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Il punto di partenza irrinunciabile per una approfondita disanima dell’evoluzione dei rimedi alle ipotesi di lesione di un diritto di proprietà in- tellettuale è costituito da una adeguata considerazione delle significative pe- culiarità morfologiche di questa tipologia di illecito, le quali, come noto, rendono particolarmente insicuro il risarcimento del danno. Va tenuto sem- pre presente, infatti, che la prova degli elementi costitutivi dell’obbligazione risarcitoria, nonché del quantum debeatur, spetta, secondo le regole generali, al danneggiato, tanto nell’ordinamento italiano quanto in quello tedesco.

Orbene, nella prassi di questa tipologia di illeciti, la fattispecie più frequente è integrata dall’usurpazione di un bene immateriale altrui (si pensi al plagio di un testo musicale o alla produzione e commercio di merce contraffatta). Tale attività, se permette all’autore della violazione di trarre dei benefici dallo sfruttamento non autorizzato del bene giuridico tutelato (l’opera

dell’ingegno), sovente non cagiona alcun deterioramento apprezzabile di ta- le bene6, in virtù della sua natura immateriale7.

Questo concetto, tradotto nelle categorie del danno risarcibile8, significa che

la voce di pregiudizio patrimoniale di gran lunga più rilevante è quella del lucro cessante9.

In altre parole, in tali casi – ma ciò, a ben vedere, vale anche quando si ri- scontri pure un danno emergente importante –, il cuore della pretesa risarci- toria del titolare del diritto leso non consiste tanto (o, quantomeno, non nella parte economicamente più significativa) nel lamentare che la condotta sleale dell’infringer abbia compromesso l’integrità del bene immateriale, quanto nell’affermazione che egli, attraverso la fruizione illecita del medesimo, ab- bia ricavato delle utilità, sottraendole al suo legittimo titolare.

La prova e la quantificazione del lucro cessante, come noto, sono procedi- menti molto complessi in ogni fattispecie di illecito e, tanto nell’ordinamento italiano10, quanto nell’ordinamento tedesco11, è centrale il momento alla valutazione equitativa del danno12.

6 Talvolta, paradossalmente, lo sfruttamento illecito di un bene immateriale altrui può

migliorarne la capacità produttiva, ad esempio, aumentandone la notorietà, grazie alla rete di diffusione dell’autore della violazione. In questi casi, ci si è chiesti se, in sede di determinazione del danno risarcibile, il giudice debba tenere conto di questo risultato positivo ottenuto dal soggetto leso, alla stregua della regola della compensatio lucri cum

damno. Ripercorrendo lo schema che si è proposto supra, Cap. I, si tratterebbe di una c.d.

ingerenza usurpativa, nella quale, cioè, la lesione dell’altrui sfera soggettiva giuridica si concretizza e si esaurisce nel trarre utilità da un bene il cui godimento è riservato dall’ordinamento al titolare del diritto, salva diversa disposizione negoziale di quest’ultimo. Deve ricordarsi, tuttavia, che non può in astratto escludersi – e, anzi, la fattispecie non è affatto infrequente – che lo sfruttamento illecito determini, simultaneamente, una compromissione del bene giuridico tutelato (c.d. ingerenza mista): si pensi alle ipotesi di contraffazione dei prodotti di un concorrente, dalla quale derivi una perdita di prestigio, suscettibile di valutazione economica, di quest’ultimo, o, ancora, al pregiudizio correlato all’uso di un marchio altrui che ne determini un c.d. annacquamento. Generalizza questa osservazione, con riguardo al diritto d’autore, P.FRASSI, I danni patrimoniali: dal lucro

cessante al danno emergente, in AIDA, 2000, p. 110 ss.

