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I CAMBIAMENTI NELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO: IL RUOLO DEL SETTORE PROFIT E L'ESPERIENZA ITALIANA

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze politiche

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali (LM-52): Governance delle migrazioni

Tesi di laurea:

I cambiamenti nella cooperazione allo sviluppo: il ruolo del settore profit e l’esperienza italiana

Relatore:

Gabriele TOMEI

Candidato:

Messanh TOUDJI KOUTADO

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Sommario

INTRODUZIONE ... 5

PARTE I ... 8

Breve storico sulle evoluzioni e le trasformazioni nella cooperazione allo sviluppo: verso la globalizzazione e la complessità del progetto sviluppo sul piano internazionale. ... 8

1. L’istituzione del sistema della cooperazione/aiuto allo sviluppo ... 8

1.1 La storia del processo dell’aiuto allo sviluppo ... 9

1.2 Aiuto e/o cooperazione allo sviluppo e aiuto monetario ... 10

1.3 Cooperazione allo sviluppo e cooperazione militare ... 10

2. L’avvio della cooperazione allo sviluppo ... 11

2.1 I percorsi metodologici tra storia e cronaca ... 11

2.1.1 Dall’assistenzialismo alla “cooperazione” ... 13

2.1.2 Aiuto legato e/ condizionato. ... 13

2.1.3 Dal bilateralismo statunitense al multilateralismo ... 19

2.1.4 Il nuovo millennio ... 20

2.1 I percorsi economici/politici tra storia e cronaca ... 25

3. Le dimensioni della complessità dell’aiuto alla luce dei nuovi obiettivi dello sviluppo internazionale ... 29

3.1 La moltiplicazioni degli attori coinvolti nella concezione e l’implementazione ... 31

delle azioni di cooperazione. ... 31

3.2 La sovrapposizione dei livelli di intervento dell’aiuto allo sviluppo: locale, nazionale e internazionale ... 36

3.3 La moltiplicazione e la diversificazione degli obiettivi assegnati ai programmi di aiuto allo sviluppo. ... 39

4. Il fallimento/limiti degli sforzi diretti verso lo sviluppo e l’Agenda 2030 40 4.1 I difetti della cooperazione allo sviluppo. ... 40

4.2 Altri variabili: strategie, soggetti, qualità, quantità. ... 43

5.3 Verso una pista di soluzione per un aiuto efficace ... 45

(3)

Il settore privato profit e l’evoluzione del suo coinvolgimento nella cooperazione

internazionale ... 47

1. I principi internazionali d’intervento del settore privato nella cooperazione allo sviluppo. ... 47

2-Strumenti e meccanismi di coinvolgimento del settore privato nello sviluppo ... 49 a) Partnership Public-privato (PPP) ... 50 b) Blending ... 51 c) La filantropia ... 53 d) Finanziamento di progetti ... 56 e) Le imprese miste ... 57

f) Investimenti ad impatto sociale ... 58

3. Il ruolo delle istituzioni (pubbliche) nella creazione di un’ambiente più favorevoli ... 58

4. Il ruolo del settore privato e delle fondazioni private nella governance mondiale agricola e alimentare: quali strumenti? ... 59

4.1 Gli strumenti istituzionali di finanziamento pubblico-privato a iniziative di CPS: le tre Agenzie del Polo agroalimentare delle Nazioni Unite. ... 60

5. Il contributo della migrazione per lo sviluppo alla prova dell’urgenza sanitaria dovuta al covid ... 64

PARTE III ... 67

L’esperienza italiana di coinvolgimento degli attori privati nella cooperazione allo sviluppo: un Nuovo impianto per le sfide del Futuro. ... 67

1. Il contesto internazionale e la riforma italiana: le novità per il settore privato ... 68

2. Gli strumenti di finanziamento tipici italiani ... 71

2.1 Il braccio finanziario: il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) come Banca Italiana per lo Sviluppo alla luce della legge 125/14. ... 71

2.2 Il braccio tecnico-operativo: Agenzia Internazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ... 72

3. Le caratteristiche/particolarità dell’impegno italiano nella cooperazione internazionale allo sviluppo. ... 74

(4)

3.2 Promozione di iniziative multilaterali ... 75

3.3 L’impegno dal punto di vista delle risorse allocate ... 75

3.4 Il regionalizzazione dell’aiuto agricolo allo sviluppo italiano in Africa Sub-Sahariana ... 79

3.5 Discontinuità e eterogeneità dell’aiuto a livello regionale ... 80

4. Bando Profit e Idee Innovative dell’AICS ... 82

4.1 Analisi e obiettivi dei Bandi dell’Agenzia ... 82

4.3 Caso di studio: analisi del caso Pan di Zucchero: rafforzamento della filiera agro-industriale di dolcetto, l’ananas biologico del Togo. ... 86

5. Monitoraggio e valutazione dell’impatto del privato italiano nella cooperazione internazionale ... 89

5.1 Il metodo di valutazione: i 5 criteri di valutazione OCSE/DAC ... 89

5.2 Analisi di un caso virtuoso del privato italiano ... 91

5.2 1 Community investment: caso dell’ENI in Mozambico. ... 91

Conclusione ... 96

Bibliografia ... 98

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INTRODUZIONE

Nello scenario odierno i partenariati efficaci costituiscono la pietra angolare per la realizzazione del programma di sviluppo sostenibile all’orizzonte 2030:di porre fine alla povertà e alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile entro il 2030 (SDG 2). Il raggiungimento degli obiettivi prefissati richiede delle azioni urgenti circa l’efficacia dei partenariati. Realizzare l’ambizioso Programma 2030 necessita un approccio dell’insieme della società; un approccio che si basa sulle azioni collettive ma mirate per poter offrire delle soluzioni sostenibili.

L’aiuto allo sviluppo, nato alla fine degli anni Quaranta, nel periodo in cui la comunità internazionale, dopo la sconfitta dei governi nazisti e fascisti decise di intraprendere la strada delle relazioni internazionali pacifiche e di uno sviluppo, capace di ridurre la povertà, la fame e gli altri squilibri, che generano scontenti e guerre. Questo aiuto ha poi dovuto adattarsi al mondo in continua transizione con mutamenti non solo dei mezzi ma anche degli strumenti, gli interessi e gli attori in gioco. Se la cooperazione allo sviluppo, all’inizio si poneva in un paradigma paesi ricchi-paesi poveri nell’ottica di potere risollevare economicamente questi ultimi attraverso l’assistenza sul piano generale esso si sarebbe trasformata profondamente provocando la sua inefficienza. A partire dagli anni ‘80 si affermano nuovi approcci allo sviluppo incentrati sul pensiero dominante neoliberista: minore presenza dello Stato, privatizzazioni, deregolamentazione ecc. ma anche su nuove teorie della crescita. Una crescente consapevolezza internazionale nel coinvolgimento di nuovi attori non pubblici comincia a farsi notare in tutte le arene. Intervengono nuovi attori tali le fondazioni, le ONG e soprattutto le imprese private, ma anche dei programmi e delle politiche tali la riconversione dell’agricoltura del Terzo Mondo, l’Agribusiness globale ovvero l’uso di strategie globali di approvvigionamento e la rinascita dell’economia globale attraverso la stipula di Accordi e creazione delle Organizzazioni internazionali in un contesto particolare di industrializzazione del Terzo Mondo segnando così la demolizione del progetto sviluppo. Perciò questo sistema allo sviluppo,

