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Una lettura estensiva del richiamo al sun£llagma »

Sempre sulla base della tesi per cui l’esemplificazione contenuta in D. 2,14,7,1 sarebbe stata già aristoniana, si potrebbe per vero af- facciare un’altra supposizione. Stante l’assenza del mutuo e della

stipulatio, entrambi contratti unilaterali, vi sarebbe spazio per pensa-

re che all’origine di tale esclusione fosse pur sempre la considera- zione dell’idea di contratto delineata da Aristone, ma in questo caso non già per ragioni riguardanti la causa, bensì inerenti l’aspetto pre- valentemente strutturale richiamato in relazione a quella medesima

prensione del pensiero di Aristone, occorrerebbe peraltro tener presente D. 12,1,9,8 (Ulp. 26 ad ed.): Si nummos meos tuo nomine dedero velut tuos absente te et igno-

rante, Aristo scribit adquiri tibi condictionem: Iulianus quoque de hoc interrogatus libro decimo scribit veram esse Aristonis sententiam nec dubitari, quin, si meam pecuniam tuo nomine voluntate tua dedero, tibi adquiritur obligatio, cum cottidie credituri pecuniam mutuam ab alio poscamus, ut nostro nomine creditor numeret futuro debitori nostro. Più in generale, l’ipotesi affacciata dovrebbe inserirsi entro

la complessa questione dell’originaria configurazione della causa mutui, vista sotto il profilo dinamico della progressiva emersione di un titolo capace di contraddi- stinguere un’operazione di natura contrattuale entro l’ambito delle situazioni giuri- diche che avrebbero potuto a vario titolo dar luogo all’esperibilità della condictio. In altri termini, viene così in discussione l’autonomia della figura contrattuale del mutuo al di là della tutela processuale, comune anche a varie situazioni extracon- trattuali. Per un inquadramento di questi problemi, cfr. V. GIUFFRÈ, s.v. Mutuo

(storia), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 414 ss., specie 427 ss.; ID., La ‘mutui

datio’. Prospettive romane e moderne, Napoli, 1989, specie 65 ss.; ID., Studi sul

debito. Tra esperienza romana e ordinamenti moderni 2, Napoli, 1999, 4 ss., 120

ss.; ma, su tali aspetti, già C. LONGO, Corso di diritto romano. Il mutuo, Milano, 1933, 6 ss. Da una prospettiva più ampia, che guarda all’evoluzione generale del sistema dei contratti, cfr. P. VOCI, La dottrina, cit., 88 ss., 301, per il quale il mu- tuo, ancora alla mente di Ulpiano (con riferimento a D. 2,14,5 e D. 2,14,7,1), non si sarebbe visto rientrare nelle conventiones; S.E. WUNNER, Contractus, cit., 55 ss.; C.A. CANNATA, La ‘distinctio’, cit., 432 ss.; ID., Sulla ‘divisio’, cit., 53 ss.; ID., Der Vertrag, cit., 59 ss..; M. TALAMANCA, s.v. Obbligazioni (diritto romano), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 11 ss.; di recente, per i profili essenziali, A. BURDESE, Divagazioni, cit., 522. Inoltre, si veda l’ampia ricostruzione di A. SACCOCCIO, Si certum, cit., i cui passaggi nevralgici possono cogliersi special- mente ai luoghi: 51 ss., 75 ss., 125 ss., 160 ss., 489 ss.; cfr. poi i richiami di C. CASCIONE, Consensus, cit., 202 ss. e 204, nt. 147.

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idea di contratto: anticipando gli esiti dell’analisi testuale di D. 2,14,7,2, intendo alludere al ruolo che potrebbe aver giocato il sun- £llagma. Si sarebbe allora tentati di ritenere che il modello aristo- niano di contratto, comprensivo non solo dell’atipicità ma anche del- la tipicità, fosse fondato sulla necessaria presenza, oltre che della causa, anche del sun£llagma(94).

Così, in quanto quest’ultimo fosse richiesto, a prescindere dal fatto che lo si voglia intendere sul piano delle obbligazioni ovvero su quello delle prestazioni(95), in tanto rimarrebbe necessariamente

escluso dall’elenco il mutuo; vi sarebbe, poi, un’ulteriore ragione per ritenere estranea la stipulatio (che già non avrebbe potuto rien- trarvi per la sua astrattezza).

Imboccata questa via, si aprirebbe però il problema dell’in- dividuazione – ‘in positivo’ – di una nozione di sun£llagma in gra- do di accomunare tutti i contratti in elencazione, così giustificando,

