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5. I SINGOLI CONTRATTI 1 Compravendita

5.7 Contratto d’opera

La sentenza n. 20319, confermando l’orientamento delle S.U. - secondo cui la clausola che, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale e un ingegnere al quale il primo abbia affidato la progettazione di un'opera pubblica, condizioni il pagamento del compenso per la prestazione resa alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell'opera stessa, è valida perché non in contrasto col principio di inderogabilità dei minimi tariffari - ha aggiunto che la stessa non viola i principi di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) in quanto, subordinare il compenso del professionista all'effettivo finanziamento dell'opera è garanzia di un accorto uso del denaro pubblico.

La pronuncia n. 16134, in tema di pattuizione del compenso (con riferimento ai criteri fissati in un d.m.), ha ribadito che il principio della retribuzione sufficiente, di cui all'art. 36 Cost., riguarda esclusivamente il lavoro subordinato, mentre in materia di lavoro autonomo, se il compenso sia stato pattuito, non è possibile invocare in sede giudiziaria l'applicabilità dei diversi criteri indicati dall'art. 2233 cod. civ. (importanza dell'opera, decoro della professione, tariffe, usi), i quali possono assumere rilievo solo in difetto di espressa pattuizione.

In tema di diniego di diritto al compenso, la n. 3740 ha confermato il principio secondo cui, ai sensi dell'art. 2231 cod. civ., l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dando luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente (art. 1418 c. 1 cod. civ.), priva il contratto di qualsiasi effetto.

5.8 Trasporto.

In tema di trasporti terrestri di cose, assai frequenti sono le liti ingenerate dall’incertezza circa la spettanza dei diritti nascenti dal contratto, nel caso di ammanco o perdita della merce. Non è raro infatti nella prassi commerciale che il mittente rifiuti il risarcimento al destinatario, allegando di essersi liberato delle proprie obbligazioni con la consegna al vettore (art. 1510 c.c.), ed il destinatario dal canto suo rifiuti il pagamento del corrispettivo al mittente, allegando di non avere ricevuto la merce ed invocando l’exceptio inadimpleti contractus. Due importanti interventi della Corte nel 2007 hanno fatto chiarezza in questa materia, ribadendo che i diritti nascenti dal contratto di trasporto, e primo fra tutti quello al risarcimento del danno per la perdita o l’ammanco della merce, spettano al destinatario a partire dal momento in cui questi abbia domandato la consegna della merce stessa (sentenze nn. 12959 e 17396). Se, invece, il destinatario non chieda la consegna del carico, legittimato a domandare il risarcimento del danno nei confronti del vettore resta il mittente (sentenza n. 12963).

Sempre in tema di responsabilità del vettore, nel 2007 la Corte è ritornata sul tormentato tema della configurabilità o meno di una responsabilità del vettore nel caso in cui la merce gli venga rapinata. A tal riguardo la Corte ha adottato una soluzione empirica, stabilendo che la rapina non necessariamente integra gli estremi del caso fortuito o della vis cui resisti non potest. Più esattamente, il vettore può essere chiamato a rispondere del danno causato dalla rapina in tutti i casi in cui non dimostri che l’evento “rapina” fosse assolutamente imprevedibile, ovvero di avere adottato tutte le misure esigibili alla stregua della diligenza professionale per prevenirlo (sentenze nn. 17398 e 17478).

Con riferimento alla misura del corrispettivo dovuto al vettore nel caso di trasporti internazionali su strada, la decisione n. 10561 ha opportunamente chiarito che il sistema delle tariffe “a forcella” previsto dalla legge italiana si applica ai soli trasporti

che iniziano e si concludono in Italia, ed è dunque inapplicabile ai trasporti internazionali interni all’Unione Europea (cui si applica il regolamento comunitario n.

4058/89/CEE), a nulla rilevando che mittente e destinatario siano entrambi italiani.

Con riferimento al trasporto ferroviario di persone, la Corte è tornata dopo molti anni ad occuparsi della responsabilità del vettore ferroviario per i danni ai passeggeri, ribadendo che l'art. 11 n. 4 delle condizioni e tariffe per i trasporti delle persone sulle ferrovie, approvate con r.d.l. n. 1948 del 1934, pone a carico del vettore ferroviario una presunzione di colpa, superabile solo con la dimostrazione - da fornirsi da parte dell'amministrazione ferroviaria - che il danno è avvenuto per caso fortuito, forza maggiore o fatto della vittima (sentenza n. 2321).

Per affinità alla materia qui in esame, è utile ricordare come nel 2006 la Corte abbia compiuto un importante intervento in tema di contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (c.d. “pacchetto turistico”). Quest’ultimo è stato definito dalla Corte un contratto atipico misto, caratterizzato dalla combinazione di due elementi: da un lato la fornitura di trasporto, alloggio e servizi turistici; dall’altro la “finalità turistica” (o

“scopo di piacere”), che non è un semplice motivo - come tale irrilevante - ma si sostanzia nell'interesse che il contratto è volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l'essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero.

