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Il contesto internazionale e la riforma italiana: le novità per il settore

Il contesto della cooperazione allo sviluppo italiano è stato marcato da due fondamentali normative: la prima relativa alla legge 49/1987 e la seconda relativa alla recente normativa legge 125/14, molto più innovativo, in tal senso che instituisce il Consiglio Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo (art. 16 della Legge 125/14)

che pone le basi per la partecipazione di attori esterni (imprese private) alla definizione di standard della cooperazione allo sviluppo italiana.

La nuova normativa (L125/14) che si iscrive nella continuità della precedente (L49/1987) entrambi non prevedono regole e indicazioni precise e chiare circa le caratteristiche dell’apporto dei soggetti aventi finalità di lucro, né sul valore aggiunto che la collaborazione con quella componente del settore privato può offrire in termini di sviluppo sostenibile nei paesi partner. All’epoca c’era in discussione tra le Istituzioni italiane una normativa secondaria volto a sopperire a questo vuoto normativo e fornire un quadro operativo chiaro affinché l’azione del settore privato abbia come conseguenza in termini di lotta alla povertà e alla fine, senza che questa arrechi danni sociali e ambientali e colmare eventualmente le lacune dell’APS. Lo scenario internazionale della CPS si è trasformato profondamente dai primi anni 2000, quando il ruolo pubblico era ancora dominante nel guidare e sostenere i processi di sviluppo. Dalla Conferenza di Monterrey nel 2002 fino alla Conferenza di Busan del 2011, passando per la Dichiarazione di Doha del 2008, nuovi attori - portatori d’interessi specifici - hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nel settore della cooperazione internazionale. Il mondo del settore privato, in particolare quello for- profit, si è affermato come partner fondamentale nella definizione ed attuazione di strategie di sviluppo, ridisegnando le regole e le relazioni concertate a livello globale e locale, fornendo nuovi modelli e strumenti d’intervento, creando importanti opportunità e, al contempo, rischi per le politiche di sviluppo dei PVS. Non è per nulla che nel 2015, avvenne ad Addis Abeba, il terzo incontro internazionale sulle modalità di finanziamento allo sviluppo e che approfondirà e inquadrerà con maggior precisione il ruolo del settore privato come soggetto finanziatore ed esecutore di iniziative di sviluppo all’interno della nuova agenda di sviluppo post 2015 (Addis Abeba, 2015). Analizzando i documenti prodotti negli ultimi 15 anni dagli organismi internazionali quali Nazioni Unite e OECD, è evidente arrivare facilmente alla conclusione che il ruolo del settore privato nel contesto della cooperazione allo sviluppo si sia evoluto. Questo dall’approvazione dei Millennium Development Goals 21 (MDG) e dal successivo, ma progressivo spostamento e attenzione sulla possibilità di sviluppare ed

economico più inclusivo (coinvolgere tutti, anche i privati) che contribuisca al raggiungimento degli obiettivi. Attraverso queste azioni, l’intento dichiarato da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è, quindi, quello di coinvolgere maggiormente il settore privato sia finanziariamente che tecnicamente, cercando di mobilizzare i capitali da esso detenuti verso forme di investimenti sostenibili (United Nations, 2003), in particolar modo attraverso gli investimenti esteri diretti e gli altri flussi privati. Il documento approvato nel meeting internazionale di Doha dal titolo Financing for Development (2008) recepisce quest’impostazione, prevedendo la possibilità che programmi, meccanismi e strumenti a disposizione delle agenzie di sviluppo multilaterale e dei donatori bilaterali possano essere usati per incoraggiare gli investimenti privati. L’Italia risente di questa innovazioni a livello internazionale. Essa, attraverso l’approvazione nel 2014 della nuova legge per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo (L.n.125/2014), ha formalizzato l’apertura al settore privato come attore del sistema italiano di cooperazione allo sviluppo, prevedendone il coinvolgimento tramite l’erogazione di crediti concessionali e crediti agevolati (artt. 8 e 27). La nuova legge, L. 125/14, persegue l’obiettivo di incentivare la convergenza tra internazionalizzazione e cooperazione nei settori e nelle priorità definite nelle «Linee guida triennali». Cinque sono le novità in atto: Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), la nuova denominazione; l’istituzione del Tavolo del Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (CICS); la costituzione dell’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo; il coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti e infine, non per ordine di importanza, la sinergia pubblico/privato ovvero il coinvolgimento del settore privato alle sfide dello sviluppo. La legge 125 del 2014 implica un cambiamento radicale nel quadro della CPS, trasformando profondamente il contesto legislativo e politico nazionale che regola le relazioni tra il settore privato e la cooperazione pubblica allo sviluppo (Capo I, art 1 “oggetto e finalità” della nuova legge). Nonostante che non si sa quale sia l’impatto del settore privato in attività d cooperazione allo sviluppo, si cerca comunque di evitare che le attività di responsabilità sociale siano utilizzate semplicemente come il crescente coinvolgimento del settore privato in attività di cooperazione come “licenza ad operare” in contesti stranieri (Lucci, 2012). Se la vecchia normativa (L.49/1987) è stata giudicata di essere basata su approcci rigidi, dicotomici e

assistenzialisti, la presente in vigore dal 2014 invece, è stata portatrice di innovazioni: sostiene approcci che valorizzino la ownership e la sostenibilità degli interventi nei Paesi in cui si interviene e favorendo al contempo l’internazionalizzazione del sistema economico e produttivo italiano. (Pistelli, Commissione Senato, n. 34, 2014).

Stando ai vari dati e la potente forza drenante del capitale privato, tanti sono i dati che confermano la partecipazione del settore privato agli obiettivi dello sviluppo. Rispetto a questi dati appare evidente che il perseguimento degli SDG dipenderà da una partnership globale orientata allo sviluppo sostenibile con il coinvolgimento attivo di governi, della società civile e del settore privato (UN, 2014). Gli investitori istituzionali, le compagnie e fondazioni possono fornire un rilevante contributo di capitale e conoscenze per gli investimenti, e devono essere considerati come una parte integrante all’interno del processo di sviluppo sostenibile.