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business demography internazionale

3.2 I tassi di natalità aziendale

prodotto interno lordo, espresso in PPP $. Sulla base di questa misura, alla Corea del Sud è stato assegnato il primo posto in classifica. Il primato coreano è seguito da Giappone, Cina, Svizzera e Germania. Per riportare un altro esempio del processo di catching-up, la Cina è stata classificata nel 2011 come primo Paese in termini di attività di brevettazione di residenti14. Nella classifica il Paese è seguito da Giappone, Stati Uniti, Corea del Sud e Germania. L’Italia ha registrato nel 2011 una riduzione delle domande di brevetto depositate pari all’1,2%, a dimostrazione delle difficoltà italiane in materia di innovazione (Orlando, 2012). Le istanze italiane su scala globale tramite la procedura Patent Cooperation Treaty hanno registrato un lievissimo incremento dello 0,5%, mentre quelle presentate in Europa sono diminuite dell’1,4%. Le difficoltà connesse all’innovazione e all’imprenditorialità sono imputabili alle generalmente ridotte dimensioni aziendali.

Tornando all’analisi della variabile riguardante l’attività di ricerca e sviluppo, i Paesi che presentano la minore intensità di R&S sul PIL sono Colombia e Cile, con valori mediamente inferiori allo 0,50%. I livelli più elevati nel 2008 sono stati registrati in Giappone (6,45%) ed Israele (4,66%). Considerando il valore medio rilevato negli anni per i quali sono disponibili dati, il vertice della classifica è occupato da Israele, con una media di 4,28%. Finlandia e Svezia mostrano un’intensità di R&S sul PIL superiore al 3%, mentre Stati Uniti, Islanda, Svizzera e Germania registrano valori medi elevati, superiori al 2,5%. L’Italia presenta un’intensità di R&S sul PIL piuttosto ridotta, mediamente pari a 1,1%, inferiore anche alla Cina.

3.2 I tassi di natalità aziendale

3.2.1 I tassi di natalità aziendale: confronti spaziali e temporali

Finora sono state descritte la relazione tra imprenditorialità e sviluppo economico e la presenza dei diversi tipi di imprenditorialità a livello internazionale. Utilizzando ora la nascita di nuove imprese e il tasso di sopravvivenza quali misure generali dell’imprenditorialità early-stage, appare interessante fare un confronto di tipo temporale oltre che spaziale. A tal fine, in questa parte saranno utilizzati i dati disponibili nei report

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OECD (OECD, 2012; OECD, 2011; OECD, 2009) e nelle statistiche della Banca Mondiale (databank.worldbank.org).

Non saranno esposti i dati relativi al tasso di mortalità delle aziende, dal momento che questa statistica si riferisce a tutte le imprese, mentre l’obiettivo di questa trattazione è quello di concentrare la valutazione sulle aziende early-stage. Per quanto riguarda la mortalità delle start-up, il dato potrà essere desunto dalla statistica sulla sopravvivenza.

Una delle prime statistiche fornite in questa parte riguarda la natalità aziendale in diversi Paesi OECD. I dati disponibili dall’OECD provengono dall’Eurostat e dagli uffici statistici nazionali.

L’OECD fornisce un indicatore relativo al tasso di natalità di aziende con almeno un dipendente. La misura comprende le aziende costituite nell’anno considerato che forniscono lavoro ad almeno un dipendente e aziende già esistenti che soltanto a partire dall’anno considerato hanno assunto almeno un lavoratore. Questo dato risulta, secondo una valutazione dell’OECD, più comparabile di quanto non lo siano gli indicatori che includono tutte le imprese. Inoltre, il dato riguardante aziende che impiegano almeno un dipendente è economicamente più rilevante rispetto a quello che concerne aziende senza dipendenti, se si considera l’effetto dell’imprenditorialità sulla creazione di occupazione.

I dati considerati in questa parte riguardano 25 Paesi e provengono dai report sull’imprenditorialità pubblicati dall’OECD nel 2010 e 2011. I dati che risultano incongruenti sono stati eliminati e non sono considerati i Paesi per i quali si dispone di dati relativi soltanto ad un anno. L’anno più recente di cui si dispone la statistica è il 2009. Un’eccezione è il dato relativo al Canada: in questo caso, l’indice non si riferisce all’intera popolazione di aziende con dipendenti, ma soltanto a quelle con meno di 250 dipendenti, per ragioni proprie dell’OECD, non specificate nel report.

La natalità di aziende con almeno un dipendente è calcolata come percentuale di nascite sul totale delle aziende attive con almeno un dipendente.

