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Determinanti del comportamento imprenditoriale

Mentre nella parte precedente è stata delineata la letteratura principale riguardante il tema dell’imprenditorialità, in questo paragrafo saranno definite le determinanti alla base del comportamento imprenditoriale.

Il modello di base esaminato è opera degli autori indiani Sasi Misra e Sendil Kumar nel loro articolo pubblicato nel 2000 sul Journal of Entrepreneurship (Misra, Kumar, 2000). Questo modello è composto da sette fattori principali: i fattori di background o di sfondo (caratteristiche demografiche e psicologiche), l’attitudine, la situazione, l’intenzione, il contesto imprenditoriale, l’intraprendenza e il comportamento imprenditoriale. L’obiettivo degli autori è quello di identificare le determinanti del comportamento imprenditoriale e le relative interazioni tra le stesse, sfruttando ed integrando la letteratura esistente. Essi cercano di chiarire quali fattori siano maggiormente significativi nello sviluppo dell’imprenditorialità.

In questa trattazione, lo schema ideato dai due autori sarà utilizzato come base per comprendere le relazioni tra i diversi elementi che contribuiscono alla nascita del comportamento imprenditoriale. Nella definizione di questi elementi, tuttavia, saranno richiamati vari contributi presenti nella letteratura, anche se non menzionati da Misra e Kumar.

1.2.1. Fattori di background

I fattori di background, o di sfondo, che possono avere un impatto sul comportamento imprenditoriale, sono di due tipi: le caratteristiche demografiche e quelle psicologiche. Gli autori li definiscono come fattori non varianti nel tempo e nelle situazioni.

Molte ricerche hanno cercato di delineare il profilo dell’imprenditore tentando di identificarne le caratteristiche demografiche più ricorrenti, quali ad esempio il background

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familiare, l’ordine di nascita nella famiglia, l’età, il livello di istruzione dei parenti, il sesso, lo stato civile, le esperienze lavorative precedenti, ecc.

Uno studio che cerca di delineare i tratti tipici dell’imprenditore è quello di Roberts (1991), il quale distingue tre aree principali riguardanti le caratteristiche familiari che possono influenzare l’individuo nella scelta della carriera imprenditoriale. La prima concerne il ruolo dei genitori quale modello per i figli, in particolare facendo riferimento all’occupazione del padre. La seconda si riferisce agli effetti di famiglie poco numerose sull’individuo, specialmente se l’imprenditore è il primogenito. La terza caratteristica familiare riguarda i valori e le aspirazioni acquisiti dalla famiglia, che ci si aspetta siano incarnati nella religione.

La ricerca di Roberts si concentra su imprenditori di tipo tecnico e si basa su dati raccolti nel corso di numerose ricerche, svolte in particolare negli Stati Uniti e inizialmente riguardanti imprese legate al Massachussets Institute of Technology, il rinomato MIT di Boston.

I dati ottenuti evidenziano che il 59% degli imprenditori tecnici proviene da famiglie in cui il padre è un professionista o un manager. Soltanto il 4% dei padri degli imprenditori considerati è agricoltore. Per quanto riguarda l’occupazione dipendente o autonoma dei padri, i dati raccolti mostrano che circa metà degli imprenditori proviene da famiglie in cui il padre svolge un lavoro autonomo. Tra le tre aree riguardanti le caratteristiche familiari, Roberts spiega che quella con maggiore influenza sulla probabilità di diventare imprenditore sembra essere proprio l’occupazione del padre4.

Per quanto riguarda la numerosità familiare, alcuni ricercatori asseriscono che i figli cresciuti in famiglie poco numerose siano più inclini a intraprendere una carriera imprenditoriale, per il probabile effetto delle maggiori possibilità della famiglia di sostenere economicamente l’avvio dell’attività. La ricerca di Roberts, tuttavia, mostra come la dimensione familiare non abbia un’incidenza sull’imprenditorialità tecnica. Molti autori, inoltre, collegano la primogenitura a una forte fiducia in sé. I dati ottenuti da Roberts sembrano confermare ciò, in quanto il 55% degli imprenditori tecnologici inseriti nella ricerca sono primogeniti.

