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3. La legge 38 del 2009 1 Il decreto “antiviolenze”

3.4 Contenuto della cautela

Venendo alla struttura ed alla anatomia della misura coercitiva in esame – la quale, per quanto legislativamente occasionata dalla contestuale creazione del nuovo delitto di atti persecutori, manca in realtà di qualsiasi esplicito e diretto riferimento all’articolo 612-bis c.p. –, la stessa appare a prima vista articolarsi in un possibile doppio contenuto alternativo (cosiddetto “nucleo obbligatorio essenziale”):

a) un divieto “generico” di avvicinarsi ai luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa;

b) un obbligo “specifico” di mantenere una

determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa stessa140.

L’articolo 282-ter, comma 1, c.p.p.141, attraverso le

particelle “ovvero” e “o”, nella sua ultima parte, prevede l’autonoma prescrizione di mantenere una determinata

distanza dalla persona offesa142. Quindi, il comma 1

chiaramente prevede due punti di riferimento (alternativi fra loro) dai quali calcolare una determinata distanza che

140 Obblighi entrambi previsti al comma 1.

141 ‹‹Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il

giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa››.

142 In questo caso la determinazione della distanza è imposta

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l’indiziato dovrà mantenere: il luogo determinato (punto fisso) o la persona offesa (punto mobile).

Al predetto contenuto, nella sua duplice articolazione, può essere altresì aggiunto, qualora sussistano ulteriori esigenze di cautela, un identico e speculare divieto “generale” di avvicinamento nei riguardi di luoghi determinati abitualmente frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque a lei legate da relazione affettiva; nonché un identico e speculare obbligo “specifico” di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone (comma 2).

In dottrina si è criticato il concetto di “relazione affettiva”, asseritamente troppo generico rispetto all’esigenza di tassatività che presiede alle misure cautelari personali. La Corte di Cassazione ha ritenuto possibile tale riferimento generico perché un’elencazione completa ed esauriente non sarebbe possibile e, quindi, la prescrizione è necessariamente generica, mirando ad evitare che, attraverso un’attività molestatrice di persone legate alla vittima, il molestatore possa indirettamente colpire quest’ultima.

Oltre a chiamare in causa congiunti e affetti della vittima, la misura prende in considerazione, poi, forme di approccio diverse da quella fisica, visto che il giudice può ‹‹vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi

mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2››. Viene dunque

coinvolta la libertà nelle comunicazioni, un bene che finora compariva solo nell’eventuale restrizione accessoria

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alla misura degli arresti domiciliari143. In quest’ultimo

caso, però, la funzione del divieto è quella di isolare l’imputato dall’ambiente esterno, evitando contatti che possano compromettere le esigenze del processo; qui, invece, l’obiettivo è sempre quello di creare una sorta di “sfera protetta” attorno alla vittima e ai soggetti ad essa legati, annoverati dall’ordinanza applicativa. Tale ulteriore restrizione supplementare assume, poi, un ruolo cruciale, tanto da divenire il contenuto fondamentale della cautela, nei frequenti casi in cui lo stalking si consumi non attraverso il contatto fisico ma con l’ossessiva insistenza nelle comunicazioni telefoniche o telematiche.

Va precisato come la cautela del divieto di avvicinamento viene imposta a soggetti peculiari, che di solito risultano assolutamente estranei agli ambienti delinquenziali e spesso, anzi, si rivelano perfino del tutto incensurati. È il comma 1 della disposizione144, nei suoi due nuclei

precettivi, a sancire expressis verbis che il giudice, nel provvedimento impositivo del divieto di avvicinamento, prescriva all’imputato di non avvicinarsi a luoghi “determinati” “abitualmente frequentati” dalla persona offesa o che gli prescriva di mantenere una “determinata” distanza dalla persona offesa (secondo nucleo). Luoghi e

distanze dovranno quindi essere tassativamente

“determinati”: il che vale a dire che essi dovranno essere indicati in maniera specifica e dettagliata. In siffatto scenario risulterà quindi possibile tutelare ampiamente la persona offesa, sia – primo nucleo precettivo – nella sua