Per facilità di visione, nei grafici i 25 Paesi dell’Europa sono stati suddivisi in zone geografiche, secondo la suddivisione utilizzata dalle Nazioni Unite. Occorre evidenziare che per ciascuna zona sono considerati soltanto alcuni Paesi ad essa facenti parte, sulla base dei dati disponibili nei report OECD. In particolare: nell’Europa meridionale sono considerati i dati relativi a Italia, Portogallo, Slovenia e Spagna; nell’Europa occidentale sono considerati Austria, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi; nell’Europa orientale sono considerati Bulgaria,

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Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania e Ungheria; nell’Europa settentrionale sono considerati Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia. Per ciascuna zona il dato è ottenuto attraverso una media non ponderata delle osservazioni disponibili. La matrice dei dati completa è riportata nell’appendice.

Figura 3.11. Tasso di natalità di aziende con almeno un dipendente (2005-2009)

Fonte: Elaborazione personale di dati da OECD (2011), “Birth rate of employer enterprises”, in “Entrepreneurship at a Glance 2011”, OECD Publishing, http://dx.doi.org/10.1787/9789264097711- 9-en e OECD (2012), “Birth rate of employer enterprises”, in “Entrepreneurship at a Glance 2012”, OECD Publishing, http://dx.doi.org/10.1787/entrepreneur_aag-2012-10-en.

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Dai grafici riportati nella figura 3.11 è possibile notare come la nascita di aziende con almeno un dipendente in Europa abbia oscillato tra il 2005 e il 2009 attorno ad una media che, calcolata con i dati disponibili, si attesta intorno al 10,8%. Nell’insieme degli altri Paesi per i quali il dato è disponibile, ovvero Brasile, Canada, Israele, Nuova Zelanda e Stati Uniti, la media negli stessi anni si attesta intorno al 10,3%.

Occorre evidenziare che all’interno di ciascun gruppo sono state rilevate differenze anche notevoli. All’interno dell’Europa, ad esempio, i dati massimi sono stati registrati in Ungheria (18,12% nel 2007) e Romania (16,05% nel 2005) e sono molto lontani dal dato minimo registrato in Belgio (3,65% nel 2006). Sembra plausibile associare gli elevati valori relativi a Paesi dell’Europa orientale come la Romania agli effetti della delocalizzazione produttiva, sebbene in quegli anni il fenomeno avesse già intrapreso una forte riduzione. Negli anni novanta e all’inizio del nuovo millennio queste zone europee sono state caratterizzate da un’ampia delocalizzazione produttiva di aziende localizzate in Paesi occidentali, attirate dal minore costo del lavoro e dalle regolamentazioni meno stringenti, in particolare in termini di salvaguardia ambientale. Per queste ragioni, numerosi imprenditori hanno spostato parte della produzione dal Paese di provenienza ai Paesi dell’est, aprendo aziende di diritto straniero.

Tra i Paesi non europei, inoltre, la media dei dati disponibili mostra valori superiori al 14% in Brasile e intorno al 8,4% negli Stati Uniti. L’incredibile crescita dell’imprenditoria brasiliana è riconducibile per alcuni economisti all’accresciuto spirito imprenditoriale nel Paese, il quale nel corso della prima Global Entrepreneurship Week15, nel 2008, ha coinvolto la maggior parte di partecipanti in tutto il mondo. Lo spirito imprenditoriale brasiliano è stato riconosciuto dagli eventi della Global Entrepreneurship Week, che ha premiato il Paese per l’abilità di raggiungere il numero maggiore di persone e come migliore Paese ospitante.

Dai grafici è possibile evincere anche una riduzione dell’imprenditorialità in particolare dal 2007, riconducibile agli effetti della crisi economica globale.

La variazione percentuale del tasso di natalità è negativa in quasi tutti i Paesi considerati, esclusa l’Austria nel secondo periodo considerato ed il Brasile. La variazione nel secondo periodo è particolarmente elevata per la Romania, probabilmente a causa della riduzione della delocalizzazione produttiva in corso dal 2008. L’aumento dei costi per il personale, l’incremento dell’IVA e la fortissima corruzione sono alcuni degli elementi che

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hanno reso il clima di investimento nel mercato rumeno meno favorevole e meno competitivo rispetto ad altre zone, in particolare l’Asia.

