Al di là delle ragioni che potrebbero far propendere per l’una o l’altra delle versioni proposte, mi pare che alcune conclusioni deb- bano essere tenute ferme.
Non vi sono, nelle parole direttamente riferibili ad Aristone, ra- gioni per cui sostenere che il giurista traianeo vedesse un rapporto di semplice identificazione tra contractus e sun£llagma; è semmai possibile (ma, secondo me, improbabile) che una fungibilità di im- piego dei due termini fosse vista da Mauriciano: in ogni caso, si sa- rebbe trattato di un’equiparazione a livello linguistico (si dice sun£llagma per indicare il contractus), non di un’identificazione tra concetti.
Ciò, peraltro, un’attenta dottrina, seppur muovendo da diversi presupposti (e giungendo a differenti conclusioni), ha avuto modo di notare(144).
Dunque, per la comprensione del preciso significato di sun- £llagma richiamato nel passo, occorre anzitutto volgersi alle lineari parole (peraltro le uniche direttamente riferibili ad Aristone): dedi
tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias: hoc sun£l-lagma esse et hinc nasci civilem obligationem.
Giunti a tal punto, elaborato il denso materiale che emerge dalla testimonianza in cui è delineata la costruzione aristoniana, mi sem-
(144) Alla conclusione che, in relazione al passo considerato, contratto e sun£llagma non debbano ritenersi identificabili approda con chiarezza, come già detto, F. GALLO, Synallagma, II, cit., 114 ss.: tuttavia, se occorre senza dubbio convenire con quanto l’autore nega, mi pare sia più difficile accogliere quanto lo stesso propone, allorché configura il sun£llagma come «complemento» esterno al sistema contrattuale, escogitato da Aristone «per ovviare a una deficienza in esso riscontrata». Mi pare piuttosto che il sun£llagma si collochi ‘dentro’ il contratto e non già ‘fuori’ di esso: su ciò, però, si veda più approfonditamente infra, § 15, sub
c). Sulla distinzione tra i concetti di sun£llagma, contractus e causa, cfr. A.
SCHIAVONE, La scrittura, cit., 151. Peraltro, la sinonimia tra contractus e sun- £llagma, seppure in chiave ancora diversa (il termine greco avrebbe avuto il signi- ficato più generico «di operazione economica, di affare»), è decisamente esclusa da P. VOCI, Recensione a R. SANTORO, cit., 127 s.; ID., Istituzioni, cit., 462. Infine, la non identificabilità tra contractus e sun£llagma mi pare almeno presupposta nei ragionamenti di G. FALCONE, L’origine, cit., 34 s.
ALLE ORIGINI DELLA CAUSA 111
brano poste le premesse per una più precisa analisi dogmatica che si concentri soltanto su causa e sun£llagma.
Prima, però, occorre svolgere alcuni necessari chiarimenti circa la nozione di sun£llagma impiegata da Labeone.
8. Alcuni essenziali profili di confronto con la testimonianza di La-
beone in D. 50,16,19 (Ulp. 11 ad ed.).
L’esplicita menzione del sun£llagma, entro il responsum ari- stoniano assorbito nella scrittura di Ulpiano, impone una prima con- siderazione del notissimo frammento D. 50,16,19 – anch’esso ulpia- neo ove è riferita la definitio labeoniana di contratto.
È questa l’unica testimonianza dei Digesta, oltre a D. 2,14,7,2, nella quale è fatta menzione del sun£llagma.
D. 50,16,19 (Ulp. 11 ad ed.): Labeo libro primo praetoris urba-
ni definit, quod quaedam ‘agantur’, quaedam ‘gerantur’, quae- dam ‘contrahantur’: et actum quidem generale verbum esse, si- ve verbis sive re quid agatur, ut in stipulatione vel numeratione: contractum autem ultro citroque obligationem, quod Graeci sun£llagma vocant, veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem: gestum rem significare sine verbis factam.