143 Articolo 284, comma 2, c.p.p.

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dimensione spazio-ambientale rapportata alla

frequentazione di luoghi previamente e dettagliatamente determinati; sia – secondo nucleo precettivo – in ogni altra possibile articolazione della sua libertà di locomozione e di circolazione nella sua quotidianità di vita, qualunque sia lo specifico luogo in cui essa venga, di volta in volta, a potersi contingentemente trovare. Garantendosi a pieno, così, a suo favore, ogni più ampia libertà di movimento e di relazioni sociali in condizioni di sicurezza, senza però limitare oltremodo i diritti della persona sottoposta alla misura cautelare.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, dunque, la tutela della persona offesa figura normativamente congegnata attraverso la previsione di due distinti criteri, applicabili dal giudice in via alternativa ovvero anche in via congiunta: uno di tipo “statico” e uno di tipo “dinamico”. All’atto dell’applicazione in concreto della misura

cautelare è, quindi, necessario preliminarmente

configurare un preciso quadro che rappresenti – in funzione del tipo di vita specificamente condotta dalla persona offesa – tutti i luoghi che ineriscono al suo centro di interessi, i luoghi rientranti, cioè, nelle sue abitudini (lavorative, affettive, culturali, di svago, etc.), non senza tener contemporaneamente conto anche delle zone oggetto di frequentazione abituale dell’indagato, in funzione del di lui tipo di vita, onde poter così operare una sorta di pianificazione atta ad evitare qualsiasi occasione di incontro con la persona offesa. E così, alla stregua dello specifico quadro che in tal modo si sarà delineato, il giudice potrà decidere, ai fini di una congrua tutela della

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persona offesa, se far ricorso all’adozione del primo criterio protettivo previsto dall’articolo 282-ter c.p.p., ovvero all’adozione del secondo criterio protettivo ivi previsto, ovvero, ancora, all’adozione congiunta di entrambi i criteri. E, dunque, nella prima ipotesi, egli sarà obbligato a procedere all’indicazione ben specifica, precisa e dettagliata dei luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa ai quali l’indagato non deve affatto avvicinarsi o dai quali deve tenere una distanza ben specificamente indicata, dandosi così luogo a una protezione della persona offesa, per così dire, ratione loci. Nella seconda ipotesi, invece, il giudice sarà obbligato a indicare con precisione la misura della distanza che l’indagato, comunque e dovunque, dovrà mantenere nei confronti della persona offesa, a prescindere quindi dal luogo specifico in cui questa venga contingentemente a trovarsi o a transitare. Dandosi così spazio ad una protezione della persona offesa, per così dire, ratione

personae145.

Balza all’occhio la somiglianza tra la misura del divieto di avvicinamento e l’allontanamento dalla casa familiare, introdotto con la legge n. 154 del 2001 recante “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”. La cautela prevista dall’articolo 282-bis c.p.p., nelle sue varie

145 Ad esempio, se i luoghi oggetto della misura dovessero essere quelli

lavorativi, in comune sia alla persona offesa che all’indagato, oltre che imporre a quest’ultimo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa, potrebbe anche apparire opportuno impedirne comunque qualsiasi contatto non “giustificabile” da ragioni professionali, prescrivendo modalità e limitazioni ulteriormente opportune a norma dell’articolo 282-ter, comma 4, e mantenendo, però, la massima attenzione a non arrecare eccessivo ed ingiustificato pregiudizio all’organizzazione del lavoro, attesi i valori costituzionali di riferimento (articolo 1, 2, 4, 35 Costituzione).

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specificazioni, sembra, più che complementare,

addirittura parzialmente sovrapponibile a quella di ultima creazione, tanto da renderne non così scontata l’utilità. In realtà, però, la differenza sostanziale sta in ciò146:

mentre l’articolo 282-bis, comma 2, c.p.p. prevede una prescrizione accessoria rispetto a quella principale prevista dal comma 1 (l’allontanamento dalla casa familiare, che quindi rimane come presupposto ed elemento essenziale, senza il quale non può sussistere la prescrizione accessoria147), il comma 1 dell’articolo 282-

ter c.p.p. prevede una misura cautelare autonoma.

È possibile quindi affermare che, vista la contiguità con altra disciplina codicistica, la tutela prevista dall’articolo 282-ter c.p.p. fa, per così dire, pendant a quella di cui all’articolo 282-bis, comma 2, c.p.p. in tema di allontanamento dalla casa familiare, di cui riprende ratio e struttura, costituendone una sorta di perfezionamento, tanto che i due aspetti – penale-sostanziale e processuale- cautelare – risultano quasi inscindibili.

Il divieto di avvicinamento introdotto con la misura de

qua, non essendo circoscritto al solo ambito familiare

delle mura domestiche, meglio si presta a ricomprendere quelle situazioni ricondotte nell’alveo dell’articolo 282-bis, ad esempio quando la convivenza risulti già cessata al

146 POTETTI D., La misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, Cassazione Penale, 2014, X,

pp. 3530 ss.