I livelli di riduzione dell’imprenditorialità possono essere studiati anche per l’intera popolazione di aziende, anziché concentrarsi soltanto sulle aziende con almeno un dipendente. La nascita di una nuova azienda è considerata la creazione di una nuova unità di produzione, sia essa dovuta alla reale nascita dell’unità, o risulti da una fusione, una riattivazione o una separazione. L’utilizzo dell’indicatore relativo alla natalità delle aziende in generale, tuttavia, è soggetto a limiti di comparabilità tra Paesi, legati alla copertura dei registri delle imprese. In alcuni Stati, infatti, i registri delle imprese includono soltanto quelle di una determinata dimensione, in termini di numero di dipendenti (OECD, 2009). Pertanto, sebbene i registri dovrebbero coprire l’intera popolazione aziendale, alcune mancanze in questo senso causano delle difficoltà di comparabilità. Tenendo in considerazione tali limiti espressi anche nel report pubblicato nel 2012, l’OECD ha fornito una rappresentazione utile a studiare la riduzione del tasso di natalità aziendale nei periodi successivi all’inizio della crisi economica globale.

La rappresentazione fornita dall’OECD nel report 2012 è riportata nella figura 3.12. Il numero di nuove imprese è l’indicatore di imprenditorialità utilizzato, il 2006 è l’anno base e i dati sono riportati per trimestre.

Nella figura è possibile notare una rapida discesa dei valori a partire dalla metà del 2008, in tutti i Paesi OECD i cui dati sono disponibili. Nei quadrimestri successivi, i tassi natalità aziendale hanno cominciato a risalire. Un caso particolare è quello francese, dove l’implementazione di una procedura semplificata di costituzione delle imprese individuali ha permesso di aumentare notevolmente il numero di aziende. Il caso della Spagna, al contrario, mostra una crescita di nuove aziende tra la fine del 2006 e il primo trimestre del 2007, ma a fine 2011 i livelli si attestavano ancora sotto quelli precedenti l’inizio della crisi economica mondiale. In questo Paese, a metà 2011 il numero di nuove imprese nate era pari a poco più di metà di quelle nate a inizio 2006. Nella maggior parte degli altri Paesi considerati, invece, il livello di imprenditorialità rappresentato da questo indicatore è risalito nel corso degli anni. Tra i Paesi di cui si dispongono i dati per l’ultimo trimestre del 2011, l’Australia e il Regno Unito mostrano elevati tassi di crescita. Entrambi i Paesi a fine 2011 hanno superato abbondantemente la natalità di inizio 2006. Gli ultimi dati disponibili per Italia, Norvegia e Stati Uniti mostrano che la natalità è quasi tornata ai livelli di inizio 2006, mentre

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Danimarca, Finlandia e Germania sono ancora a livelli sotto il 90% considerando come anno base il 2006. I Paesi Bassi a fine 2010 hanno raggiunto il 91%.

Figura 3.12. Creazione di nuove aziende tra il 2006 ed il 2011, anno base 2006

Fonte: Tradotto da OECD (2012), "Recent Trends in New Firm Creations and Bankruptcies", in OECD, Entrepreneurship at a Glance 2012, OECD Publishing. doi: 10.1787/entrepreneur_aag-2012- 3-en.

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Anche alcuni dati forniti dalla Banca Mondiale possono essere utili a delineare la situazione in merito alla natalità delle imprese nel mondo. I report della Banca Mondiale su questo argomento coprono un periodo che va dal 2004 al 2009 per 214 Paesi, sebbene i dati non siano disponibili per tutti gli Stati e per tutti gli anni. I dati della Banca Mondiale, così come quelli dei Doing Business Report, inoltre, si riferiscono soltanto ad aziende a responsabilità limitata, tralasciando le società composte dal solo proprietario e tutte le altre tipologie aziendali. Si tratta, in ogni caso, di informazioni interessanti in questa trattazione e meritevoli di menzione.

Secondo la Banca Mondiale, tra quelli di cui si disponevano i dati, il Paese in cui in media tra il 2004 e il 2009 è stato registrato il maggior numero di aziende a responsabilità limitata è il Regno Unito, con oltre due milioni di registrazioni e una media annuale di circa 375.000. Seguono la Russia, il Brasile, il Canada, la Francia, la Spagna, il Giappone, la Romania, Hong Kong. Nella parte opposta della classifica si trovano alcuni Paesi dell’Africa Sub-Sahariana come Niger, Malawi, Togo, Burkina Faso, insieme a Paesi che secondo la classificazione della Banca Mondiale presentano un livello di reddito basso o medio-basso come Buthan, Belize, Kosovo e Malawi. Nella lista fornita dalla Banca Mondiale appare anche Vanuatu, sopra citato come caso di forte imprenditorialità in un contesto molto ristretto. In questo caso, Vanuatu si trova tra i Paesi con il minore numero di aziende a responsabilità limitata registrate. Dal momento che l’elevata imprenditorialità early-stage rilevata dal Global Entrepreneurship Monitor si riferisce alla percentuale di popolazione impegnata in attività costituite da meno di tre anni e mezzo, appare sensato ipotizzare che queste attività non siano registrate come aziende a responsabilità limitata. Presumibilmente, dunque, si tratta di aziende di piccole dimensioni, con pochi o nessun dipendente.

