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Il contesto in cui opera l’attività imprenditoriale early-stage: difficoltà e differenze tra Paes

Capitolo 2 – La creazione aziendale e le difficoltà affrontate dalle start-up

2.3 Il contesto in cui opera l’attività imprenditoriale early-stage: difficoltà e differenze tra Paes

2.3.1 Le difficoltà generali dell’attività early-stage

Le ragioni che hanno spinto i governi e le organizzazioni internazionali a studiare l’imprenditorialità risiedono nell’importanza che questo fenomeno ricopre in relazione allo sviluppo economico. Essa è il motore di altri fattori quali l’incremento della produttività e dell’occupazione e lo sviluppo di innovazioni.

L’attività imprenditoriale, tuttavia, è generalmente minacciata da notevoli difficoltà nell’implementazione di tutte le strutture necessarie per il funzionamento dell’azienda. In particolare, le difficoltà maggiori sono rinvenibili nel corso dei primi anni di start-up, durante i quali l’imprenditore deve affrontare tutti gli eventi fin qui descritti, quali l’identificazione di un’opportunità di mercato attrattiva, lo sviluppo di un business plan che

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permetta di convincere e coinvolgere finanziatori e investitori, il reperimento del capitale necessario, l’assegnazione dei ruoli ai soggetti partecipanti, la scelta della forma giuridica, l’espletamento degli adempimenti burocratici, identificare ed attrarre clienti e fornitori, ecc. (Baron, Shane, 2008; Roure, Keeley, 1990). L’azienda deve essere in grado di introdurre la propria offerta innovativa sul mercato, impiegare le risorse nel modo più efficiente, sostenere i costi operativi iniziali, quali l’affitto e le commissioni, cercare di raggiungere il break-even nel minor tempo possibile e molto altro.

Questa fase è quella che nel gergo di business è chiamata valley of death, letteralmente “valle della morte”. Si tratta dell’arduo periodo che intercorre tra lo studio teorico del business concept e l’inizio della produzione e di vendite significative (Martin, 2010). In questo periodo, l’imperativo aziendale non è soltanto quello della crescita, tipico di un’azienda affermata, ma la sopravvivenza. La start-up si interessa preliminarmente di riuscire ad equilibrare le risorse in modo tale da garantire la sopravvivenza, al fine di raggiungere una fase di vita più matura con una situazione economico-finanziaria sostenibile.

L’elevato rischio di fallimento che caratterizza questa fase è identificato dall’espressione liability of newness, con la quale si vuole identificare lo svantaggio dell’“essere nuovo”, ideata dall’autore e professore americano Arthur L. Stinchcombe (Bruderl, Schussler, 1990) e confermata empiricamente da diversi autori (Strotmann, 2007). In quest’ottica, il rischio di mortalità aziendale si assume decrescente all’aumento del numero di anni dalla costituzione aziendale.

Considerazioni simili sono confermate dai sostenitori dell’ipotesi della liability of

smallness. Secondo questa visione, i rischi di mortalità early-stage sono legati alle

dimensioni aziendali più che al fatto che l’azienda sia da poco entrata nel mercato.

L’idea di base per entrambe le ipotesi è che le nuove e piccole start-up si trovano ad operare in presenza di una discrepanza tra le risorse chiave, necessarie per assicurare buone

performance economiche, e le risorse effettivamente detenute dalle stesse. Le aziende di

dimensioni maggiori e costituite da più tempo possono contare su un insieme di risorse più vasto che permette di superare situazioni problematiche ed impreviste.

Appare chiara la connessione con la resource based view, i cui postulati sono stati brevemente menzionati nel capitolo 1, che mette in relazione il vantaggio competitivo aziendale alle risorse disponibili.

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I più elevati rischi di fallimento per le nuove aziende sono attribuiti da Stinchcombe (1965) a cause legate alle difficoltà organizzative, ai costi di produzione, alla scarsa conoscenza dei propri fornitori, all’incapacità di fidelizzare i clienti in tempi brevi, al tempo richiesto affinché ciascun membro del team aziendale comprenda il proprio ruolo e le operazioni aziendali raggiungano una facilità di svolgimento tale da essere considerate routinarie. Inoltre, le start-up non possiedono alcuna reputazione, quindi, ci vuole del tempo per guadagnare una certa credibilità sul mercato (Schwartz, 2012). Dato che le aziende con bassa affidabilità e credibilità sono eliminate dal mercato le start-up devono dimostrare rapidamente al sistema economico di essere partner affidabili.