Assai ampia potrebbe essere l’analisi delle problematiche che risultano implicate nel passo(145).
(145) La letteratura sul passo è troppo ampia per essere qui richiamata: si rin- via ai riferimenti forniti da R. SANTORO, Il contratto, cit., 6 ss., nt. 3, integrati, per una panoramica sull’argomento, dalla bibliografia indicata da C.A. CANNATA,
Contratto, cit., 59 ss. Sul passo, sono di recente intervenuti B. BISCOTTI, Dal ‘pa-
cere’, cit., 427 ss., sebbene in modo piuttosto cursorio; con maggiori riferimenti, C.
CASCIONE, Consensus, cit., 211 s., 416 ss.;G. FINAZZI, Ricerche in tema di ‘nego-
tiorum gestio’, II, 1, Requisiti delle ‘actiones negotiorum gestorum’, Cassino,
CAPITOLO TERZO
112
Esso si configura come il primo (e forse comunque il più com- piuto) tentativo di dare una definizione del contratto(146), collocabi-
le peraltro sulla scia di talune testimonianze antecedenti: in partico- lare, tra le fonti letterarie, occorre ricordare quella prima celebre immagine del contractus acinorum in Varrone, rust. 1,68 (in cui il sostantivo contractus conservava il valore proprio del corrisponden- te verbo contrahere)(147), e la menzione del contractus stipulatio- num sponsionumve in relazione agli sponsalia di Servio Sulpicio
Rufo in Gell. 4,4,2 (con cui si indicava il fatto dello stringersi di re- ciproche promesse in forma di stipulatio), nonché, tra le fonti giuri- diche, la menzione di contractum – ancora forma verbale(148) – rap-
portabile a Quinto Mucio Scevola in D. 46,3,80,1 (Pomp. 4 ad Quin-
tum Mucium).
(146) Si vedano le osservazioni di B. ALBANESE, Agere, cit., 189 ss.; S. TONDO, Classificazioni delle fonti d’obbligazione, in Labeo, 41, 1995, 375 ss.; F. GALLO, Synallagma, II, cit., 30 ss. Per una ricognizione generale circa tempi e modi dell’emersione della nozione di contratto, cfr. G. DIÓSDI, Contract in Roman
Law from the Twelve Tables to the Glossators, Budapest, 1981, 78 ss.; di recente,
A. DI PIETRO, El régimen de los contratos en el derecho romano. Perspectivas e
incidencias para el tema de los negocios en una unificación legislativa latinoame- ricana, in Roma e America. Diritto romano comune, 7, 1999, 62 ss.; nonché, da
ultimo, C. CASCIONE, Consensus, cit., specie 415 ss.
(147) Sul passaggio dalla nozione indicata dal verbo al corrispondente atto, nella forma -tus, si veda S. TONDO, Classificazioni, cit., 374 e nt. 13; sull’impiego del verbo contrahere nelle fonti letterarie, oltre alle più risalenti ricerche di S. SCHLOSSMANN, Der Vertrag, cit., 26 ss., nonché di M. LAURIA, ‘Contractus’, ‘de-
lictum’, ‘obligatio’. (A proposito di recenti studi), in SDHI, 4, 1938, 165 ss., cfr.
S.E. WUNNER, Contractus, cit., 10 ss.; ma, sul punto, è da vedersi anche P. VOCI,
La dottrina, cit., 11 ss.; F. SCHULZ, Classical Roman Law, Oxford, 1951 (rist. Aa-
len, 1992), 465 ss. Nei Digesta talora contrahere mantiene il significato atecnico di concentrare, riunire: cfr. D. 47,8,4,6 (Ulp. 56 ad ed.): contrahere turbam; D. 49,5,7 pr. (Paul. lib. sing. de appell.): contrahere frumentum; D. 30,96 pr. (Iul. 39 dig.):
contrahere aureos; inoltre, il medesimo verbo è utilizzato anche con riferimento ad
atti di natura personale (per esempio, contrahere matrimonium) e ad atti illeciti (così nel caso di contrahere delictum).