Da ciò si è tratta la conseguenza che l'irrealizzabilità dello “scopo di piacere” per sopravvenuto evento non imputabile alle parti, determina, in virtù della caducazione dell'elemento funzionale dell'obbligazione costituito dall'interesse creditorio (ai sensi dell'art. 1174 cod. civ.), l'estinzione del contratto per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni (sentenza n. 16315).

In tema di trasporti marittimi, una delle modalità più frequenti di trasporto marittimo di merci è attualmente quella attuata per mezzo di container. La particolare struttura di quest’ultimo (un contenitore chiuso e sigillato) ha fatto sorgere già da anni il problema di stabilire se il vettore sia responsabile nel caso soltanto di perdita del container (considerato in sé e per sé l’oggetto del trasporto), ovvero anche nel caso in cui venga smarrita o danneggiata parte della merce contenuta nel container. A tale problema ha dato in parte risposta la sentenza n. 15589, la quale ha stabilito che in caso di trasporto

marittimo di merci mediante containers, con clausola full containers load - said to contain, va esclusa - a prescindere da qualsiasi eventuale riserva inserita nella polizza

di carico - la responsabilità del vettore, per ammanchi in sede di riconsegna, allorché risulti provato che i contenitori siano stati consegnati dal caricatore chiusi con sigilli (od analoghi sistemi), la cui integrità sia stata constatata all'arrivo: tale prova infatti è sufficiente a superare la presunzione di colpa contrattuale di cui all'art. 1693 cod. civ. a carico del vettore. Se, invece, il vettore abbia assunto la piena responsabilità ex recepto non solo con riferimento al container in quanto tale, ma anche in relazione alla merce in esso contenuta ed al suo peso (quale risultante dalle polizze di carico), egli risponde della eventuale sottrazione anche parziale della merce (sentenza n. 14835).

Quanto al trasporto marittimo di persone, merita di essere ricordata la decisione n.

3462, la quale ha ritenuto sussistente la responsabilità del vettore marittimo di persone per non avere potuto prendere il mare a causa delle avverse condizioni atmosferiche (costringendo così i passeggeri a pernottare sull’isola dove si erano recati), in un caso in cui si era accertato che già al momento della partenza era prevedibile che la motonave impiegata dal vettore non sarebbe stata in grado di prendere il mare con le condizioni meteomarine previste per il momento del rientro.

In materia di trasporto aereo, la Corte è tornata ad occuparsi della responsabilità della società di handling, qualificando come deposito a favore di terzo il contratto concluso tra quest’ultima ed il vettore aereo, ed addossando alla società di handling l’obbligo di custodia e deposito della merce, obbligo che non cessa con la messa a disposizione di quest’ultima, ma si protrae sino alla consegna materiale di essa all'avente diritto (sentenza n. 14593).

5.9 Agenzia.

In tema di agenzia, la sentenza n. 18586 ha preso in esame l'aspetto probatorio del diritto alla provvigione, affermando, ai sensi dell'art. 1748 cod. civ., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 settembre 1991, n. 303, l'illegittimità del rigetto dell'istanza volta ad ottenere, indipendentemente dall'espletamento di una consulenza tecnica, l'acquisizione della documentazione in possesso del solo preponente, che risulti indispensabile per sorreggere, attraverso precisi dati quantitativi, l'allegazione

relativa all'aumento del numero dei clienti e del volume degli affari verificatosi nel corso degli anni.

Particolare interesse, in materia di diritti dell'agente, rivestono le sentenze n. 9538 e n.

16347, con cui la Corte, affrontando la problematica relativa ai presupposti per il riconoscimento dell'indennità dovuta in caso di cessazione del rapporto, ha preso nuovamente posizione in ordine all'interpretazione dell'art. 1751 cod. civ., nel testo modificato dall'art. 4 del d.lgs. n. 303 cit., anche alla luce degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, interpretati dalla Corte di Giustizia CEE nella sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04: al riguardo, premesso che l'inderogabilità della disciplina legale ne comporta la prevalenza su quella meno favorevole per l'agente dettata da regole pattizie, individuali o collettive, è stato ribadito che, ai fini del riconoscimento dell'indennità in questione, il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; si è quindi affermato che l'indennità contemplata dall'Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 rappresenta per l'agente soltanto un trattamento minimo garantito, il quale può essere considerato di maggior favore soltanto qualora, in concreto, non spetti all'agente l'indennità di legge in misura inferiore.