7 Nella letteratura italiana, si parla, in particolare, di “trascendenza”, ossia, con le parole di

M. ARE, voce «Beni immateriali (dir. priv.)», in Enc. Giur., V, Milano, 1959, «la

separabilità del contenuto intellettuale del bene dal suo supporto materiale», la quale «implica la concettuale possibilità del bene stesso di circolare in un numero indefinito di esemplari corporei o di essere realizzato più volte attraverso un procedimento materiale, ovvero ancora di reiterare all'infinito l'estrinsecazione energetica».

8 Si dà comunemente per presupposta, nella dottrina tedesca, l’impossibilità della

Naturalrestitution (cfr. § 249 BGB e art. 2058 cod. civ.): infatti, non è certamente

immaginabile la riparazione in forma specifica del danno cagionato dalla Ausbeutung illecita di un altrui Schutzrecht. Si veda, per tutti, S. ROHLFING, Die Umsetzung der

Enforcement-Richtlinie ins deutsche Recht. RL 2004/48/EG – Eine Untersuchung zu den

Rechten auf Beweisbeschaffung, Beweissicherung, Auskunft und Schadensersatz, Hamburg,

2009, p. 202.

9 Cfr. V. DI CATALDO, Risarcimento del danno e diritti di proprietà intellettuale, in M.

MAUGERI,R.ZOPPINI (a cura di), Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del

mercato, Bologna, 2009, p. 277.

10 È chiaro, in questo senso, il tenore letterale dell’art. 2056 c.c. In termini generali, si veda

Come si è già brevemente riferito13, nelle ipotesi di lesione di un diritto su un bene immateriale, tale complessità aumenta esponenzialmente, tanto sot- to il profilo dell’an quanto sotto quello del quantum debeatur.

Sotto il primo versante, anzitutto, occorre considerare che, in ragione della c.d. ubiquità che contraddistingue tale categoria di beni, carattere peculiare che ne consente il simultaneo godimento da parte di più soggetti allo stesso

centralità della valutazione equitativa del danno è ampiamente riconosciuta anche dagli autori che si sono occupati nello specifico del risarcimento da lesione dei diritti di proprietà intellettuale. Secondo M.S.SPOLIDORO, Risarcimento del danno nel codice della proprietà

industriale. Appunti sull’art. 125 c.p.i., in Riv. dir. ind., I, 2009, p. 175, dati i rilevanti

problemi pratici che la quantificazione del lucro cessante pone (v. infra nel testo), «il ricorso alla liquidazione equitativa deve essere favorito e facilitato».

11 In quest’ultimo sistema, le norma di riferimento per la quantificazione dell’entgangener

Gewinn è il § 252 BGB, il quale precisa che deve ricomprendersi in questa voce di danno

risarcibile quel guadagno che il danneggiato avrebbe potuto attendersi in assenza dell’illecito «nach dem gewöhnlichen Lauf der Dinge oder nach den besonderen

Umständen, insbesondere nach den getroffenen Anstalten und Vorkehrungen». Il criterio

rilevante, ai fini della causalità giuridica, è quello della probabilità, e, precisamente, secondo la più autorevole dottrina, è richiesto un «hoher Grad von Wahrscheinlichkeit»: così K.LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. Allgemeiner Teil, München, 1987, 14. Aufl.,

p. 492. Nella giurisprudenza del BGH si parla, più sovente, di una «gewisse

Wahrscheinlichkeit»: cfr., ex aliis, BGH, NJW-RR 2001, 1542. La dottrina testé citata

spiega (ivi, p. 493), inoltre, che, poiché la valutazione causale deve tenere conto anche degli sviluppi successivi al verificarsi dell’evento dannoso, la formulazione letterale del § 252 S. 2 BGB, secondo cui va tenuto conto delle disposizioni adottate e dei preparativi intrapresi dal danneggiato ai fini della valutazione delle probabilità del conseguimento del guadagno (ponderazione la quale, come è evidente, può avere senso solo se riferita al momento del verificarsi dell’illecito), può spiegarsi solo se intesa come una Beweisregel. Ciò significa che, in generale, si presume (iuris tantum) che il danno patito dal danneggiato

sub specie di lucro cessante sia quello che risulta sulla base degli elementi cui fa

riferimento la norma, ossia in ragione di una valutazione probabilistica fondata sulle circostanze esistenti al momento del prodursi dell’evento dannoso, ma è data (tanto al danneggiante quanto al danneggiato la possibilità della prova contraria. V. anche . H. OETEKER, Sub § 252, in F.J.SÄCKER,R.RIXECKER,H.OETEKER ,B.LIMPBERG (Hrsg.),

