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Considerazioni conclusive

CAPITOLO III Principi teorici

3.5 Considerazioni conclusive

Ripercorrere la storia del fenomeno valutativo e analizzarne gli approcci e i modelli sviluppati dai diversi studiosi nel corso degli anni, ha permesso di cogliere un significato generale, che, seppur variegato ed eterogeneo, rende l‟idea della complessità dell‟azione valutativa e delle diverse prospettive dalle quali si può considerare.

Come si è potuto rilevare, esiste un nutrito dibattito intorno al tema della valutazione, che investe soprattutto gli interventi nel sociale e l‟operato di enti di pubblica amministrazione, ma che fornisce anche spunti di riflessione di carattere generale attinenti alla pratica valutativa nel suo complesso. Le associazioni segnalate si occupano principalmente di fornire linee guida dalle quali si possono ricavare alcuni interessanti considerazioni. Innanzitutto, queste associazioni assumono come principio fondamentale del loro modus operandi l‟attenzione nei confronti del rigore metodologico: la finalità dichiarata è quella di diffondere nell‟ambito dell‟operato delle organizzazioni una pratica valutativa che possieda determinate caratteristiche di natura metodologica, riferite al rigore, alla precisione e alla trasparenza. In secondo luogo, l‟attenzione è posta verso la questione della formazione, con un interesse a far sì che la figura professionale del valutatore venga delineata precisamente a livello degli ambiti di attività come dei principi etici cui ispirarsi.

D‟altra parte, gli studiosi propongono modelli valutativi anche molto diversi nel loro impianto, che contribuiscono a rendere conto della complessità della questione, e delle diverse implicazioni conseguenti alla scelta dell‟uno o dell‟altro modello.

Scegliere di adottare l‟uno o l‟altro approccio e modello, rifarsi ad un paradigma piuttosto che ad un altro, ha le sue ripercussioni sul significato ultimo di tutto il processo, e anche sulla tipologia di informazioni che verranno raccolte. Al di là, infatti, della vecchia contrapposizione tra quantitativo e qualitativo, è la metodologia nel suo senso più generale a cambiare a seconda dell‟approccio di riferimento. È una metodologia strutturata quella che si seguirà scegliendo di

aderire ad un approccio valutativo orientato agli obiettivi e/o alle decisioni, mentre avrà una natura più aperta e flessibile la metodologia corrispondente al paradigma naturalista/costruttivista.

Muovendosi, infatti, verso quest‟ultimo tipo di paradigma, si perde la possibilità di possedere una lista strutturata e già predisposta di passi metodologici da seguire, e di punti elenco da riempire per elaborare un report. I passi metodologici propri di un approccio costruttivista sono indicazioni di carattere generale, non si pongono in una sequenza temporale, né si può essere certi che, fatto un passo, non si debba tornare indietro a rivedere e modificare quanto si è già fatto.

Da un certo punto di vista, quindi, se la maggiore strutturazione permette al valutatore di essere guidato nel suo percorso attraverso indicazioni e norme già predisposte, questo non implica che la mancanza di strutturazione corrisponda ad un‟assenza di rigore metodologico. La valutazione costruttivista può e deve essere rigorosa nei suoi passaggi, nell‟indicazione delle responsabilità dei doveri del valutatore, nell‟elaborazione dei report a conclusione di ogni azione, etc., il rigore è dato dalla trasparenza di ogni atto, dalla giustificazione di ogni scelta metodologica effettuata, e dalla raccolta di quante più informazioni possibili così da ricavare una documentazione ampia, che costituisca una buona base sia per fare nuove scoperte sia per rielaborare quelle vecchie alla luce delle nuove.

La differenza fondamentale risiede allora nella possibilità data agli stakeholders di essere parte attiva del processo: se per Stufflebeam vengono coinvolti solo nella fase iniziale di valutazione del contesto, per evidenziarne i bisogni e le risorse, per Guba e Lincoln, o anche per Stake ed Eisner, tutte le parti interessate rimangono fondamentali in tutto il processo. È a loro che si ritorna periodicamente per rilevare non solo i bisogni, ma più in generale il significato (o meglio i significati) che loro stessi attribuiscono al processo in cui sono direttamente coinvolti; è da loro che emergono le questioni importanti, è dalle loro opinioni che si forma il focus della valutazione stessa. Il valutatore si affida completamente agli stakeholders, e il suo ruolo diventa quello di formatore, guida, mediatore (mai di “colui che formula giudizi dall‟esterno”), che aiuta a divenire valutatori loro stessi dell‟evento di cui sono protagonisti. Il versante scientifico contribuisce dunque ad ampliare e ad approfondire la questione della valutazione, aggiungendo valore

all‟operato delle associazioni, consistente nel fornire principi generali e indicazioni di massima. Sicuramente di grande rilevanza appare l‟impegno di queste associazioni nell‟offrirsi come spazio di discussione e di confronto, facendo da ponte tra i professionisti da un lato e gli studiosi dall‟altro. In questo modo, infatti, verrebbe incoraggiato quello scambio dialogico che dovrebbe costituire la premessa di qualsiasi percorso valutativo, inteso come “form of inquiry”204

, quindi come percorso di scoperta, di indagine, di ricerca che conduce alla costruzione di un giudizio di valore.

