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La testimonianza D 2,14,7 pr 2 (Ulp 4 ad ed.) Il fulcro de

problemi della causa.

Dopo l’ulteriore inserimento della testimonianza paolina pre- scelta dai compilatori per illustrare le conventiones (ex privata cau-

sa) legitimae, la lettura del commento ulpianeo ad edictum prosegue

con un argomentare che si fa – se possibile – ancora più denso. Si entra, da questo punto in avanti, nel vivo dei problemi del contratto e del suo regime di tutele.

L’intero brano D. 2,14,7 pr. - 2 costituisce una testimonianza assai discussa, la quale può reputarsi – come già si è avuto modo di osservare – il punto di riferimento fondamentale per ogni tentativo

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di approfondimento della nozione di causa. Specie a margine del re-

sponsum aristoniano che vi è contenuto, si è sviluppato un lungo di-

battito(56), che, per densità e complessità, presenta pochi eguali(57):

D. 2,14,7 pr. - 2 (Ulp. 4 ad ed.): Iuris gentium conventiones

quaedam actiones pariunt, quaedam exceptiones. 1. Quae pariunt actiones, in suo nomine non stant, sed transeunt in proprium nomen contractus: ut emptio venditio, locatio conductio, societas, commodatum, depositum et ceteri similes contractus. 2. Sed et si in alium contractum res non transeat, subsit tamen causa, eleganter Aristo Celso respondit esse obligationem. Ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias: hoc sun£llagma esse et hinc nasci civilem obligationem. Et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum, ut Pamphilum manumittas: manumisisti: evictus est Stichus. Iulianus scribit in factum actionem a praetore dandam: ille ait civilem incerti actionem, id est praescriptis verbis sufficere: esse enim contractum, quod Aristo sun-£llagma dicit, unde haec nascitur actio.

È qui concentrata una notevole ricchezza di informazioni: all’attenzione per gli aspetti dogmatici (il discorso si sofferma su

conventio, contractus, causa) corrisponde quella per la dinamica di

un dibattito che, nella sequenza dei richiami ad Aristone, Celso,

(56) La dottrina anche assai risalente è citata da R. SANTORO, Il contratto, cit., 208, nt. 116; si veda inoltre M. TALAMANCA, Note, cit., 196, nt. 1; nonché C.A. CANNATA, Contratto, cit., 59, nt. 34; gli interventi più recenti sono segnalati da A. BURDESE, Su alcune testimonianze, cit., 11, nt. 33, il quale sul passo ritorna da ultimo in ID., Divagazioni, cit.,341 ss.

(57) Tanto che, per M. TALAMANCA, La tipicità, cit., 100, si tratterebbe di «passo famoso e fin troppo discusso dagli interpreti» (cfr. anche ID., La ‘bona fi-

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Giuliano e Mauriciano, fino al punto di osservazione del giurista se- veriano, si dipana dall’età traianea sino a quella dei Severi(58).

È probabilmente la delicatezza dei temi trattati che induce Ul- piano a soffermarsi con particolare attenzione su questo capitolo di ‘storia delle idee’.

Dopo i feroci attacchi della dottrina interpolazionista, è oramai opinione consolidata quella che vuole la testimonianza, a parte taluni dubbi circa la possibilità di qualche raccorciamento, sostanzialmente genuina(59).

Le critiche ancora persistenti si concentrano ora essenzialmente, con riguardo al § 2, per un verso, sul termine obligationem, contenu- to nel periodo et hinc nasci civilem obligationem, in luogo del quale si è proposto di restituire et hinc nasci civilem actionem(60), e, per

altro verso, sull’inciso id est praescriptis verbis(61).

A mio parere, la prima critica può essere respinta; la seconda merita una complessiva rimeditazione: su entrambi gli aspetti, co- munque, mi riservo di esprimere nel seguito alcune riflessioni più circostanziate(62).