Münchner Kommentar zum Bürgerlichen Gesetbuch, Bd. 2, Schuldrecht. Allgemeiner Teil,

München, 7. Aufl., 2016, Rn. 31.

12 Nel sistema tedesco, i rapporti tra il § 252 BGB e il § 287 ZPO (norma che, similmente

all’art. 1226 cod. civ. italiano, consente la Schadensermittlung equitativa del danno) sono stati oggetto di approfondimento nella dottrina, ove si è giunti alla conclusione che l’introduzione della prima disposizione non abbia mutato sensibilmente la posizione in cui il danneggiato si sarebbe trovato se avesse potuto contare esclusivamente sulla seconda. La ragione di una norma ad hoc sulla liquidazione del lucro cessante può allora probabilmente rinvenirsi nella volontà del legislatore storico di precisare meglio i criteri che devono ispirare il giudice in questo tipo di valutazione, al fine di rendere più controllabile il suo potere discrezionale. Da questo punto di vista, in definitiva, il § 252 BGB può intendersi come norma che concretizza in un caso specifico il § 287 ZPO. Rimane peraltro fermo che, nell’ipotesi in cui occorra valutare le «besondere Umstände» cui fa riferimento il § 252 S. 2 BGB, può tornare di nuovo utile, al fine del loro accertamento e ponderazione, l’applicazione diretta del § 287 ZPO. Su questi temi, v. H.OETEKER, Sub § 252, cit., p. 510

s., nonché F. HALFPAP, Der entgangene Gewinn. Dogmatik und Anwendung des § 252

BGB, Frankfurt am Main, 1999, p. 117 ss.

tempo14, non è detto che il soggetto titolare del diritto, in un caso di usurpa- zione o di contraffazione, subisca un effettivo pregiudizio, tanto in termini di diminuzione patrimoniale effettiva, quanto di mancato guadagno15.

Il concetto può chiarirsi facilmente se solo si pone mente al fatto che, in questi casi, la principale perdita riconducibile al lucro cessante è data, di norma, dalle mancate vendite conseguenti all’attività contraffattiva o usur- pativa, e, quindi dal correlato calo di fatturato.

Tuttavia, è ben possibile che non si verifichi alcuna variazione dei flussi di vendita in conseguenza dell’illecito: ciò accade, ad esempio, quando l’autore della violazione operi su un mercato diverso, che non interferisce, cioè, con quello in cui è attivo il titolare del diritto leso16, oppure quando la vittima dell’illecito abbia scelto di fruire della propria opera dell’ingegno non direttamente, ma concedendola in licenza17, oppure quando, più sempli-

cemente, il danneggiato non disponesse, al momento del verificarsi dell’evento dannoso, delle possibilità di sfruttare imprenditorialmente la propria opera dell’ingegno18.

14 Cfr., nella dottrina tedesca, T.DREIER, Kompensation und Prävention, Tübingen, 2002,

p. 61: «Potentielle Ubiquität bedeutet zugleich, daß ein und dasselbe Immaterialgut im

gleichen Zeitpunkt an einem oder auch mehreren Orten von mehreren Personen mehrfach genutzt werden kann».

