, è quello di un’entità ontologicamente debole sin dalla sua origine, poiché deliberatamente in opposizione con concetti ritenuti
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razionalmente accettati, o perché distorsiva rispetto alla percezione umana. Ed è il caso, ad esempio, della rotazione terreste attorno al sole, che dal punto di vista percettivo sembra invece suggerire proprio l’esatto opposto, ovvero il moto della stella attorno al pianeta, violando così la costruzione razionale prodotta dalle misurazioni moderne. Questo ultimo caso, mostra inoltre come la percezione umana, se priva di altri elementi, possa risultare fallace e per questo motivo incapace di attribuire uno status ontologico sufficientemente solido a ciò che viene esperito dall’essere umano (Subbotsky 2010, 148-149).
La teoria appena esposta è solo una delle tante che cerca di spiegare l’interazione tra l’essere umano e il suo ambiente, ma in questo caso essa è utile a comprendere alcuni concetti. Il primo è che esiste una gerarchia tra i domini a cui la mente umana può attingere, nonché delle regole affinché un’entità possa passare da un dominio all’altro; mentre il secondo punto è che l’esperienza soggettiva non è sufficientemente stabile da poter, da sola, attribuire uno status di reale alle entità percepite dall’essere umano. Ed entrambi questi aspetti investono anche la costruzione dei racconti di fate, acquisendo una specifica declinazione e ponendo così, ancora una volta, sullo stesso piano strutture cognitive e narrative. D’altronde è già stato sottolineato come per i critici letterari la costruzione del mondo fantastico non possa essere priva di riferimenti alla realtà ordinaria, suggerendo così l’idea che anche l’immaginazione più fervida sia comunque subordinata alla conoscenza delle regole del mondo reale e debba confrontarsi con esse, scendere a patti, per acquisire una maggiore leggibilità da parte del lettore e consistenza ontologica (Davidsen 2016, Feldt 2016; Holdier 2018, 73-88; Todorov 1977, 169-170). Il secondo tema, invece, quello della fallacia dell’esperienza soggettiva, emerge come costante in molti dei racconti di fate, da Alice nel Paese delle Meraviglie ad Hansel e Gretel. Nulla infatti vieta al lettore di immaginare che Alice abbia semplicemente sognato il suo viaggio nel Paese delle Meraviglie, così come potrebbe essere successa la stessa cosa a Dorothy nel Mago di Oz, oppure ad Hansel e Gretel, che nel finale eccessivamente positivo ed inverosimile del loro racconto uccidono la strega e ritrovano la via di casa; un’ipotesi al quanto improbabile (Orlando 2017).
Se si accetta quindi l’idea che esistano piani della realtà differenti, dotati di una loro gerarchia, regolati da principi differenti e abbastanza viscosi da permettere all’essere umano di varcarli senza incappare in problemi, ma neppure così laschi da consentire di violarne la struttura, così come potrebbe fare il protagonista di un racconto di fate, allora può sorgere spontaneo chiedersi se non ci sia una connessione più forte tra testo e realtà esperita. In breve, quello che ci si domanda è se non possa esistere una similarità forte tra la struttura che regola la percezione del soprannaturale nella realtà e la descrizione di quest’ultimo nei racconti di fate. D’altronde, se questa domanda dovesse ottenere una risposta affermativa, sarebbe possibile contemplare l’idea che esista anche una grammatica dell’elemento magico nel racconto di fate e con essa una funzione specifica della forma
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assunta dal soprannaturale in questi testi. D’altro canto, per certi versi, questa risposta esiste già, ed è affermativa, come dimostrano sia gli studi portati avanti dal mondo della critica letteraria, sia quelli condotti dai cognitivisti, seppur le evidenze delle due scuole di pensiero non siano state ancora congiunte da uno studio specifico volto a dimostrare la fondatezza di tale connessione teorica. Ad esempio, sia Bettehielm, con la teoria psicoanalitica, sia Todorov, con l’analisi dei temi dell’io e del