Risulta ora opportuno soffermarsi su talune delle questioni im- plicate nel passo, sempre seguendo l’ordine in cui esse vengono sol- lecitate dalla lettura. Ciò consente di avere chiaro il quadro generale

(58) Come bene evidenzia A. SCHIAVONE, La scrittura, cit., 149, il quale nel testo ulpianeo riconosce un «intreccio fra storia e sistema: un motivo che si rivela ormai come l’autentico tema dominante di tutto il nostro testo. Nella scrittura di Ulpiano logica e tempo – costruzione dogmatica e storia delle dottrine – si integra- no fin quasi a confondersi»; si veda già ID., Studi, cit., 130. Su questi aspetti, cfr. anche G. MELILLO, In solutum, cit., 76, il quale parla invece di «storia dottrinale». (59) Secondo una consapevolezza che può vedersi via via maturata passando attraverso le opinioni di H.P. BENÖHR, Das sogenannte Synallagma, cit., 14; M. TALAMANCA, La tipicità, cit., 101, nt. 254; F. GALLO, Synallagma, II, cit., 94.

(60) In tal senso, sulla scia di S. PEROZZI, Le obbligazioni, cit., 414, nt. 1, nonché di E. BETTI, Sul valore, cit., 21 e 26, nt. 2, si veda R. SANTORO, Il contrat-

to, cit., 217 s.

(61) Si vedano gli studiosi orientati in tal senso menzionati da R. SANTORO, Il

contratto, cit., 219, nt. 146.

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nel quale poi si colloca l’affermazione riguardante il sussistere della

causa e le conseguenze che a ciò sono ricondotte.

All’esordio si afferma che, tra le conventiones iuris gentium (si noti, dunque, il collegamento con D. 2,14,5), quelle che ricevono tu- tela a mezzo di actiones passano (transeunt, verbo che si era già in- contrato in D. 2,14,1,4(63)) in proprium nomen contractus.

Tale affermazione, in sé non problematica, apre viceversa la grave questione simmetrica, rappresentata dalla tutelabilità di quelle

conventiones che invece non passano in proprium nomen contractus.

In questo caso, mi pare corretto ritenere che il riferimento al

nomen contractus debba intendersi nel senso che un certo numero di conventiones trova riconoscimento in una formula contenuta in edit-

to: sussiste pertanto una corrispondenza tra nomen contractus e for- mula edittale.

Dunque, vale qui l’interpretazione, risalente a Magdelain, se- condo cui il riferimento al nomen deve essere pensato in prospettiva processuale(64): in effetti, diversamente intesa, un’affermazione

come quella in commento parrebbe insensata, stante la sussistenza di taluni contratti che, pur non essendo riconosciuti in editto, risultava- no nella prassi tuttavia contraddistinti da un proprio nomen, inteso in senso meramente descrittivo (basti pensare al caso della permuta-

tio)(65).

(63) Il ‘movimento’ espresso dal transire risulta però in questo caso ben più denso di conseguenze sul piano tecnico-processuale.

(64) Cfr. A. MAGDELAIN, Le consensualisme, cit., 28 ss. Accolgono la sotto- lineatura della prospettiva prettamente processuale, R. SANTORO, Il contratto, cit., 211 s., e A. SCHIAVONE, La scrittura, cit., 147, il quale poi precisa che «l’e- sistenza del nomen è il segno più evidente – ma non il solo – per accertare l’esistenza della “causa”, cioè di un centro di imputazione normativa che consenta la qualificazione giuridica».

(65) È tuttavia, quella che si rifà all’uso comune di nomen, l’interpretazione accolta da P. VOCI, Recensione a R. SANTORO, cit., 128, il quale al proposito ri- chiama D. 19,5,2; D. 19,5,3; D. 19,5,4. Nel medesimo senso pure A. BISCARDI,

Quod Graeci ‘synallagma’ vocant, in Labeo, 29, 1983, 128, il quale, in relazione

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Occorre quindi prendere atto di una certa discontinuità tra l’im- piego del termine nomen che qui si riscontra e quello poco prima messo in luce, con riferimento a D. 2,14,1,3 - 4. Sembra di poter dire che là lo schema ‘genere - specie’ si presterebbe a essere applicato alla conventio a livello di verba, meri ‘significanti’; in D. 2,14,7,1, invece, lo schema ‘comune - proprio’ acquisterebbe valore in rela- zione alle vere e proprie entità ‘significate’: dal profilo linguistico si passerebbe dunque a quello del regime giuridico(66).

