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Considerazioni conclusive

Grafico 3.1: Alunni in ritardo con cittadnanza italiana e non, per livello scolastico (per 100 alunni), a.s 2008/2009.

3.3 Considerazioni conclusive

In conclusione si può affermare che il Testo Unico n. 286/98 “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” agli articoli 43 e 44 sancisce il concetto di tutela contro l’antidiscriminazione in Italia. In particolare all’articolo 43 al primo comma, si sottolinea la definizione di discriminazione individuandola in “ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”. Inoltre nel secondo comma si afferma che “chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al

116 pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità” compie discriminazione.

La legge quindi, parla di azioni che danno origine alla discriminazione in quanto, anche indirettamente, possono tradursi in trattamenti di sfavore o a danno di una persona.

Nell’ottica della legislazione vigente quindi, non esiste nessuna discriminazione formale in ambito bancario ma in quello sostanziale si, in quanto non limita agli immigrati l’accesso ai servizi bancari ma sussistono comunque delle restrizioni a causa delle maggiori garanzie e documentazione richiesta dagli operatori a questa categoria di persone. Secondo Unar (2014), esiste in generale, nel mondo bancario, una certa diffidenza nei confronti di potenziali clienti che non sono italiani, questo atteggiamento che possiamo definire “prudente” nei confronti degli immigrati è giustificato dal carattere temporaneo del loro permesso di soggiorno e del loro contratto di lavoro nonché dalla loro elevata mobilità su tutto il territorio italiano. Le banche sono quindi in difficoltà a valutare la loro effettiva capacità di rimborso.

Per quanto riguarda invece il caso dell’istruzione la discriminazione è quasi assente, si nota solamente tra la documentazione da fornire all’istituto per riuscire ad iscrivere il proprio figlio a scuola la presenza del permesso di soggiorno. L’unico documento di differenziazione rispetto allo studente italiano risulta essere quindi il documento di soggiorno da allegare al documento di riconoscimento. In secondo luogo la differenza tra alunni italiani e non si evince anche dalla percentuale di stranieri non in regola in base alla loro età con gli studi; questa non vuole essere una vera e propria discriminazione quanto un dato di fatto da ricongiungere al problema linguistico e di integrazione.

Dal punto di vista lavorativo Santoro (2014), monitora che tra gli stranieri che risiedono nel nostro paese in maniera regolare la quota di lavoratori non in regola si aggira attorno al 30 per cento, questo dato dimostra che le continue regolarizzazioni non servono a molto nel contrasto al “lavoro nero”, inoltre le condizioni di lavoro di chi si presta a svolgendo i lavori che gli italiani non sono disposti a fare, sono costituite da basse retribuzioni, condizioni insalubri e orari di lavoro faticosi.

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Anche nella ricerca di una abitazione gli immigrati sono in difficoltà per il fatto che gli affitti che gli vengono proposti raggiungono prezzi altissimi che gli immigrati non riescono a pagare, spesso le abitazioni poi sono ridotte in condizioni pietose e vengono riempite da un numero di soggetti superiore rispetto alla reale capienza dell’abitazione.

Infine la criminalità. L’afflusso dei cittadini stranieri e più ancora la presenza di stranieri clandestini ha fatto scaturire reazioni sull’idea di sicurezza e di integrità dei cittadini nazionali sviluppando comportamenti discriminatori verso questa categoria di persone. Esistono reati come la prostituzione, lo spaccio, che sono sotto gli occhi di tutti, gli immigrati hanno portato inoltre la violazione di norme che non costituiscono reato ma che contribuiscono a creare quella sensazione di insicurezza a chi invece le rispetta.

Per quanto riguarda l’accesso al welfare, Saraceno, Sartor, Sciortino (2013) alla conclusione delle loro analisi su due aspetti del welfare come le politiche abitative e l’accesso al servizio per l’infanzia, hanno evidenziato che gli stranieri utilizzanti quest’ultima tipologia di servizi evidenziano un profilo più fragile rispetto a quello degli italiani proprio come accade nella popolazione complessiva in generale; si inverte la situazione per quanto riguarda il welfare abitativo in cui esiste un effetto selettivo verso gli stranieri che porta all’esclusione delle fasce più fragili. La differenza tra i due settori è dovuta a molte dinamiche normative e non solo, contano anche per esempio, le condizioni socio demografiche e la capacità di orientarsi all’interno della complessa burocrazia italiana. Anche il contesto territoriale gioca la sua parte: emerge l’immagine di un’Italia frammentata in cui le disuguaglianze si evidenziano a livello territoriale, si delinea un paese in cui i diritti sulla carta sono uguali ma diventano diversi a seconda del luogo in cui vengono utilizzati, mentre diritti diversi possono divenire uguali a livello locale per quanto riguarda l’efficienza o l’inefficienza della loro implementazione (Saraceno, Sartor, Sciortino, 2013).