15 Si veda A.METZGER,Schadensersatz wegen Verletzung des geistigen Eigentums gemäß

Art. 13 Durchsetzungs-RL 2004/48, in O.REMIEN (Hrsg.), Schadensersatz im europäischen

Privat- und Wirtschaftsrecht, Tübingen, 2012, p. 216 ss., il quale parla di «Nicht-Rivalität immaterieller Schutzgüter». L’Autore ricorda che, conseguentemente a questa

caratteristica, il danno emergente si configura molto raramente (soprattutto in termini di discredito delle qualità di un prodotto agli occhi del consumatore o di annacquamento del marchio) e, con riguardo al lucro cessante, quando sia effettivamente identificabile, sussistono significativi problemi in termini di prova del nesso causale.

16 Si pensi alla società che sfrutti il diritto di autoredell’inventore di un software gestionale

illecitamente (i.e. senza negoziare la concessione di licenza del software medesimo), al fine di migliorare la sua attività di impresa, senza che tra i medesimi, vi sia alcun rapporto di concorrenza, diretta o in diretta. L’esempio è tratto, nei suoi termini essenziali, da T. HELMS, Gewinnherausgabe als haftungsrechtliches Problem, Tübingen, 2007, p. 2. Nella dottrina italiana cfr. A.PLAIA, Proprietà intellettuale, cit., 2005, p. 8 ss.

17 «Verwertet der Verletze das Patent ausschließlich durch Lizenzerteilung so besteht der

zu ersetzende Verlust bzw. entgangene Gewinn in dem ihm entgangenen Lizenzgebühren»:

così K.GRABINSKI,C.ZÜLCH, Sub § 139 PatG, in Beckliche Kurz-Kommentare, Bd. 4,

Patentgesetz, Gebrauchsmustergesetz, Patentkostengesetz, begründet von G. BENKARD, München, 11. Aufl., 2015, p. 1761. Rileva, in modo del tutto condivisibile, M.S. SPOLIDORO, Risarcimento del danno nel codice della proprietà industriale, cit., p. 170-171,

che i termini del discorso mutano a seconda del «modo in cui il soggetto che chiede il risarcimento sfrutta il suo diritto. Per esempio, il titolare può seguire la politica di non dare licenze o, al contrario, di concedere licenze. In questo secondo caso, può darsi che il titolare sfrutti il diritto solo tramite la concessione di licenze oppure sfrutti il suo diritto sia direttamente sia concedendolo in licenza. (…). In tutti questi casi i danni effettivamente subiti dal titolare sono diversi».

18 Con riferimento al diritto d’autore, poi, è possibile che il titolare non avesse alcuna

intenzione di sfruttare economicamente la sua opera e preferisse lasciarla nel cassetto. In queste ipotesi, ben note nella dottrina, non può parlarsi di un lucro cessante in termini di mancati ricavi cagionati dalla violazione: tra gli altri, cfr. G.SAVORANI, Diritto d’autore:

Quando poi si riscontri effettivamente una contrazione delle vendite tempo- ralmente successiva all’illecito19, rimane a carico del danneggiato l’onere della prova (tutt’altro che agevole) della sussistenza di un nesso di causalità che leghi la conseguenza dannosa all’attività illecita, secondo le regole ge- nerali20.

Il ragionamento che si è sino a qui condotto può ripetersi, nei suoi passaggi fondamentali, anche con riguardo all’altra voce tipicamente ricondotta, in dottrina e nella prassi giurisprudenziale, al lucro cessante, ossia alla c.d. price erosion21. Si tratta, a ben vedere, di una componente del pregiudizio ancora più “sfuggente” alla prova, e può definirsi, precisamente, come il ri- tocco (in negativo) dei prezzi che si impone al soggetto titolare del diritto leso, per rimanere competitivo sul mercato, in conseguenza della sleale con- dotta di un concorrente che si avvalga di un’attività di contraffazione o di usurpazione22.

Anche il profilo della mera quantificazione del danno – una volta che ne siano state dimostrate l’esistenza ontologica e il nesso causale con il fatto illecito – presenta notevoli difficoltà.