204

Guba G., Lincoln Y. S.,Fourth Generation Evaluation, Sage Publications, Newbury Park, California, 1989.

Capitolo Quarto

Dalla teoria dell’ apprendimento in rete alla valutazione

nella formazione on-line

La conoscenza è una combinazione fluida di esperienza, valori, informazioni contestuali e competenza specialistica che fornisce un quadro di riferimento per la valutazione e l‟assimilazione di nuova esperienza e di nuove informazioni. Essa origina e viene applicata attraverso i

conoscitori. Nelle organizzazioni la conoscenza non è legata solo ai documenti, ma anche alle procedure e ai processi organizzativi, alle pratiche e alle norme.

Davenport e Prusak (2000)205

4.1 Premessa

Apprendere in rete significa valorizzare la dimensione concreta, situata e significativa del virtuale. Virtuale che è reale, che è, come vedremo nell‟ ultima parte di questo lavoro,“realtà relazionale” mediata dalle tecnologie. Gli ambienti dialogici della rete forniscono infatti un contesto specifico, molto concreto, all‟interno del quale gli individui possono costruire e sviluppare conoscenze significative. Ci sono chiaramente alcuni limiti. Proprio la logica della “situated cognition” ci dice che ciò che si apprende è fortemente legato alla situazione, quindi alle opportunità di azione consentite dall‟ambiente (in questo caso elettronico) e dal contesto socio-culturale. Come tutti i contesti, la rete è in grado di favorire maggiormente lo sviluppo di alcuni tipi di conoscenza e non di altre. Come mostrano Hatch e Gardner206 descrivendo le interazioni tra i bambini di un asilo, ambienti di lavoro diversi (ad esempio i tavoli piuttosto che le aiuole con la sabbia) attraverso le loro specificità di dominio, suggeriscono determinate modalità operative e si prestano a facilitare o meno lo sviluppo di determinate interazioni sociali. I concetti di cognizione e di intelligenza, in questa prospettiva,

205

Davenport T.H., Prusak L., Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e trasferire conoscenza, Milano, ETAS,2000.

206

Hatch T., Gardner H., Finding cognition in the classroom: an expanded view of human intelligence, in G. Salomon (ed.), Distributed cognitions. Psychological and educational considerations, Cambridge, Cambridge University Press, Cambridge MA, 1993, pp. 164-187.

sono strettamente interrelati a quelli situazionali. In questo senso anche gli “ambienti della rete”, di cui parleremo diffusamente nell‟ultimo capitolo, hanno delle specificità: ovvero favoriscono determinate pratiche (in questo caso soprattutto quelle negoziabili su base dialogica) ed impongono determinati vincoli (ad esempio non consentono, ad oggi, di manipolare fisicamente oggetti e quindi escludono le competenze che richiedono l‟attivazione dei sistemi sensoriali: tattile, olfattivo e gustativo).

La rete, al pari di altri contesti educativi espliciti, non è quindi un luogo neutro: ha alcune sue specificità, ma soprattutto richiede di essere caratterizzata come contesto situato e di essere provvista di attività significative per i discenti. Gli approcci legati all‟apprendimento come processo attivo di partecipazione alle pratiche di un gruppo forniscono interessanti modelli orientativi capaci di fornire strumenti metodologici ed operativi particolarmente idonei all‟uso delle tecnologie. Modelli didattici più specifici, come quelli legati all‟apprendimento collaborativo nelle varie declinazioni e prospettive, si connettono altrettanto bene a questa visione, riuscendo per altro a completarne alcuni limiti. Naturalmente per impostare l‟uso delle tecnologie quali contesti di apprendimento è necessario conoscere in dettaglio quali specifici obiettivi si vogliono perseguire e quali pratiche reali di apprendimento, comunicazione e lavoro suggerire. Sulla base degli obiettivi e delle caratterizzazioni culturali, formative e valoriali del gruppo è possibile avviare una riflessione su quali tecnologie siano capaci di fornire i supporti di mediazione semiotica più adeguati. È infatti evidente, come vedremo successivamente, che le tecnologie necessitano di essere partecipate, ovvero che é importante la comprensione individuale delle loro modalità di uso, ma che è altrettanto indispensabile una condivisione dei codici e dei significati ad esse sottostanti. Non esistono le tecnologie capaci di risolvere tutti i problemi, o di risolverli per tutti. Proprio la prospettiva storico culturale ci aiuta a capire che il lavoro, spesso trascurato o totalmente disatteso (in particolare dai tecnici), è proprio quello della ricerca del delicato punto di equilibrio tra le potenzialità (e i limiti) degli strumenti e la capacità (e volontà) degli individui di utilizzarli.