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prevalentemente bilaterale, ha preso una dimensione internazionale sotto la forma di multilateralismo dopo gli anni ’80. Gli anni ‘80 vedono anche il peggioramento delle condizioni economiche dei Paesi in via di sviluppo: rivalutazione del dollaro, indebitamento, politiche di sviluppo inadeguate ecc., di qui l’attuazione di severi Piani di Aggiustamento Strutturale.Nel frattempo, le difficoltà di bilancio dei paesi donatori e la riduzione osservata negli aiuti pubblici allo sviluppo impongono la ricerca di soluzioni alternative. Ben presto la comunità internazionale se ne accorge dell’inefficienza di questo sistema e si impegna nella ricerca di una alternativa allo sviluppo squilibrato. I risultati a cui si sono giunti nell’ambito delle varie conferenze internazionali possono costituire le basi per una possibile nuova cooperazione adeguata ai tempi: un intervento più mirato, un intervento settoriale. Si riflette su come la cooperazione possa superare la crisi e divenire un laboratorio del cambiamento che sappia accompagnare la nascita di nuove modalità di sviluppo nel mondo globalizzato. Secondo la teoria dello sviluppo duale esistono due soli settori fondamentali per lo sviluppo: industria e agricoltura. Una delle leve di sviluppo che particolarmente attira la nostra attenzione è l’agricoltura, dal momento che una persona su nove che soffrono la costante scarsità e limitato accesso ad una quantità insufficiente di cibo sono agricoltori e vivono in Paesi in via di sviluppo. Paradossalmente la maggior parte di chi soffre la fame è prevalentemente dedito all’agricoltura, o dipende dall’agricoltura come fonte principale di reddito. Per porre fine a questa situazione e contemporaneamente unirsi alla promozione da parte della comunità internazionale degli Obiettivi del Millennio (DMGs) occorre quindi un coinvolgimento soprattutto dei nuovi attori privati, mirato ad allocare maggiori e migliori investimenti per la promozione dello sviluppo in generale e quello agricolo sostenibile in particolare. L’investimento privato in generale e quella particolare nell’agricoltura di piccola scala e attraverso altri canali o attori risulterebbero fondamentali per poter raggiungere l’ambizioso obiettivo precedentemente parlato, fissato dalle Nazioni Unite e sottoscritto dai leader mondiali, quella di porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile entro 2030. Non a caso sono stati istituiti ambiziosi programmi e politiche e istituzioni a livello internazionale, nazionale e locale in ambito. Ma questo traguardo, in un contesto internazionale caratterizzato da pressioni esterne derivanti dal cambiamento

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climatico ma anche dai donatori nei confronti dei paesi riceventi, dall’aumento della popolazione, dagli aiuti legati e/ condizionati, delle nuove economie emergenti, non sarà raggiunto con il livello attuale di risorse messe in campo se non nel coinvolgimento di altri attori non pubblici diversi da quelli originari. Il progetto globalizzazione durante la sua dubbiosa e difficoltosa implementazione ha comportato tanti attriti di cui i più importanti sono le instabilità politiche ed economiche, lo spostamento delle popolazioni, la crisi finanziaria dando un motivo per ripensare lo sviluppo con l’emergere di nuove realtà tali l’ambientalismo e il ruolo delle donne nello sviluppo. Consapevole dei limiti di alcuni partenariati pubblici, degli scandali di corruzione e soprattutto degli sprechi di risorse inviate da parte dei paesi donatori, del ruolo di alcuni attori del settore senza parlare dei mutamenti del contesto, appare più che evidente ripensare lo sviluppo focalizzando l’attenzione su un altro angolo a lungo affacciato: il ruolo del privato nella cooperazione allo sviluppo.

Per approfondire questo pensiero optiamo per una scelta analitica che ci porta a riflettere intorno a due temi principali in materia: sviluppo e settore privato con la consapevolezza che lo sviluppo è sempre trattato di una materia in continuo mutamento, ma anche costretta ad affrontare nuove sfide in un contesto globalizzato. In un secondo luogo, la complessità dei meccanismi, l’interesse e la visione di ogni attore coinvolto influenzavano il conseguimento, almeno in tempi brevissimi, degli obiettivi che le Nazioni si sono fissati.

Alla luce di tutto ciò, in questo elaborato, verranno analizzati, da una parte, il progetto sviluppo e le dimensioni della sua complessità attraverso l’analisi dei mutamenti; dall’altra l’emergere a livello internazionale della consapevolezza della potenzialità del settore privato nel progetto sviluppo e infine l’approfondimento dell’importanza del settore privato alla luce dell’esperienza italiana come attore importante nella cooperazione allo sviluppo internazionale.

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PARTE I

Breve storico sulle evoluzioni e le trasformazioni nella cooperazione allo sviluppo: verso la globalizzazione e la complessità del progetto sviluppo sul

piano internazionale.

In questa sezione della tesi affronteremo insieme la storia dell’aiuto allo sviluppo dalla seconda guerra mondiale e negli anni successivi e il suo percorso fino alla cooperazione allo sviluppo, dei progetti sviluppati durante quegli anni, degli attori coinvolti fino all’analisi dei risultati conseguiti in relazioni agli impegni economici consacrati, per poi procedere ad una valutazione del sistema di aiuto completo a fine di dedurne, non soltanto i motivi dei fallimenti ma anche individuare (nuovi) o potenziare alcuni percorsi di sviluppo già esistenti. Pensiamo che il sotto-sviluppo, legato strettamente alla povertà e alle condizioni di vita, non risparmia nessun’area del mondo. Esso interessa tutte ad intensità diverse: è così che l’Africa e l’Asia sono diventati i continenti i più colpiti al mondo (Roser, Ortiz-Ospina, 2019). In tutto ciò se in questi ultimi anni l’Asia sta registrando miglioramenti traendo profitti dai diversi progetti e finanziamenti di cui aveva beneficiato nell’ambito della cooperazione allo sviluppo (Relazione annuale AICS, 2016). Invece l’Africa, soprattutto l’Africa subsahariana ha ancora enormi sforzi da fare per potere raggiungere quei livelli. L’Africa subsahariana essendo un’area troppo vasta, i nostri sforzi si concentreranno di più sull’Africa occidentale, una regione maggiormente colpita secondo tutte le statistiche mondiali (Roser, Ortiz-Ospina, 2019). Ci interessiamo a questa regione perché è una regione che, malgrado abbia ricevuto tanti aiuti (Relazione AICS, 2016) e continua a riceverne pena a decollare e ad intraprendere una vera strada dello sviluppo. Insieme scopriremo quali potrebbero essere le ragioni e le prospettive di sviluppo nel futuro, magari con la collaborazione del pubblico-privato in uno dei settori di sviluppo precedentemente ignorato o non accuratamente preso in considerazione.

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1.1 La storia del processo dell’aiuto allo sviluppo

Che cosa ci si intende per sviluppo? È la prima domanda a cui bisogna rispondere quando ci capita di parlare di cooperazione allo sviluppo. Numerosi sono stati gli autori che hanno dato il loro contributo fornendo tentativi di definizioni, tra cui c’è anche Amartya Sen. Quest’ultimo ha ricevuto nel 1998 il premio Nobel per l’economia. Ha proposto una definizione più accettata da tutti. Secondo il filosofo ed economista indiano lo sviluppo è libertà; lo sviluppo dev’essere inteso come un processo di espansione delle libertà reali degli esseri umani, nella sfera privata, sociale e politica. La sfida dello sviluppo consiste quindi nell’eliminare i vari tipi di «illibertà»: fame e miseria, l’analfabetismo, la mancanza di assistenza sanitaria fino alla mancanza della libertà di espressione che impediscono all’individuo di potere decidere della propria vita, di scegliere la propria strada, di autodeterminarsi (Serra, 2016). Notiamo che la definizione è molto generale e tocca a tutti gli aspetti della vita umana: nutrizione, istruzione, salute, rapporti con la società. Di certo non è un compito facile poiché il concetto si basa su teorie e soggetto a diverse interpretazioni. Secondo l’accessione comune, lo sviluppo è inteso come ‘’accrescimento progressivo’’, ossia come graduale modificazione quantitativa che avviene nel tempo e che procede per gradi. Un accrescimento progressivo può essere agevolmente definito e valutato prendendo in considerazione fenomeni naturali quali la crescita di un animale o di una pianta, ma quando ci si riferisce a fenomeni socio-economici le cose diventano più complesse. Se fin qui lo sviluppo si intendeva come accrescimento progressivo, ha assunto un’altra significazione con il tempo. È così che la teoria dello sviluppo economico analizza la più vistosa caratteristica di tale cambiamento: il fatto che i sistemi economici crescono (F. Serra, 2016).

Il termine cooperazione implica un’interazione tra due soggetti per il raggiungimento di uno scopo, che in questo caso è proprio lo sviluppo (Farinella, CCSI). Il termine cooperazione allo sviluppo implica quindi che il processo di sviluppo non deve e non può essere promosso e realizzato unilateralmente dal paese donatore bensì presuppone il coinvolgimento di entrambe le parti o dei donatori e dei paesi riceventi gli aiuti, in

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appartenente al paese beneficiario, sia per poter individuare al meglio gli interventi da realizzare sia per garantire che questi interventi siano duraturi e rispettosi della cultura e del contesto locale. Da questa definizione si può dedurre che l’aiuto allo sviluppo, non soltanto tenderebbe ad essere un po’ unilaterale, ma segue anche sempre di più una logica assistenzialista con tutte le conseguenze che potrebbero derivarne.