Il riferimento al nomen nel senso appena messo in luce, ossia con diretta allusione all’aspetto processuale consistente nella pre- senza di una formula contenuta in editto, è piuttosto ricorrente nelle fonti(67).

Inoltre, merita per inciso osservare che l’abbandono dell’ottica processuale propria del diritto romano (che mi è parso di veder e- mergere in D. 2,14,7,1) rende assai diverso il senso secondo cui oggi si parla, con riguardo al sistema vigente, di contratti nominati e in- nominati(68), ancorché neppure a sua volta paragonabile a quello

puramente nominalistico riscontrato in D. 2,14,1,4: la corretta termi- nologia ricavata dal nostro ordinamento impone infatti che si dicano nominati quei contratti che hanno non solo una propria denomina-

(66) In tal senso, cfr. A. MANTELLO, Le classi, cit., in particolare 254 ss. e 268 ss.

(67) Cfr. D. 19,5,1 pr. (Papin. 8 quaest.): Nonnumquam evenit, ut cessantibus

iudiciis proditis et vulgaribus actionibus, cum proprium nomen invenire non pos- sumus, facile descendeamus ad eas, quae in factum appellantur; D. 19,5,2 (Cels. 8 dig.): Nam cum deficiant vulgaria atque usitata actionum nomina praescriptis ver-

bis agendum est; D. 19,4,1,2 (Paul. 32 ad ed.): … alioquin si res nondum tradita

sit, nudo consensu constitui obligationem dicemus, quod in his dumtaxat receptum est, quae nomen suum habent, ut in emptione venditione, conductione, mandato ....

(68) Sul punto, si vedano le osservazioni di C.A. CANNATA, Causa, cit., 37. Rimane chiaro che la terminologia ‘nominato’ - ‘innominato’ debba intendersi, per quanto si vuole qui osservare, equivalente – come per F. MESSINEO, s.v. Contratto

innominato (atipico), cit., 95 – a quella ‘tipico’ - ‘atipico’ adottata dal Codice del

1942 (cfr. l’art. 1322 c.c., in raffronto all’art. 1103 del Codice del 1865, ove invece si distinguono i contratti a seconda che «abbiano o non abbiano una particolare de- nominazione propria»).

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zione nella prassi, ma per i quali sia anche legislativamente prevista una specifica disciplina(69).

La scelta dell’aggettivo proprius, poi, con riferimento al nomen

contractus nel quale dette conventiones avrebbero potuto transire, fa

sorgere un dubbio circa il significato dell’intera espressione. Escluso che per Ulpiano fosse richiesta la previsione di una formula specifi- ca, da intendersi come univocamente riconducibile a un contratto (in quanto esclusiva di quest’ultimo ed esaustiva delle fattispecie ricol- legabili al medesimo), è da ritenersi che fosse sufficiente, generica- mente, almeno una formula (anche comune a più contratti o, addirit- tura, ad altre situazioni giuridiche sostanziali, nonché pure, al- l’opposto, riferibile soltanto a una parte delle fattispecie rapportabili a un contratto). In effetti, il significato di ‘esclusivo’, ‘peculiare’, connotante l’aggettivo proprius(70), mi pare che per Ulpiano doves-

se in questo caso intendersi, pena l’esclusione dall’ambito della tipi- cità dei contratti non tutelati da una formula specifica (come per e- sempio il mutuo o il nomen transcripticium, sebbene quest’ultimo da tempo in decadenza, per i quali era consentito invocare la condic-

tio, la quale, com’è noto, era applicabile anche a varie altre situazio-

ni giuridiche sostanziali; oppure la stipulatio, tutelabile, a seconda dei casi, da condictio o da actio ex stipulatu), nel senso più ampio che si è prospettato per secondo.

