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5. I SINGOLI CONTRATTI 1 Compravendita

5.4 Contratti agrari

La Corte, con la sentenza n. 12934, ha stabilito che la vendita di un fondo senza l'osservanza delle norme sul diritto di prelazione, di cui agli artt. 8 della legge 26 maggio 1965 n. 590 e 7 della legge 14 agosto 1971 n. 817, non è nulla, ai sensi dell'art.

1418 cod. civ., ma soggetta al potere di riscatto da parte degli aventi diritto alla prelazione, ed a nulla rileva l'accidentale decadenza dalla possibilità di esperirlo.

Con la n. 384 si è occupata per la prima volta della destinazione agrituristica del fondo, affermando che questa non priva l'affittuario-coltivatore diretto del diritto di prelazione e riscatto che a lui compete, perchè non ne muta la funzione agricola, trattandosi di una forma di turismo nelle campagne volta a favorire lo sviluppo ed il riequilibrio del territorio agricolo, nonché ad agevolare la permanenza dei produttori agricoli nelle zone rurali attraverso l'integrazione dei redditi aziendali ed il

miglioramento delle condizioni di vita, secondo le indicazioni dell'art. 1 della legge 5 dicembre 1985 n. 730.

Nella n. 653 la S.C. è tornata sul tema delle condizioni ostative all’esercizio del diritto di prelazione da parte del proprietario coltivatore diretto di terreni confinanti con quello in vendita, dando rilievo solo alla situazione di fatto e di diritto effettivamente esistente e, cioè, alla circostanza che sul terreno non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti, con la conseguente irrilevanza della eventuale dichiarazione di garanzia della libera disponibilità del fondo rilasciata nell'atto di vendita dall'alienante in favore dell'acquirente.

A proposito delle condizioni ostative, la sentenza n. 12934 è interessante anche per l’individuazione di requisiti dell’insediamento utili al fine di evitare l’aggiramento del diritto di prelazione. La Corte ha precisato che l'insediamento non deve essere precario, ma effettivo e stabile, sicché non vale a concretare la condizione ostativa la formale stipula di un contratto di affitto del fondo (cui non corrisponda l'effettivo insediamento dell'affittuario sul fondo stesso, bensì una temporanea presenza predisposta ed attuata per escludere l'altrui diritto di prelazione), ovvero la presenza provvisoria di un conduttore sul fondo dopo che questi abbia rinunciato ad avvalersi del diritto di continuazione del rapporto.

La sentenza n. 5074 si è occupata dell’esito della declaratoria d'illegittimità costituzionale (sentenza n. 318 del 2002) degli artt. 9 e 62 legge n. 203 del 1982, concernenti i canoni d'equo affitto, affermando che non si può introdurre alcuna distinzione tra contratti stipulati prima del 1988 e contratti intervenuti successivamente, o tra canoni pagati prima della precedente sentenza n. 139 del 1984 della stessa Corte costituzionale, e canoni corrisposti successivamente, non rilevando, al fine di invocare la perdurante applicabilità di dette norme ai contratti più risalenti, la circostanza che in precedenza la medesima questione di costituzionalità fosse stata ritenuta infondata da quest’ultima sentenza della Corte costituzionale.

Conseguentemente, ha ritenuto priva di fondamento normativo la domanda di ripetizione, ex art. 28 legge n. 11 del 1971, delle somme corrisposte in eccedenza ai livelli massimi d'equità stabiliti dalle tabelle di equo canone.

5.5 Leasing.

Con riferimento al leasing finanziario, la Corte (n. 16158) si sofferma sul momento dell’acquisto della proprietà da parte del concedente, in una fattispecie in tema di rivendicazione del bene nei confronti del fallimento dell'utilizzatore. Nel ribadire che l'operazione di leasing finanziario postula un collegamento funzionale tra il contratto di vendita stipulato tra il fornitore ed il concedente e quello di leasing stipulato tra quest'ultimo e l'utilizzatore, e si realizza mediante clausole di interconnessione, inserite nel primo contratto, con cui si conviene che il bene viene acquistato per cederlo in godimento all'utilizzatore e deve essere consegnato direttamente a quest'ultimo, precisa che, in tale contesto, non assumendo il fornitore alcun impegno diretto nei confronti o a favore dell'utilizzatore, l'acquisto del bene rappresenta non solo un atto giuridico strumentale alla concessione in godimento, ma anche un evento che deve logicamente precedere l'attribuzione all'utilizzatore della detenzione autonoma qualificata della cosa, che deve necessariamente provenire dal concedente-proprietario perché si perfezioni il contratto di leasing.