1.2 Aiuto e/o cooperazione allo sviluppo e aiuto monetario

Un altro dibattito collegato alla definizione di sviluppo è il contenuto della cooperazione allo sviluppo. Alcuni continuano a pensare che la cooperazione allo sviluppo ha come sinonimo aiuto monetario. In effetti senza essere riassunto in questo costituisce comunque inevitabilmente parte di essa. Per questo alcuni pensano ad una definizione più larga che includerebbe anche, ad esempio, i flussi sul mercato tali gli investimenti diretti esteri, trasferimenti di fondi, assistenza medica. Ma vista la sua storia e il contesto, la cooperazione allo sviluppo dovrebbe focalizzarsi sulla sua missione per cui è nata, che sono fondamentalmente tre : sostenere e completare gli sforzi dei paesi in via di sviluppo per garantire l’istituzione delle norme sociali essenziali e universali, permettendo ai cittadini l’esercizio e il godimento dei diritti fondamentali; promuovere la convergenza dei paesi in via di sviluppo, in particolare i più poveri, verso livelli più elevati di reddito e di benessere, e di ridurre le profonde disuguaglianze che persistono a livello internazionale; sostenere la partecipazione attiva dei paesi in via di sviluppo alla fornitura dei beni pubblici mondiali. Nel perseguimento della sua missioni, essa deve comporre con quattro criteri fondamentali. Tutte le attività che soddisfano questi requisiti rilevano della cooperazione allo sviluppo ovvero mirano in modo esplicito a sostenere le priorità dello sviluppo nazionali o internazionali.

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Come il mare è pieno di pesce è così che a livello internazionale ci sono migliaia di attività tra cui quelle a scopo non lucrativo, ma bisogna fare una piccola attenzione perché non tutte le attività internazionali senza scopo di lucro rientrano nella cooperazione allo sviluppo. È l’esempio delle manovre militari, consistendo nella fornitura delle armi, dei carri e di un intervento militare a difesa, benché necessitino un’intensa cooperazione internazionale sia a livello diplomatico che economico non sono da classificare come cooperazione allo sviluppo.

È importante a questo punto immaginare fare luce sulle attività che compongono la cooperazione allo sviluppo. Le zone d’ombre saranno comunque sempre inevitabili. Partiamo comunque dall’osservazione di alcune delle caratteristiche che le accomunano tutte, quella dello scopo non di lucro. Prima, sono attività che non ricercano il profitto o meglio accetta un profitto inferiore a quello di mercato. Si preoccupano di correggere le disfunzioni delle regole del mercato che ostacolano la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo, in alcuni casi, incoraggiando certe attività specifici potendo avere delle ripercussioni positive sullo sviluppo in generale. Hanno una seconda caratteristica, quella della promozione della discriminazione positiva in favore dei paesi in via di sviluppo. Soltanto le azioni o attività volte a creare opportunità di sviluppo sono contemplate nella cooperazione allo sviluppo. Questo precedente criterio ha guadagnato molto in importanza al momento della realizzazione degli obiettivi dopo 2015, perché distingue la cooperazione per lo sviluppo e l’azione internazionale per lo sviluppo sostenibile in generale. Inoltre, sono attività basate sulle relazioni di cooperazioni mirate a migliorare l’appropriazione dai paesi in via di sviluppo.

2. L’avvio della cooperazione allo sviluppo 2.1 I percorsi metodologici tra storia e cronaca

Qui cercheremo di illustrare le diverse metodologie che hanno caratterizzato il percorso dell’istituzione ai giorni nostri.

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l’European Recovery Programm (ERP), finalizzati alla ricostruzione. È durante questo momento che veniva costantemente usato il termine di sottosviluppo. Termine introdotto alla fine della Seconda guerra mondiale è generalmente usato nella sua concezione economica ed è sinonimo, per quanto riguarda un paese, di povertà. Il concetto di sottosviluppo, in questa fase storica, presentava una concezione esclusivamente economica ed è stato considerato dai fondamenti teorici della cooperazione come uno stato economico di arretratezza rispetto a standard definiti. Nel corso della Storia, per la prima volta, il presidente degli Stati uniti Truman, ha pronunciato la parola aiuto allo sviluppo nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. Esso ha formulato l’espressione in questi termini: ‘’We must embark on a build new program for making the benefits of our scientific advances and industrial progress available for the improvement and growth of underdeveloped areas.

More than half the people of the world are living in conditions approaching misery. Their food is inadequate. They are victims of disease. Their economic life is primitive and stagnant. Their poverty is a handicap and a threat both to them and to more prosperous areas. For the first time in history, humanity possesses the knowledge and the skill to relieve the suffering of these people. The United States is pre-eminent among nations in the development of industrial and scientific techniques. The material resources which we can afford to use for the assistance of other peoples are limited. But our imponderable resources in technical knowledge are constantly growing and are inexhaustible. I believe that we should make available to peace-loving peoples the benefits of our store of technical knowledge in order to help them realize their aspirations for a better life. And, in cooperation with other nations, we should foster capital investment in areas needing development.

Our aim should be to help the free peoples of the world, through their own efforts, to produce more food, more clothing, more materials for housing, and more mechanical power to lighten their burdens’’ (Truman, 1949). Nello spirito di Truman, l’aiuto allo sviluppo è animato dalle preoccupazioni di coesistenza pacifica, della lotta contro la disuguaglianza e la povertà, della promozione e condivisione della ricchezza creata nel campo sociale, economico e culturale nei confronti dei paesi poveri. Ricordiamo che i due conflitti mondiali hanno richiesto uno sforzo maggiore ai paesi in termini tecnici, tecnologici, che sono costretti a sviluppare competenze di cui non erano dotati

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inizialmente. Questi sforzi si sono tradotti in termini economici da eccedenze e crescita economica.

2.1.1 Dall’assistenzialismo alla “cooperazione”

Negli anni ’60, dopo l’approvazione da parte dell’ONU della Risoluzione 1514-XV intitolata Dichiarazione sull’indipendenza ai paesi coloniali, il processo di decolonizzazione fa emergere il problema del sottosviluppo con l’importanza delle politiche di cooperazione volte alla promozione sostanziale dei popoli a seguito. Questa decolonizzazione si è trasformata in una nuova forma di colonizzazione da parte dei paesi industrializzati, soprattutto da parte USA e URSS: il neoimperialista (controllo e ingerenza politici/economici dei nuovi Stati). È in questo senso che gli aiuti destinati ai Paesi in via di Sviluppo (PVS) per soccorrerli hanno preso una forma assistenzialista, ma anche per mantenerli in determinata situazione per potere controllare: è la fase dei cosiddetti aiuti legati o condizionati.

2.1.2 Aiuto legato e/ condizionato.

Il sottosviluppo, determinato in parte da cause esterne tali il colonialismo (Dipendenza politica che comporta dipendenza economica) e il neocolonialismo ovvero la dipendenza economica che comporta dipendenza politica, e lo scambio ineguale (Jossa, 1973) comporta l’aiuto legato o condizionato in vista di mantenere il controllo e un certo tipo di relazione ovvero una dominazione sull’area.

La condizionalità dell’aiuto consiste a subordinare l’aiuto all’implementazione di alcune riforme da parte del paese beneficiario dell’aiuto.

‘’Aid cannot buy reforms’’- in altre parole, la condizionalità avrebbe dimostrato la sua inefficacia. Questo lo vediamo attraverso numerosi lavori (Collier 1997; Collier et Dollar 1998; Dollar et Svensson 2000; FMI 2001; Easterly 2005), questo scetticismo è ormai diffuso in vari livelli della cooperazione.

Queste condizionalità sono state criticate su tutti gli aspetti, ma ommesso un altro aspetto della critica stessa delle condizionalità: sono appropriate le condizionalità?

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concepito dalle istituzioni di Bretton Woods. Inoltre, le condizionalità richiedono più tempo per la loro realizzazione, talvolta più di quanto ne hanno concesso le istituzioni internazionali. Queste condizionalità comportano potenzialmente d’enormi conseguenze politiche: possono destabilizzare i governi: basti pensare alle privatizzazioni ai cambi di politiche monetari, alla lotta contro la corruzione, o ancora alla riforma della filiera cotone nei paesi dell’Africa dell’ovest, etc. (Jean-Michel Severino, Olivier Charnoz, 2005).