tu, prendono in considerazione l’aspetto psichico sepolto nel racconto di fate, introducendolo così
nella produzione letteraria. Purtroppo però, nessuno dei due studiosi accetta l’esistenza di un genere letterario dalle maglie così larghe da poter inglobare in sé la Bibbia, così come i più recenti supereroi. Se poi ci si sofferma ad osservare da vicino il lavoro di questi due ricercatori è possibile notare come quello che tra i due è riuscito di più a cogliere e descrivere la presenza dell’aspetto psichico nel testo è forse Todorov, perché nella sua analisi non accetta la sola impostazione psicoanalitica, ma ingloba anche le teorie di Piaget e cerca di definire meglio la funzione svolta del racconto fantastico; in altre parole, non proietta uno schema teorico, ma ne scopre uno (Todorov 1977, 148-150). Come si è già accennato, all’interno di questo genere fantastico Otto-Novecentesco coniato da Todorov, egli riscontra la presenza di due grandi temi: quello dell’io, legato all’infanzia e alla conoscenza del mondo da parte dell’essere umano, e quello del tu, associato invece al desiderio e all’inconscio (Todorov 1977, 124, 143). L’aspetto interessante è che entrambe queste categorie tematiche, seppur con una metodica agli antipodi, sono state riprese e studiate anche da Subbotsky, il quale suggerisce come il rapporto tra l’essere umano e la conoscenza del mondo avvenga nella prima infanzia, mentre temi come la morte, la sessualità, la crudeltà, ovvero i temi del tu di Todorov, rappresentino l’oggetto di studio della metafisica, quindi presenti nella fase adulta, e siano tutt’ora questioni che richiedono la presenza dell’elemento magico per essere arginate. In altre parole, i due autori giungono a conclusioni similari, o quanto meno sovrapponibili, benché generate da prospettive differenti. Se per Todorov le due tematiche presenti nei testi fantastici richiamano gli aspetti psichici non risolti dell’infante e dell’adulto, per Subbotsky invece, sono i risultati espressi dai suoi esperimenti a dimostrare che la mente dell’essere umano comprende e si relaziona con l’elemento magico in modi differenti a seconda del suo stato evolutivo. E se si accetta questa sovrapposizione tematica, ovvero tra i temi presenti nei racconti di fate e quelli che emergono durante le ricerche cognitiviste, allora diventa possibile sovrapporre e creare così un ponte tra questi studi, benché metodologie e soggetti di studio siano tra di loro eterogenei, ma questa sarà una questione che verrà affrontata solo successivamente.
Una volta consolidata questa prima sovrapposizione contenutistica, si incontrano le divergenze teoriche dei due approcci nella formulazione delle forme e delle funzioni associate all’elemento magico. I critici letterari, ad esempio, hanno da tempo abbandonato lo studio delle forme
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assunte dal soprannaturale per fare posto all’analisi del rapporto tra il lettore, il testo, i temi di quest’ultimo, nonché la sua funzione nel racconto. I cognitivisti invece si sono occupati esclusivamente della fenomenologia del soprannaturale, tralasciando quasi del tutto l’idea che il racconto, ovvero un artefatto umano, potesse incorporare in sé e veicolare proprio tali forme magiche. È un po’ come se questi due binari di ricerca abbiano fatto scalo nella medesima stazione, ovvero quella dello studio del soprannaturale, per poi però viaggiare verso due destinazioni divergenti: da una parte lo studio del tema e della funzione svolta dal soprannaturale, mentre dall’altra quella delle forme assunte da quest’ultimo e la loro relazione con le facoltà cognitive umane. Ed è quest’ultima prospettiva scientifica che è stata posta al centro dello studio di Feldt, la quale, tra i primi, ha analizzato le forme del soprannaturale in un racconto, agganciandole poi alla funzione svolta nel testo ed infine al rapporto tra esso e il lettore. Il problema dell’analisi testuale così strutturata, com’è già stato avanzato in precedenza, è che ha preso come racconto di riferimento il Vecchio Testamento, non distinguendo così i vari