(94) È orientato in questo senso G. MELILLO, Un rescritto, cit., 856 s., sulla base di una considerazione che sembra collocarsi (secondo un’impostazione che mi sembra coerente con la specifica attenzione dell’autore verso «il fondo di dottrina economica nella “privatistica” dei Romani», su cui è ritornato in ID., Categorie

economiche nei giuristi romani, Napoli, 2000, 6 ss.; ma cfr. già ID., Economia, cit.,

specie 18 ss.) sul piano delle prestazioni. Alla medesima idea di una visione ‘am- pia’ del sun£llagma perviene anche F. GALLO, Eredità di giuristi, cit., 57, il quale però osserva che «nella medesima categoria rientrano altresì, purché subsit causa (in presenza cioè dell’esecuzione di una prestazione), le convenzioni atipiche (quae

in alium contractum non transeunt, vale a dire non assurte a una figura contrattuale

tipica), aventi ad oggetto prestazioni corrispettive, ricondotte al profilo dell’obbligatorietà»; di seguito, lo studioso rileva che, in tutti i contratti elencati, ricorre «l’elemento della bilateralità perfetta o imperfetta» (ibidem, 58, nt. 116), considerando così di norma richiesto l’«elemento della causalità-corrispettività» (ibidem, 61). Un cenno in tal senso è dato cogliere anche in S. TONDO, Note, cit., 451, nt. 50, per il quale rimane delineata una «prospettiva espansiva, da ricom- prendervi, come sottostanti alla medesima caratterizzazione, anche le convenzioni con bilateralità imperfetta». Infine, sembra collocarsi in quest’ordine di idee B. BISCOTTI, Dal ‘pacere’, cit., 441.

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accanto alla menzione di compravendita, locazione-conduzione e società, anche quella di deposito e comodato(96).

Per i primi tre (cosiddetti bilaterali perfetti) – anche a prescinde- re dalle peculiarità, che neppure a Labeone erano parse decisive(97),

della societas rispetto a compravendita e locazione-conduzione –, si sarebbe trattato di una sinallagmaticità consistente nella reciprocità di obbligazioni, nonché, in parallelo, nella corrispettività di presta- zioni.

Per deposito e comodato, caratterizzati da bilateralità eventuale di effetti, si potrebbe parlare di una sinallagmaticità obbligatoria di- versa e attenuata(98); con riferimento al deposito e al comodato, poi,

sarebbe difficile configurare una sinallagmaticità sul piano delle pre- stazioni(99).

(96) Secondo C.A. CANNATA, Obbligazioni, cit., 445, la menzione del depo- sito e del comodato troverebbe spiegazione sotto un’altra luce, ossia pensando al fatto che quei contratti, per i giuristi classici, sarebbero stati consensuali, poi «con- cepiti, a partire dall’epoca epiclassica, come contratti reali, ed avvicinati al mu- tuo».

(97) Cfr. D. 50,16,19, su cui si veda infra, § 8.

(98) La considerazione della bilateralità imperfetta avrebbe poi almeno poten- zialmente ricompreso la figura del mandato, non menzionato nell’elencazione in esame, ma in sé non lontano dalla bilateralità perfetta di effetti obbligatori (per una sintesi, cfr. G. GROSSO, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato

romano. Dall’epoca arcaica alla giurisprudenza classica: diritti reali e obbliga- zioni, Torino, 1970, 389 ss., 408 ss.).

(99) Sulla possibilità di riconoscere nel contratto di deposito una struttura a carattere sinallagmatico, si vedano le caute riflessioni di A. BURDESE, In margine, cit., 40. È invece orientato a ritenere che comodato e deposito fossero inclusi nel sistema di «causalità-corrispettività» F. GALLO, Eredità di giuristi, cit., 63, il quale cita, a sostegno della riconducibilità anche del comodato entro un’idea che potreb- be dirsi ‘elastica’ di corrispettività, D. 13,6,17,3 (Paul. 29 ad ed.): Sicut autem vo-

luntatis et officii magis quam necessitatis est commodare, ita modum commodati finemque praescribere eius est qui beneficium tribuit. Cum autem id fecit, id est postquam commodavit, tunc finem praescribere et retro agere atque intempestive usum commodatae rei auferre non officium tantum impedit, sed et suscepta obliga- tio inter dandum accipiendumque. Geritur enim negotium invicem et ideo invicem propositae sunt actiones, ut appareat, quod principio beneficii ac nudae voluntatis fuerat, converti in mutuas praestationes actionesque civiles …. Sicché «nella trat-

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In ogni caso, la sinallagmaticità cui per ciascuna figura occorre- rebbe fare riferimento risulterebbe a sua volta diversa rispetto a quella richiesta da Aristone per i contratti innominati.

Certo, siffatte difficoltà potrebbero ritenersi superabili in una prospettiva nella quale fosse riservata attenzione anzitutto alla rile- vabilità di uno scambio inteso in senso lato, realizzabile tanto sul pi- ano delle obbligazioni quanto su quello delle prestazioni, come sa- rebbe consentito fare accettando di ragionare in termini assai lati di ‘sacrifici giuridici’ sopportati dalle parti(100).

Né mi pare che una prospettiva di questo tipo sarebbe implausi- bile.