Secondo la ricerca di Terpstra e Olson del 1993, inoltre, gli ostacoli che le start-up devono affrontare con maggiore frequenza i problemi relativi alla gestione finanziaria e produttiva nelle prime fasi dell’attività, alle vendite iniziali e allo sviluppo del prodotto.

Mentre gli impedimenti appena descritti sono attribuibili in buona misura a lacune nelle capacità e nelle conoscenze a disposizione del team aziendale, altre fonti di difficoltà presentano una natura più esogena. Tra questi, vi sono il reperimento del capitale, gli adempimenti burocratici e il generale contesto economico e sociale. Queste fonti di difficoltà non sono connesse alla poca esperienza aziendale o all’incapacità di gestione, ma sono situazioni causate da eventi esterni all’azienda, quali i fallimenti del mercato, il contesto legislativo e le norme culturali.

A livello istituzionale e di sistema, altri vincoli alla diffusione di iniziative imprenditoriali, in particolare high-tech, sono stati riconosciuti dall’Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di Rischio (A.I.F.I.) tramite uno studio sull’incubazione d’impresa riportato nel Quaderno n. 10 del 2001. Le ragioni delle difficoltà nella nascita di imprese innovative sono identificate, innanzitutto, nella distanza tra il mondo della ricerca e quello imprenditoriale, nonché nella mancanza di servizi per l’innovazione. Inoltre, l’A.I.F.I. ha constatato l’assenza di un mercato per il trasferimento tecnologico e le comuni difficoltà nel reperimento di fondi venture capital.

Ricerche Eurostat relative al 2005 hanno cercato di elencare le difficoltà che gli imprenditori si trovano ad affrontare nel periodo iniziale di attività. Il 63% dei rispondenti ha constatato la complessità delle procedure burocratiche, il 61% ha riportato la problematicità di entrare in contatto con potenziali clienti, il 54% ha riconosciuto le difficoltà nell’ottenere finanziamenti, mentre il 42% ha rilevato la mancanza di un socio quale ostacolo all’attività.

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Infine, il 38% ha indicato di fare fatica ad attribuire un prezzo corretto alla propria offerta, il 27% ha constatato la mancanza di personale adeguato, il 28% ha riportato la difficoltà di trovare i locali in cui stabilire l’attività ed il 26% ha confermato la complessità nel trovare i fornitori. Inoltre, le difficoltà dominanti per le start-up sembrano essere rimaste simili negli ultimi decenni, sebbene si supponga possano essere incrementate a seguito della crisi finanziaria globale, in particolare in materia di reperimento del capitale (OECD, 2011b).

Molti di questi ostacoli si presentano come barriere all’attività imprenditoriale prima ancora che l’azienda sia costituita e possono causare l’impossibilità di aprire un’attività che potenzialmente potrebbe migliorare l’efficienza del mercato. In particolare, se i prodotti, processi o servizi offerti sono dotati di un ampio tasso di innovatività, l’entrata dell’azienda potrebbe avere effetti positivi sul sistema economico, portando alla chiusura di aziende inefficienti e, dunque, contribuendo al dinamismo del mercato. L’entrata e l’uscita di imprese dal sistema mercato presuppone un aumento di efficienza del sistema. Al fine di rimanere sul mercato, le imprese sono costrette ad innovare e diventare più produttive per affrontare la concorrenza (OECD, 2009b). Per questa ragione, la creazione di nuove aziende e la chiusura di altre, inefficienti, possono essere considerate fonti di dinamismo economico (OECD, 2007) e studiate dai governi al fine di calibrare le politiche economiche.

Tuttavia, quando la chiusura aziendale è legata a cause esogene rispetto all’attività propria dell’azienda, a fattori contestuali che non ne consentono lo sviluppo nei primi anni di vita, l’efficienza del sistema non trae giovamento dall’uscita dell’impresa dal mercato.

Come si vedrà nel capitolo 3, in base a fonti Eurostat, mediamente poco più della metà delle attività imprenditoriali sopravvive ai primi tre anni di vita.

Nei seguenti paragrafi saranno delineate le maggiori fonti esogene di difficoltà per l’attività imprenditoriale early-stage tramite la descrizione del contesto socioeconomico e culturale, del reperimento del capitale e del contesto burocratico. Tali variabili di influenza sull’attività imprenditoriale, inoltre, saranno considerate globalmente nel prossimo capitolo al fine di determinare quali siano più incisive per ciascun livello di sviluppo nazionale.

