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La formulazione anticipata dei quesiti.

CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO E PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO

C) Quello che non può invece mai essere consentito è lo

6. Le modifiche introdotte dalla legge 69/2009 e i loro effetti sull’attuazione del principio del contraddittorio nella consulenza

6.2. La formulazione anticipata dei quesiti.

La prima novità di un certo interesse è quella introdotta nell’art. 191, 1° comma, c.p.c., che oggi anticipa al momento stesso di ammissione della prova la formulazione dei quesiti da sottoporre al consulente: “[…] Il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell’art. 183, 7° comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l’udienza nella quale il consulente dovrà comparire”.

Dunque, se – come è logico, proprio per le peculiarità dell’istituto - si riconosce una certa elasticità al momento processuale nel quale la consulenza può essere ammessa (che può essere anche “successivo” rispetto alla scansione naturale del provvedimento di ammissione dei mezzi di prova ex art. 183, 7° comma, c.p.c.117), si prevede in ogni caso una formulazione dei quesiti contestuale all’ordinanza di ammissione e non (come accadeva quasi sempre in passato) al vero e proprio conferimento dell’incarico.

L’idea che sta alla base di questa anticipazione è apprezzabile per più profili.

Innanzitutto il legislatore della Riforma si è ispirato a quelle prassi – virtuose – con le quali si è cercato di concentrare le attività in una sola udienza preparatoria e in un contraddittorio tecnico anticipato118.

Poi occorre evidenziare come la norma – così come novellata - mira ad esaltare la funzionalità della consulenza a uno specifico obiettivo probatorio (s’intende: compatibile con i principi che abbiamo fin qui passato in rassegna) e tende a scongiurare per quanto possibile l’ammissione di consulenze dal contenuto vago e/o meramente “esplorativo” (nel senso già precisato). Il giudice non può accontentarsi di individuare un generico filone di indagine che a prima vista può apparire rilevante, perché deve da subito

117 Si veda quanto già segnalato in questo capitolo.

118 Salvaneschi (34), 96; Cecchella (12), 69: codice procedura civile commentato,

concentrarsi sui concreti presupposti di ammissibilità della consulenza, che possono essere seriamente vagliati soltanto in presenza di quesiti specifici.

In definitiva, proprio per i confini in qualche modo sfuggenti di questo eccezionale potere istruttorio officioso riconosciuto al giudice, sarebbe ben difficile giudicare ammissibile o inammissibile tout court una consulenza che in prima battuta venisse soltanto genericamente definita come “medico-legale”, “cinematica”, “contabile” e così via: i rischi sul piano dell’inammissibilità non derivano tanto dal “tipo” di consulenza (in astratto, ogni categoria di indagine può considerarsi quasi sempre ammissibile), quanto dai quesiti nei quali la consulenza si concretizza, che segnano l’oggetto e l’estensione dei risultati probatori che si intendono acquisire al processo.

Occorre, peraltro, segnalare che non sono mancate voci critiche rispetto alla scelta del legislatore, valutata “meritoria nell’intento, ma non particolarmente funzionale per due motivi. Il primo è che, in ogni caso, l’ordinanza andrà comunicata al consulente per l’assunzione dell’incarico, incombente che verrà assolto necessariamente all’udienza successiva, sicchè non si apprezza una particolare accelerazione impressa alla procedura di nomina, a fronte di una prassi che già vedeva i giudici concentrare in una unica udienza l’accettazione dell’incarico, la prestazione del giuramento e la formulazione dei quesiti, limitando il provvedimento di nomina alla sola indicazione della persona del

consulente. Il secondo è che, dovendosi formulare il quesito nel provvedimento di nomina, il giudice sarà privato, ogni qual volta il provvedimento di nomina sia reso fuori udienza, di tutte le preziose informazioni e suggerimenti che sia le parti che il consulente, interagendo in udienza, usualmente forniscono al riguardo. In ogni caso, anche quando l’ordinanza di nomina fosse pronunciata in apposita udienza dedicata all’ammissione delle prove, l’apporto del perito dovrebbe andare comunque perduto”119.

A ciò si può obiettare che le parti hanno ora la possibilità di compiere a loro volta una valutazione più meditata delle scelte operate dal giudice, perché esse non “scoprono” la natura della consulenza soltanto in sede di conferimento dell’incarico, ma la conoscono già in tutti i suoi dettagli fin dal momento dell’ammissione: e, ferme restando le intangibili prerogative del giudice rispetto a un mezzo di prova tipicamente officioso, esse avranno ancora il tempo di sottoporre eventuali dubbi prima che alla

successiva udienza i quesiti vengano concretamente posti al consulente.

Ancora una volta vale il principio che la natura officiosa del mezzo di prova (e dunque l’impossibilità per le parti di disporne) non preclude affatto (anzi: rende ancor più importante) un’articolata dialettica processuale che consenta al giudice di disporre di tutti gli elementi di valutazione e di tenere conto anche di obiezioni delle parti su aspetti che egli può aver

trascurato. E in questo senso la novità legislativa si rivela in perfetta sintonia con l’obiettivo di espandere al massimo il contributo dialettico delle parti e di prevenire un uso distorto della consulenza.