Rimarrebbe in tal modo disegnata una corrispondenza, per così dire, ‘univoca’, tale per cui una conventio avrebbe dovuto comunque trovare almeno una formula (in tal senso un proprium nomen con-

tractus) a sua protezione.

Sempre riflettendo sul passaggio all’esame, si è avuto modo, con Perozzi, di soffermarsi sull’interrogativo se le conventiones di cui è menzione si ritengano tansitare in proprium nomen contractus nel senso che quest’ultime, lasciando il nome di conventio, prendono quello di contractus oppure nel senso che ciascuna conventio passa

(69) Cfr., con chiarezza, F. MESSINEO, s.v. Contratto innominato (atipico), cit., 98 s.; si veda anche, in breve, M. TALAMANCA, La tipicità, cit., 37, nt. 6.

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direttamente nel nome dei singoli contratti (si veda, di seguito: ut

emptio venditio, locatio conductio, societas, commodatum, deposi- tum et ceteri similes contractus)(71).

Fermo restando che, per quanto si è appena osservato, il riferi- mento al nomen deve intendersi alla luce della previsione di una (anche non specifica) formula edittale, la risposta non può che corri- spondere alla seconda alternativa indicata: il punto di vista da cui Ulpiano osserva il problema è quello, ‘specializzante’, dei singoli

nomina contrattuali.

Tuttavia, pare a me che il dubbio proposto da Perozzi sia quan- tomai sottile e, invero, non manchi di cogliere un’ambiguità di piani sottesa, in questo preciso passaggio, alle parole di Ulpiano. Ciò me- rita di essere posto in evidenza.

Il discorso sul passare in proprium nomen contractus in effetti può (e, tenendo conto di quanto segue, in D. 2,14,7,2, anzi deve) leggersi anche sotto una diversa luce.

Si osservi: se l’accento cade sul proprium nomen (ossia il no-

men di ciascun singolo contratto), l’attenzione appare incentrata sul-

la diretta riconducibilità delle conventiones alle formule previste in editto. Quindi la prospettiva risulta, come si è detto, quella proces- suale.

Viceversa, se si sofferma lo sguardo sul nomen contractus (os- sia il nomen dell’intera categoria), si vede che le conventiones tran- sitanti in proprium nomen contractus appartengono tutte alla mede- sima e comune idea di contratto, travalicante i tipi e sovraordinata rispetto a essi(72). La prospettiva diviene allora quella sostanziale.

Il problema che si affaccia alla mente del giurista sorge sul pia- no processuale: si tratta infatti di decidere della tutelabilità delle

conventiones che non passano in un nomen (inteso come formula e-

dittale); però la soluzione (la quale si trova nel testo poco di seguito, in D. 2,14,7,2, ove Ulpiano cita Aristone) necessariamente presup-

(71) Si veda S. PEROZZI, Le obbligazioni, cit., 414, nt. 1.

(72) Si veda quanto osserva A. BURDESE, Contratto, cit., 517, con riferimento a «una categoria contrattuale generica priva di proprium nomen».

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pone un ragionamento che si sviluppa sul terreno sostanziale e che, in particolare, su quest’ultimo elabora un’idea generale di contratto. Allora la prospettiva diviene quella (non più, come prima si era det- to, ‘specializzante’, dei singoli nomina, bensì) ‘aggregante’ del con- tratto.

Occorre ora focalizzare l’attenzione sul giustapporsi tra suum

nomen (che è quello comune delle conventiones iuris gentium) e proprium nomen contractus. Dunque, dell’insieme delle conventio- nes, l’una parte è costituita dalle conventiones che transeunt, l’altra

dalle conventiones che invece non transeunt. A voler rimanere nel- l’ottica processuale entro cui il problema risulta impostato, a tale di- stinzione dovrebbe corrispondere «l’antitesi tra contratti generatori d’azione e patti generatori di eccezione»(73). Se si ritiene esaustiva

la partizione, i contratti tutelati da azione dovrebbero essere rappre- sentati da tutte e soltanto le conventiones che transeunt. Invece, alla luce della soluzione che verrà subito di seguito indicata, si scopre che vi sono delle conventiones prive di nomen, che pure possono chiamarsi contratti e che sono egualmente idonee a ricevere tutela in via di azione.

