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La nozione di vittima nella CEDU ai fini della presenta- presenta-zione di ricorsi individuali alla Corte europea e la procedura

nel panorama legislativo internazionale

3. La nozione di vittima nella CEDU ai fini della presenta- presenta-zione di ricorsi individuali alla Corte europea e la procedura

delle sentenze pilota.

Prima di dare indicazioni circa la condizione di vittima all’interno del sistema di garanzia della Convenzione europea dei diritti del-l’uomo pare opportuno ricordare che, oltre al sito internet della Corte europea dei diritti dell’uomo (www.echr.coe.int) che con-tiene i testi delle sentenze in lingua inglese e/o francese, vi sono delle utili informazioni nel sito della Camera dei deputati (www.camera.it) che nella parte ‘Europa ed estero’ contiene un osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti del-l’uomo e che, inoltre, in base ad una specifica legge (l. 9 gennaio 2006 n.12 c.d. legge Azzolini) il Governo è tenuto a presenta an-nualmente una relazione sull’esecuzione delle sentenze della Corte rese nei confronti dello Stato italiano.

Premessa: l’art. 34 CEDU prevede la possibilità di proporre ri-corsi individuali che devono presentare alcune condizioni di rice-vibilità (per es. devono essere proposti entro 6 mesi dalla decisione interna definitiva, devono previamente essere esperiti i rimedi in-terni disponibili). Accanto al ricorso individuale, la Convenzione prevede un autonomo diritto ad un rimedio effettivo all’interno di ogni Stato contraente (art. 13), il diritto di accesso a un tribu-nale (art. 6 par. 1), la riparazione in caso di arresto o detenzione contraria all’art. 5 CEDU (art. 5 par. 5) e in caso di errore giudi-ziario (art. 3 Protocollo n. 7). Infine è previsto che la sentenza della Corte possa contenere la condanna dello Stato alla corresponsione di una equa soddisfazione (art. 41).

La qualità di vittima legittimata a proporre ricorso individuale

dinanzi alla Corte consiste nella persona direttamente interessata dall’atto o dalla omissione in causa tenendo presente che il ricorso spetta all’individuo, inteso come persona fisica, organizzazione non governativa o gruppo di privati. Tale nozione è autonoma e non dipende dalla eventuale legittimazione o interesse ad agire sul piano interno. Al riguardo rileva la sentenza Scozzari e Giunta c.

Italia del 13 luglio 2000 in cui la madre, pur dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale, si è vista riconosciuta la qualità di vittima per proporre ricorso anche a nome dei figli per proteggere i loro interessi.

Ancora la Corte ritiene che alienati o minori, privi della capa-cità d’agire sul piano interno, possono rivolgersi alla Corte senza essere rappresentati da tutore o curatore.

Anche in assenza di un pregiudizio si può parlare di una esi-stenza di una violazione perché il pregiudizio viene in rilievo, se-condo la Corte, ai fini della determinazione dell’equo indennizzo di cui all’art. 41 CEDU.

Se il ricorrente decede nel corso del procedimento la qualità di ricorrente e di parte lesa si può trasferire agli eredi (vedi ad es. i casi italiani di Colozza sentenza del 12 febbraio 1985 e di Scordino sentenza del 29 marzo 2006). Tale trasferimento agli eredi è pos-sibile se si considera acquisito da essi l’interesse all’accertamento della violazione.

In seguito si è affermata la nozione di vittima indiretta della violazione (nel primo caso affrontato si trattava di un’azionista principale su cui si riverberavano gli atti che riguardavano la so-cietà): si tratta della persona che può dimostrare l’esistenza di un legame particolare tra sé e la vittima diretta e di un pregiudizio che deriva dalla violazione della CEDU o in alternativa un pro-prio particolare interesse alla cessazione della violazione. In tempi più vicini a noi sono i casi di violazioni dell’art. 2 (diritto alla vita) o 3 (divieto di tortura o di trattamenti inumani degradanti) della CEDU che vedono agire una vedova, stretti familiari, genitori o

tu-tori danneggiati da violazioni o che hanno un personale interesse.