Questa pausa di riflessione può rivelarsi utile anche quando non sia in gioco la scelta radicale fra ammissibilità e inammissibilità della consulenza (o del singolo quesito), ma esista comunque la possibilità di pervenire, attraverso il contributo di tutte le parti, a un miglioramento dei quesiti, naturalmente inteso in funzione dell’obiettivo probatorio che il giudice si prefigge con quella consulenza. Miglioramento che può essere sia di tipo quantitativo (con l’aggiunta di ulteriori quesiti idonei ad estendere ragionevolmente il campo di indagine) sia di tipo qualitativo (con l’affinamento del contenuto originario).

Va anche detto che la conoscenza dei quesiti può consentire di verificare preventivamente l’idoneità soggettiva dello specifico consulente prescelto per l’espletamento dell’incarico. Raramente potrà accadere che dallo specifico contenuto dei quesiti emerga una causa di

astensione/ricusazione del consulente, perché i profili di incompatibilità

soggettiva di quest’ultimo attengono di regola a profili che investono la causa, o quanto meno l’indagine peritale, nel suo complesso; ma certamente, a seconda dalla natura dei quesiti, potranno emergere problemi sul piano della (in-)competenza professionale del consulente con riferimento allo

specifico tema d’indagine, con la conseguente necessità, se non di sostituirlo, quanto meno di affiancarlo con un altro esperto.

Ancora una volta, l’anticipazione della formulazione del quesito, già invalsa nella prassi, mira a consentire al consulente così come alle parti di dibattere in contraddittorio, alla successiva udienza fissata per raccogliere il giuramento, le richieste del giudice in ordine al contenuto del quesito. La predisposizione anticipata del quesito, in concomitanza con l’ordinanza istruttoria ex art. 183 c.p.c. in verità non abbrevia di nulla i tempi del processo.120

Invero, nessuna udienza in meno va espletata visto che deve essere, comunque, raccolto il giuramento del consulente tecnico d’ufficio, ma assolve, come detto, al bisogno di consentire un contraddittorio anticipato sul quesito.121

Si consente di trattare con maggior cognizione di causa questioni di notevole rilievo e di prevenire gli errori, o quanto meno le inutili perdite di tempo, che potrebbero essere originati da una tardiva scoperta dell’ostacolo.

Si noti che il contributo critico delle parti, comunque di per sé utile alla formazione di un ragionato convincimento del giudice sul definitivo tenore dei quesiti, può anche giovarsi di un fattore che non è (per lo meno: non è pienamente) disponibile al giudice al momento di pronunciare

120 Amendolagine (1), 49; Fabiani M. (18), 1177: codice procedura civile commentato,

Milano, 2013, del processo di cognizione, pag. 2399.

121 Consolo (13), 49: codice procedura civile commentato, Milano, 2013, del processo di

l’ordinanza ammissiva: il supporto dei consulenti tecnici di parte, ai quali le parti potranno da subito rivolgersi per vagliare la “tenuta” dei quesiti dal punto di vista tecnico e per sottoporre al giudice argomenti di tipo specialistico, che potranno rivelarsi molto utili per chi è profano della materia investita dall’indagine.

Analogamente, anche quando le parti non dispongano (quanto meno in questa fase embrionale) di consulenti o comunque non intendano sottoporre osservazioni preventive, lo stesso consulente d’ufficio potrebbe prendere in esame per tempo il contenuto dei quesiti che gli si vogliono sottoporre e formulare al giudice i necessari suggerimenti tecnici di modifica.

La valorizzazione in termini dialettici dell’intervallo di tempo che separa l’ammissione dal conferimento dell’incarico è consentita dal fatto che l’ordinanza con la quale sono stati anticipati i quesiti è per sua natura

modificabile ex art. 177 c.p.c.. Il giudice potrà dunque, se non

stravolgere122, rimodulare il contenuto dell’ordinanza originaria, sia dal punto di vista oggettivo (riducendo, integrando o modificando i quesiti), sia dal punto di vista soggettivo (sostituendo o affiancando il consulente nominato) e ciò proprio in funzione delle osservazioni che le parti

122 Ma non è neppure escluso un radicale ripensamento del giudice, che, condividendo le

obiezioni delle parti, potrebbe addirittura revocare l’ammissione della consulenza, o ammetterne una completamente diversa.

(direttamente o con il supporto dei rispettivi consulenti) o lo stesso consulente d’ufficio sono state poste in grado di formulare medio tempore.

Pare dunque che le obiezioni rispetto a questa novità legislativa debbano considerarsi ingenerose: se è vero l’effetto non può considerarsi dirompente, è altrettanto vero che la “pausa di riflessione” intercorrente fra la formulazione dei quesiti nell’ordinanza di ammissione e l’effettivo conferimento dell’incarico non sembra presentare controindicazioni e può concretamente produrre risultati efficaci.

Naturalmente l’attuazione del contraddittorio in questo campo risente dei limiti propri dell’istituto, perché il contributo critico delle parti123 non potrà mai assumere un valore vincolante rispetto a decisioni che spettano istituzionalmente soltanto al giudice. Eventuali censure non accolte dal giudice potranno essere riproposte (oltre che nel prosieguo del processo, sempre in omaggio al principio di modificabilità delle ordinanze istruttorie) in sede di impugnazione.

123 O del consulente d’ufficio. Il contributo di quest’ultimo non attiene formalmente

all’attuazione del principio del contraddittorio in quanto tale (proprio per la terzietà del consulente), ma può rivelarsi sostanzialmente utile a inquadrare al meglio la consulenza e quindi a garantire che la stessa raggiunga obiettivi perfettamente compatibili con i suoi scopi istituzionali.