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momento dell’applicazione della misura o manchi ab

origine148.

La normativa in commento, infatti, è volta a sradicare la presenza di taluno da un dato ambiente sociale in modo da impedirgli la commissione di determinati delitti che

potrebbe maturare proprio in quel contesto149: dalla

semplice prosecuzione dei tormenti alla degenerazione in reati lesivi di beni quali la vita o l’integrità fisica (escalation persecutoria).

È, dunque, agevole individuare nell’esigenza cautelare codificata dall’articolo 274 lett. c) c.p.p. il fine prevalente, se non esclusivo, della nuova misura, la quale sembra inadatta a tutelare la buona riuscita dell’attività probatoria o ad evitare la fuga dell’imputato. Il periculum

libertatis riferibile allo strumento codificato dall’articolo

282-ter c.p.p. è, per sua stessa natura, difficilmente conciliabile con la presunzione d’innocenza, acquistando senso principalmente alla luce del reato ancora da accertare. Ebbene, la combinazione tra la fattispecie di cui all’articolo 612-bis c.p. e lo schema dell’articolo 274 lett. c) c.p.p. esaspera i profili critici di quest’ultima norma, potendo dar luogo ad applicazioni quasi

148BIONDOLILLO F.,Commento all’articolo 282-bis c.p.p. in CONSO G.,

GREVI V.,ILLUMINATI G., Commentario breve al codice di procedura

penale, CEDAM, 2015, pp. 1137 ss.

149 Le condotte incriminate dall’articolo 612-bis c.p. sembrano

generare un fenomeno analogo a quella sovrapposizione tra manifestazione criminale e percorso processuale che si riscontra nel caso dei reati permanenti, proprio per le consonanze che con essi presenta il reato abituale. Qui sorge il problema dell’uso degli strumenti processuali per interrompere, anzitutto, l’iter criminoso; e difatti, con il divieto di avvicinamento il legislatore ha inequivocabilmente puntato sulla funzione del processo di contrasto al crimine in atto, che talvolta si accompagna a quella, più tradizionale, di accertamento del reato già consumato.

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automatiche della misura di cui si tratta: se la restrizione dovesse essere motivata con il pericolo che l’imputato prosegua l’iter degli atti persecutori già coperti dai gravi indizi di colpevolezza, allora il ricorrere dell’esigenza cautelare potrebbe essere ricavato quasi esclusivamente dalla medesima struttura dell’addebito, di per sé retto

dalla “reiterazione” delle molestie150. Il divieto di

avvicinamento è lo strumento più efficace ad impedire che la sequela di persecuzioni si protragga ulteriormente; sicché la tentazione di adoperarlo a tutti i costi potrebbe superare la necessità di una analisi approfondita di ogni presupposto della cautela. Uno scrupoloso esame delle esigenze cautelari ricorrenti nel singolo caso concreto, invece, dovrebbe scongiurare questo rischio, permettendo restrizioni alla libertà dell’imputato solo ove vengano effettivamente riscontrati i pericoli codificati dall’articolo 274 lett. c) c.p.p.: decisiva sarà l’indagine, pretesa da questa norma, sulle ‹‹specifiche modalità e circostanze del

fatto›› e sui ‹‹comportamenti e atti concreti›› dell’imputato

da cui trarre elementi conoscitivi circa la sua personalità, oltre alla valutazione dei suoi precedenti penali.

Più a fondo si esamina questo strumento cautelare, più esso si colora delle forti tinte della prevenzione,

150 A tal proposito si veda la recente modifica dell’articolo 274, comma

1, lett. c), c.p.p. ad opera dell’articolo 2 della legge n. 47 del 2015: dopo la parola: ‹‹concreto›› sono inserite le seguenti: ‹‹e attuale››; dopo le parole ‹‹non inferiore nel massimo a cinque anni›› sono aggiunte le seguenti: ‹‹nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui

all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni››; è aggiunto, in fine, il seguente periodo ‹‹Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede››. È quest’ultima statuizione

a ricoprire una notevole importanza nell’ambito dell’esigenza cautelare fulcro della misura in esame.

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accentuando gli inconvenienti propri di questo tipo di tutela, già di difficile conciliazione con i principi costituzionali relativi al processo, tra cui, principalmente, la presunzione di non colpevolezza e il principio dell’inviolabilità della libertà personale.