Occorre evidenziare che le considerazioni appena fatte devono essere lette tenendo in considerazione la non disponibilità di informazioni per tutti i Paesi.

Un indicatore interessante fornito dal World Bank Group Entrepreneurship Shapshot 2010 si riferisce alla densità delle nuove aziende, calcolata come numero di nuove registrazioni di aziende a responsabilità limitata ogni mille persone tra i 15 ed i 64 anni di età. Questo indicatore, disponibile tra le statistiche offerte dalla Banca Mondiale relativamente al periodo 2004-2009, può essere studiato in modo interessante distinguendo i Paesi in base al livello medio di reddito. La suddivisione è fornita direttamente dalle

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statistiche della Banca Mondiale e l’indicatore è calcolato come media dei dati disponibili per gli Stati facenti parte di ciascun gruppo di reddito.

Figura 3.13. Densità media annuale di aziende a responsabilità limitata ogni mille abitanti tra i 15 e i 64 anni registrate tra il 2004 ed il 2009

Fonte: elaborazione personale di dati disponibili nelle statistiche della Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/).

Note: si veda l’appendice per la lista di Paesi il cui dato è disponibile. Foglio dati in appendice (Tavola 3.7).

Come si evince dalla figura 3.14, la densità di registrazione di aziende a responsabilità limitata aumenta all’aumentare del reddito del Paese. Ad esempio, mentre nei Paesi a più alto reddito come quelli europei, più di sei aziende a responsabilità limitata sono registrate ogni mille abitanti tra i 15 e i 64 anni, il numero scende a quasi tre aziende nei Paesi con redditi medio alti. Nei Paesi con redditi bassi o medio bassi, invece, ogni mille abitanti tra i 15 e i 64 anni è registrata meno di un’azienda.

La densità maggiore, tra i Paesi di cui si dispongono dati, è registrata in Lichtenstein, Nuova Zelanda, Cipro, Hong Kong e Islanda. La densità minore è riscontrabile nei Paesi dell’Africa Sub-Sahariana come l’Etiopia, in cui nel periodo 2004-2006 la densità media registrata è di 0,026 aziende registrate ogni mille abitanti tra i 15 e i 64 anni.

Secondo numerosi autori, è Israele la Nazione che vanta il maggior numero di start- up nel mondo: 3.850 start-up, una ogni 1.844 israeliani (Senor, Singer, 2011). In Italia,

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considerando sia le start-up già costituite che i progetti d’impresa ancora informali, Mind the Bridge nel 2012 ha stimato le dimensioni del mondo start-up in qualche migliaio.

3.2.2 Natalità aziendale: settori prevalenti, dimensioni aziendali e situazione start-up in Italia

Un altro dato interessante in merito alla nascita delle imprese riguarda i settori predominanti. In particolare, nei report OECD la nascita di start-up è distinta tra settori industriali e servizi (OECD, 2012). I dati nel report si riferiscono alle imprese composte da almeno un dipendente nate nel 2008 nei 18 Paesi considerati16. In media, il 62% delle start- up considerate si occupa di servizi, mentre il restante 38% di produzioni industriali. I Paesi con la maggiore percentuale di start-up nei servizi sono la Svizzera (69%), la Spagna e il Lussemburgo (66%). I settori industriali presentano una buona percentuale di start-up, in confronto agli altri Paesi, in Romania (44%) e Brasile (42%).

Al fine di meglio comprendere la situazione demografica delle start-up, un dato utile è fornito dall’Eurostat17

in merito alla percentuale di aziende start-up sul totale delle aziende attive. I dati disponibili comprendono gli anni 2008 e 2009. Soltanto per Austria e Slovenia si dispongono dati relativi agli anni precedenti. I Paesi considerati in questa statistica sono i 27 membri dell’Unione Europea, ad esclusione di Danimarca, Malta, Grecia, Irlanda, Polonia e con l’aggiunta di Slovenia, Turchia e Norvegia.

