Meta-riflessione
2. L’approccio al testo
2.2. Il libro di fate come soggetto sperimentale
Ognuna di queste ipotesi di ricerca richiede la presenza di un soggetto di studio che funga da banco di prova per una loro confutazione o accettazione, e che allo stesso tempo integri e consenta di
113
produrre un significativo passo in avanti, per quanto possa essere piccolo, per la comunità scientifica; e affinché sia tale è necessaria la conoscenza degli aspetti lasciati ai margini dagli altri lavori di ricerca, ovvero di quegli elementi non ancora investigati e che per questo possono suscitare maggiore interesse. Ed è noto come nel campo della critica letteraria lo stesso soggetto, come può essere un libro, o il prodotto artistico di un autore oppure un intero genere, possano acquisire significati differenti in funzione del tipo di analisi che si intende adottare e dalle ipotesi di ricerca assunte dallo studioso. Ciò significa che la qualità del lavoro svolto da un ricercatore dipende strettamente dalla sua conoscenza della materia, nonché dai punti di riferimento da egli assunti; e questo è tanto più vero in un campo, quello delle discipline umanistiche, nel quale l’oggettività del metodo lascia spesso il posto al sapere dello studioso, rendendo arduo replicare deduzioni e interpretazioni. Un caso su tutti può essere rappresentato dal metodo interpretativo dei sogni adottato da Freud e Jung, i quali nei loro saggi riescono sempre a ricondurre l’onirico a una struttura coerente con i postulati della teoria psicanalitica, mentre altri psicologi, adottando lo stesso materiale, producono invece riflessioni differenti. Da un certo punto di vista, si può quindi sostenere che la scelta del soggetto di studio, almeno nel campo della ricerca umanistica, possa soffrire dei “pregiudizi” del ricercatore e non rifletta quindi solo le lacune presenti nella materia in sé, poiché è più facile proiettare le proprie idee. Ovviamente tutto questo complica inoltre la scelta del soggetto di studio, nonché il metodo adottato per l’analisi e conferma/falsificazione delle ipotesi di partenza.
Definita questa premessa, per questa ricerca si è scelto di prendere in considerazione un soggetto di studio, un testo, molto conosciuto e già approfonditamente studiato in quasi ogni suo aspetto da altri ricercatori, ma che si inserisce perfettamente nella rassegna di teorica sin qui proposta, la quale omette del tutto i racconti di fate contemporanei: ed è proprio da essi che proviene il titolo adottato come soggetto di studio. Il perché sia proprio questo genere di racconti e non un altro a rappresentare il miglior candidato per quest’analisi è quindi da ricercarsi nella temporalità dei testi presi in considerazione dagli autori sin qui chiamati in causa. Ad esempio, Todorov, Frye, Orlando, Propp, Bettehielm, Campbell e persino i critici che hanno adottato un approccio storico, come Bottingheimer, hanno tralasciato del tutto l’analisi del racconto di fate contemporaneo, arrestando di fatto le loro analisi al XIX e XX secolo. Lo studio critico sviluppato da Bottingheimer, ad esempio, ha terminato la sua analisi storica dei racconti soprannaturali col Rinascimento, mentre Orlando ha posto il proprio limite in corrispondenza all’opera di Kafka, ed infine Todorov, col suo genere fantastico, ha scelto di fermarsi all’inizio del Novecento. In molti di questi casi l’astensione dal prendere in considerazione il racconto soprannaturale contemporaneo può essere stata motivata da una scelta metodologica ben precisa, mentre in altri casi è stata dettata da vincoli più materiali. Eppure, è innegabile come oggi vi siano testi che per la loro cross-culturalità e transmedialità riportino
114
alla ribalta miti e magia, mostrando come la produzione dei racconti di fate non si sia arrestata a Perrault o Andersen, né tanto meno al XX secolo (Emerson 2019; Holdier 2018, 73-88; Feldt 2015). Per quanto riguarda i motivi della scelta metodologica, essi rimandano alla già discussa differenza tra l’approccio massimalista e quello minimalista, ed i rispettivi limiti, mentre i vantaggi e svantaggi offerti da altri modelli d’analisi critica verranno discussi solo nella parte del metodo. Rispetto ai vincoli materiali, invece, le ragioni di tale lacuna nella ricerca critica sono annidate nell’impossibilità di affrontare un’analisi diacronica postuma rispetto all’esistenza stessa dello studioso. Il caso di Feldt invece, rappresenta un’eccezione, perché in questo caso il tema della letteratura contemporanea viene sì contemplato ed anche affrontato, ma sempre a grandi linee e solo su una base teorica, mentre viene del tutto escluso uno studio più puntuale delle forme in esso contenute; come invece l’autrice stessa aveva compiuto nel caso del Vecchio Testamento (Feldt 2012; 2015; 2016). L’esclusione di uno studio delle forme dell’elemento magico nella letteratura contemporanea rappresenta quindi un fatto insolito, poiché già molti studiosi di letteratura critica hanno evidenziato da tempo come diversi racconti fantasy del XX e XXI secolo ben si adattino alle teorie fondamentali descritte dagli studiosi del passato più recente, dimostrando così anche la fondatezza e longevità di alcune di esse (Black 2003, 237-246; David 2019, 261-268; Follow 2017, 153-169; Holdier 2018, 73-88; Sanders & Van Krieken 2018).