4 In effetti alla fine della trattazione si vedrà che il founder di Garrisonpop s.r.l proviene da una famiglia di

serial entrepreneurs. Allo stesso modo, Riccardo Donadon, fondatore di H-farm di cui si tratterà nell’ultimo

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I valori culturali insegnati dalla famiglia sono, secondo autori come Roberts e McClelland, che sarà citato nel corso del paragrafo, la prima influenza sulle scelte imprenditoriali. I risultati dello stesso Roberts, tuttavia, mostrano come la religione, considerata principale mezzo di trasmissione dei valori familiari, non abbia una particolare influenza sull’imprenditorialità. L’appartenenza ad una determinata religione sembra non sortire effetti diretti sulla probabilità di diventare imprenditore. Ciononostante, i dati confermano il pensiero di McClelland: tra gli individui il cui padre era un lavoratore dipendente, il numero di imprenditori di religione ebraica era maggiore al numero di cattolici.

Le ricerche di Roberts vanno oltre le caratteristiche familiari. Egli cerca di verificare l’idea secondo la quale la natura dell’impresa tecnologica richieda un imprenditore con un buon livello di istruzione. Le sue ricerche, comparate con quelle di altri autori, mostrano che soltanto il 40% degli imprenditori possiede un’istruzione universitaria. Restringendo il campo alle aziende spin-off del MIT, mediamente tutti gli imprenditori considerati hanno un

master degree, o laurea secondaria, generalmente in ingegneria. Soltanto l’1% degli

imprenditori tecnici non possiede un’istruzione universitaria.

Per quanto riguarda l’età media dell’imprenditore nel momento in cui fonda l’azienda, Roberts non rileva sostanziali differenze tra le diverse ricerche condotte. L’intervallo va tra i 23 ed i 69 anni, con un’età mediana di 37. Le ricerche svolte in Svezia hanno rilevato un’età mediana di 34 anni, al pari degli imprenditori provenienti dal MIT.

Dati più recenti riferiti al contesto italiano mostrano come la popolazione di

startupper non sia composta per larga parte da giovani, come si tenderebbe ad immaginare.

Secondo i dati raccolti nel 2012 da Wind Business Factor sulla base degli oltre diecimila iscritti alla business plan competition, il 58% degli startupper italiani è ultratrentenne e il 9% è sopra i 50 anni (Gulizia, 2012a). Dati provenienti dal report 2011 di Mind the Bridge, organizzazione senza scopo di lucro costituita nel 2007 da un’idea di Marco Marinucci,

manager di Google, volta a stimolare l’ecosistema imprenditoriale italiano, lo startupper ha

mediamente 32 anni ed è di sesso maschile. Sulla base del campione considerato, inoltre, il 53% degli startupper possiede una laurea di primo livello, di cui il 6% l’ha conseguita all’estero, ed il 42% è in possesso anche di un master.

Gli imprenditori inclusi negli studi di Roberts hanno in media 12,7 anni di esperienza lavorativa precedenti l’apertura della propria azienda, mentre i dati di Mind the Bridge

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rilevano un’esperienza media di 6/7 anni. In Italia, inoltre, il 20% degli imprenditori è alla seconda start-up e tra questi uno su cinque ha svolto la precedente esperienza imprenditoriale all’estero.

Alcuni autori hanno consigliato la conduzione di ricerche in merito ai fattori genetici che possano accumunare la categoria degli imprenditori (Nicolaou, Shane, 2009). Non volendo in alcun caso ipotizzare l’esistenza di un “gene per l’imprenditorialità”, questi autori propongono dei meccanismi attraverso i quali i fattori genetici potrebbero influenzare la tendenza di alcuni individui ad intraprendere l’attività imprenditoriale.

Misra e Kumar spiegano come tutte le ricerche svolte in merito alle caratteristiche demografiche degli imprenditori abbiano prodotto dei risultati empirici che, però, non possono essere utilizzati nell’identificazione dei tratti tipici dell’imprenditore. Le ricerche possono delineare i tratti più frequenti dei soggetti che svolgono l’attività imprenditoriale ma non possono essere utilizzate per determinare i fattori identificativi di tali figure. Infatti, dal momento che le caratteristiche demografiche non equivalgono alle caratteristiche personali, esse non conducono necessariamente ad intraprendere percorsi simili nella vita.

Il secondo fattore di background elencato dai due autori indiani è il profilo psicologico dell’imprenditore. In qualunque modo si voglia identificare questa figura, come un innovatore schumpeteriano, un capitalista, un individuo in grado di affrontare l’incertezza o di percepire opportunità non comprese da altri, un organizzatore del processo produttivo, un manager o un leader, egli è considerato diverso sotto molti aspetti rispetto a coloro che non intraprendono l’attività imprenditoriale.