(148) Cfr. A. SCHIAVONE, Nascita della giurisprudenza. Cultura aristocratica
ALLE ORIGINI DELLA CAUSA 113
Ebbene, né sul dubbio se la definizione risulti da un regolamen- to di confini concettuali tra nozioni vicine e distinte (divisio) ovvero derivi dalla scomposizione in elementi eterogenei di un unico defi-
niendum (partitio)(149), né sulla questione della sua precisa colloca-
zione sistematica nel contesto del commentario all’editto labeonia- no(150), è possibile soffermarsi in questa sede.
Piuttosto, abbandonate le pregiudiziali interpolazioniste(151), mi
pare opportuno restringere il discorso a due sole osservazioni.
(149) Sui differenti procedimenti, in sintesi C. BEDUSCHI, A proposito, cit., 375; per una loro analisi in chiave storica, si veda il quadro generale delineato da D. NÖRR, ‘Divisio’ und ‘Partitio’. Bemerkungen zur römischen Rechtsquellenlehre
und zur antiken Wissenschaftstheorie, Berlin, 1972; nonché la densa analisi di M.
TALAMANCA, Lo schema, cit., con attenzione specifica al passo labeoniano, 253 ss. e nt. 711, che però ritiene non decisiva la distinzione (come ora anche G. FINAZZI, Ricerche, II, cit., 81 s., nt. 94). Nel senso della divisio, si vedano le opi- nioni di B. ALBANESE, ‘Definitio periculosa’. Un singolare caso di ‘duplex inter-
pretatio’, in Studi in onore di G. Scaduto, III, Padova, 1970, 257 s. (anche in Scritti giuridici, I, Palermo, 1991, 701 ss.), nonché di P. CERAMI, Ignorantia iuris, in
Sem. Compl., 4, 1993, 71 ss.; nel senso della partitio, quelle di M. KASER, Divisio
obligationum, in Römische Rechtsquellen und angewandte Juristenmethode. Aus-
gewählte zum Teil grundlegend erneuerte Abhandlungen, Wien - Köln - Graz,
1986, 155 ss.; nonché di F. GALLO, Synallagma, I, cit., 82 ss.; anche in ID., Eredità
di giuristi, cit., 10 ss.
(150) Si soffermano sul problema E. BETTI, Sul valore, cit., 12; S.E. WUN-
NER, Contractus, cit., 33 ss.; B. ALBANESE, Agere, cit., 207 ss.; A. D’ORS, El
‘contractus’ según Lebeón. Réplicas panormitanas II, in Revista de estudios histó-
ricos Valparaíso, 1976, 29; R. SANTORO, Il contratto, cit., 174 ss.; M. KASER, Di-
visio, cit., 164 e nt. 46; A. BURDESE, Sul concetto, cit., 25; A. SCHIAVONE, La
scrittura, cit., 155 ss.; M. BRETONE, Labeone e l’editto, in Sem. Compl., 5, 1993,
19 ss. e in specie 35 ss. (ma cfr. anche ID., Tecniche e ideologie dei giuristi roma-
ni 2, Napoli, 1982, 188 s.). Per avere un saggio delle differenti opinioni, si vedano, da un lato, M. SARGENTI, Labeone: la nascita, cit., 27 ss., che paragona la definitio labeoniana a «una scheggia sperduta», e, dall’altro, F. GALLO, Synallagma, I, cit., 103 ss., il quale colloca il medesimo passo al centro di una precisa ricostruzione dogmatica. Sul punto, da ultimo, con approfondimenti, G. FINAZZI, Ricerche, II, cit., 82 ss.