Si può quindi sostenere che il grande assente nel panorama della critica letteraria sin qui esaminata, sempre dal punto di vista degli autori menzionati, sia proprio il racconto di fate contemporaneo; un soggetto a sua volta talmente ampio da imporre l’adozione di ulteriori criteri di scelta. Non si può infatti porre sullo stesso piano l’Hercules della Disney e Il Signore degli Anelli di Tolkien, perché per quanto i due racconti riprendano entrambi l’elemento magico e il cammino dell’eroe, nonché la struttura funzionale descritta da Propp, rappresentano comunque due prodotti culturali differenti, almeno dal punto di vista concettuale. L’Hercules di Disney ad esempio, nasce come adattamento di un racconto mitologico per adulti che viene privato di gran parte dei suoi contenuti letterari per poter essere compreso e accettato da un pubblico di bambini, passando dall’essere un poema epico, di natura testuale, a un prodotto strettamente cinematografico (Emerson 2019, 261-268). Al contrario Tolkien scrive il Signore degli Anelli rivolgendosi a un pubblico ben più vasto di quello della sola letteratura per l’infanzia, ed anzi, in più di un’occasione si dissocia anche dall’accostare il racconto soprannaturale contemporaneo a un pubblico di soli bambini. Occorre poi sottolineare come la sua opera nasca testuale e diventi cinematografica solo molto dopo, e con variazioni consistenti rispetto alla versione cartacea (Holdier 2018, 73-88). Da questo punto di vista è quindi bene osservare come i processi di produzione di queste due tipologie di racconto soprannaturale contemporaneo divergano e allo stesso tempo si assomiglino, così come accade nel
115
caso degli allomorfismi. Occorre quindi scegliere un testo che non sia semplicemente un riadattamento contemporaneo di un racconto ben più antico, come sono gran parte dei lavori di Disney, né un prodotto nato per essere solo di natura cinematografica, poiché il tal caso sarebbe poi arduo ricollegare qualunque evidenza così generata a un’analisi diacronica di testi del passato, che sono nati e rimasti tali, ovvero dei testi. È importante sottolineare questo punto perché dal punto della critica l’approccio alla transmedialità è molto utile e proficuo in termini di idee e riflessioni, ma in questo caso, se si scegliesse un’opera nata esclusivamente per il grande schermo, risulterebbe poi molto complesso operare delle considerazioni rispetto al lavoro di Propp, Todorov, Frye, Orlando e Feldt, finendo così per limitare la portata di alcune sovrapposizioni teoriche. Sarebbe poi opportuno scegliere un testo che ponga in risalto l’elemento magico, ovvero che lo renda il perno centrale della sua struttura narrativa e ne descriva in modo preciso le regole di funzionamento, così che si possa creare un parallelismo tra esse e le leggi magiche di Frazer e Subbotsky. In altre parole, un’opera come La Metamorfosi di Kafka, dove il soprannaturale compare senza però dare mai una spiegazione della sua presenza e che viene accettato passivamente dai protagonisti del racconto, entrando di fatto nel genere del fantastico d’imposizione di Orlando, rischia di non offrire abbastanza spunti di riflessione sul modello causale magico, né sulle sue leggi e forme caratteristiche. Occorre quindi scegliere un testo che possa offrire molteplici occasioni incontro con l’elemento magico e che arrivi a proporre, già all’interno del racconto, una spiegazione abbastanza ragionata delle sue regole e principi, così che sia poi possibile produrre inferenze rispetto ad altri modelli narrativi. Ovviamente tutto ciò sarebbe possibile anche con La Metamorfosi, così come con i racconti di Poe, ma in entrambi i casi i momenti in cui al lettore è chiesto di ragionare sulla struttura dell’elemento