Il filone di ricerca che tenta di identificare e distinguere l’imprenditore in base ai tratti psicologici che lo contraddistinguono fu aperto dallo psicologo sociale statunitense David McClelland (1917-1998). Il suo libro del 1961 “The achieving society” è orientato a delineare le caratteristiche psicologiche degli imprenditori tali da renderli capaci di diventare innovatori. Secondo l’autore, l’imprenditore è un individuo che traduce il suo bisogno personale di realizzazione nello sviluppo economico (Roberts, 1991). L’importanza che McClelland conferisce alla volontà di realizzazione personale dell’imprenditore è legata al fatto che essa comporta la presenza nell’imprenditore di una serie di attitudini. Questo suo bisogno di realizzazione, ad esempio, lo spinge a intraprendere azioni in situazioni di incertezza al fine di ottenere un senso di realizzazione più appagante rispetto a quello che otterrebbe prendendo decisioni in un contesto in cui il risultato è predeterminato. Per effetto

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della necessità di realizzazione, inoltre, l’imprenditore tende a lavorare meglio in condizioni che permettano di ottenere risultati positivi definiti e ad avere una prospettiva a lungo termine (Palmer, 1971).

McClelland mette in relazione questo bisogno tipico dell’imprenditore ad alcune delle caratteristiche demografiche sopra menzionate. Egli asserisce che i valori familiari, di cui fa parte l’orientamento religioso, insieme allo stato socioeconomico dei genitori e all’ordine di nascita, siano tra i fattori di sviluppo differente del bisogno personale di realizzazione dei figli. Ad esempio, l’autore sostiene che i cattolici più tradizionalisti possiedano dei valori associabili a bassi livelli di bisogno di realizzazione personale.

Tornando alle caratteristiche psicologiche, il loro studio quali fattori in grado di spiegare la tendenza verso l’imprenditorialità da parte di alcuni soggetti piuttosto che altri è stato condotto da molti ricercatori statunitensi. Gli elementi distintivi sono stati ricercati in diverse dimensioni, quali la ricerca del successo (come per McClelland), l’assunzione di rischi, il locus of control.

Roberts (1991) descrive la visione dello psicologo Jung in merito alle differenze tra gli individui. Le quattro dimensioni delineate dall’autore sono: estroversione/introversione, sensazione/intuizione, pensiero/emozione e giudizio/percezione. Le combinazioni di ciascuna delle possibili preferenze lungo queste dimensioni crea sedici possibili prototipi. Roberts ipotizza che gli imprenditori siano estroversi, ossia tendenti all’interazione con altri individui, intuitivi, cioè innovativi, con una buona immaginazione, attratti da visioni e ispirazioni. Secondo l’autore, l’imprenditore preferisce prendere decisioni dopo un’attenta riflessione basata sulla logica, piuttosto che su una decisione emotiva, presa d’impulso. Inoltre, l’imprenditore per Roberts pianifica e lavora fissando delle scadenze.

I tratti psicologici dell’imprenditore secondo l’autore americano sono riassunti nell’acronimo “ENTJ”, che sta per extroverted, intuitive, thinking oriented e judging. In altre parole, secondo questo acronimo, gli imprenditori sono soggetti estroversi, intuitivi, che pensano e giudicano attentamente le situazioni prima di agire. I risultati ottenuti da una ricerca svolta dall’autore tramite somministrazione di questionari a campioni distinti di imprenditori mostrano che tutte le caratteristiche imprenditoriali ipotizzate dall’autore sono corrette, tranne quella identificata come judging. In base ai dati ottenuti, infatti, gli imprenditori sembrano avere un approccio più “percettivo” nei confronti dell’etica lavorativa, non basato su scadenze e piani, ma su una maggiore flessibilità di lavoro e di

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adattamento alle situazioni. La capacità di adattamento all’evolversi repentino del contesto è proprio una delle caratteristiche dell’imprenditore e dell’impresa odierna, come si vedrà nel prossimo capitolo.

Come spiegato da Misra e Kumar, il ramo della ricerca che studia le caratteristiche psicologiche dell’imprenditore, così come quello orientato allo studio delle caratteristiche demografiche, ha fornito dubbi risultati. Allo stesso risultato sono arrivati Shaver e Scott (1991), affermando che le ricerche riguardanti la psicologia dell’imprenditore non sono state produttive. Gartner (1985) sostiene che le ricerche che cercano di spiegare la figura dell’imprenditore in base a tratti psicologici non siano in grado di fornire una definizione né di spiegare il fenomeno dell’imprenditorialità.