In ordine ai criteri di liquidazione dell'indennità, la citata sentenza n. 16347 ha poi preso atto che, secondo la Corte di Giustizia, l'art. 17 della direttiva non impone un calcolo analitico, ma consente anche il ricorso a metodi di calcolo sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell'equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un'annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima; ha pertanto affermato che l'attribuzione dell'indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall'attività di promozione degli affari compiuta dall'agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell'attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto, ed in particolare delle provvigioni perse dall'agente.

5.10 Mediazione.

Si è ribadita la assoluta imprescindibilità - per la validità del contratto e l’insorgenza del diritto alla provvigione - che il mediatore sia iscritto al ruolo previsto dalla legge 3

febbraio 1989 n. 39. In mancanza di tale iscrizione la provvigione non è dovuta, e se l’iscrizione sopravviene nel corso dell’attività mediatizia la provvigione è dovuta solo per le attività svolte dal momento dell’iscrizione in poi (sentenza n. 10290).

Analogamente, anche per gli ausiliari del mediatore è necessaria l’iscrizione al ruolo, se essi sono assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, e impegnativi per l'ente da cui dipendono. Tale iscrizione non è invece richiesta per quei dipendenti che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (sentenza n.

1507).

L’obbligo per il mediatore di iscrizione al ruolo è stato poi ritenuto non in contrasto con la direttiva 86/653/CEE (relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, la quale vieta normative nazionali che subordinino la validità di un contratto di agenzia all'iscrizione dell'agente di commercio in apposito albo), in quanto tale direttiva è dettata per gli agenti e non per i mediatori, che a differenza dei primi agiscono in posizione di terzietà rispetto ai contraenti posti in contatto (sentenza n. 13184).

Sul piano dell’an e del quantum della provvigione la Corte ha ribadito nel 2007 alcune regole particolarmente significative, già dettate in passato e destinate a rafforzare la tutela degli intermediati specie in un mercato - come quello della intermediazione immobiliare - non sempre caratterizzato da trasparenza. La prima di tali regole è il divieto di mediazioni occulte: quando, cioè, il mediatore non si presenta schiettamente come tale alle parti, perde qualsiasi rilievo il fatto che queste si siano incontrate ed abbiano concluso l’affare grazie all’opera sua. Nel caso di mediazione occulta un rapporto giuridico tra mediatore ed intermediati non è nemmeno configurabile, perché le parti non sono messe in condizione di valutare l'opportunità o meno di avvalersi della prestazione del mediatore e di sopportarne i conseguenti oneri (sentenza n.

6004).

Quanto alla misura della provvigione, tre sono i princìpi particolarmente significativi ribaditi dalla Corte nel 2007: affinché sorga il diritto alla provvigione, l’opera del mediatore deve essere stata vuoi causa, vuoi concausa della conclusione dell’affare (sentenza n. 1507); la misura della provvigione può ben essere determinata in misura

percentuale rispetto al valore dell’affare, ma quest’ultimo non è detto che consista nel prezzo dell’affare indicato dalle parti in contratto. “Valore” dell’affare e “prezzo” del negozio non necessariamente coincidono, e comunque se il giudice di merito ritenga sussistere tale coincidenza, ha l’obbligo indicare le ragioni dalle quali ha tratto il proprio convincimento (sentenza n. 12236); quando l'affare sia concluso con l'intervento di più mediatori, la provvigione va divisa tra tutti secondo i criteri di cui all’art. 1578 c.c., a nulla rilevando che i vari mediatori fossero all’oscuro ciascuno dell’opera dell’altro (sentenza n. 1507).

5.11 Deposito.

La sentenza n. 5837 ha ribadito che al parcheggio di automezzo in un apposito piazzale gestito da una ditta privata si applicano le norme relative al contratto di deposito, perché l’offerta della prestazione di parcheggio, cui segue l'accettazione attraverso l'immissione del veicolo nell'area, ingenera l'affidamento che in essa sia compresa la custodia, restando irrilevanti eventuali condizioni generali predisposte dall'impresa che gestisce il parcheggio che escludano un obbligo di custodia. Sempre dall'applicazione della disciplina generale di tale contratto deriva la responsabilità ex recepto del gestore, con la conseguenza che l’eventuale clausola di esclusione della

responsabilità nel caso di furto del veicolo, avendo carattere vessatorio, è inefficace se non sia stata approvata specificamente per iscritto.

