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La mediazione come strumento

1. Tra continuità e rottura

Stiamo assistendo alla fine di un ciclo storico? Sta forse per chiu-dersi il trentennio caratterizzato dall’individualismo esasperato e dall’iperliberismo economico?

Si percepisce nell’aria una certa stanchezza rispetto alle politi-che sociali degli ultimi decenni – a partire dagli anni ’80 – carat-terizzati dall’egoismo sociale non più stigmatizzato per quello che è ma raccontato, anche nei ceti non tradizionalmente partecipi di queste dinamiche, come l’unica maniera di vivere in collettività.

Negli ultimi tempi mi sembra si stia ritornando a parlare di visioni del mondo e di politiche integrative orientate a ricucire un tessuto sociale ormai visibilmente lacerato. Ma non essendoci più oggi grandi narrazioni (comunismo, religione, credenze totalizzanti) in grado di dare senso alle nostre scelte, si cercano parole e modi nuovi del vivere insieme1. Non necessariamente l’erosione di

que-2Il celebre aforisma di Nietzsche (da Al di là del bene e del male) dice:

«Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guar-dare dentro di te».

3E invece bisogna «amare la vita più del senso e anche il senso si tro-verà» (Dostoevskij).

4D. Demetrio, L’interiorità maschile, Raffaello Cortina, Milano 2010, p.

128. Quello di Sisifo “immaginato felice” è un tema sartriano.

ste strutture che significavano l’esistenza deve portarci a scettici-smo, indifferenza, cinismo o nichilismo. Le notorie strade dell’in-ferno lastricate di buone intenzioni sono scomparse sotto i passi della storia e del dato di realtà. Più nessuno ha la pretesa di cam-biare la natura degli uomini; ma se non si può mutare la natura si possono di certo cambiare i comportamenti, ovvero le risposte in-dividuali e collettive alle asprezze della vita, alle resistenze del si-stema. L’uomo non ha istinti ma pulsioni. La libertà può essere un abisso e affacciarvisi senza cautele porta le vertigini. Serve una rin-ghiera che ci dia un minimo di sicurezza per poter guardare il fondo senza precipitarci dentro (sempre che non faccia prima l’abisso a guardare dentro di noi)2.

La mediazione – soprattutto nella declinazione comunitaria – rientra in quel tentativo di sfuggire alle passioni tristi (Spinoza) della rinuncia e della fuga in se stessi. La mediazione, va da sé, non dà risposte ma aiuta a costruire una strada non conflittuale nella ricerca di quelle risposte. Se un’autorità forte pacifica com-primendo dall’alto, un relativismo esasperato viceversa paralizza dal basso soffocando qualsiasi impulso all’azione3; la mediazione cerca invece un comune da cui partire, da costruire, da condivi-dere. Bisogna essere come Sisifo che «pur nella sua pena eterna, in quel suo ricominciare a innalzare il macigno verso la vetta, “va immaginato felice”. Chi accetta l’assurdo non si abbandona al ni-chilismo, che equivarrebbe ad arrendersi alla morte»4.

5Le emozioni, alla fine, sono dei fatti neurologici che orientano le nostre scelte morali. Un’emozione intelligente è quella che aziona (oltre all’amig-dala) anche altre zone del nostro cervello evoluto (la corteccia). Un’emozione intelligente ha bisogno di essere pensata, è più lenta nel far partire i neuro-trasmettitori. Alla fine nulla di nuovo, cosa di normale buon senso («conta fino a tre…»). La novità sta solo nella conferma delle neuroscienze attraverso i più sofisticati strumenti di neuroimaging adesso a disposizione.

6Su Google è diventata l’ottava parola di cui si cerca il significato.

7Diceva Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce».

Al suo nascere la mediazione ha lanciato temi e suggestioni che hanno faticato a farsi accettare e che solo adesso sono stati sdoga-nati dalle accademie e dalle comunità scientifiche. Intelligenza emotiva5, empatia6, risonanza…: parole prima guardate con so-spetto se non proprio con ilarità, adesso hanno diritto di piena cit-tadinanza nella saggistica divulgativa e nelle pagine culturali dei giornali. Ivan Krastev, scrivendo di democrazia, en passant dice che negli ultimi anni abbiamo assistito a 5 rivoluzioni: la prima è quella culturale degli anni Sessanta (fine dell’autoritarismo, indi-viduo al centro della politica, libertarismo, femminismo, ecc.); la seconda è quella economica dell’iperliberismo (parallelamente alla globalizzazione dei mercati, anni Ottanta); la terza è quella poli-tica che ha portato alla fine del socialismo reale (’89); la quarta ri-voluzione si riferisce all’impatto di internet nel mondo delle comunicazioni; e la quinta – infine, ed è quella che ci riguarda – è la rivoluzione delle neuroscienze che ha portato le emozioni al-l’interno del discorso pubblico a tutti i livelli. Cosa che ovviamente non è rimasta isolata nell’ambito scientifico. Si sente la necessità di rifondare un umanesimo costruito non solo sulla base del cal-colo e della razionalità a scapito di quella dimensione emotiva che ci sfugge e ci intimorisce; ignorare questo aspetto perché poco quantificabile non serve a niente e il non tenerne conto porta solo a catastrofi; il mercato è in balia di imprevedibili forze emotive:

non tutto può essere ridotto al dominio della ragione7. E in

que-Rifkin, che è un economista, ha inserito la variabile empatia anche nel do-minio dell’economia: «La stretta relazione tra il legame economico e quello empatico potrà a prima vista sembrare paradossale, ma si tratta di un rap-porto simbiotico. Il sociologo George Simmel, nel suo fondamentale saggio Filosofia del denaro, osserva che le monete sono note promissorie che si fon-dano sulla supposizione di una stabile fiducia collettiva fra parti anonime, la quale garantisce che, a una certa data futura, il pegno ricevuto in virtù di uno scambio passato sarà in futuro onorato da un terzo, in uno scambio succes-sivo…».