Sebbene numerose ricerche abbiano cercato di delineare i tratti più comuni di questo soggetto, i risultati ottenuti non permettono una chiara distinzione dei tratti psicologici degli imprenditori rispetto alle altre figure economiche. Sebbene la letteratura abbia cercato di elencare le caratteristiche psicologiche dell’imprenditore di successo, non è facile definire taluni tratti psicologici come identificativi della categoria e in grado di differenziarla dal resto degli individui. Ad esempio, una difficile distinzione basata sulle caratteristiche psicologiche riguarda le figure di manager e imprenditore.

Gli autori Sexton e Bowman (1985) hanno cercato di distinguere queste due categorie di individui. Sfruttando ricerche precedenti, essi attribuiscono all’imprenditore cinque tratti principali. Egli possiede una moderata propensione al rischio, capacità di tollerare l’incertezza, locus of control interno, un forte bisogno di indipendenza, autonomia, potere e autostima, e, infine, un basso bisogno di sostegno e conformità.

La propensione al rischio, così come definita da Brockhaus (1980), è la probabilità percepita di ottenere il compenso associato al successo di una situazione proposta, prima che il soggetto si sottoponga alle conseguenze di un eventuale fallimento. L’autore espone i risultati di uno studio da lui svolto sulla propensione al rischio di manager appena assunti e di proprietari di nuove attività imprenditoriali. L’obiettivo dello studio è quello di determinare se le propensioni al rischio delle due tipologie di soggetti siano dissimili. Il risultato ottenuto dimostra che le due figure presentano analoghe, moderate, propensioni al rischio. Sebbene questo studio presenti alcuni limiti, tra i quali la selezione soltanto di neo- imprenditori, uno studio successivo del 1982 riportato da Sexton e Bowman (1985) conferma l’assenza di differenze significative tra imprenditori e manager.

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Per quanto concerne il secondo attributo, la capacità di sopportare l’incertezza, Sexton e Bowman lo definiscono come una caratteristica personale che determina il modo in cui una persona organizza le informazioni in presenza di situazioni dubbie. Questa caratteristica può essere rappresentata come un continuum in cui ad un estremo l’incertezza è vista come preoccupante, non desiderabile. L’individuo che si pone su questo estremo, al fine di minimizzare l’esposizione all’incertezza, risponde all’ansia derivante dalla situazione incerta prendendo decisioni in modo poco riflessivo e prima che adeguate informazioni siano disponibili. Sull’altro estremo si pongono individui per i quali l’incertezza è desiderabile e rappresenta un obiettivo. Sulla base di ricerche svolte da Sexton e Bowman, gli imprenditori presentano una maggiore tolleranza all’incertezza rispetto ai manager. Si può, dunque, ipotizzare che questo attributo sia una componente unica della personalità dell’imprenditore. Il ruolo fondamentale dell’imprenditore quale operatore in situazioni di incertezza, definito da numerosi autori nella letteratura dell’imprenditorialità, quali, ad esempio, i sopra menzionati Cantillon, Mises e Knight, sembra dunque confermato da queste ricerche.

Con il terzo attributo, locus of control, si intende la tendenza di un soggetto ad attribuire le cause delle situazioni che accadono nella sua vita a propri comportamenti o azioni (locus interno) o a fonti esterne indipendenti dalla propria volontà (locus esterno). Sexton e Bowman, riportando il risultato di una ricerca del 1965, affermano che gli individui con un maggiore bisogno di realizzazione presentano un locus of control interno. Appare, pertanto, presumibile che gli imprenditori presentino locus of control di tipo interno. Per quanto riguarda le differenze tra imprenditori e manager, i due autori spiegano nel loro articolo come le ricerche abbiano portato a conclusioni differenti. Gli autori concludono citando nuovamente Brockhaus e spiegando che, indipendentemente dalle differenze tra imprenditori e manager, l’orientamento interno del locus of control potrebbe risultare in sforzi più attivi nell’attività e quindi condurre a risultati positivi.

Per quanto concerne le ultime caratteristiche attribuite da Sexton e Bowman alla figura dell’imprenditore, come già accennato, il filone di ricerca che studia le peculiarità psicologiche imprenditoriali è piuttosto ricco di contributi. Utilizzando come linea guida la letteratura menzionata da Sexton e Bowman su questo argomento, si possono delineare alcuni tratti frequenti della psicologia dell’imprenditore, pur evidenziando, nuovamente, l’impossibilità di determinare universalmente le caratteristiche psicologiche imprenditoriali. L’imprenditore spesso ha un forte bisogno di autonomia, indipendenza e realizzazione

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personale (Hornaday, Bunker, 1970). Questi attributi, insieme all’autostima, sono considerati dagli imprenditori stessi tra i fattori chiave che portano al successo (Hornaday, Bunker, 1970). Un altro attributo che sembra poter differenziare gli imprenditori è il basso bisogno di sostegno (Hornaday, Bunker, 1970; Litzinger, 1965), inteso come comprensione, incoraggiamento e considerazione da parte di altri individui.