Nei paesi del Sud, la condizionalità ha modificato la politica sostanzialmente. Per esempio, al sud Sahara: tutti quelli che hanno conosciuto questi paesi vinti anni fa, e che guardano quello che è stato realizzato oggi, non possono dubitare che i metodi di gestione e le politiche economiche si siano evoluti in parte sotto la pressione delle esigenze dei finanziatori. Non importa come la condizionalità è stata critica, invito a rendere omaggio parzialmente a questo strumento di cambiamento e di trasformazione dei modi di gestione pubblica. Forse è peggio di alcuni strumenti ma meglio di gran parte della letteratura economica È il motivo per cui nonostante le critiche alcuni finanziatori non esitano a ricorrere a tale pratica (Killick, 2004).

L’aiuto condizionato si distingue un po’ dall’aiuto legato. Questo ultimo prende le sue radici dalla storia/relazione/legame esistente fra il paese donatore e il destinatario in un contesto particolare per esempio di cui la colonizzazione. Questo ultimo è il legame più diffuso. La Francia in particolare ha legami coloniali con tanti paesi dell’Africa occidentale, ma anche in vari parti del mondo. Una volta accesa alla loro indipendenza questi rapporti di dominazione si sono trasformati in relazioni di assistenza e di cooperazione economica, commerciale e culturale, secondo la volontà del paese del Nord. Questo desiderio di continuazione delle relazioni è motivato dall’esistenza dei forti interessi commerciali dietro.

L’aiuto allo sviluppo è stato introdotto in seguito alla Seconda guerra mondiale (Dichiarazione Truman, 1949). Al termine della Seconda guerra mondiale, una volta poste le basi istituzionali che non avrebbero permesso il ripetersi delle atrocità commesse, l’obiettivo primario dei Governi fu quello di riattivare le economie, in particolare quella europea. Ciò avrebbe agevolato una ripresa più rapida dell’economia globale. Gli Stati Uniti, infatti, avevano bisogno della riattivazione dei vecchi scambi

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commerciali con l’Europa e dell’apertura di nuovi mercati per ampliare gli stessi. I nuovi mercati erano rappresentati dai Paesi dei Sud del mondo, quindi era necessario favorire il loro sviluppo. L’ex presidente degli Stati uniti era convinto che “la povertà avrebbe rappresentato una minaccia anche per i paesi benestanti”. Tutti i paesi coinvoltisi nel sanguinoso conflitto mondiale avviarono il processo di passaggio da un’economia di guerra ad un’economia di pace à carattere produttivo. Questo processo ha necessitato di importanti strumenti e risorse significative.

La situazione politica era confusa: si assiste alla divisione ideologica del mondo in due blocchi contrapposti, quello capitalista occidentale e quello comunista sovietico. Questa divisione fece emergere l’esigenza per le due superpotenze mondiali di riattivare i commerci sotto forma di controllo sulla la proprio sfera di influenza più Paesi possibili. E questa situazione che portò inevitabilmente all’instaurazione della Guerra Fredda tra USA e URSS. Come conseguenza, l’Europa fu divisa geopoliticamente da una cortina di ferro che spaccò in due la Germania e il mondo in due poli, occidentale (influenza USA) e orientale (influenza URSS) e con due visioni dello sviluppo e dell’assetto politico, sociale ed economico totalmente contrapposte.

Da tale contesto deriva il primo programma di cooperazione alla ricostruzione e allo sviluppo mai attuato: l’European Recovery Programm – ERP del 1948 (Piano Marshall). L’ERP rappresentava la necessità per gli USA di riattivare l’economia europea occidentale per un altro motivo, questa volta più ideologico.

Le prime relazioni transatlantiche erano basate sulla riattivazione dell’economia europea, dopo la guerra, dalla quale sarebbe dipesa quella globale. La seconda invece erano basate su motivi meramente ideologici, quelli di allontanare il più possibile il comunismo da quelli paesi. Il Piano aveva tra tanti obiettivi anche quello di favorire o porre le basi di un’integrazione europea, all’inizio solo a livello economico, come l’istituzione della CECA nel 1951 (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) (G. Antonelli e A. Raimondi, 2001).

A volare al soccorso dello sviluppo europeo e mondiale ci furono anche alcuni organismi internazionali tali Banca Mondiale per la Ricostruzione e lo sviluppo -

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Internazionale (FMI) con il compito di favorire la ricostruzione. In particolare, la Banca Mondiale era impegnata nella ricostruzioni dei paesi più sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, ma anche lo sviluppo dei nuovi paesi d’indipendenza che dovevano fronteggiare i problemi legati ad essa. Il Fondo Monetario, voluto dall’economista John Maynard Keynes, fu costruito al fine di evitare il rappresentarsi di una nuova depressione simile a quella degli anni Trenta. Secondo l’economista inglese, i mercati non funzionano sempre bene, ci vuole l’intervento del FMI per mantenere l’economia, così come l’ONU, nata per assicurare la pace e la stabilità politica. È in questo contesto che il Piano Marshall è intervenuto, il primo vero programma di cooperazione allo sviluppo. In sostanza, è un piano di ricostruzione economica finalizzato, grazie al quale l’Europa riuscì a dare un nuovo slancio alla sua economia post-guerra. Contemporaneamente a quella fase, bisognava affrontare la questione di adeguamento amministrativo ed economico legato al mercato economico internazionale, in seguito all’avvio del processo di decolonizzazione. Una cosa da non sottovalutare è la pressione esercitata da questi nuovi paesi sull’ampliamento delle risorse da destinare alla cooperazione allo sviluppo.

La cooperazione allo sviluppo era anche stata, in particolare per gli Stati uniti, l’occasione di estendere il loro controllo su aree particolarmente deboli e disagiate. I casi emblematici sono quelli della presenza degli Stati Uniti in Asia estremo-orientali più esposti all’influenza dei regimi comunisti (Vietnam, Taiwan, Corea del Sud, Transatlantic Relations: U.S. Interests and Key Issues, 2020).

Come dicevamo prima, la FMI e la Banca Mondiale sono state istituite per accompagnare il progetto sviluppo. Però, le condizioni di finanziamenti sono difficili per i paesi di nuova indipendenza per poterci accedere -si parla di clausole inserite volte a pretendere o obbligare i paesi interessati a adottare un tipo di comportamento. Si tratta di subordinare i paesi poveri (?). “Il FMI, dal suo statuto impone che il rilascio di un prestito sia condizionato dall’attuazione dei programmi di aggiustamento economici, è considerato da tanti come un’istituzione internazionale che esercitano un potere di ingerenza eccessivo nei confronti dei paesi che le fanno appello” (Hetty Kovach et Sébastien Fourmy, oxfam international 2006). Di fronte a numerosi critiche nei confronti delle istituzioni e, nell’ottica di agevolare l’accesso ai finanziamenti. <<Per esempio, il FMI è stato criticato per la sua gestione della crisi asiatica del 1997,

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proprio perché aveva imposto la soppressione di tutti i dispositivi d’intervento degli Stati nell’economia, interventi che avevano eppure permesso la crescita forte di decenni precedenti, e di cu il FMI riconobbe in seguito che non avevano alcun ruolo nocivo nella crisi. Ma la grandezza delle riforme richieste dal FMI a delle economie giudicate sane fino ad ora fecce pensare agli investitori internazionali che la situazione di questi paesi era realmente catastrofica, quello che ha avuto come conseguenza il movimento di ritiro dei capitali.>> (Hetty Kovach et Sébastien Fourmy, oxfam international,2006).

Tra l’altro, è stato creato l’International Development Association (IDA) nel 1959 all’interno della Banca Mondiale per offrire prestiti e/o finanziamenti addirittura sostenere lo sviluppo a delle condizioni molto più vantaggiose o che tengono conto della situazione dei paesi interessati. “L'Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA) è un'istituzione pluridisciplinare che sostiene una serie di attività di sviluppo, quali l'istruzione primaria, i servizi sanitari di base, l'acqua potabile e i servizi igienico-sanitari, l'agricoltura, il miglioramento del clima delle imprese, infrastrutture e riforme istituzionali. Questi interventi aprono la strada verso l'uguaglianza, la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, redditi più elevati e migliori condizioni di vita. Molte delle questioni che i paesi in via di sviluppo devono affrontare non rispettano le frontiere. Aiutando ad affrontare questi problemi, l'IDA lavora per mitigare le preoccupazioni in materia di sicurezza, ambiente e salute, e impedisce che queste minacce diventino questioni globali” (www.idaworldbank.org).