(151) Ben presenti, per esempio, nelle letture condotte da G. BESELER, Bei-
träge, cit., 158; ID., Einzelne Stellen, in ZSS, RA, 52, 1932, 293 ss.; E. ALBER- TARIO, Syndicus, in BIDR, 27, 1914, 87 ss.; J. PARTSCH, Das Dogma, cit., 9 ss.
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114
a) La prima consiste in un necessario chiarimento a proposito
del sun£llagma.
Si intende sottolineare che tra le nozioni di sun£llagma e con-
tractum vi è, nella prospettiva labeoniana, una precisa identificazio-
ne(152).
Ciò pare in sintonia fin già con la logica che sostiene l’in- tendimento ‘definitorio’ di Labeone: la definitio è uno schema reto- rico orientato a stabilire «un’equazione semantica tra un termine tecnico da definire ed uno o più termini che lo definiscono: […]. La struttura della definizione offre così un legame di identità tra due se- rie di termini che diventano reversibili e commutabili»(153).
Ma soprattutto, a livello testuale, ciò si evidenzia nell’uso del pronome quod, presumibilmente da ritenersi, anziché soltanto colle- gato – nel significato di ‘cosa che’(154) – a contractus, piuttosto
concordato a contractum, participio neutro sostantivato di contrahe-
(152) Ciò appare messo in luce da M. SARGENTI, Labeone: la nascita, cit., 50, il quale parla di «significato del termine greco sun£llagma, che Labeone usa come sinonimo di contractum».
(153) Cito, per brevità, la sintesi di M. PENTA, Note sul ‘liber definitionum’
(D. 50.16), in ‘Fraterna munera’. Studi in onore di L. Amirante, Salerno, 1998,
359; ma, con maggiore approfondimento, si veda, in argomento, A. CARCATERRA,
Le definizioni dei giuristi romani. Metodo, mezzi, fini, Napoli, 1966, 190; R.
MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, Milano, 1966, 59 s., con attenzione a Labeone, 137 ss.; L. LANTELLA, Pratiche definitorie e proiezioni ideologiche nel
discorso giuridico, in A. BELVEDERE - M. JORI - L. LANTELLA, Definizioni giuri-
diche e ideologie, Milano, 1979, 6 ss. Inoltre, si tengano presenti le osservazioni di
F. REINOSO BARBERO, ‘Definitio periculosa’: ¿Iavoleno o Labeon?, in BIDR, s. III, 29, 1987, 285 ss.; M. MARRONE, Le ‘significationes’ di D. 50.16 (‘De verbo-
rum significatione’), in SDHI, 60, 1994, 583 ss., ma in specie 589 ss.; nonché, di
recente, le precisazioni di R. FIORI, La definizione, cit., 184 ss. Sul definire in La- beone, si veda anche A. SCHIAVONE, Giuristi, cit., 180 s.; F. GALLO, Synallagma, I, cit., 82 ss.; M. BRETONE, La ‘coscienza ironica’ della romanistica, in Labeo, 43, 1997, 192; C.A. CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea, I, Dal-
le origini all’opera di Labeone, Torino, 1997, 326; E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad
edictum’ di Pomponio, II, Contesti e pensiero, Milano, 2001, 47.
ALLE ORIGINI DELLA CAUSA 115 re(155). Tra contractum e sun£llagma risulterebbe dunque instaura-
ta, almeno ai fini di quel che nel testo si intende dire, una relazione di identità(156). Questa sembra, infatti, in rapporto al passo all’e-
same, per il quale non si ha la possibilità di controprova in base ad altri impieghi del medesimo termine, la soluzione più probabile.