Pur tenendo in considerazione il fatto che si tratta di ricerche svolte alcuni decenni fa, appare verosimile immaginare che i tratti psicologici di imprenditori e manager non siano mutati nel tempo in modo significativo.

Nel complesso, le attitudini psicologiche degli imprenditori non risultano essere significativamente diverse da quelle dei manager o del resto della popolazione.

Allo stesso modo, gli attributi psicologici degli stessi imprenditori sono molto diversi tra di loro. Le ricerche sull’imprenditorialità hanno dimostrato che le differenze psicologiche tra gli imprenditori sono vaste quanto quelle tra imprenditori e non imprenditori (Gartner, 1985).

Nonostante i limiti della categoria delle variabili psicologiche, essa è stata comunque inserita tra gli elementi costitutivi del comportamento imprenditoriale nel modello degli autori indiani, grazie agli approfondimenti che ha permesso di ottenere nella comprensione della figura dell’imprenditore.

1.2.2. Attitudine e Situazione

Misra e Kumar hanno inserito l’attitudine quale funzione nel loro modello di sviluppo imprenditoriale, nonostante spieghino di non aver rilevato una correlazione perfetta tra l’attitudine e il comportamento.

Gli autori affermano che l’attitudine verso l’attività imprenditoriale è funzione delle caratteristiche demografiche e psicologiche e della loro interazione.

Una parte della letteratura studia le situazioni che hanno innescato la decisione di fondare una nuova attività. L’intenzione di aprire un’azienda, derivante dalla propensione personale a lavorare in proprio, è attivata da determinate situazioni esterne. Le situazioni che possono contribuire alla decisione di creare nuove imprese possono essere, ad esempio, il licenziamento, l’insoddisfazione del lavoro precedente, la ricerca di maggiori guadagni, una

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sfida personale, una maggiore libertà oppure una serie di eventi diversi cumulatisi nel tempo. Si tratta di eventi che agiscono direttamente sulle decisioni personali, attivando una serie di caratteristiche psicologiche prima latenti. Ad esempio, un soggetto che riceve una delusione lavorativa quale una mancata promozione può sentire la volontà di lasciare il lavoro dipendente per inseguire la propria vocazione al lavoro imprenditoriale, prima latente.

Secondo gli studi di Roberts (1991), molti degli imprenditori tecnici intervistati avevano il desiderio di aprire una propria attività molto tempo prima di farlo effettivamente. Soltanto il 21% degli imprenditori ha aperto un’azienda l’anno stesso in cui hanno avuto il primo pensiero in questa direzione; il 25% ci ha riflettuto tra uno e cinque anni e il 24% ci ha pensato per oltre dieci anni prima di entrare in azione.

Nel modello di Misra e Kumar, la situazione in cui si trova l’imprenditore potenziale si interpone nella relazione tra l’attitudine imprenditoriale e l’intenzione.

1.2.3. Intenzione

Per Bird (1988), l’intenzionalità è uno stato mentale che volge l’attenzione, e quindi l’azione, di una persona verso uno specifico oggetto o percorso al fine di raggiungere un certo fine. Le intenzioni imprenditoriali formano il modello strategico iniziale delle nuove attività e sono necessarie al fine di rendere manifesta l’idea imprenditoriale.

Il comportamento è costituito anche da elementi non coscienti e non intenzionali, ma ciò che interessa in questa sede è l’azione cosciente ed intenzionale di creare un’azienda. Per intenzioni imprenditoriali si intendono quegli stati mentali che portano alla creazione di una nuova attività o alla creazione di nuovo valore in un’azienda esistente.

Bird ha predisposto un modello riguardante il processo intenzionale, che parte dai bisogni personali dell’imprenditore, dai suoi valori e desideri, e dalle sue abitudini e opinioni. Il risultato di questi cinque elementi consiste in tre attività intrapsichiche che contribuiscono alla creazione della nuova attività.

Le tre attività intrapsichiche saranno in questa sede soltanto accennate e sono: il mantenimento di una tensione temporale, il mantenimento di un obiettivo strategico (o focus strategico) e lo sviluppo di un atteggiamento intenzionale.

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La tensione temporale si riferisce alla visione che l’imprenditore ha in merito al futuro della propria azienda. Quanto più lontana nel tempo è la visione dell’imprenditore, tanto più egli pianifica ed immagina la propria azienda in un vasto spazio temporale e tanto