Data la complessità delle dinamiche di mercato, è frequente, infatti, che si giunga alla conclusione che la diminuzione di fatturato (sotto forma di calo delle vendite e/o di abbassamento dei prezzi) sia stato solo co-determinata dal fatto illecito, il quale, cioè, ha interagito con una serie di fattori ulteriori, eziologicamente indipendenti da quest’ultimo (si pensi alla congiuntura economica, alla concorrenza – lecita o illecita – di altri produttori, al ciclo di vita del prodotto, alle fluttuazione della domanda per citare i più ricorren- ti)23.

Come è stato osservato24, la ponderazione dell’efficienza causale di questi fattori è tutt’altro che agevole e, sostanzialmente, viene operata su base in-

19 Sulle difficoltà che pone questo tipo di accertamento, si rinvia a M.S. SPOLIDORO,

Risarcimento del danno nel codice della proprietà industriale, cit., p. 166 ss.

20 Cfr. M.S.SPOLIDORO, Risarcimento del danno nel codice della proprietà industriale, cit.,

p. 172 ss.; G.GUGLIELMETTI, La determinazione del danno da contraffazione di brevetto, in A.VANZETTI,G.SENA (a cura di), Il risarcimento del danno da illecito concorrenziale e

da lesione della proprietà intellettuale, Milano, 2004 , p. 255 ss.

21 Cfr., nella dottrina italiana, tra gli altri, S.CORONA, Sub art. 125 cod. propr. ind., in C.

GALLI, A.M. GAMBINO (a cura di), Codice commentato della proprietà industriale e

intellettuale, Torino, 2011, p. 1109; M.FRANZOSI, Il risarcimento del danno da lesione dei

diritti di proprietà industriale, in Dir. ind., 2006, p. 207 s; G. GUGLIELMETTI, La

determinazione del danno, cit., p. 262 ss. Nella dottrina tedesca, v. K.GRABINSKI,C.

ZÜLCH, Sub § 139 PatG, cit., p. 1761.

22 Sul punto cfr. ancora M.S. SPOLIDORO, Risarcimento del danno nel codice della

proprietà industriale, cit., p. 174, secondo cui «Il calcolo di questo cedimento del prezzo e

la sua prova richiedono comunque esercitazioni tecnicamente disagevoli e in gran parte fondate su ipotesi non verificabili empiricamente».

23 Cfr. V. DI CATALDO, Risarcimento del danno, cit., p. 277 ss. e, nella dottrina tedesca, T.

DREIER,L.SPECHT, Sub § 97 UrhG, in T.DREIER,G.SCHULZE,L.SPECHT, Kommentar

zum Urheberrechtsgesetz, Urheberrechtswahrnehmungsgesetz, Kunsturheberrechtsgesetz,

München, 5. Aufl., p. 1583.

24 Ritiene spesso eccessivo lo standard necessario a soddisfare l’onere probatorio con

diziaria. Molto spesso, tuttavia, l’esercizio di un lato potere discrezionale del giudice, in seno ad una valutazione equitativa del danno che si rivela ne- cessaria25, determina una sistematica sottostima del pregiudizio patito26.

Infine va aggiunta un’ultima rilevante osservazione, la quale fa leva sul pre- supposto che, tanto nell’ordinamento italiano, quanto in quello tedesco, la possibilità del giudice di procedere alla valutazione equitativa del danno presuppone che il danneggiato alleghi in giudizio tutte le informazioni utili in suo possesso27.

La necessità di una sorta di disclosure delle informazioni sensibili rischia di tradursi per il soggetto che agisce per ottenere il risarcimento del danno in un pregiudizio ulteriore rispetto a quello subito, poiché di tali informazioni può evidentemente giovarsi anche la controparte, la quale, per questa via, può ricavare un significativo vantaggio concorrenziale28.

B. L’evoluzione del risarcimento del danno da lesione dei diritti di pro-