Lo studio del contesto in cui le start-up si trovano ad operare è fondamentale per la comprensione dell’importanza del ruolo degli incubatori aziendali. L’attività di queste strutture, infatti, mira a sopperire ai fallimenti del mercato, sostenendo le iniziative imprenditoriali nelle prime fasi di vita.

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2.3.2 Le condizioni socioeconomiche e culturali

La propensione generale del sistema sociale nei confronti dell’imprenditorialità può sortire effetti sul fenomeno. Un’attitudine positiva da parte della società, infatti, è per Gnyawali e Fogel di fondamentale rilevanza nel motivare un soggetto ad intraprendere un’attività imprenditoriale. Inoltre, un numero crescente di ricerche cerca di dimostrare la relazione tra il contesto aziendale e la capacità aziendale di innovare (Westhead, 1997).

Riportando alcuni contributi, Gnyawali e Fogel cercano di spiegare gli effetti delle condizioni socioeconomiche sull’imprenditorialità. Nella ricerca svolta da Davidsson (1991) su oltre 400 piccole imprese svedesi, l’autore afferma che le politiche dirette alle PMI, come tasse o altre legislazioni, hanno un effetto maggiore su coloro che hanno una forte motivazione nella creazione di un’impresa rispetto agli altri. Altri esempi dell’effetto delle condizioni socioeconomiche sull’imprenditoria citati da Gnyawali e Fogel sono la relazione tra l’attitudine pubblica nei confronti degli imprenditori e lo scoraggiamento dell’imprenditore stesso, oltre alla relazione tra la presenza in alcune città di programmi di sviluppo economico e l’aumento della creazione di nuove aziende nella città stessa.

Il ruolo delle comunità locali sembra evidente se si pensa all’importanza delle reti familiari in Cina, ad esempio. I forti legami con la famiglia, il supporto da questa fornito e la presenza di modelli imprenditoriali di successo stimolano la creazione di nuove aziende. La comunità locale influenza l’imprenditorialità, infatti, anche offrendo esempi di imprenditori affermati al cui successo i potenziali neo imprenditori ambiscono. In questo modo, i potenziali imprenditori possono percepire, attraverso gli esempi di successo, la capacità attrattiva dell’attività imprenditoriale e imitare il loro operato. Si tratta del fenomeno studiato da Minniti (2005), citata in precedenza: secondo l’autrice, la creazione di reti sociali permette la conoscenza, l’osservazione e l’imitazione dell’attività di altri, in questo caso imprenditori.

Secondo l’OECD, la cultura locale ha effetti sulla propensione individuale verso l’imprenditorialità, sia dal punto di vista della scelta dell’attività imprenditoriale quale carriera, sia in termini di timore di fallire che di capacità di iniziare una nuova attività dopo un fallimento (OECD, 2012a). Come si vedrà anche nel prosieguo nella descrizione della

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relazione tra l’imprenditorialità e lo sviluppo economico, questi fattori sembrano influenzare la natalità aziendale anche secondo il Global Entrepreneurship Monitor.

Gli indicatori dell’OECD riguardanti la cultura imprenditoriale riportati in questa trattazione sono quattro. Il primo calcola la percentuale di popolazione tra i 18 ed i 64 anni che crede che la maggior parte dei propri connazionali consideri l’attività imprenditoriale come una valida opzione di carriera. Il secondo indicatore riporta la percentuale di popolazione adulta che ammette di riconoscere buone opportunità imprenditoriali ma il timore di fallire potrebbe essere un ostacolo all’apertura di un’attività. I dati forniti dall’OECD comprendono altresì la percentuale di popolazione adulta che crede che agli imprenditori di successo nel proprio Paese sia riconosciuto un elevato status sociale. Infine, l’attenzione dei media nei confronti dell’imprenditorialità fa parte della cultura imprenditoriale del Paese ed è calcolata come percentuale della popolazione adulta che afferma che nel proprio Paese sente spesso parlare di storie imprenditoriali di successo tramite i mezzi pubblici di informazione.

Nella figura 2.6 sono riportate le dimensioni socioeconomiche appena descritte, rilevate nel 2011.

Figura 2.6. Le condizioni socioeconomiche e culturali e l’imprenditorialità

92 Fonte: OECD (2012), “Culture: Entrepreneurial perceptions and attitudes”, in Entrepreneurship at a Glance 2012, OECD Publishing, http://dx.doi.org/10.1787/entrepreneur_aag-2012-26-en.

Foglio dati in appendice (Tavola 2.1).