Nelle statistiche Eurostat le attività economiche sono distinte in base alla classificazione europea delle attività economiche (NACE rev. 2), come da Regolamento CE n. 1896/2006. La percentuale di popolazione di aziende nate da un anno nei settori dell’industria, delle costruzioni e dei servizi si attesta nel 2008 e 2009 intorno all’8,77%. Le percentuale sale al 10,50% nel settore dell’ICT e al 10,90% circa nel settore delle telecomunicazioni. Tra il 2008 e il 2009 è aumentata la porzione di aziende attive da un anno nei settori della ricerca scientifica e dello sviluppo (da una media di 9,54% al 10,46%) e in

16 I Paesi considerati in questa parte del report OECD sono Austria, Brasile, Canada, Repubblica Ceca, Estonia,

Israele, Italia, Lussemburgo, Messico, Nuova Zelanda, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Ungheria.

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Dati disponibili su http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/european_business/special_sbs_topics/ business_demography.

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particolare nel settore della ricerca e sviluppo sperimentale di biotecnologie (dal 9% all’11,64%).

Per quanto concerne le aziende attive da 2 a 5 anni, le percentuali nei settori considerati sono mediamente più basse ed in diminuzione al crescere degli anni di vita. Nei settori industriale, delle costruzioni e nel terziario, ad esempio, la percentuale di aziende con due anni di vita è vicina al 6,8%, mentre le aziende con tre anni di vita nello stesso settore rappresentano meno del 6%, per arrivare a meno del 5% con quattro anni di vita e al 4,2% con cinque anni di vita. Considerando altri settori, come quello delle telecomunicazioni, il risultato non cambia: la percentuale passa dal 8,87% per le aziende con due anni di vita al 4,78% per quelle attive da cinque anni. Infine, nel settore dell’ICT, la percentuale passa da 8,2% a 4,8% tra le aziende attive da due anni a quelle con cinque anni di vita. Questi risultati sembrano addurre alla conclusione che la vita media delle start-up in Europa sia piuttosto bassa, dal momento che all’aumentare del numero di anni di vita si riduce la percentuale media sul totale della popolazione. Prima di giungere a conclusioni, tuttavia, appare necessario studiare i tassi di sopravvivenza aziendale, che saranno affrontati nel prossimo paragrafo.

La natalità aziendale può essere distinta in base alle dimensioni aziendali. Suddividendo le aziende con un anno di vita a seconda delle dimensioni, si nota come la porzione sul totale della popolazione aziendale diminuisca all’aumentare del numero di dipendenti. Considerando, ad esempio, tutte le aziende nei settori dell’industria, delle costruzioni e dei servizi, la percentuale di aziende attive da un anno sul totale della popolazione aziendale è in media pari all’8,2% con una dimensione tra 1 e 4 dipendenti, al 3,47% tra 5 e 9 dipendenti e 1,7% con 10 dipendenti o più. Anche per le aziende attive da due a cinque anni, la percentuale sulla popolazione aziendale si riduce all’aumentare dei dipendenti. Ad esempio, le imprese attive da tre anni con un numero di dipendenti inferiore a cinque rappresentano il 5,5% della popolazione totale, il 2,6% se hanno tra cinque e nove dipendenti e l’1,3% se danno lavoro a più di dieci dipendenti.

Sulla base di questi dati, si potrebbe verosimilmente immaginare che le aziende nella fase di start-up siano di dimensioni molto ridotte in termini di numero di dipendenti. Per verificare tale affermazione può essere d’aiuto l’indicatore fornito dall’Eurostat riguardante la dimensione media delle start-up. La misura della dimensione è fornita dal rapporto tra il numero di persone impiegate nel periodo di riferimento (t) dalle imprese appena costituite al

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tempo t diviso per il numero di imprese t. L’indicatore è calcolato dal 2004 al 2009, tuttavia non è disponibile per tutti i Paesi europei. La media del valore per i Paesi di cui si dispongono dati negli anni considerati nei settori industriale, dei servizi e nelle costruzioni è 1,6 persone. Le dimensioni inferiori sono riscontrate in Finlandia e Norvegia (in media, rispettivamente, 0,42 e 0,79 dipendenti), mentre i valori più elevati sono stati rilevati in Bulgaria e Regno Unito (in media, rispettivamente, 2,47 e 2,46 dipendenti). Nel settore di ricerca scientifica e sviluppo la media tra il 2004 e il 2009 si attesta a 1,90 dipendenti, in quello delle telecomunicazioni tra il 2006 e il 2009 si attesta intorno a 1,8 dipendenti e nell’ICT intorno a 1,5 dipendenti.

All’aumentare della longevità dell’azienda, il numero di dipendenti segue un trend in crescita. Nel caso dell’industria, delle costruzioni e dei servizi, ad esempio, le aziende attive