Si tratta soprattutto delle persone scomparse in Turchia nelle re-gioni in cui sono presenti popolazioni curde o per operazioni ‘co-perte’ di polizia.

Un caso che è invocato spesso al riguardo è Open Door Coun-selling and Dublin Well Women of Ireland c. Irlanda del 1992: la Corte ha ritenuto che rispetto ad un divieto della Corte suprema di fornire informazioni a donne che volevano abortire all’estero la qualità di vittima è stata riconosciuta a donne in età da parto per-ché appartenenti a una categoria che poteva essere direttamente

‘affected’.

Si è affermata da tempo nella giurisprudenza della CEDU la tesi che si è in presenza di una vittima anche nel caso in cui l’in-dividuo subisca o rischi di subire pregiudizi da norme generali dello Stato ancorché non sia stata adottata nei suoi confronti al-cuna misura applicativa della norma generale in questione. I casi si sono avuti per es. nei ricorsi contro Stati che avevano legisla-zione penale contro l’omosessualità tra adulti consenzienti (es. sen-tenze Norris c. Irlanda del 26 ottobre 1988 e Modinos c. Cipro 22 aprile 1993) o, nella sentenza Klass e altri c. Germania del 6 set-tembre 1978, a proposito di una legislazione antiterroristica che prevedeva sorveglianza segreta delle comunicazioni anche se i ri-correnti non erano stati sottoposti a tale sorveglianza. Ciò implica che se la Corte accerta la violazione lo Stato è tenuto ad abrogare o modificare la legge.

Infine vi sono casi in cui la violazione ha carattere virtuale:

estradizione decisa ma non attuata nel caso Soering c. Regno Unito del 7 luglio 1989 ma si pensi anche ai casi di espulsione non ancora eseguita impugnata per violazione dell’art. 3 CEDU o dell’art. 8 CEDU o, più in generale, se l’individuo rischia di subire pregiu-dizio dall’applicazione di norme statali generali.

Il limite che la Corte pone è quello del divieto della c.d. actio

popularis, ossia del ricorso alla Corte per far valutare in astratto la conformità alla Convenzione di una legge statale.

La procedura di sentenza pilota è il caso Broniowski (sentenza 22 giugno 2004): in tale caso 80.000 persone si trovavano nella po-sizione del ricorrente che lamentava il mancato indennizzo dopo aver perduto proprietà al di là del fiume Bug a seguito delle siste-mazioni territoriali conseguenti alla fine della II guerra mondiale.

La Corte afferma che se essa accerta una violazione strutturale lo Stato accusato ha l’obbligo di adottare tutte le misure legali o am-ministrative per garantire l’attuazione del diritto patrimoniale o, in mancanza, disporre una riparazione per equivalente. Per un’altra situazione vedi il caso Xenides Arestis c. Turchia del 22 dicembre 2005 in cui vi erano circa 1400 ricorsi pendenti dinanzi alla Corte per proprietà di greco ciprioti lasciate nella parte settentrionale di Cipro e altri casi ancora più recenti.

Il contributo della sentenza Scozzari e Giunta c. Italia del 13 luglio 2000 è importante al riguardo perché è stato evidenziato che l’obbligo dello Stato di cessazione degli effetti pregiudizievoli ha carattere preminente: si trattava di minori collocati in una co-munità la cui madre non aveva potuto avere dei contatti con i pro-pri figli, anche a causa del comportamento ostruzionistico dei responsabili di tale comunità, peraltro di dubbia affidabilità sul piano educativo. Infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che l’equo indennizzo previsto nell’art. 41 CEDU ha ca-rattere sussidiario poiché l’obbligo primario dello Stato di cui si accerta la violazione è quello del ripristino dello status quo ante, mediante la cessazione degli effetti pregiudizievoli e la loro rimo-zione, qualora sia possibile.

4. Le modalità di protezione delle vittime di gravi violazioni