Non mi pare poi decisivo il fatto che nei testi D. 17,1,8 pr., D. 18,1,80,3 e D. 19,5,19 pr., in cui è citata l’opinione di Labeone, compaia il maschile contractus: in nessuno di questi luoghi appare affatto certa la paternità labeoniana nella scelta del termine (o per lo meno del suo genere)(157); inoltre, non potrebbe escludersi qualche
oscillazione da parte dello stesso Labeone, spiegabile alla luce del fatto che il giurista si avvalesse del participio verbale neutro (attesta- to in D. 50,16,19) in funzione preparatoria rispetto all’introduzione del sostantivo maschile(158), o piuttosto che utilizzasse contractum
(155) In tal senso, tra molti, H.P. BENÖHR, Das sogenannte Synallagma, cit., 10 ss. e 34 s.; A. BURDESE, Sulle nozioni, cit., 59. È invece poco plausibile – e ri- mane infatti senza particolare seguito in dottrina (cfr. però C.A. CANNATA, Der
Vertrag, cit., 64) – l’ipotesi che si tratti di sostantivo risultante dalla contrazione di
contra-actum, come vorrebbe S.E. WUNNER, Contractus, cit., 34.
(156) Sicché si può anche essere d’accordo sul fatto che da ciò non si possa generalizzare nel senso che sun£llagma equivalga a contractum, dal momento che «Labeone sapeva che il segno greco aveva una valenza più ampia di quella da lui attribuita a contractum», secondo quanto osserva F. GALLO, Eredità di giuristi, cit., 35, il quale peraltro accentua le proprie cautele in ID., Synallagma, I, cit., 156, ove addirittura ritiene che «il pronome quod non evoca quindi il contratto, bensì significa “cosa che”, “il fatto che”, con riferimento al dato, prima menzionato, del- la reciprocità di vincoli, costituente la nota caratterizzante del contratto»: tuttavia, pare a me che rimanga comunque instaurata, limitatamente a (e in funzione di) quanto Labeone nel passo intende dire, una relazione di identità tra i due termini.
(157) Per la paternità labeoniana, si pronunciano R. SANTORO, Il contratto, cit., 115 ss., 134 ss., e F. GALLO, Synallagma, I, cit., 168 ss.; più prudente, sull’uso della forma contractus o contractum da parte di Labeone, M. TALAMANCA, La
tipicità, cit., 83 ss.; ID., Contratto, cit., 66. D’altra parte, per l’impiego del partici-
pio contractum riferibile a Labeone, cfr. D. 5,1,19,3 (Ulp. 60 ad ed.) e D. 18,1,78,2 (Lab. 4 post. a Iav. epit.). In generale, sul problema linguistico, si veda S.E. WUN- NER, Contractus, cit., 42 ss., nonché, di recente, E. STOLFI, Studi, II, cit., 213 e nt. 315.
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quando – come nella medesima definitio – aveva diretto riguardo ai lessemi edittali(159).
Ciò detto, occorre domandarsi su quale idea, al fondo, sia basata siffatta identificazione (tra contractum e sun£llagma).
Al proposito, mi pare che la risposta più adeguata debba cercarsi nella tradizionale opinione, secondo cui l’idea labeoniana di contrat- to consisterebbe nella reciprocità obbligatoria. Penso, in particolare, a quanto già Pernice esprimeva con chiarezza: «In der Tat erscheint bei Labeo als wesentliches Merkmal für den Begriff des Vertrages nicht der Consens, sondern die wechselseitige Verpflichtung, ultro
citroque obligatio»(160).
Quest’orientamento mi sembra in effetti da preferirsi rispetto al- la ricostruzione del pensiero di Labeone in chiave marcatamente consensualista, negli ultimi anni sostenuta in specie da Santoro(161).
Altre volte, con differenziazione che spesso è solo linguistica, in dottrina si è affermato che il modello di Labeone sarebbe quello del- la bilateralità o della corrispettività di obbligazioni. Senza voler in- dugiare in nominalismi, direi che essenziale all’idea labeoniana di contratto è il carattere conferitole dalla presenza di obbligazioni che non solo sorgono «una di qua e una di là», ma che sono anche «lega- te da un rapporto particolare»(162), nel senso che sussiste un vincolo
di immediato condizionamento.