magico sono pochi ed entrambi i testi rientrano già nelle analisi di altri studiosi, inficiando così il possibile progresso per la comunità scientifica che questo lavoro si prefigge di raggiungere. Le ultime caratteristiche del soggetto di studio dovrebbero essere legate alla struttura del mondo narrativo descritto dal testo, nonché da alcuni contenuti, o per meglio dire temi, che coinvolgono la trama e i suoi attori. Queste due caratteristiche non devono necessariamente essere presenti, ma possono, qualora vi siano, facilitare la relazione tra il testo e i critici e gli altri studiosi che si sono occupati del tema. D’altronde se la teoria del cammino dell’eroe proposta da Campbell fosse pressoché presente in ogni racconto, non dovrebbe essere complesso scorgerla anche in testi come Don Chisciotte; tuttavia, se si riuscisse a trovare un racconto capace di porla in evidenza senza troppa difficoltà sarebbe poi più semplice dedicarsi ad altre strutture e temi in esso presenti. Questo principio è lo stesso che viene attuato nel campo delle discipline “Hard”, dove si testa un farmaco sui soggetti sui quali si presume che esso possa raggiungere un’efficacia maggiore, per poi verificare man mano i limiti e lo spettro d’azione della molecola prodotta. Allo stesso modo la scelta di un candidato più prototipico possibile dovrebbe
116
favorire l’emergere di un effetto e, qualora esso non dovesse presentarsi, faciliterebbe l’esclusione delle ipotesi di partenza e dimostrerebbe la loro fallacia. Il rischio che si corre in questi casi è quello della proiezione di idee, che nella ricerca hard viene evitato con studi in cieco e doppio cieco, mentre in questo caso tale tipologia d’analisi è impossibile. L’eliminazione delle possibili proiezioni descritte a inizio capitolo, deve quindi essere risolta al livello del metodo, mentre in questa fase non si può che scegliere il soggetto attraverso quei criteri di scelta sopraelencati.
Tra i testi prodotti a cavallo tra il XX e il XXI secolo ve n’è uno che riesce a incorporare in sé tutti i requisiti descritti, ed anche altri, e si tratta del libro Harry Potter e la Pietra Filosofale, scritto da Rowling. Questo testo appartiene a una saga di best seller scritta proprio sul volgere del XX secolo, col primo testo pubblicato nel 1997, e l’ultimo, I Doni della Morte, uscito nel 2007. Si tratta di una serie di libri che ha raggiunto numeri di vendite impressionanti, basti pensare che il capostipite, Harry
Potter e la Pietra Filosofale, ha raggiunto le 107/120 milioni di copie in tutto il mondo e l’intera saga
i 450 milioni di titoli. Sono cifre molto alte e che lo pongono nel Pantheon dei libri con elementi soprannaturali più venduti di sempre, tra cui spicca Don Chisciotte, 500 milioni di copie,
L’Alchimista, 65/150 milioni, Lo Hobbit, 100 milioni, Il Signore degli Anelli, 150 milioni, Le cronache di Narnia, 85 milioni ed ovviamente in cima a tutti la Bibbia. I titoli menzionati sono stati
scelti per una loro caratteristica peculiare, ovvero la presenza dell’elemento soprannaturale quale collante della trama e motore del senso attribuito al testo. Tuttavia, l’idea stessa che un titolo che abbia venduto più copie debba essere migliore di un altro è assolutamente priva di fondamento scientifico, questo indicatore serve infatti solo a indicare la pervasività di un’opera all’interno di una specifica cultura, in questo caso quella Occidentale, e aiuta così a determinare il numero potenziale di individui che si è lasciato sedurre dai temi e dallo stile della narrazione, e nulla di più. Per questo non rappresenta un criterio di scelta determinante ed occorre quindi motivare meglio la scelta della saga di Rowling rispetto alle altre opere, che a pari titolo entrano nella