Si potrebbe pensare che un’idea – la quale è invero piuttosto in- tuitiva – di scambio tra ‘sacrifici giuridici’, a prescindere dalla di- stinzione tra il piano delle obbligazioni e quello della prestazioni, fosse già alla base delle strutture contrattuali caratterizzanti la prima fase dell’espansione commerciale romana, nella quale si deve ritene- re che la considerazione dell’idea di scambio, in sé valutata, preva- lesse sui modi stessi in cui questo fosse realizzato (sicché solo in questa luce sarebbe dato comprendere la corrispondente svalutazio- ne della traditio rei a mera condizione di tutelabilità dell’affa- re)(101).

zioni che transeunt in proprium nomen contractus e quelle atipiche produttive di azioni» (ibidem, 64). Parrebbe collocarsi in questa prospettiva, sia pure dal diverso punto di vista delle vicende che interessano i rapporti sistematici tra il mutuum e la nozione di contratto, anche V. GIUFFRÈ, s.v. Mutuo (storia), cit., 429.

(100) Così, usando una terminologia ricavata da R. SACCO, Il contratto, II, cit., 5 ss., si potrebbe dire che i ‘sacrifici giuridici’ sono distribuiti al modo seguen- te: nel caso del deposito, al sacrificio del depositario che custodisce la cosa si col- lega quello eventuale del deponente di ripagare danni e spese; nel caso del como- dato, al sacrificio del comodante che concede in prestito la cosa corrisponde quello eventuale del comodatario di ripagare danni e spese; nel caso di compravendita, locazione-conduzione e società, sempre si collegano in un vincolo attuale i sacrifici giuridici delle parti. Su questi aspetti, si veda anche F. GALLO, Eredità di giuristi, cit., 64 s., il quale ragiona però in termini di «bilanciamento» tra gli obblighi delle parti.

(101) Penso anzitutto ai risultati della ricerca condotta da V. MAROTTA, Tute-

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Una prospettiva estensiva dello scambio, rispetto alla quale ri- manga indifferente la sua collocabilità sul piano delle obbligazioni ovvero su quello delle prestazioni, è d’altra parte implicita in un si- stema – ferme restando le evidenti differenze rispetto all’esperienza giuridica romana –, qual è quello di common law, ove la diversità tra

executed consideration (ricorrente allorché vi siano una prestazione

eseguita e una controprestazione da compiersi) ed executory consi-

deration (sussistente quando nulla ancora sia stato dato) non impedi-

sce di vedere in ciascun caso operante il bargain, ossia, giust’ap- punto, lo scambio(102).

Né, infine, si potrebbe dubitare che un forte peso abbia tut- t’oggi, anche per la nostra tradizione giuridica, la considerazione dello scambio che taluno chiama «empirico»(103), ossia quello che,

nella sostanza, può vedersi realizzato tra i ‘sacrifici giuridici’ a cari- co delle parti(104).

Ciò detto, non si può nascondere che l’orizzonte in tal modo di- schiuso risulti quantomai fluido e in larga parte congetturale: tanto che, in definitiva, mi pare complessivamente più prudente rimanere dell’idea che il criterio di identificazione utilizzato nella scelta dei contratti di cui in D. 2,14,7,1, probabilmente già indicati da Aristone e poi solo ripresi da Ulpiano (sebbene l’uno e l’altro giurista si fos- sero pronunciati in contesti e con intendimenti differenti), sia quello

ka, 1, 1996, in specie 120 ss.; con riferimento alla diversa modalità di realizzazione

dello scambio nella permuta e nella compravendita, in particolare, ibidem, 129, e, in relazione invece ai contratti atipici di cui in D. 2,14,7,2, ibidem, 131.

(102) Su questi aspetti, si veda, per intanto, G. GORLA, Causa, cit., 173 ss.; ma, soprattutto, si rinvia infra, cap. VIII, § 6.

(103) Così V. ROPPO, Il contratto, cit., 372, esprimendo peraltro una teorica ormai diffusa: cfr. A. PALAZZO, I singoli contratti, II, Atti gratuiti e donazioni, in

Trattato di diritto civile diretto daR. SACCO, Torino, 2000, 75 ss.; ID., La causali-

tà della donazione tra ricerca storica e pregiudizio dogmatico, in Riv. crit. dir. priv., 20, 2002, 246 e nt. 5.

(104) Una riprova significativa della considerazione ‘economica’ dello scam- bio mi pare rappresentata, per il nostro ordinamento, dal regime del contratto di mutuo a interessi, per il quale è consentita, ai sensi dell’art. 1820 c.c., la risoluzio- ne: ma, su ciò, si rinvia infra, cap. VIII, § 7.

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della tipicità causale: in effetti, senza tener conto delle supposizioni che si sono svolte sul sun£llagma, non v’è dubbio che l’elenco an- noveri figure contrattuali rientranti nella tipicità e sostenute da una causa determinata.

Avendo riguardo a ciò, Ulpiano osserva che la conventio passa

in proprium nomen contractus: sussiste una causa, riconosciuta in

quanto edittalmente tipizzata.

Passando al § 2, il discorso del giurista severiano procede poi affermando, con l’inserimento delle congiunzioni sed et, poste a in- trodurre le parole di Aristone(105), che, qualora l’affare in tal sen-

so è da intendersi il significato del segno res(106) non passi in a- lium contractum, se tuttavia subsit causa, ne nascono obbligazioni

civili.

È qui rappresentata la costruzione aristoniana, sulla quale occor- re adesso attentamente soffermarsi.