8M. Marzano, Emozioni intelligenti o empatia. I nuovi decaloghi dell’etica,

«la Repubblica», 17/7/2010.

sta ricerca di umanità a tutto tondo ci pare importante valorizzare quegli aspetti sui quali si concentra la mediazione, sempre alla ri-cerca di una fenditura, un varco nel quale inserire un appiglio che faccia da leva. Scrive la filosofa Michela Marzano: «l’unico modo per cercare di capire l’umano è rendersi disponibile di fronte alla fragilità esistenziale di ognuno di noi senza cercare di analizzarla e comprenderla in termini puramente razionali. […] La ragione cerca sempre di contenere i nostri affetti, per evitare che sfuggano al nostro controllo ed inscriverli all’interno di un racconto coe-rente e credibile. Pensieri ed emozioni, tuttavia, non sono mai del tutto separati. La “maschera conscia” di ciascuno di noi, spiega Lacan, non copre mai del tutto il “soggetto autentico” che si di-batte all’interno di un groviglio di passioni. […] Attraverso l’amore, la compassione o l’empatia si arriva non solo a capire l’estrema vulnerabilità della condizione umana, ma anche a pro-muovere e riabilitare il senso del vivere-insieme. Non perché ci si scopra all’improvviso buoni e altruisti, scadendo così nell’apolo-gia dei “buoni sentimenti”. Ma perché attraverso lo specchio della debolezza altrui, si arrivano a vedere e tollerare anche le proprie debolezze. […] Le emozioni ci permettono di costruire, quando se ne fa un uso intelligente, una nuova “morale” contestuale ca-pace di prendere in conto la complessità e le contraddizioni della vita quotidiana»8.

9Vedi «Micromega», 5/2011. Ma il dibattito è proseguito anche attra-verso i quotidiani.

10Su questo tema: «Le etiche dell’intervento nelle dispute sociali riguar-dano la natura e la qualità delle decisioni prese da colui che interviene e se queste scelte promuovono i valori fondamentali indicati in questo capitolo:

libertà, giustizia ed empowerment. Da questo punto di vista di partenza, l’unica domanda di tipo etico che tutti coloro che intervengono nei conflitti di comunità dovrebbero porsi nei momenti chiave dell’intervento è: il mio in-tervento contribuisce alla capacità degli individui e dei gruppi presenti e con un potere relativamente minore di decidere del loro destino nel modo più ampio possibile ed in modo coerente con il bene comune?» (J.H. Laue, G.W.

Cormick, L’etica dell’intervento nelle dispute di comunità, in L. Luison (a cura

Sempre in ambito filosofico in questo periodo stiamo assi-stendo all’antico e ciclico dibattito9tra neorealisti e antirealisti, in sostanza una polemica contro alcune derive del pensiero debole (Vattimo e Rovatti) che negherebbero l’oggettività della realtà. Il celebre aforisma nietzschiano («Non esistono fatti ma solo inter-pretazioni») avrebbe portato ad un’ermeneutica esasperata con un racconto sul mondo falsato e impregnato di propaganda e po-pulismo. Se tutto è interpretazione tutto diventa legittimo, e non ci si lamenti se poi qualcuno adultera i fatti a proprio vantaggio.

Cosa c’entra la mediazione in tutto questo? C’entra nel momento in cui sin dalle origini abbiamo condiviso un approccio costrutti-vista in opposizione e in polemica con tutti i propalatori di cer-tezze, lì dove la Verità prende la maiuscola senza contemplare la possibilità che qualcun altro veda le cose diversamente. Certo, una realtà meno solida e più eterea può portare all’artefatto, alla men-zogna e alla demagogia, ma sono rischi che vale la pena correre. In ogni caso mi riprometto di approfondire la questione in altre cir-costanze.

Con questo articolo non farò una trattazione sistematica ma cercherò di guadare il fiume saltando da una pietra all’altra, ap-poggiandomi ad alcune parole-chiave che in qualche modo fanno l’ossatura (anche morale10se vogliamo) di qualsiasi forma di

me-di), La mediazione come strumento di intervento sociale, Franco Angeli, Mi-lano 2006, p. 107). È un aspetto delicatissimo sul quale vorrei tornare in altre occasioni.

11Sulla mediazione come governanza senza Politica, vedi O. Romano e A. Coppola De Vanna, «Mediares», n. 11, 2008, pp. 25, 39.

diazione comunitaria che non voglia insterilirsi prima ancora di dar prova di sé nel discorso pubblico. Questa è una fase impor-tante, ciò che funzionava nel privato deve affrontare le asperità della strada per dar prova della sua validità. In un periodo, oltre-tutto, così scivoloso e pieno di incognite dal vago sapore di mi-naccia: default dello Stato, baratro finanziario, bancarotta, crisi del sistema.