modelli causali, nello specifico quello religioso e quello magico, mentre tra di essi vi sono notevoli differenze. Lo studio del testo sacro inoltre, era già stato escluso da critici come Propp, Orlando e Todorov, per via di alcuni problemi di fondo legati al rapporto tra le credenze del lettore e la pretesa di credibilità promossa dal testo. D’altronde è noto come il testo religioso pretenda di essere ritenuto vero dal lettore e questo non solo nel rapporto che si instaura durante la lettura del libro, ma anche nella realtà ordinaria stessa, superando così il vincolo temporale di sospensione del giudizio. Questo ultimo però non è problema nuovo alla letteratura, ci sono stati infatti numerosi romanzi che hanno portato alla costruzione di credenze radicate anche nella realtà, a prescindere dalla loro sensatezza e a quelli che erano gli intenti dell’autore (Calabrese 2017, 36-39; Devidsen 2016, 489-490; Feldt 2016). Tuttavia, e a prescindere dall’affascinante idea di alcuni autori di considerare i racconti di fate e la letteratura fantasy contemporanea come un mezzo per veicolare gli stessi contenuti di letture sacre come la Bibbia o il Corano, resta il problema della compatibilità tra i modelli causali, che impone l’esclusione delle conclusioni a cui giunge Feldt (Devidsen 2016, 489-490; Feldt 2015; Feldt 2016; Subbotsky 2010, 12-14). D’altro canto, anche il racconto di fate contemporaneo non pretende che il lettore ritenga estendibili le logiche presenti nel testo anche nella propria realtà ordinaria; si può tuttalpiù considerare tale effetto come secondario, se non addirittura involontario, benché auspicato durante tutta la lettura. Ed in tal senso ha ragione Todorov quando sostiene che il racconto fantasy pretende solo che il lettore sospenda il suo giudizio circa quanto narrato e non che inizi a credere ciecamente a quanto espresso dal testo, poiché in tal caso si giungerebbe in un altro genere narrativo, quello del meraviglioso (Todorov 1977, 53-56). Todorov stesso complica lo scenario di quest’ultimo genere letterario distinguendolo dal racconto di fate per
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via del differente modo di scrivere, e non per lo statuto attribuito al soprannaturale, ed inoltre elenca ben quattro varianti del meraviglioso: iperbolico, esotico, strumentale e scientifico.
Meraviglioso Struttura
Iperbolico
I fenomeni descritti sono naturali, ma le loro dimensioni li rendono inverosimili.
(es: pesci lunghi kilometri)
Esotico
L’avvenimento soprannaturale e mischiato ad altri naturali ed entrambi sono presentati dal narratore implicito come afferenti allo stesso piano.
(es: animali fantastici che includono caratteristiche impossibili).
Strumentale
Vengono presentati strumenti impossibili per l’epoca, ma del tutto credibili e possibili.
(es: una macchina per viaggiare nel tempo)
Scientifico
Il soprannaturale è spiegato in termini razionali, eppure esso si basa su leggi che la scienza non riconosce. (es. il racconto distopico, come Matrix)
Tab. 12, Le varianti del genere Meraviglioso di Todorov (Todorov 1977, 56-59)
A questo punto diventa facile comprendere come mai per Todorov vi fosse una differenza così sostanziale tra questo genere di forme soprannaturali e quelle contenute all’interno del genere fantastico da lui coniato. Eppure, se si accettano correnti di pensiero più recenti, come quella proposta dallo stesso Orlando, o da Feldt, non si può che chiedersi se tale articolazione non sia eccessivamente stringente e non finisca per escludere dall’analisi il racconto fiabesco, comunque afferente al modello causale magico, ed anch’esso ricco di elementi soprannaturali, così come letteratura fantasy contemporanea, di cui Il Signore degli Anelli, o Harry Potter sono due ottimi prodotti. Orlando ad esempio, include il fiabesco e propone di rileggere il soprannaturale in funzione della sua modalità narrativa e ad alcune caratteristiche del testo, dalla localizzazione al rapporto tra lettore ed entità inspiegabili; suggerendo inoltre una lettura del testo sulla base del confronto tra modelli causali.