Inoltre, la nascita di ulteriori agenzie per lo sviluppo e le nuove funzioni assunte dalle organizzazioni internazionali permise di accrescere il volume di aiuto multilaterale raddoppiando il suo peso sul totale dei flussi ai PVS. Contemporaneamente si verificò, anche un incremento dell’aiuto bilaterale dovuto, in particolare, a due gruppi di paesi: le ex potenze sconfitte della Seconda guerra mondiale, Germania e Giappone, e i paesi scandinavi, soprattutto Svezia e Norvegia.

Alcuni continuano a pensare che la cooperazione allo sviluppo ha come sinonimo aiuto monetario. In effetti è solo parte di essa. Per questo alcuni pensano ad una definizione più larga che includerebbe anche, ad esempio, i flussi sul mercato tali gli investimenti

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contesto, la cooperazione allo sviluppo dovrebbe focalizzarsi sulla sua missione per cui è nata, che sono fondamentalmente tre (Severino e Ray, Ocampo, 2015) : sostenere e completare gli sforzi dei paesi in via di sviluppo per garantire l’istituzione delle norme sociali essenziali e universali, permettendo ai cittadini l’esercizio e il godimento dei diritti fondamentali; promuovere la convergenza dei paesi in via di sviluppo, in particolare i più poveri, verso livelli più elevati di reddito e di benessere, e di ridurre le profonde disuguaglianze che persistono a livello internazionale; sostenere la partecipazione attiva dei paesi in via di sviluppo alla fornitura dei beni pubblici mondiali. Nel perseguimento della sua missioni, essa deve comporre con quattro criteri fondamentali. Tutte le attività che soddisfino questi requisiti rilevano della cooperazione allo sviluppo ovvero mirano in modo esplicito a sostenere le priorità dello sviluppo nazionali o internazionali.

Come il mare è pieno di pesce è così che a livello internazionale ci sono migliaia di attività tra cui quelle a scopo non lucrativo, ma bisogna fare una piccola attenzione perché non tutte le attività internazionali senza scopo di lucro rientrano nella cooperazione allo sviluppo. È l’esempio delle manovre militari, consistendo nella fornitura delle armi, dei carri e di un intervento militare a difesa, benché necessitino un’intensa cooperazione internazionale sia a livello diplomatico che economico non sono da classificare come cooperazione allo sviluppo. È importante a questo punto immaginare fare luce sulle attività che compongono la cooperazione allo sviluppo. Le zone d’ombre saranno sempre inevitabili. Partiamo comunque da alcune caratteristiche che le accomunano tutte, quella dello scopo non di lucro. Sono attività che non ricercano il profitto o meglio accetta un profitto inferiore a quello di mercato. Si preoccupa di correggere le disfunzioni delle regole del mercato che ostacolano la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo, in alcuni casi, incoraggiando certe attività specifici potendo avere delle ripercussioni positive sullo sviluppo in generale. Hanno una seconda caratteristica, quella della promozione della discriminazione positiva in favore dei paesi in via di sviluppo. Soltanto le azioni o attività volte a creare opportunità di sviluppo con determinate caratteristiche sono contemplate nella cooperazione allo sviluppo: eguaglianza, sostenibilità, partecipazione e produttività (Farinella, CCSI). Questo precedente criterio ha guadagnato molto in importanza al momento della realizzazione degli obiettivi dopo 2015, perché distingue la

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cooperazione per lo sviluppo e l’azione internazionale per lo sviluppo sostenibile in generale.

Inoltre, sono attività basate sulle relazioni di cooperazioni mirate a migliorare l’appropriazione dai paesi in via di sviluppo. Tra l’altro la cooperazione allo sviluppo dovrebbe basarsi sulle relazioni di cooperazione non gerarchiche tra partner internazionali e sulla complementarità delle risorse e delle capacità, in un’ottica di sviluppo. Queste relazioni dovrebbero rispettare la sovranità dei paesi, ottimizzare il margine delle loro manovre nell’ottica di favorire lo sviluppo. Se questi criteri sembrano importanti per inquadrare il settore delle attività che rientrano nella cooperazione allo sviluppo, non sono esaustivi per inquadrare bene il settore che è sempre in pieno movimento con vari mutamenti.

2.1.3 Dal bilateralismo statunitense al multilateralismo

Negli anni che seguirono la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si concentrarono sulla ricostruzione europea come elemento fondamentale per stabilizzare il mondo occidentale e renderlo “sicuro per il capitalismo”. Il Vicesegretario di Stato statunitense per gli Affari Economici, Will Clayton, di ritorno dall’Europa, affermò in un memorandum: I movimenti comunisti stanno minacciando i governi insediati in ogni parte del globo: Questi movimenti, diretti da Mosca, di nutrono della debolezza economica e politica. … Gli Stati Uniti si trovano di fronte a una sfida alla libertà umana su scala mondiale. L’unico modo di affrontare questa sfida è il ricorso a un nuovo ampio programma di assistenza fornita direttamente dagli Stati Uniti (citato in Brett, 1985, pp 106-107) (McMichael, 2006). In una sola mossa, gli Stati uniti speravano di utilizzare gli aiuti finanziari per stabilizzare popolazioni insoddisfatte, ma anche contenere il comunismo - soprattutto in Europa. Questo è il primo esempio di un intervento finanziario a carattere bilaterale.

Nel frattempo, le Nazioni Unite avevano organizzato un programma multilaterale di assistenza internazionale. L’azione multilaterale non fermò quelle bilaterali statunitensi. Anzi, entravano in conflitto in alcuni casi con queste iniziative bilaterali tali che la politica bilaterale non prendeva in considerazioni le proposte dalle due

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l’Agricoltura (FAO) e la United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA) (Cleaver, 1977).

2.1.4 Il nuovo millennio

Nel 2000, la cooperazione non può prescindere dal mercato. I processi di cooperazione economica e di libertà del commercio sono collegati alla stabilità, alla sicurezza e a pacifiche relazioni tra gli Stati: la relazione tra cooperazione e mercato si ripercuote anche nel sistema delle relazioni internazionali disegnando l’economia-mondo sulla quale si fonda oggi la globalizzazione. Emerge sempre la centralità della persona umana, che è a sua volta sottomessa dalla produzione, all’economia. La globalizzazione dell’economia ha accresciuto, durante il ventesimo secolo,

l’interdipendenza tra gli Stati (Bellino, 2004). Come ha sostenuto Gaetano Dammacco, “la globalizzazione nasce dall’esigenza

economica di ampliare il mercato: pertanto non ha alla propria origine un’esigenza politica. Questo consente di osservare come i progressi economici possono essere distaccati dalla crescita politica…

In un contesto globalizzato e sempre tendente allo sviluppo, ad oggi tre tipi di politica permettono di definire meglio la cooperazione allo sviluppo in un mondo sempre più globalizzato: i trasferimenti finanziari e/o in natura, il rafforzamento delle capacità (empowerment) e il cambiamento di politica. Come dicevamo prima, la maggior parte delle persone associano l’aiuto allo sviluppo ai trasferimenti monetari e in natura, soltanto perché rappresentano la maggiore parte dei flussi. Nel 2015 l’Italia ha destinato quasi 4 miliardi di euro (3miliardi e 954milioni) in aiuto pubblico allo sviluppo. (Cooperazione-Italia-minidossier-10-novembre-2016). Certo i trasferimenti monetari monopolizzano gran parte dei discorsi sullo sviluppo durante le conferenze internazionali, perché facilmente misurabile, e quantificabile, in più l’assenza dei trasferimenti monetari metterebbero pure in difficoltà il rafforzamento delle capacità. Ma non è sufficiente.

Tra l’altro tanti paesi poveri cominciano ad emergere economicamente. Nel 2008, la maggior parte delle economie emergenti e in sviluppo nell’economia mondiale

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passava per la prima volta la soglia del 50%. (OSCE, perspectives du developpement mondial 2019).

Figura 1

Fonte: Perspettive dell’economia mondiali, 2017

Dalla tabella presente sopra, si nota come diversi paesi, si stanno emergendo, influenzando gli equilibri economici mondiali.

