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Gli effetti quantitativi sull’amministrazione della giustizia

dispute resolution

4. Gli effetti quantitativi sull’amministrazione della giustizia

Sotto questo profilo, la mediazione penale e la mediazione civile (in questa includendo, ancorché in maniera impropria, anche quella familiare) hanno conosciuto vicende non poco diverse. Per la mediazione penale non può infatti dirsi che la sua diffusione sia stata incoraggiata dal legislatore esclusivamente nella prospettiva della deflazione del contenzioso. Questo può essere vero con riguardo alla mediazione per i reati perseguibili a querela attribuiti alla competenza del giudice di pace, posto che ai sensi dell’art. 29, 4° comma, del d.lgs. 274/2000 «il giudice, quando il reato è per-seguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove

23In argomento, v., Patanè, Mediazione penale, cit., 575 s.

24G. Ubertis, Riconciliazione, processo e mediazione in ambito penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2005, 1321 ss.

25Sulla «riconciliazione», rispettivamente del reo con se stesso, della vit-tima con il reo e con la società e dei due attori con l’ambiente sociale, pone l’accento G. Ubertis, op. cit., 1322, pur non nascondendosi che si tratta di un risultato più utopistico che reale.

occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio».

Sta di fatto che la mediazione penale, specialmente se praticata nei conflitti di prossimità, di famiglia, di lavoro, di circondario23, può consentire alla vittima e all’autore del reato di continuare a convivere pacificamente, laddove il processo e la condanna non fanno che acuire il contrasto. La mediazione, infatti, consente alle parti di dialogare (o di tornare a dialogare), tanto che il suo esito può dirsi positivo quando il conflitto risulta significativamente ri-composto attraverso accordi tendenti a riparare i danni subiti dalla vittima, non solo e non tanto attraverso il risarcimento, ma anche e soprattutto mediante misure di compensazione emotiva e so-ciale24.

Se quello che si è detto testé è vero per la mediazione nella pic-cola criminalità, si deve convenire che le finalità deflative sono del tutto estranee alla mediazione penale che sia inserita nel percorso esecutivo della pena, a norma degli artt. 27 e 118 del d.p.r.

230/2000 («Regolamento recante norme sull’ordinamento pen-itenziario e sulle misure privative e limitative della libertà»). Qui la ratio della mediazione è esclusivamente quella della restituzione ai protagonisti del reato della propria dignità sociale25, attraverso la “presa di contatto” del reo con le conseguenze prodotte dal fatto criminoso e, dall’altra parte, la metabolizzazione da parte della vittima delle condizioni nelle quali è maturata l’altrui con-dotta criminosa.

26G. Ubertis, op. cit., 1324.

Comunque sia, anche la mediazione penale c.d. preventiva, se ha successo, finisce col produrre un evidente effetto decongestio-nante: com’è stato osservato26, in taluni casi (e precisamente quando si tratta di reati perseguibili a querela e l’accordo concil-iativo interviene preventivamente) può giungersi a una vera e pro-pria deproceduralizzazione penale; in altri casi, l’effetto è di mera degiurisdizionalizzazione, il che accade quando all’accordo con-ciliativo consegue l’arresto delle attività giudiziarie nella fase in-vestigativa che si dipana dal promovimento dell’azione penale. Sta di fatto, se non altro per tali ragioni, che la mediazione, in quanto strumento di giustizia riparativa, è in grado di farsi apprezzare anche da chi abbia a cuore prevalentemente o esclusivamente i profili strettamente “quantitativi” dell’amministrazione della gius-tizia penale, in una prospettiva analoga a quella che rappresenta ormai una costante dello sviluppo delle tecniche conciliative nelle controversie civili.

5. La volontarietà

Al di là delle ragioni contingenti che nel nostro Paese hanno fa-vorito il diffondersi degli strumenti partecipati di composizione del conflitto rispettivamente in ambito civile e penale, un raffronto tra i principi che governano la mediazione nelle due aree appare quanto mai proficuo, soprattutto perché ciò consente di com-prendere che la giustizia negoziata, allorché si situi a margine di quella statuale, è ispirata a canoni sostanzialmente identici a pre-scindere dalle dinamiche con le quali viene chiamata a con-frontarsi.

I principi fondamentali della mediazione penale sono con-sacrati, oltre che nella già richiamata Risoluzione delle Nazioni

Unite del 2002, nella Raccomandazione (99)19 del Consiglio d’Eu-ropa. Qui la mediazione penale è definita come il procedimento nel quale la vittima e il colpevole sono messi in condizione, se vi acconsentono liberamente, di partecipare in modo attivo alla risoluzione delle questioni sorte dal reato attraverso l’aiuto di un terzo imparziale (mediatore).

La definizione consente di cogliere uno degli aspetti più qual-ificanti dell’istituto, ossia la partecipazione spontanea; la cui es-senzialità è poi ribadita dall’art. 1, per il quale «la mediazione in campo penale deve essere svolta solo se le parti acconsentono alla partecipazione liberamente». Questo profilo vale a differenziare la mediazione dai tradizionali strumenti a disposizione della giustizia penale, l’accesso ai quali non presuppone alcuna manifestazione di volontà, ma – per lo meno per quel che attiene alla posizione del-l’imputato – è anzi espressione d’imperio. Naturalmente il con-senso alla mediazione deve essere prestato consapevolmente, tanto che la stessa Raccomandazione precisa che le parti devono essere pienamente informate dei loro diritti, della natura del processo di mediazione e delle possibili conseguenze delle loro azioni (art. 10) e non devono essere indotte a parteciparvi con mezzi subdoli (art.

11), con la conseguenza, chiarita dal successivo art. 13, che la me-diazione non è possibile se una delle due parti non ne comprende il significato.

Orbene, se questo vale per la mediazione penale, i principi det-tati per la mediazione civile non sono dissimili. Infatti, la Diret-tiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relaDiret-tiva a determinati aspetti della mediazione in materia civile e com-merciale, definisce la mediazione come «un procedimento strut-turato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’as-sistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o

27Tar Lazio 12 aprile 2011, n. 3032, in Foro it., 2011, III, 274.

28 La risoluzione leggesi all’indirizzo http://www.europarl.europa.

eu/sides/getDoc.do?pubRef =-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2011-0361+0+DOC+XML+V0//IT.

prescritto dal diritto di uno Stato membro». Com’è facile osser-vare, l’accento cade senza possibilità di equivoco sulla base volon-taristica della partecipazione al procedimento di mediazione, per quanto la stessa Direttiva non escluda la possibilità che la proce-dura sia prescritta dal diritto di uno Stato membro. Proprio quest’ultima, com’è noto, è la scelta operata dal legislatore ital-iano, che col d.lgs. n. 28/2010 (e con lo sguardo rivolto non soltanto alle controversie transfrontaliere, ma anche a quelle di diritto interno), ha chiaramente optato per un modello di medi-azione che in talune categorie di controversie – quelle elencate dall’art. 5, 1° comma – costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La scelta del legislatore interno, sorretta es-senzialmente da finalità deflative del contenzioso civile, è stata ac-compagnata da polemiche vivacissime e ha formato oggetto di alcune ordinanze di rimessione del d.lgs. n. 28/2010 alla Corte costituzionale27, ma non par dubbio che la soluzione sia perfetta-mente lecita nel quadro comunitario: non a caso, la recente riso-luzione del Parlamento europeo del 13 settembre 201128, nel monitorare lo stato di attuazione della Direttiva nei Paesi del-l’Unione, ha osservato che la previsione da parte del legislatore italiano di un modello talora obbligatorio di mediazione si pone perfettamente in linea con i canoni della legislazione europea.