Secondo le stime dell’Unar riportate in Euronote (2008) nel 23,8% dei casi le discriminazioni si manifestano in ambito lavorativo, nel 16,2% nella casa, nel 12,8% la discriminazione avviene nella “vita pubblica” con una percentuale del 10-11% all’erogazione dei servizi pubblici e privati e nelle forze dell’ordine nella misura del 5,7 per cento.

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Euronote (2007), afferma come nonostante le buone intenzioni da parte di tutti nell’Unione europea è ancora molta la strada da fare per reprimere i comportamenti discriminatori. Troppo spesso si da per scontato che la parità di trattamento stia a significare che tutti gli individui debbano essere trattati allo stesso modo, ma un trattamento identico porterebbe a una parità formale ma probabilmente non sarebbe sufficiente per ottenere parità in maniera sostanziale. Per realizzarla concretamente sarebbero necessarie misure compensative che vadano a combattere le conseguenze della discriminazione fatta in passato e di quella attuale. È necessario rapportarsi con una società dove esistono più pregiudizi che persecutori e dove le vittime di fenomeni discriminatori spesso non se ne rendono nemmeno conto essendo anche inconsapevoli delle loro difficoltà sociali che provocano queste differenze. Una cosa che la società dovrebbe adoperarsi a fare è quella di aprire gli occhi alle vittime senza aspettare in maniera passiva una loro reazione; la legislazione è il primo strumento a cui fare riferimento per la lotta alla discriminazione ma, per cambiare nella pratica atteggiamenti e comportamenti, è necessario sostenere la normativa in maniera continua con misure concrete.

Secondo Euronote (2008), l’applicazione della legge 2000/43/CE che ribadisce l’uguaglianza razziale vietando la discriminazione fondata sulla razza ed etnia, è messa in pratica solamente dalla metà dei 27 Paesi europei. Inoltre, nel 2008, 12 dei 27 Paesi non avevano nel loro ordinamento previsto sanzioni in merito a comportamenti razzisti e discriminatori mentre in altri 15 Paesi il numero delle sanzioni variava sensibilmente. Il Regno Unito nel 2008 ricopre il primo posto per il rispetto della legislazione europea con il numero di sanzioni anti discriminatorie in misura superiore rispetto a tutti gli altri paesi della Comunità. L’Italia insieme ad altri paesi come anche la Francia, hanno ratificato correttamente la direttiva europea.

L’aspetto fondamentale della diseguaglianza tra italiani e stranieri che in questa sede più interessa, riguarda la differenza tra il dare e l’avere cioè tra quanto ricevono in termini di welfare e quanto pagano in termini di fiscalità. Secondo Saraceno, Sartor e Sciortino (2013) nell’opinione pubblica italiana esistono due visioni opposte a tal riguardo: c’è che vede lo straniero e in particolare l’immigrato come un beneficiario netto del welfare (accaparratore dei servizi a cui non ha contribuito) e invece chi vede proprio nell’immigrato un finanziatore di servizi di cui nell’immediato non ha bisogno e

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che non utilizza, salvatore quindi dei conti italiani. Nel capitolo seguente si cercherà di fornire elementi empirici per verificare quali delle due opinioni può essere considerata la più veritiera. Si può però anticipare che la prima generazione di stranieri che solitamente arriva in Italia è di giovane età adulta e fornisce un contributo netto alla finanza pubblica addirittura superiore a quello medio degli autoctoni del paese di destinazione nonostante il loro minor reddito percepito e il relativo apporto in termini di imposte e contributi. Se invece vengono messi a confronto italiani e figli di immigrati in Italia che sono sempre stranieri ma equivalgono alla seconda generazione, il confronto avviene tra soggetti omogenei in quanto entrambi nascono e vivono in Italia; in questo caso il quadro cambia risultando che la seconda generazione nell’arco dell’intera loro vita forniscono un contributo inferiore di oltre la metà alla finanza pubblica italiana rispetto all’italiano stesso nel medesimo periodo di tempo considerato (Saraceno, Sartor e Sciortino, 2013).

121 Capitolo 4: IMPATTO SULLA FINANZA PUBBLICA