La sfasatura, se non si vuole ritenere il passo tutto interpolato (e così cancellare d’un tratto la più solida prova dell’esistenza stessa, in diritto classico, dei contratti innominati(74)) trova spiegazione te-

nen-do conto della segnalata ambiguità.

La frase introduttiva del § 2, sed et si in alium contractum, con cui è citato il responsum di Aristone, marca il definitivo spostamen- to verso la prospettiva sostanziale. Alla base, emerge la considera- zione, proprio sul terreno sostanziale, di un’idea di contratto che tra- valica i tipi.

L’argomentare di Ulpiano, nel § 1, nasconde un’ambiguità di piani (quello processuale e quello sostanziale) che conduce, non senza qualche difficoltà, alla soluzione di Aristone.

(73) Cfr. S. PEROZZI, Le obbligazioni, cit., 414, nt. 1.

(74) Come con coerenza, da questo punto di vista, faceva S. PEROZZI, Le ob-

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In chiusura del § 1 si legge l’esemplificazione delle conventio-

nes transitanti in proprium nomen contractus, ove sono citati i con-

tratti di compravendita, locazione conduzione, società, comodato e deposito; l’espressione et ceteri similes contractus, della cui autenti- cità – come si è detto(75) – taluni hanno sospettato, prova anzitutto

che si tratti di un elenco aperto(76), ma suggerisce anche che l’iden-

tificazione dei vari contratti risponda a un criterio coerente(77).

Occorre ora chiedersi quale esso sia.

Il dato indiscusso dal quale partire risiede nel fatto che ci si col- loca comunque nell’ambito delle conventiones (ex privata causa)

iuris gentium di cui Ulpiano aveva parlato in D. 2,14,5. Ogni tenta-

tivo di ricostruzione del contenuto di tale categoria, come si è visto, rimane congetturale: tuttavia, mi era parso di dover ritenere che la classe delle conventiones iuris gentium fosse da intendere in un sen- so ampio, tale da ricomprendere stipulatio e mutuo. Al suo interno, poi, la scelta dei contratti in esemplificazione si rivela alquanto si- gnificativa.

In particolare, credo sia necessario volgere lo sguardo poco ol- tre, ove è espressa la soluzione per il problema dei contratti innomi- nati proposta da Aristone (e accolta da Ulpiano).

Ebbene, l’elenco accomuna contratti certamente rientranti nella tipicità(78), da intendersi – come si è detto – in senso edittale(79),

ma la scelta cade su tipi contrattuali che presentano tutti una caratte- ristica: quella della causalità. L’intendimento alla base

(75) Si veda supra, § 3, specie nt. 43.

(76) Come osserva, fra molti, G. MELILLO, Contrahere, cit., 213.

(77) Per M. TALAMANCA, Conventio, cit., 213, nt. 177, «la qualificazione si-

miles mostra che chiunque abbia scritto l’inciso pensava non a generici contractus,

ma a figure del tipo di quelle precedentemente enumerate»; nel medesimo senso, F. GALLO, Eredità di giuristi, cit., 57, nt. 112.

(78) Come ribadisce, di recente, A. BURDESE, Divagazioni, cit., 350; peraltro si tratta di un rilievo ricorrente quanto difficilmente contestabile: si veda già J. Cu-

jacii Opera, II, cit., col. 741 s., nonché S. SCHLOSSMANN, Der Vertrag, cit., 34 s.

(79) Cosicché il riferimento ai nomina sarebbe da intendersi in un significato più pregnante rispetto a quello risultante da D. 2,14,1,4.

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dell’esemplifi-cazione è quello di citare contratti per i quali sussista la causa (nel senso in cui se ne richiede la necessità in D. 2,14,7,2).