Come si evince dai grafici, in Giappone, Finlandia ed Irlanda l’attività imprenditoriale è considerata una valida opzione di carriera meno che negli altri Paesi. Tuttavia, Finlandia ed Irlanda sono i due Paesi in cui essere un imprenditore di successo è considerato un alto status sociale. In Giappone, invece, la percezione dell’appartenenza ad un’elevata posizione sociale legata al successo nell’attività imprenditoriale è piuttosto bassa, così come in Messico, Belgio ed Islanda. In Giappone, inoltre, il 42% della popolazione adulta ha ammesso che un ostacolo all’attività imprenditoriale potrebbe essere il timore di un fallimento, facendo così registrare al Paese una delle più elevate percentuali per questo indicatore, insieme ad Australia, Spagna e Corea. I media nipponici, infine, dedicano un’attenzione nei confronti dell’imprenditorialità che si attesta sulla media dei Paesi considerati.

Tornando a parlare del timore di fallire che caratterizza le diverse realtà culturali nazionali, occorre citare il caso di Israele. Sebbene in questo Paese l’OECD abbia registrato un’elevata presenza di questa tendenza nella società, Senor e Singer (2011) hanno evidenziato che la cultura e le regolamentazioni israeliane riflettono un’attitudine unica verso il fallimento. Nonostante non si tratti di una situazione auspicabile, gli imprenditori che hanno registrato un fallimento spesso non abbandonano l’attività imprenditoriale. Il sistema economico israeliano ha dimostrato di accogliere ripetutamente il ritorno di

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imprenditori falliti, incoraggiandoli a utilizzare l’esperienza passata per rimettersi in gioco intraprendendo una nuova attività. Diversamente sembra accadere in altri Paesi, come anche in Italia, dove l’imprenditore fallito è spesso “stigmatizzato”. Anche la task force che ha predisposto il rapporto Restart Italia ha evidenziato questa caratteristica dell’ambiente italiano, affermando “Fallire non è un dramma!”. Il comportamento tipico degli israeliani rispetta questa frase: anche dopo un fallimento, l’attitudine comune è quella di cercare senza sosta una nuova opportunità da sfruttare e nella quale rischiare.

I Paesi nei quali l’attività imprenditoriale è percepita come un’ottima scelta di carriera sono Brasile e Paesi Bassi. In quest’ultima Nazione, tuttavia, la carriera imprenditoriale non è legata all’idea di un elevato status sociale.

Per quanto concerne l’attenzione pubblica rivolta all’attività imprenditoriale, i due Paesi che presentano le percentuali più elevate sono Sudafrica e, nuovamente, Brasile. Dall’altra parte della classifica si trovano Grecia, Italia, Spagna e Slovenia.

Il Brasile, Paese in cui è registrato un elevato tasso di natalità aziendale, presenta i maggiori livelli delle variabili positive nei confronti dell’imprenditorialità e uno dei valori più bassi della variabile negativa, ovvero il timore di fallire. Si può, dunque, addurre che l’elevata condivisione dell’idea secondo la quale l’attività imprenditoriale sia una buona carriera, l’attribuzione di un elevato stato sociale agli imprenditori affermati, l’interesse dei media per l’imprenditorialità e una cultura che infonda un non troppo elevato timore per il fallimento siano condizioni sociali e culturali positive per la diffusione dell’imprenditorialità.

In merito all’attenzione mediatica, organizzazioni e governi possono accrescere l’interesse sociale verso il fenomeno, attraverso competizioni o premi per le start-up più promettenti. È il caso, ad esempio, della Global Entrepreneurship Week, la più grande manifestazione mondiale che, dal 2008, ha luogo ogni anno in novembre. L’obiettivo è quello di aiutare l’innovazione e la creazione di occupazione tramite lo sviluppo delle start- up, svolgendo una serie di attività che aiutino ad ispirare potenziali innovatori, per mezzo di concorsi ed eventi che sviluppino le possibilità di networking, ovvero mettano in relazione i partecipanti a potenziali collaboratori, mentor e investitori. Oggi il progetto coinvolge 115 Paesi nel mondo e gode del supporto e della partecipazione dei maggiori leader mondiali.

Un’iniziativa facente parte della GEW è Start-up Open, competizione che mira ad identificare le 50 start-up più promettenti nate nel mondo tra due Global Entrepreneurship

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Weeks. Le start-up vincitrici, poi, si sfidano nel corso della GEW per ottenere una serie di

premi.

