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La consulenza tecnica d’ufficio come banco di prova della tenuta dell’equilibrio del sistema.

penale 28 , il quale infatti non può accontentarsi di relegare il giudice al ruolo di arbitro spettatore ed è tendenzialmente ispirato al principio della ricerca

5. La consulenza tecnica d’ufficio come banco di prova della tenuta dell’equilibrio del sistema.

33 In questo senso, cfr. ex plurimis Cass. 10/1/2006 n. 154, in Rep. Foro It., 2006, v.

Lavoro e previdenza (controversie), n. 117. Ma occorre sottolineare che la legge processuale può essere violata anche nella direzione opposta, perché un elemento di illegittimità potrebbe essere ravvisato proprio nella insufficiente valorizzazione dei poteri officiosi, naturalmente in presenza degli opportuni requisiti: cfr. BELLÈ, Poteri istruttori

del giudice del lavoro e sindacabilità in cassazione della loro mancata utilizzazione, nota a

Da questo punto di vista la consulenza tecnica d’ufficio incarna in modo particolarmente esemplare la natura e le finalità dei poteri istruttori officiosi.

Come si vedrà meglio in seguito, la consulenza non può mai avere una funzione sostitutiva e può rappresentare soltanto uno strumento complementare rispetto all’obiettivo della parte di provare il fatto (costitutivo, impeditivo o estintivo) la cui prova l’art. 2697 c.c. pone a suo carico34. E proprio la necessità di superare ostacoli non meramente fattuali (dei quali la parte deve preoccuparsi spendendo i mezzi di prova attribuiti dalla legge alla sua iniziativa) ma di natura tipicamente tecnica fa comprendere che l’obiettivo perseguito dal giudice attraverso l’ammissione di questo mezzo di prova è quello di completare il quadro (e non di dipingerlo interamente per proprio conto) facendo ricorso a valutazioni che non potrebbero essere introdotte nel processo da una parte e che richiedono invece il contributo di un esperto super partes, dotato di specifiche competenze.

È dunque evidente che la particolare lacuna che si mira a colmare non è affatto imputabile all’una o all’altra parte, per la semplice ragione che il sistema processuale (e la logica stessa) non consentono che una parte

34 Su quali siano i fatti oggetto di prova e su come la questione debba essere

correttamente intesa nello specifico contesto della consulenza tecnica d’ufficio, v. infra, Capitoli II e III.

possa attribuire dignità di prova a una valutazione di carattere tecnico (tipicamente soggettiva) da lei unilateralmente introdotta nel processo.

Ciò non vuol dire che le parti non abbiano la facoltà di introdurre nel processo questo tipo di valutazioni, ad esempio depositando relazioni elaborate dai propri consulenti tecnici; ma resta fermo il principio che gli elementi così acquisiti agli atti non potranno mai assumere valenza probatoria piena e rimarranno – a tutto concedere - relegati in un ambito (larvatamente) indiziario35.

Ben diverso è il ruolo e il peso che assume sul piano probatorio la consulenza tecnica d’ufficio, perché l’ausiliario36 (a sua volta terzo e imparziale) rappresenta, di fatto una longa manus del giudice e fornisce dunque il necessario supporto specialistico a una valutazione destinata ad essere fatta propria dal giudice stesso37.

Naturalmente questa chiave di lettura della consulenza tecnica d’ufficio, in linea di principio molto chiara, deve poi trovare un’applicazione coerente nella concreta dinamica processuale. Si tratta di un

35 La consolidata giurisprudenza individua nelle consulenze di parte semplici

“allegazioni difensive”: cfr., ex plurimis, Cass. 26/9/2006 n. 20821, in Rep. Foro It., v. Prova Civile, n. 56. Una conseguenza notevole di tutto ciò è che eventuali ammissioni sfavorevoli al mandante contenute nella consulenza di parte non potranno assumere un valore propriamente confessorio: cfr. Cass. 15 Dicembre 2003, n. 19189, ibidem, v. cit., n. 24.

36 La qualità di “ausiliario del giudice” è esplicitamente attribuita dal codice di

procedura civile (Libro I ,Titolo I, Capo III) e vale a porre subito in chiaro, già nell’inquadramento sistematico, il ruolo peculiare attribuito al consulente.

37 Vedremo in seguito come questo processo non si traduca (o comunque non debba in

linea di principio tradursi) in un passivo recepimento delle conclusioni del consulente e imponga invece un’attenta opera di filtraggio, che può addirittura spingersi fino al loro radicale ribaltamento e che presuppone comunque (anche nel caso di totale adesione) un adeguato apparato argomentativo di supporto.

obiettivo meno semplice a realizzarsi di ciò che potrebbe apparire a prima vista, perché, come si vedrà meglio in seguito, esiste un serio rischio di uscire dal seminato, e anche in una pluralità di direzioni.

Quello che però preme sottolineare fin da adesso è che la verifica del corretto utilizzo dell’istituto è possibile soltanto comprendendo appieno i principi ispiratori che sorreggono non solo la consulenza tecnica d’ufficio in quanto tale, ma l’intero sistema probatorio.

Ogni qual volta ci si rende conto che quella particolare consulenza (o anche soltanto una sua “porzione” più o meno ampia) non risponde ai requisiti di equilibrio sopra delineati, significa non solo che l’impostazione della consulenza è errata, ma che si è tradito il principio fondante della natura dispositiva del processo civile.

Ecco allora che la corretta chiave di lettura dell’istituto richiede una visione panoramica non solo del sistema istruttorio, ma del processo nella sua interezza: la inevitabile emersione di “zone grigie”, nelle quali può insinuarsi il pericolo di una deriva inquisitoria tale da vulnerare irrimediabilmente la tenuta dell’equilibrio del sistema, impone di individuare una stella polare di riferimento che consenta di conservare gli effetti utili della consulenza tecnica d’ufficio (irrinunciabili, per le ragioni che abbiamo già avuto modo di delineare nei loro tratti essenziali) e anzi di espanderli fino al limite del ragionevole, senza però che indebite “invasioni di campo” da parte del giudice finiscano per far smarrire la giusta rotta,

alterando la corretta attuazione del contraddittorio e, in definitiva, la stessa natura (tendenzialmente) dispositiva del processo civile.

In definitiva, a fronte di un apparato normativo che – come vedremo meglio in seguito - disciplina la consulenza tecnica d’ufficio soltanto nei suoi tratti essenziali e tace su molti dettagli di estrema rilevanza (soprattutto nella dimensione pratica), l’interprete dovrà valutare le opzioni di “fattibilità” non tanto sulla base di un rigido parametro formale (in molti casi difficile da reperire o comunque da armonizzare con la fattispecie concreta) ma sulla base del rispetto di questo principio generale di equilibrio.

Mutuando il gergo dal diritto costituzionale, si può allora dire che il problema dell’ammissibilità di una determinata consulenza tecnica d’ufficio (o di alcune “porzioni” della stessa) dipende molto spesso da una valutazione di ragionevolezza, che, come è noto, impone di seguire un criterio di concreto bilanciamento fra interessi diversi (e non di rado contrapposti).

Tenendo conto non solo della concreta disciplina legislativa ma anche dell’impianto sistematico, a quali condizioni e con quali limiti il ricorso del giudice a questo mezzo di prova officioso (e quindi a una deroga al principio dispositivo) può considerarsi legittimo senza alterare la corretta attuazione del contraddittorio? A questo quesito cercheremo di rispondere spingendo la nostra analisi nel vivo dell’istituto.

CAPITOLO II

SEGUE: CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO, ONERE DI