Dunque, si tratta di contratti tipici, ma anche caratterizzati da una causa determinata (a priori). Detto a contrario, risulta quindi e- scluso l’ambito dell’astrattezza.

Combinando le due caratteristiche (quella della tipicità e quella della causalità), mi pare si possa dunque parlare, d’ora in avanti, di una ‘tipicità causale’ accomunante i contratti citati.

Evidentemente, variabile risulta il ‘grado’ di tipicità causale per ciascun contratto: si può distinguere tra una «‘tipicità debole’, ove si proceda per grandi figure capaci di notevoli applicazioni polifunzio- nali», così limitandosi essa a costituire una cornice ampia, come nel caso di societas e locatio conductio(80), e una tipicità ‘forte’, in cui

«la determinazione del tipo risulti più circoscritta»(81), come nei ca-

si di emptio venditio, commodatum, depositum.

Il ragionamento che si svolge è quello per cui, se si è in presen- za di conventiones che realizzano una causa tipicamente riconosciu- ta, si avrà senz’altro contratto: e ciò è funzionale a quanto si va a di- re, facendo ricorso alle parole di Aristone, ossia che, se pure la con-

ventio non rientri nei tipi, qualora però sussista la causa, si avrà e-

gualmente contratto.

Mi pare che, alla luce di queste osservazioni, riacquisti coerenza il procedere del discorso tra il § 1 e il § 2.

Rimane taciuta la stipulatio, menzionata nella precedente (e di- versamente orientata) elencazione di D. 2,14,1,4, nonché, a mio pa- rere, in sé ricompresa tra le conventiones iuris gentium: l’esclusione

(80) Si veda M. TALAMANCA, La tipicità, cit., 48.

(81) Così L. LANTELLA, Intervento, in ‘Contractus’ e ‘pactum’, cit., 128. In sostanziale sintonia mi sembrano le osservazioni, sviluppate tra ‘tipo’ unitario e singolo ‘modello negoziale’, che R. FIORI, La definizione della ‘locatio conductio’.

Giurisprudenza romana e tradizione romanistica, Napoli, 1999, 301 ss., sviluppa

con particolare attenzione al caso della locatio conductio (su cui si vedano anche le osservazioni di L. PIRO, Definizioni ‘perimetrali’ e ‘locatio conductio’, in Index, 29, 2001, 414 ss.; nonché di P. LAMBRINI, Recensione a R. FIORI, La definizione, cit., in Arch. giur., 221, 2001, 119 ss.).

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trova giustificazione nel carattere di astrattezza di questa figura con- trattuale, a cospetto del modello aristoniano, fondato invece proprio sul sussistere di una causa determinata (a priori).

Ulpiano ripropone dunque, a ridosso del responsum aristoniano, ma integrandola in un argomentare più ampio, un’elencazione che tenga conto del modello contrattuale che lì era delineato.

L’idea di contratto di Aristone contemplava la necessaria pre- senza della causa.

Invero, non è dato sapere se già Aristone si fosse espresso, men- zionando i contratti che leggiamo nell’esemplificazione in D. 2,14, 7,1, per chiarire il senso della propria soluzione al problema dei con- tratti innominati oppure se li citasse per la prima volta Ulpiano(82),

collocandosi però in un’ottica coerente rispetto alla soluzione del giurista traianeo.

Neppure è chiaro se il responsum di quest’ultimo fosse scritto o soltanto orale(83): dunque ignoriamo di quale ‘materiale’ aristoniano

si fosse avvalso Ulpiano.

Pare a me più probabile l’ipotesi di una risalenza aristoniana dell’elencazione: come si vedrà, Aristone si pronunciava infatti a- vendo riguardo a un’idea generale di contratto che si poneva al di sopra dei tipi e che quindi avrebbe coinvolto tanto l’ambito della ti- picità quanto quello dell’atipicità. Quella stessa idea era capace di ispirare la soluzione del problema dei contratti innominati. Dunque non è affatto implausibile che già Aristone avesse fatto ricorso agli