rassegna dei testi soprannaturali utili a un’analisi delle ipotesi precedentemente elencate. Da questo punto di vista un primo elemento distintivo viene rintracciato nella pretesa di credibilità dell’elemento soprannaturale da parte del lettore, e nella relativa sospensione del giudizio anche nella realtà, che si ritrova solo nella Bibbia. Solo questo titolo pone infatti il lettore di fronte a un soprannaturale vicino ai canoni del fantastico di Todorov, mentre tutti gli altri titoli entrano a pieno di fatto nel meraviglioso, per lo più in quello esotico, e nella classifica del soprannaturale descritta da Orlando. Tra questi occorre quindi escludere il soprannaturale di derisione, ovvero Don Chisciotte, e mantenere quello di trasposizione, d’imposizione e di tradizione, poiché dal punto di vista dei modelli causali sono quest’ultimi a porre maggiormente in evidenza il conflitto tra elemento magico e visione scientifica degli eventi narrati, ponendo così il lettore di fronte alla necessità di accettare l’impossibile ed
117
immergersi nella narrazione. Restano dunque Tolkien, Lewis, Coelho e Rowling, ovvero tutti testi che trattano l’elemento soprannaturale come un’entità presente nell’opera e trascinatrice dell’azione, ed inoltre ognuno di essi è stato scritto nel XX secolo. Questi testi inoltre sono parte di quella corrente del soprannaturale letterario di chiara ispirazione al romance e che per questo suggerisce un motivo spesso cavalleresco, un fine nobile da perseguire e un senso positivo dell’elemento magico, un’idea questa, che come si è vista è contrapposta a quegli autori, Grossman e Martin in testa, che ritengono il soprannaturale negativo (Follow 2017, 153-169). Si potrebbe quasi dire che l’elemento magico descritto da quest’ultimi ritorni, in modo ciclico così come descritto da Frye, al mito, al soprannaturale di tradizione, o storicamente connotato da quegli aspetti tragici ben individuati da Bottingheimer (Bottingheimer 2014, 1-3, Frye 1969, 45-46, 68, 178, 182, Orlando 2017, 120). Si può quindi desumere come ognuno di questi testi ed autori rimasti rappresenti un buon banco di prova per l’analisi testuale dell’elemento magico, poiché essi di fatto descrivono il medesimo modello causale, appartengono al medesimo genere ed infine sono figli dello stesso secolo. Ma solo uno di essi riesce a coinvolgerne altri fattori, fin qui non menzionati, ed opportuni per la verifica delle ipotesi di ricerca, ovvero gli aspetti cognitivi. Ed effettivamente diversi studi, sia neuroscientifici, sia psicologici sin qui analizzati, hanno preso in considerazione l’opera di Rowling utilizzandone degli estratti per condurre le proprie ricerche scientifiche (Subbotsky 2010a, 38-41; Hsu, Jacobs, Altmann & Conrad 2015). Occorre poi considerare il fatto che i testi di Rowling sono gli unici, tra quelli qui presi in esame, ad essere prodotti a ridosso del XXI secolo e per questo a descrivere, seppur in modo indiretto, visto che Harry Potter e la Pietra Filosofale è del 1997, lo spirito del tempo e la contemporaneità. Ed infine, è bene ricordare come la saga di Rowling rappresenti tutt’ora un punto di riferimento per i critici letterari, tra cui anche Feldt, che considera l’opera uno strumento per incoraggiare il lettore ad aprire la propria spiritualità (Feldt 2015). E questo aspetto è utile anche per aiutare a determinare l’esito di una delle ipotesi di ricerca, poiché se davvero tra Harry Potter e la Bibbia non vi fosse alcuna differenza, in tal caso in entrambi i testi la magia dovrebbe svolgere la medesima funzione. In realtà però, ci si aspetta di osservare proprio il fenomeno opposto, ovvero una differenziazione della funzione, la quale indicherebbe la presenza di modelli causali differenti.