Etichetta del Soprannaturale Descrizione Autori Derisione Rappresenta la massima espressione della critica Illuminista all’irrazionale Cervantes, Voltaire,
Montesquieu
Indulgenza
Prevale la superiorità illuminista, che si burla e si compiace dell’irragionevolezza attraverso l’eloquio. Il racconto non ha alcun fine pedagogico
Perrault, Basile
Ignoranza: sul sé
È presente una duplice prospettiva circa il soprannaturale, che induce a ritenere che chi è “inferiore”, per status e/o intelligenza, ceda alla credenza dell’impossibile. Ci si chiede se ci sia o meno il soprannaturale
Radcliffe, Hogg
Ignoranza: sul che cosa
Prevale ancora l’ambiguità della lettura, ma il soprannaturale è reso credibile poiché narrato in tempo antecedente a quello dell’autore. Ci si chiede che cosa ci sia stato oppure no.
Storm
Trasposizione Il soprannaturale non è messo in dubbio, ma viene mostrato
come un dato
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Imposizione
Il soprannaturale colpisce colui che non crede e il lettore è invogliato a immedesimarsi in chi crede nell’impossibile, deridendo così chi n’è vittima
Bulgakov, Kafka
Tradizione
Il soprannaturale è ritenuto reale ed accreditato, inoltre esso è strettamente connesso alle azioni immorali, alla tragedia, e a temi legati ad opposizioni dicotomiche, come la vita e la morte
Omero, Shakespeare, Dante, Grimm etc.
Tab. 13 La classificazione del Soprannaturale secondo Orlando (Orlando, 2017)
Con Orlando si abbandona la costruzione di genere adottata da Todorov e si analizza il testo e il rapporto tra il soprannaturale e il periodo storico in cui l’opera è stata scritta, avanzando l’idea che vi sia stata un’evoluzione nel modo di narrare e presentare ciò che non si può spiegare. In questa prospettiva inoltre, acquistano un senso maggiore i modelli causali esposti nel primo capitolo, sebbene anche in questo caso vi siano delle lacune, perché Orlando non prende in considerazione il testo sacro, né l’idea che esso possa avere un proprio modello causale di riferimento, come invece suggerisce Subbotsky; ed è inoltre assente un’analisi della forma magica e si mantiene così un’impostazione strutturalista del testo, poiché ci si concentra sul rapporto tra esso e il lettore, tra le strutture in esso espresse e i contenuti veicolati. Al di là di queste differenze però, i modelli descritti sin qui mostrano quali siano i lati lasciati scoperti dell’analisi testuale dei racconti di fate, come ad esempio lo studio delle forme assunte dal soprannaturale, che abbondano anche nella produzione narrativa contemporanea, nonché il loro rapporto con le scoperte cognitiviste e infine la funzione esercitata dall’elemento magico. L’insieme di questi temi, ancora in cerca di risposta, conduce alla formulazione delle seguenti domande di ricerca:
1. È possibile determinare un rapporto di sovrapposizione tra le leggi magiche, individuate nel primo capitolo, e il soprannaturale narrato nei racconti di fate?
2. Qual è il rapporto tra i processi cognitivi del lettore e l’elemento magico presente nei racconti di fate?
3. Qual è la funzione svolta delle forme dall’elemento magico presenti nel racconto di fate? 4. Esiste davvero una differenza, anche testuale, tra la funzione svolta dell’elemento magico nel
testo biblico e in quello contemporaneo?
Il primo interrogativo cerca di determinare la sensatezza dell’approccio strutturale nello studio del racconto di fate attraverso la sua veste più formalista, lasciandosi così alle spalle i già noti e approfonditi studi sui temi e sul rapporto tra testo e cultura di riferimento. Con questo quesito si provano quindi a congiungere gli studi antropologici condotti da Frazer con le scoperte cognitiviste di Subbotsky, passando per quella che è la fonte più longeva e viva dell’elemento magico, ovvero il testo. Questo ultimo è sopravvissuto là dove il rito è ormai scomparso, traportando al presente, non
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senza influenze e rivisitazioni culturali, quella che si può definire come la grammatica dell’elemento magico. Il secondo quesito invece, partendo dalla sensatezza del primo, suggerisce come sia il lettore ad essere coinvolto nella dinamica “forma del soprannaturale/processi cognitivi”, mentre l’autore ne possa essere stato l’artefice inconsapevole; si analizza quindi il rapporto tra testo e lettore. Il terzo