(159) In tal senso, cfr. G.G. ARCHI, Dal formalismo negoziale repubblicano al
principio giustinianeo ‘cum sit iustum voluntates contrahentium magis quam ver- borum conceptionem inspicere’ (C.I. 8,16 [17],9), in SDHI, 46, 1980, 13, 16 nt. 19
(anche in Scritti di diritto romano, I, Milano, 1981, 443 ss.). (160) Così A. PERNICE, Labeo, Teil A, cit., 469.
(161) Cfr. R. SANTORO, Il contratto, cit., 5 ss., percorrendo una via per taluni aspetti aperta da B. ALBANESE, Agere, cit., 189 ss., ma le cui premesse possono vedersi, sempre entro la Scuola palermitana, addirittura in S. RICCOBONO, La for-
mazione, cit., 123 ss.Per una critica di questa ricostruzione, fra molti, cfr. P. VOCI,
Recensione a R. SANTORO, cit., 124 ss.
(162) Così L. LANTELLA, ‘Ultro citroque’: appunti teorici e storici sulla ‘la-
teralità’ degli atti, in Diritto e processo nell’esperienza romana. Atti del seminario torinese (4 - 5 dicembre 1991) in memoria di G. Provera, Napoli, 1994, 98.
ALLE ORIGINI DELLA CAUSA 117
Mi pare pertanto si possa parlare (e così si farà d’ora in avanti) di obbligazioni reciproche allorché si voglia indicare tale vincolo, mentre per semplice bilateralità obbligatoria si intenderà un genus del quale fa parte anche la bilateralità imperfetta o eventuale. Se- guendo la terminologia che può dirsi prevalente, preferirò invece parlare di vincolo di corrispettività con riferimento alle prestazioni (da intendersi in senso lato(163)) delle parti: esso si dà quando ricor-
ra il rapporto di reciprocità tra le obbligazioni; tuttavia una corrispet- tività tra prestazioni può riscontrarsi anche a prescindere dalla reci- procità di obbligazioni(164).
Dunque, precisati anche questi aspetti, mi pare si possa davvero concludere nel senso che, al di là delle inevitabili schematizzazioni in virtù delle quali si è di volta in volta vista nel passo la prevalenza
(163) Nel senso di attribuzione, così prescindendo dalla presenza di una pree- sistente obbligazione che la imponga: per un chiarimento, si veda C.M. BIANCA - G. PATTI - S. PATTI, Lessico di diritto civile 3, Milano, 2001, 574 («la prestazione consiste nello svolgimento di attività e nel conseguimento di risultati»).
(164) In sintesi: a) ‘bilateralità’ è da riferirsi alle obbligazioni e include tanto la bilateralità reciproca (o perfetta) che quella eventuale (o imperfetta); b) ‘recipro- cità’ è da riferirsi alle obbligazioni; c) ‘corrispettività’ è da attribuirsi alle presta- zioni: ricorre allorché vi sia reciprocità di obbligazioni, ma può riscontrarsi anche a prescindere da essa. Per siffatta terminologia, si veda G. OSTI, s.v. Contratto, in
Nov. dig. it., IV, Torino, 1957, 462 ss., specie 490 ss.; A. PINO, Il contratto con
prestazioni corrispettive. Bilateralità, onerosità e corrispettività nella teoria del
contratto, Padova, 1963, specie 5 ss.; con maggiore approfondimento, A. CATAU-
DELLA, Bilateralità, corrispettività ed onerosità del contratto, in Studi in onore di
G. Scaduto, I, Padova, 1970, 223 ss.; all’origine, B. WINDSCHEID, Diritto, II, cit.,
243. Certamente, non sfugge la natura stipulativa della nomenclatura seguita (co- me, d’altra parte, di qualsiasi altra in argomento); essa presenta, a mio giudizio, il pregio di consentire maggiore chiarezza nello svolgimento di un discorso che in- tende muoversi su due piani: quello della reciprocità tra obbligazioni, nonché quel- lo della corrispettività tra prestazioni. In tal modo, si perde però la differenziazione ‘intensionale’ ravvisabile tra reciprocità e corrispettività (la prima come bilateralità in senso ‘debole’, la seconda in senso ‘forte’), entrambe con riferimento alle obbli- gazioni, su cui si è talora soffermata la dottrina: cfr. L. LANTELLA, Ultro citroque, cit., specie 98 ss. Alle origini della dogmatica, F.K. von SAVIGNY, Le obbligazio-
ni, cit., 11 s. Sul punto, si tenga presente inoltre la terminologia adottata dagli artt.