Il problema dell’analisi di un unico testo che è anche parte integrante di una saga di sette libri, com’è Harry Potter e la Pietra Filosofale, è che lo svolgersi della trama chiama in causa ogni singolo volume e che in essi la magia si articola e si sviluppa in modo differente. D’altronde Rowling ha avuto quasi una decade per pensare, modificare e sviluppare la trama e l’elemento magico presente nei suoi testi, nonché la possibilità di documentarsi e a sua volta accrescere il suo grado di conoscenza nei confronti del soprannaturale. In altre parole, la presenza di una saga implica la descrizione di un fenomeno evolutivo, una materia viva che si modifica e ricompone nel corso del tempo, affinando ed
118
escludendo alcuni suoi elementi. Per tale ragione, benché sin qui si sia parlato esclusivamente di uno dei testi della saga, non mancheranno, soprattutto nella parte d’analisi critica, il richiamo a fatti presenti negli altri Harry Potter. Ed in questo caso sarà preso in considerazione, in modo preminente, l’ultimo capitolo della saga, ovvero Harry Potter e i Doni della Morte, il quale sarà studiato in modo molto approfondito. Il motivo di questa scelta risiede nella strategia narrativa adottata da Rowling, la quale ha volutamente ripreso una struttura argomentativa ben nota già ai tempi dei greci, ovvero quella chiasmatica (Groves 2017, 9). La logica che anima questa tipologia di intreccio tende a unire i capitoli di una saga in coppie, ad esempio il primo testo col terzo e il secondo col quarto, e via discorrendo, come se si trattasse di una doppia elica, come quella del DNA, che si interseca e allontana in punti ben precisi. E nel caso di Harry Potter, si dal caso che il primo capitolo della saga chiuda il proprio moto circolare con l’ultimo capitolo della saga, ovvero i Doni della Morte; poiché è in esso che si conclude anche cammino dell’eroe di Campbell e si giunge a una catarsi dell’opera (Groves 2017, 9-10). A questo punto però, ci si potrebbe anche domandare il perché non analizzare tutta la saga nel suo insieme? La risposta a questa domanda chiama in causa il metodo che si adotterà per verificare tutte le ipotesi, ma per ora basti ricordare come la presenza di alcuni elementi strutturali, come il cammino dell’eroe di Campbell, e ruoli degli attanti, nonché costruzione del mondo narrativo, siano già stati studiati e descritti per ognuno dei testi della saga (Berndt & Steveker 2011, 86-101; Feldt 2015, 104-106).
In conclusione, per quanto riguarda la comprensione delle strutture, nonché dei motivi descritti in Harry Potter può aver senso prendere in considerazione due soli testi, il primo e l’ultimo, a patto che poi tale analisi sia integrata con episodi specifici presenti anche negli altri testi. D’altronde se si riscontrasse un uso della magia per mezzo della similarità e la forma della metamorfosi in uno solo dei libri scritti da Rowling, come si trattasse di un caso isolato, allora sarebbe pressoché impossibile determinare la costruzione di una regola generale sull’elemento magico presente in tutti questi testi, mentre se tale episodio fosse ripreso anche in altri libri, ecco allora che esso potrebbe rappresentare una regola. Per rendere più chiaro il concetto si potrebbe prendere in esame il caso delle bacchette e della loro azione, benché esse siano presenti sin dall’inizio della saga è solo con il volgere al termine della narrazione che se ne comprendono le regole basilari del funzionamento, nonché il loro rapporto con i protagonisti del racconto; ed ecco che ritorna il concetto della circolarità chiasmatica. Certamente entrambi questi aspetti sono già presenti nel primo testo, eppure riescono ad esprimere la loro forza solo nei Doni della Morte, poco prima che Harry giunga a scontrarsi con Voldemort. La figura stessa di alcuni personaggi, come ad esempio Severus Piton e lo stesso Albus Silente, acquistano dei tratti peculiari e utili a determinare la struttura del racconto solo alla fine dello stesso. Piton ad esempio, passa dall’essere un ostacolo all’eroe, all’essere il suo più fedele alleato,
119
tanto da sacrificare la sua vita stessa per consentire a Harry di accrescere il suo potere e sconfiggere l’antagonista. D’altro canto, i momenti in cui Piton aiuta Harry sono molteplici in tutta la saga e la