Esistono altri concorsi internazionali che premiano le start-up più promettenti, come, ad esempio, Start-up 2.0, concorso no profit che dal 2007 promuove e premia start-up tecnologiche in Europa. Il contest propone un certo ambito di business e qualsiasi soggetto privato o start-up fondata in Europa da non più di quattro anni può partecipare inviando il proprio progetto all’organizzazione, il cui advisory board seleziona quelli più promettenti e li sottopone al voto sulla pagina facebook dell’organizzazione. Successivamente, la giuria, composta da venture capitalists, imprenditori, bloggers e altri specialisti dei settori informatici, sceglie i cinque progetti più promettenti in termini di aspettative di crescita, innovazione, concorrenza sul mercato e qualità della presentazione. Oltre ad alcuni premi speciali, il premio principale consiste nella possibilità di partecipare e presentare il proprio progetto alla conferenza annuale sui business digitali che ha luogo a Bilbao, in Spagna. In questo caso, quindi, anziché offrire un premio in denaro, viene offerta la possibilità di far conoscere la propria idea di business, incrementando il numero di contatti e quindi le probabilità di trovare finanziatori, collaboratori e partner.

L’imprenditorialità quale fonte di sviluppo è alla base del progetto europeo Organza, operante attraverso la collaborazione di 13 partner europei che attuano politiche di sviluppo diverse, quali città, università, camere di commercio, centri per l’innovazione e aziende di servizi per l’impresa. Il progetto mira all’individuazione delle best practices relative agli strumenti politici per lo sviluppo di settori innovativi e a realizzare una piattaforma che agevoli il networking e il gemellaggio tra imprenditori in settori creativi.

Un obiettivo simile è quello sotteso nell’opera di Start-up Genome, progetto summenzionato che, attraverso la raccolta di dati da comunità di start-up, sta cercando di creare un database per gli start-upper circa l’“ecosistema imprenditoriale” in cui essi operano. Startup Genome, avente sede fisica nello Stato americano del Nebraska, è gestito da una serie di curators che condividono informazioni utili e che ne detengono la proprietà. Le informazioni riguardano possibili investitori, acceleratori, incubatori, aziende e fornitori di servizi. Il progetto, ideato da Dave Lerner, imprenditore, angel investor, direttore del Columbia University Venture Lab, dapprima riguardante New York, oggi raccoglie quasi 82.000 start-up in oltre 4.000 città e 138 Paesi. All’interno del database di contatti di Startup

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Genome è menzionata la struttura privata di incubazione H-farm, che sarà oggetto di

disamina nel prosieguo.

Soltanto in Italia, i premi a potenziali o neo imprenditori sono a decine e possono variare da finanziamenti a tassi agevolati, a premi in denaro, a consulenza aziendale per un certo periodo di tempo, all’incubazione aziendale.

Tra le iniziative volte allo stimolo dell’innovazione e dell’imprenditorialità per incrementare l’occupazione e lo sviluppo economico, in Italia si possono citare le competizioni Start Cup, organizzate in diverse regioni.

Tutti questi concorsi che mirano a premiare le start-up o le idee di business hanno come caratteristica comune quella di incentivare le aziende più innovative, che propongano idee con un elevato grado di novità e, talvolta, che si occupino di ambiti socialmente utili. Infatti, in molti casi non viene soltanto premiata la start-up più promettente in termini di previsioni economiche future, ma viene premiata l’innovatività dell’idea di business, nonché le possibili esternalità positive per la società. Le aziende, infatti, tendono a crescere ad un ritmo più elevato nei settori altamente innovativi, sebbene proporre un’offerta innovativa comporti anche notevoli rischi.

Ne è un esempio il premio Gaetano Marzotto, che dal 2011 finanzia progetti d’impresa altamente innovativi, con probabili forti esternalità positive sul territorio e che rispettino i requisiti di sostenibilità economico finanziaria. Il montepremi totale è 450.000 euro, suddiviso tra premi a diversi progetti imprenditoriali. La seconda edizione del premio, che ha avuto luogo a novembre 2012, ad esempio, ha finanziato due aziende e premiato altre tre attraverso programmi di incubazione in strutture private, tra cui H-farm.

Altro esempio è il Premio Nazionale dell’Innovazione, arrivato nel 2012 alla decima edizione e che riguarda progetti imprenditoriali nel settore della tecnologia già vincitori delle 16 competizioni locali, tra cui Start Cup Veneto, organizzata dall’Università degli Studi di Padova, dall’Università degli studi di Verona e dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. I premi consistono anche in questo caso in denaro, formazione manageriale e possibilità di

networking con figure utili per lo sviluppo dell’azienda.

Tra gli altri esempi, si cita il premio Start-up Your Dream del 2009, patrocinato