Ma se sono diventati meno dipendenti dai trasferimenti e sono più in grado di potere farne a meno, purtroppo, continuano a necessitare di altri tipi di cooperazione per portare avanti i progetti di sviluppo o per mantenere la stabilità: il rafforzamento delle capacità ovvero l’empowerment. Il rafforzamento delle capacità fa parte integrante dell’aiuto allo sviluppo e occupa un posto importante nei programmi di sviluppo ma lo sarà ancora di più nei prossimi anni a causa dell’ampliamento degli obiettivi dello

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parliamo delle risorse organizzative umane, della cooperazione tecnologica e la condivisione delle esperienze politiche. Faccio un piccolo esempio illustrando il caso del Togo. Lontano di essere un paese emergente, il Togo ha comunque intrapreso la strada dello sradicamento della povertà. Come possiamo vedere dalla tabella alla pagina seguente, c’è stato un progetto programma del Togo, piccolo paese dell’africa occidentale, che copre il periodo dal 30 giugno 2008 al 31 dicembre 2019. Il suo donatore principale è l’UNDP che ha finanziato il progetto con ben circa 8 miliardi di dollari per due motivi: prima perché è un programma di rafforzamento delle capacità che preparerà la strada al progetto Programma Nazionale per lo Sviluppo (PND). Quest’ultimo va dal 2018 al 2022 e si iscrive interamente negli obiettivi dell’agenda 2030. L’obiettivo principale di questo programma è di lottare, da una parte contro la povertà (Target 1 degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile); in effetti secondo la Banca mondiale, e prima del programma, il tasso nazionale di povertà ha registrato un passo indietro di 6 punti, passando da 61,7% nel 2006 a 655,1% nel 2015. Malgrado questi progressi, la povertà rimane molto elevata, soprattutto nelle zone rurali dove 69% delle famiglie vivevano al di sotto della soglia di povertà nel 2015. Se consideriamo le famiglie dirette da una donna notiamo che il tasso di povertà è ancora più elevato perché le donne hanno poco accesso alle opportunità economiche e sono poche rappresentate nei luoghi di decisioni. Dall’altra parte, il progetto consiste nell’instaurare un clima di pace, di giustizia e di efficacia delle istituzioni (Target 16). L’efficacia dell’istituzioni le istituzioni non è da sottovalutare, hanno un ruolo fondamentale da giocare nella crescita economica di un paese in ‘’Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty’’.

In concreto, il progetto porta sostegno al rafforzamento delle capacità e alla modernizzazione dello Stato, mira al miglioramento della gestione delle risorse umane dello Stato, la semplificazione delle procedure amministrative, così che la digitalizzazione dei servizi dello stato civile. Ha permesso di raggiungere i precedenti obiettivi: un progetto preliminare del codice di deontologia dell’amministrazione pubblica è stato elaborato e validato, l’adozione di una strategia di gestione delle risorse umane dello Stato, rafforzamento degli attori sugli strumenti internazionali e di buona prassi in materia di lotta contro la corruzione, l’allineamento degli organigrammi alle loro missioni all’interno dell’agenda, prese due misure di riforme

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amministrative. Inoltre, sono stati anche rilasciati vari certificati di nascita e di nazionalità per permettere ai cittadini, soprattutto le donne di avere innanzitutto un’identità giuridica e di potere cogliere e approfittare delle opportunità economiche e di lavoro che si presenteranno. In tutto, sono stati rilasciati 7547 certificati di nazionalità, di 11 896 carte d’identità nazionali sono stati rilasciati e di 9512 certificati di nascita e certificati di nascita rettificativi a uomini e donne per permettergli di avere un’identità giuridica e di potere beneficiare delle misure di presa in carico da parte del governo. A differenza del continente europeo dove abbondano, le misure sociali nazionali in paesi africani in generale e subsahariana in particolare sono da contare sulla punta delle dita. Il Togo non fa eccezioni.

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Figura 2 Fonte: Undp

A livello nazionale, il cambiamento di politica si fa sempre più presente. Le politiche nazionali sono orientate verso la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo, piuttosto

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che basato su un piano nazionale al di fuori di ogni influenza del contesto internazionale.

2.1 I percorsi economici/politici tra storia e cronaca

Nel 1776 Adam Smith teorizzò il liberismo secondo cui l’economia deve perseguire il bene individuale e se lo persegue con intensità, automaticamente, come effetto (grazie ad una mano invisibile), raggiungono il benessere di tutti (bene comune). Però bisogna fare una precisazione: questo dogma è applicato soltanto alla fase dello scambio e non della produzione e della distribuzione (Amartya sen-premio Nobel per l’economia e studiosa dell’etica economica), spingendo tanti economisti a basare il loro pensiero economico esclusivamente sul profitto (Bellino, 2004). E cosi che nacque il capitalismo attraverso la massimizzazione de profitto (Weber, 1930). Più il soggetto ottiene successo, più è portato ad investire per accrescerlo (Bellino, 2004). Queste teorie economiche basate sull’aspetto economico dello sviluppo, furono seriamente influenzate dal crollo del mercato degli anni ’30 e dal successo dell’URSS (Pomfret, 1992). Una minaccia? Molto rapidamente gli economisti si resero conto che queste teorie cosi formulate portavano alternazioni delle strutture politiche, economiche e sociali dei PVS. Questa situazione coincideva negli anni ’50 e ‘ 60 all’epoca della decolonizzazione e di severo sottosviluppo dei PVS. Il sottosviluppo è visto come scarsa accumulazione di capitale e inefficiente impiego delle risorse produttive. Secondo un altro approccio ad opera dello studioso latino-americano il sottosviluppo della periferia qui denominato PVS è necessariamente legato allo sviluppo del centro. Perciò tutto ciò che influenza il centro si ripercuoterebbe sulle periferie (Antonelli, Raimondi, 2001).

È in questo modo che si iniziò negli anni 70-80 a integrare o includere lo sviluppo dei PVS, ma si nota una forte differenza tra di loro ovvero differenza sostanziale da paese a paese e tra zone interne ai PVS. Hanno comunque registrato qualche indice di crescita. Nonostante la crescita del PIL di alcuni PVS, al loro interno permangono disoccupazione povertà di massa. È proprio per questo motivo che si sposta l’attenzione alla distribuzione delle risorse e la povertà non è più accertata come

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assenza di reddito, ma anche come privazione dei bisogni di base (Antonelli, Raimondi, 2001).

Negli anni 90 si parla dell’emergere del forte debito pubblico dei PVS e la crisi economica al Nord. Questa situazione porta inevitabilmente a svolte di situazioni tali neoconservatrici. A volare a sostegno del contesto furono programmi e politiche a cura della Banca Mondiale per PVS sono stati indirizzati a favorire i processi di privatizzazione per garantire la riallocazione delle risorse (Antonelli, Raimondi, 2001). Ma se vengono meno gli investimenti in capitale sociale non si può sperare lo sviluppo scontato. Infatti, si cominci a parlare di sviluppo umano e sostenibile con l’UNDP-United Nations Development Programm. Si tratta concretamente di investire nell’umano per migliorare le capacità, per garantire una distribuzione equa delle risorse e una partecipazione democratica di tutti. Secondo la definizione di Sviluppo Umano questo rappresenta la creazione di un ambiente nel quale le persone possano sviluppare la loro potenziale produttività, in accordo con i loro interessi e bisogni. (http://hdr.undp.org). In questo quadro è fondamentale che la cooperazione allo sviluppo sia necessaria per un’efficace policy globale di sviluppo sul piano politico, economico, sociale, e culturale, anche se ci vuole une revisione critica per adeguarlo all’evoluzione del sistema internazionale (Antonelli, Raimondi, 2001). La cooperazione allo sviluppo è stata proiettata per il raggiungimento degli obiettivi che cambiano alla loro volta, come tutte gli altri variabili a seconda dell’ambito d’intervento.