1099, sul contratto bilaterale, e 1100, sul contratto unilaterale, del Codice civile del 1865.
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di una «concezione obbiettivistica» ovvero «soggettivistica o con- sensualistica»(165), il giurista augusteo inequivocabilmente ponesse
l’accento sulla presenza di una reciprocità di obbligazioni e, solo implicitamente, sul momento consensuale(166). Peraltro, un certo
collegamento tra il primo e il secondo aspetto doveva apparire a La- beone piuttosto naturale, allorché si tenga conto della tendenziale corrispondenza tra le figure contrattuali costruite sulla reciprocità di obbligazioni e i tipi delle obligationes consensu contractae(167).
Il giurista contempla un modello, che descrive facendo richiamo alla formula dell’ultro citroque obligatio, nonché in grado di pro- porsi in maniera paradigmatica per la serie dei contratti(168).
Richiederebbe un’analisi cui in questa sede non è possibile dar corso vedere poi come, partendo dal modello, sia ricavata la solu- zione di molti casi di specie. Inoltre, mi pare che in particolar modo con Gallo già siano stati ben evidenziati i passaggi attraverso i quali, dall’idea di reciprocità obbligatoria, Labeone passasse, attraverso una «visione elastica della sinallagmaticità»(169), alla tutela di fatti-
specie atipiche in cui si riscontri una più stemperata idea di bilatera- lità anche eventuale. È in questo quadro che occorre valutare i casi di cui in D. 18,1,80,3 (Lab. 5 post. a Iav. epit.)(170) e in D. 19,5,1,1
(165) In tali termini la questione è presentata da M. SARGENTI, Labeone: la
nascita, cit., 25. Per un approfondimento delle due posizioni, cfr. H.P. BENÖHR,
Das sogenannte Synallagma, cit., 10 ss.
(166) Su ciò, si veda J. PARTSCH, Das Dogma, cit., 9 ss.; H.P. BENÖHR, Das
sogenannte Synallagma, cit., 11; A. SCHIAVONE, Studi, cit., 64 ss., poi anche in ID., La scrittura, cit., 152, nt. 59; A. BURDESE, Ancora sul contratto, cit., 460; F. GALLO, Eredità di giuristi, cit., 5 ss.; ID., Synallagma, I, cit., 82 ss.; M. TA- LAMANCA, La tipicità, cit., 96 ss.; ID., Contratto, cit., 66. L’opinione che colloca al centro la reciprocità obbligatoria è fatta propria di recente anche da E. STOLFI,
Studi, II, cit., 197. Per una critica delle concezioni più decisamente orientate al
consensualismo, si vedano in generale le osservazioni di R. MARTINI, Il mito del
consenso nella dottrina del contratto, in Iura, 42, 1991, 97 ss.
(167) In tal senso, A. BURDESE, Patto, cit., 53. (168) Così M. SARGENTI, Labeone: la nascita, cit., 41. (169) F. GALLO, Synallagma, I, cit., 188 ss.
(170) Ove si prospetta un accordo dal quale è escluso il trasferimento della proprietà: non potendosi considerare compravendita, sarebbe da ritenersi locazio-
ALLE ORIGINI DELLA CAUSA 119