La Corte (n. 6969) è tornata a pronunciarsi sul contratto di sale and lease back con riferimento alla possibilità di elusione del divieto di patto commissorio. Ha ribadito che lo schema socialmente tipico del cosiddetto lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che - in quanto realizzi una alienazione a scopo di garanzia - si risolva in un negozio atipico, nullo per illiceità della causa concreta. Ha ripetuto, inoltre, che costituisce accertamento di fatto, in base a elementi sintomatici, soggettivi - quali, ad esempio, lo stato di debolezza economica dell'impresa venditrice - ed oggettivi - quali, ad esempio, la sproporzione tra valore del bene venduto e prezzo pagato dalla fornitrice - stabilire se il lease back sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio, con conseguente sua nullità per frode alla legge.

5.6 Appalto.

La sentenza n. 1726 si sofferma sulla distinzione tra appalto e compravendita. Nel caso in cui il contratto abbia ad oggetto la fornitura di beni prodotti con materiali

ceduti dallo stesso destinatario della prestazione, il criterio fondamentale è costituito dalla natura dell'attività espletata dal fornitore, nel senso che è qualificabile come compravendita qualora l’attività consista nella trasformazione delle materie prime in prodotti finiti, non necessariamente destinati ad essere riacquistati dall'originario cedente, e come appalto nel caso in cui essa consista invece nell'adattamento delle medesime materie alle specifiche esigenze del destinatario, sì da potersi considerare i prodotti come il risultato voluto ed effettivo della prestazione di un facere.

Con riferimento all’azione per le difformità e i vizi dell’opera, la pronuncia n. 14039 affronta il tema dell’onere della prova relativamente alla data di consegna dell'opera, da cui il termine di garanzia decorre, ponendolo a carico del committente e non dell’appaltatore, gravando sul primo l'onere di provare i fatti posti a fondamento della sua domanda e quelli necessari per contrastare le eventuali eccezioni della controparte.

Invece, la sentenza n. 13431 si occupa dell’ipotesi in cui contro l'appaltatore venga formulata, per vizi, difformità o difetti, una richiesta di pagamento per la riparazione di danni arrecati dai suoi dipendenti. In tal caso, trattandosi di un'ordinaria azione di risarcimento danni resta applicabile la disciplina dettata dagli artt. 1453 e 1455 cod.

civ., con il conseguente assoggettamento agli ordinari termini di prescrizione e non al regime di decadenza e prescrizione breve di cui all'art. 1667 cod. civ. Nella pronuncia n. 3752 la Corte torna ad occuparsi delle condizioni per escludere la responsabilità dell'appaltatore per difformità e vizi dell'opera in presenza di direttive dei tecnici della stazione appaltante. L’appaltatore rimane esente da responsabilità solo se dimostra di aver agito come nudus minister del committente.

In materia di prova del corrispettivo dovuto per l'appalto privato, la n. 10860 ha affermato che la fattura emessa dall'appaltatore è utilizzabile come prova scritta ai soli fini della concessione del decreto ingiuntivo, ma non costituisce idonea prova dell'ammontare del credito nell'ordinario giudizio di cognizione, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte. Neanche la contabilità redatta dal direttore dei lavori costituisce idonea prova, a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l'abbia accettata senza riserve, pur senza aver manifestato la sua accettazione con formule sacramentali, oppure che il direttore dei lavori abbia redatto la relativa contabilità per conto del committente come rappresentante del suo cliente e non come soggetto legato a costui

da un contratto di prestazione d'opera professionale, che gli fa assumere la rappresentanza del committente limitatamente alla materia tecnica.

Quanto alle ipotesi di inadempimento, la sentenza n. 4433 ha riconosciuto la non scarsa importanza nel caso in cui, senza fornire alcuna apprezzabile giustificazione, l’appaltatore non assolve all’obbligo di denunciare all'ufficio del Genio civile le relative opere corredate dai relativi calcoli.

Con riferimento all’inadempimento del committente per il caso non sia configurabile la restituzione in natura all'impresa appaltatrice della costruzione parzialmente eseguita, Cass. n. 738 ha stabilito che il contenuto dell'obbligo restitutorio a carico del committente va determinato in relazione all'ammontare del corrispettivo originariamente pattuito, sulla cui base l'appaltatrice si è determinata a concludere il contratto, comprensivo dell'importo dovuto per revisione prezzi se pattiziamente previsto, che fa parte del corrispettivo pattuito.