L’aiuto allo sviluppo trova la sua origine nel Dopoguerra per la prima volta. All’indomani della Seconda guerra mondiale, nacque all’Onu con la missione di mantenere la pace e la sicurezza nel mondo. Contemporaneamente, i concetti di Terzo Mondo e di sottosviluppo fanno la loro apparizione per segnare il divario economico esistenti fra le aree del mondo. Lo sviluppo, a quell’epoca, si misura in termini di gap o di ritardo del resto del mondo rispetto alla civilizzazione occidentale. Bisogna rimediare! L’aiuto allo sviluppo era prima nello spirito dell’amministrazione Truman, poi cambiò nel contesto della Guerra fredda negli anni 70, ove diventò una strategia per limitare l’avanzamento del comunismo nelle aree dei paesi di nuova indipendenza, con una scarsa economia. Queste esigenze mutarono col passare degli anni, prima durante la guerra fredda, dove l’obiettivo finale era quello di fermare l’avanzamento

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del comunismo nei nuovi paesi indipendenti e in terzo luogo con le esigenze degli obiettivi del millennio (entro 2015) e in seguito con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. I paesi occidentali capiscono subito che lo sviluppo non è più apporto di conoscenza tecnica, ma che debba anche rispettare la diversità culturale.

Essendo fallita la società delle Nazioni, nacquero le Nazioni Unite di cui primi obiettivi sono il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Per la loro realizzazione, l’organizzazione si fa promotrice della protezione dei diritti dell’uomo, la fornitura dell’aiuto umanitario, lo sviluppo e la garanzia del diritto internazionale (www.un.org/fr).

La prima organizzazione internazionale nata per portare a termine questi obiettivi è la FAO, Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

Nel 1965, l’assemblea generale vota la creazione del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e, nel 1972, quella del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente. Oggi presente in più di 170 paesi al mondo, il PNUS contribuisce attivamente a sradicare la povertà proteggendo il pianeta. Essendo l’agenzia principale delle nazioni unite nell’ambito dello sviluppo, il PNUS gode di una buona posizione nel contribuire alla realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile (Oss) (www.undp.org). In concreto, si trattava di allineare modello di vita dei cosiddetti paesi sottosviluppati su quello occidentale

Per averne un’idea analizziamo i dati della Bank of England e Madisson Project database.

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Figure 3

Fonte: Madisson Project Database (2018)

Il reddito pro-capite degli Stati uniti durante la Prima guerra mondiale era di 7, 334.00 dollari che è cresciuto fino a raggiungere 1945, 992.00 all’indomani della guerra. Da questi anni il PIL pro capite non fa che crescere continuamente fino a raggiungere 50,276.00 dollari nel 2008, un po’ prima della crisi.

Negli anni 1960, anni di indipendenza delle economie africane e asiatiche, il PIL pro capite degli stati uniti aggirava attorno a 18,058.00 dollari

Notiamo anche che quasi tutti i paesi occidentali hanno seguito questo tipo di andamento nella loro economia. È il caso per esempio dell’Inghilterra che ha registrato durante gli stessi periodi redditi sempre crescenti. All’indomani della guerra aveva un reddito pro-capite di 7,066.14 sterline, questo cresce per raggiungere nel 1960, anno delle indipendenze, 9.854.64 sterline e nel 2008 27.766.17 prima della crisi.

Come possiamo notare da questa tabella, la crescita economica iniziata dopo la seconda guerra si è fermata soltanto nel 2008, quando scoppiò la crisi per poi riprendere piano piano a partire dal 2010. Questa crescita ha creato delle eccedenze in

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alcuni paesi occidentali facendoli diventare i protagonisti nel campo della cooperazione allo sviluppo.

Queste eccedenze registrate si sono tradotte in aiuto verso le aree disagiate. Così iniziarono degli interventi a favore dei paesi del Terzo Mondo, termine con il quale questi paesi beneficiari venivano chiamati all’epoca e fino a un passato recente. Questi interventi si sono tradotti sotto la forma di cooperazioni bilaterali, nei suoi primi anni. La Francia per esempio creò l’Agenzia francese per lo Sviluppo (AFD) per organizzare gli interventi a favore soprattutto delle sue ex colonie.

Inizialmente, gli aiuti, fermo restando che partono da paesi ricchi a destinazione dei paesi poveri, erano molto basati sulla cooperazione bilaterale cioè tra due paesi. Man mano si è visti l’apparizione di nuovi attori ma anche nuovi scenari nell’ambito modificando profondamente il contesto di partenza.

In questa sessione ci siamo soffermati su com’è nato l’aiuto allo sviluppo attraverso la descrizione del percorso storico, il sistema degli aiuti in generale, cos’è diventata la cooperazione allo sviluppo e una breve descrizione del suo percorso istituzionale e nelle agenzie dell’Onu. Questi elementi hanno contribuito alla complicare il contesto?

3. Le dimensioni della complessità dell’aiuto alla luce dei nuovi obiettivi dello sviluppo internazionale

L’aiuto pubblico allo sviluppo si inscrive nel grande contesto degli interventi a favore della cooperazione allo sviluppo, ambito che conosce da qualche decennio delle profondi trasformazioni in parte legate ai cambiamenti più globali tali la fine della guerra fredda, la globalizzazione, la salita in potenza del multilateralismo per non citare solo questi. Se da una parte gli economisti dello sviluppo si concentrano sulle questioni tali l’efficacia, la performance, o anche allora la selettività dell’aiuto (Steele, 2013; Severino e Ray, 2010; Banerjee e Duflo, 2009; Easterly, 2006), dall’altra gli antropologi dello sviluppo invece si concentrano sull’aiuto in azione (Olivier de Sardan, 1995) tanto sui livelli di ricevimento dell’aiuto quanto nelle istituzioni dell’aiuto (Mosse, 2011). Sempre più frequentemente fa eco che i maggiori cambiamenti riguardano gli strumenti (La revue Techniques financières et

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internazionale per lo sviluppo si inserisce in un processo di grandi cambiamenti e complessazioni (Déclaration de Busan, 2011; Charnoz et Severino, 2007). Da un lato, il finanziamento dello sviluppo vede emergere un numero crescente di attori privati e pubblici dalle relazioni molteplici, dagli obiettivi sempre più ambiziosi, al punto di entrare nel funzionamento stesso degli Stati beneficiari. D'altra parte, l'aiuto diventa un sistema incentrato sui suoi risultati, privilegiando la dimensione tecnica a scapito del dibattito sulla natura e sugli obiettivi delle politiche di sviluppo. Questa complessità del panorama dell'aiuto è affrontata mobilitando le discipline della scienza politica, dell'economia politica e della sociologia. (Gabas, Pesche, Ribier, Campbell, 2014). La cooperazione allo sviluppo è un ambito in continuo cambiamento e queste evoluzioni hanno avuto come conseguenze la complicazione del sistema di aiuto nel suo complesso. Si sono susseguiti dei cambiamenti profondi che hanno segnato negli ultimi decenni gli scenari internazionale così come quelli nazionali, trasformando il contesto in cui gli interrogativi sullo sviluppo si collocano. Questa parte dell’elaborato descriverà i grandi mutamenti avvenuti (Ianni, 2017). Si assiste a forme innovative di democrazia con forme di partecipazione e inclusione sociale, crescenti movimenti di rifiuto delle disuguaglianze crescenti e di appello a relazioni orizzontali e prive di leadership (Chomsky, 2012), movimenti antiautoritarii ambigui e lotte per diritti umani (Touraine, 2015) si manifestano in paesi e continenti diversi. Contemporaneamente all’emergere di questi cambiamenti, una pronunciata perdita di credibilità delle istituzioni unita in un’ondata di populismi, rende manifesta la crisi di un sistema che mostra difficoltà e che esigono di ripensarli. Il tema migratorio è anche stato all’ordine del giorno: inizialmente percepito soltanto come un problema di integrazione, queste si intrecciano con quelle per il terrorismo, in particolare in Europa (Tomei, 2017).

Un altro aspetto che ha subito un cambiamento è il carattere dei beni pubblici globali. In questa nuova concezioni i protagonisti non sono più soltanto gli Stati ma anche le grandi corporazioni economiche e le reti della società civile globale segnando il passaggio ad un mondo multipolare dominato dal gruppo di paesi industrializzati, mentre le Nazioni Unite, a settant’anni dalla loro creazione si presentano indebolite con ostacoli insuperati sul suo cammino. Tutti questi cambiamenti hanno reso complesso il sistema della cooperazione allo sviluppo. In un contesto cosi sparpagliata,

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riusciamo a individuare tre diverse dimensioni di questa complessità dei mutamenti interventi sul percorso dello sviluppo. Possiamo distinguere tre dimensioni di mutamenti: a livello degli attori, sovrapposizioni dei livelli di intervento dell’aiuto, la moltiplicazione così che la diversificazione degli obiettivi rispetto agli obiettivi tradizionali (Severino, Ray, 2010). Ci sembra che questa complessità sia fondata su tre dimensioni.

3.1 La moltiplicazioni degli attori coinvolti nella concezione e l’implementazione

delle azioni di cooperazione.

Come annunciato precedentemente si assiste da una parte alla moltiplicazioni degli attori coinvolti, la moltiplicazione degli attori impegnati nella concezione e l’implementazione delle azioni di cooperazione. Gli attori finora poco presenti, tali le rete cittadine transnazionali, le ONG altermondialisti, donatori dei paesi emergenti, le grandi fondazioni (Bill e Melinda Gates, i macro-attori privati, hanno progressivamente invaso il campo dell’aiuto e ci giocano un ruolo sempre crescente. Questa moltiplicazione degli attori pone una serie di sfide nuove, di cui quelli della coordinazione e dell’articolazione dei loro interventi con le scelte politiche dei paesi beneficiari. Inizialmente la cooperazione allo sviluppo era volta ad aiutare i paesi poveri attraverso l’introduzione di una sorta di equilibro tra le varie zone del mondo, una sorta di riduzione delle disuguaglianze tra paesi in termini di crescita e di sviluppo tra paesi e non inteso come pari opportunità o disuguaglianza interpersonale. La mappa delle povertà e delle disuguaglianze degli anni duemila illustrano con chiarezza quanto il mondo sta cambiando (Figura 2). La natura e la profondità dei mutamenti che esse registrano animano dibattiti che coinvolgono studiosi e politici.

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Figura 4

Fonte: www.ourworldindata.org

Partiamo dall’idea che anche se povertà e disuguaglianze non rispondono a sequenze direttamente sovrapponibili esse si rapportano in modo articolato e differenziato alla crescita. Forniscono quindi informazioni importanti sulla situazione economica del paese.

Nel 1990, le organizzazioni internazionali hanno adottato una definizione di povertà in linea con le linee di povertà nei paesi a basso reddito. Nel corso dell’ultimo aggiustamento la linea di povertà internazionale è fissata a meno di 1,90 dollari al giorno. È una linea molto povera (povertà estrema). Da questa figura sopra leggiamo come le sette regioni del mondo ovvero Europa e asia centrale (paesi ad altri redditi), America latina e caraibica, Middle East and North Africa, Africa subsahariana, L’asia dell’Est e il pacifico, sud asia sono stati prese in considerazione per valutare la situazione di estrema povertà cioè il numero di persone che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno, il suo percorso dal 1990 fino al 2015 e la sua successiva previsione entro 2030. Dall’analisi di questa tabella emerge che tutte le regioni del mondo hanno

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migliorato la loro situazione riducendo il tasso di povertà entro 2015 tranne l’africa subsahariana. Quest’ultima ha visto il numero dei poveri aumentati e aumenteranno ancora entro 2030 secondo le previsioni (vedere la tabella sopra). Partito da 1,9 miliardi di persone in estrema povertà nel 1990, nel 2015 i dati hanno affermato che ci sono circa 750 milioni di poveri nel mondo, questo numero si è diminuito fino a raggiungere 650 milioni nel 2018. Secondo le stime previste dalla Banca Mondiale nell’arco 2015-2030, l’87% dei poveri mondiali vivranno in africa subsahariana, cioè 479 milioni su 500 milioni di poveri estremi mentre nelle altre regioni il tasso sarà attorno a 3%. Questa concentrazione dei poveri in africa subsahariana non risale soltanto da oggi. Ricordiamo che qui stiamo parlando di poveri estremi.

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Figure 5

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Questo grafico qui sopra ci mostra chiaramente dove sta la linea di povertà estrema di 1.90 dollari e come i paesi riescono a superarla per ritrovarsi fra i paesi ricchi. Rispetto all’anno 1975, nel 2015 la maggiore parte delle popolazioni dell’asia e del pacifico hanno superato la linea di povertà e si collocano ad un livello superiore dove l’africa subsahariana pena ad andare oltre, è l’unica regione che conta più poveri e ne conterà l’87% entro 2030. Le popolazioni di quel luogo che hanno superato la linea si ritrovano subito non molto lontano dalla linea collocandosi tra 2 e 5 dollari al giorno.

In un contesto profondamente mutato, l’emergere di nuovi attori, anche se potrebbe essere fonte di ulteriore complessità, è imprescindibile nell’affrontare la lotta per lo sviluppo.

Come possiamo vedere, gli sforzi non mancano ma c’è ancora tanto da fare in vista degli obiettivi che ci si sono fissati. Le fonte tradizionali di finanziamento non riusciranno probabilmente a fare fronte alle esigenze della nuova Agenda, sarà quindi necessario trovare forme innovative di mobilitazione delle risorse. E ‘così che negli ultimi anni si è registrato l’emergere di nuovi donatori nel panorama dell’APS. Ciò riguarda da una parte il campo governativo e dall’altra il ruolo geopolitico svolto da paesi, in passato beneficiari dell’APS, nel corso degli ultimi decenni si sono affermati come potenze economiche emergenti sulla scena mondiale. Cosi che assistiamo alla costruzione di agenzie per la cooperazione internazionale in paesi come Cile, Messico, Indonesia e Turchia, oppure all’attivismo di Brasile, Sudafrica e India, sia singolarmente che in coordinamento con Cina e Russia nell’ambito del raggruppamento dei cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Tra i nuovi donatori governativi vanno considerati anche i paesi dell’Europa centrale e orientale usciti dalla transizione politica ed economica conseguente alla fine della guerra fredda. Sebbene i fondi non siano sufficienti a colmare il gap di finanziamento che c’è adesso e che sarà ancora a causa della prevedibile contrazione del volume dell’APS come conseguenza delle crisi determinate dai flussi di migranti, rifugiati e profughi interni (International Displaced People, IDP), cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni e la cui assistenza dipende principalmente dai fondi della cooperazione internazionale.

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3.2 La sovrapposizione dei livelli di intervento dell’aiuto allo sviluppo: locale, nazionale e internazionale

La seconda dimensione è la sovrapposizione dei livelli d’intervento dell’aiuto: locale, nazionale, regionale e internazionale. Gli interventi sono diventati più frequenti e insieme a questi differenti livelli di decisioni contribuisce a rendere meno chiaro e meno leggibile gli impegni presi. Una altra grande questione che si pone qui sono le comunità politiche impegnate e interessate dalle decisioni prese e davanti alle quali dei conti devono essere resi.

A contribuire a questa situazione è la povertà globale negli anni duemila. In quegli anni si registrano una riduzione e una ricollocazione importante che vede la maggioranza dei poveri nei Middle Income Country (MIC), unione dei Lover Middle Countries (LMIC) e degli Upper Middle Countries (ULMC) (Ianni, 2017). La nuova ricollocazione è alla base da una parte della modificazioni dei livelli d’interventi dell’aiuto. La stessa distinzione binaria, paesi industrializzati -paesi in via di sviluppo, cede il posto a uno scenario frammentato con la nascita di due nuove aree intermedie: l’una costituita dalla crescita del numero dei paesi MIC accompagnata da una diminuzione drastica dei Low Income Countries (LIC), e l’altra fascia della precarietà che raggruppa coloro che si collocano al di sopra della linea della povertà ma non raggiungono il livello che gli offre la garanzia di essere sfuggiti ad essa (Ianni, 2017). Attraverso alcune politiche neoliberali e finanziarizzazione dell’economia, la diseguaglianza ha, infatti, raggiunto livelli allarmanti mentre è aumentato la sua pluralità con l’intreccio sempre più stretto di diseguaglianze verticali e orizzontali con tendenze diverse.

Come riportato sul sito www.mdgmonitor.org, nel periodo 2000-14 l’incremento dell’APS in termini reali è stato pari al 66% cioè un ammontare pari a 135,2 miliardi di dollari USA. Pur essendo altissimo, rimane comunque un incremento inferiore rispetto alle aspettative e alle problematiche da affrontare. C’è stato un biennio di minore crescita. Questa riduzione è dovuta alla crisi finanziaria del 2007-08. Per rendersene davvero conto, si va a paragonare la quota dell’APS calcolato come percentuale del prodotto nazionale lordo dei paesi membri del Comitato per l’aiuto allo sviluppo (Development, Assistance Committee, DAC) dell’OECD gira attorno a

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