In una fattispecie di rimozione di un autoveicolo in divieto di sosta e trasporto al deposito, al fine di individuare la decorrenza dell'obbligo di pagamento delle spese di custodia in un caso in cui il veicolo era stato danneggiato al momento del trasporto, la Corte (sentenza n. 7493) ha qualificato il contratto come di deposito, stabilendo che la consegna può realizzarsi con una ficta traditio, attraverso la ritenzione della cosa da parte del depositario, per effetto del mancato ritiro da parte dell'avente diritto, con il conseguente sorgere per il depositario dell'obbligo di custodia e per il proprietario dell'obbligo di pagamento delle spese di custodia fino al ritiro dello stesso. Con ciò discostandosi da una precedente decisione (n. 11065) nella quale si era fatto riferimento alla concessione di pubblico servizio, escludendo che la convenzione tra pubblica amministrazione e concessionario possa essere valutata alla stregua di un accordo di natura privatistica, nel quale le spese per la rimozione e custodia del

veicolo possano essere considerate il corrispettivo di un contratto misto di trasporto e di deposito, ricomprendendo nella suddetta concessione anche il diritto del concessionario alla percezione del corrispettivo, da parte dei soggetti destinatari della sanzione.

5.12 Contratti bancari.

In tema di buona fede e di principio di prossimità della prova nei contratti bancari, si può cogliere una particolare attenzione della Corte verso un’applicazione sempre più estesa e rigorosa del principio di buona fede in tutte le fasi nelle quali si articola il rapporto contrattuale tra banca e cliente. I doveri di correttezza, trasparenza e completezza delle informazioni riguardanti il concreto assetto degli interessi regolati dal contratto, trovano puntuale tutela anche nella fase successiva allo scioglimento del rapporto negoziale sia in ordine alla permanenza degli obblighi di rendicontazione e documentazione della situazione finale a carico dell’Istituto sia in ordine all’assolvimento dell’onere della prova, posto a carico della banca, per la tutela delle sue posizioni creditorie.

Sul primo versante deve essere segnalata la sentenza n. 15669 con la quale viene evidenziato che la cessazione del vincolo contrattuale, in particolare intervenuta per effetto del fallimento del cliente, non estingue con immediatezza ogni rapporto tra le parti, permanendo una serie di obbligazioni di derivazione contrattuale alle quali corrispondono posizioni di diritto soggettivo. In particolare, il curatore che subentra nell’amministrazione del patrimonio fallimentare ha il diritto di ottenere la documentazione relativa alle operazioni bancarie eseguite dal fallito negli ultimi dieci anni. Al riguardo la Corte precisa che i diritti che il curatore esercita non derivano dall’assunzione di una funzione pubblicistica ma esclusivamente dalla su posizione contrattuale giusprivatistica. La Corte fa discendere il diritto direttamente dall’obbligo di buona fede stabilito negli artt. 1374 e 1375 c.c. e richiama, anche in virtù della peculiare posizione del curatore fallimentare, il generale obbligo di solidarietà incardinato nell’art. 2 Cost, facendo del canone costituzionale un criterio di condotta endo negoziale che permane anche dopo lo scioglimento del vincolo negoziale fino alla definitiva regolazione ed estinzione di ogni rapporto ricollegabile all’esecuzione del contratto. Per configurare il complesso obbligo di custodia, comunicazione

periodica e completa informazione finale posto a carico della banca, la Corte ritiene insufficiente il richiamo alla disciplina di settore ed in particolare all’art. 119 del T.U.

bancario che stabilisce l’obbligo di informazione periodica ad ogni scadenza contrattuale nonché il diritto del cliente ad ottenere la documentazione sull’andamento del rapporto negli ultimi dieci anni, e ne integra il contenuto, mediante la diretta applicazione del principio codicistico di buona fede e del criterio di solidarietà come canone conformativo delle condotte negoziali, in specie nei rapporti caratterizzati da uno squilibrio che si evidenzia anche in rapporto alle fonti di prova riguardanti la concreta attuazione del contratto.

Proprio in virtù della integrata rete costituzionale e legislativa di riferimento, la Corte amplia l’obbligo informativo e documentativo della banca precisando che il diritto del cliente si estende alla richiesta della documentazione che comprovi i singoli passaggi scanditi negli estratti conto ma allo stesso tempo, gli impone un obbligo di collaborazione consistente, tra l’altro, nel carico delle spese necessarie.

Coerente con la rigorosa applicazione del principio di buona fede nei contratti bancari deve ritenersi l’orientamento seguito dalla Corte nelle sentenze nn. 10692 e 2137, in ordine alla prova della pattuizione degli interessi in misura superiore al tasso legale. Nella prima delle due pronunce viene confermata la nullità della pattuizione extralegale degli interessi quando il criterio di determinazione del tasso applicabile non sia desumibile per relationem, specificamente in qualsiasi momento del rapporto, ma consenta soltanto l’individuazione della “forbice” tra top rate e prime rate entro la quale la percentuale può collocarsi, lasciando alla banca il potere discrezionale dell’indicazione puntuale. Il criterio della determinabilità del tasso extralegale viene più analiticamente precisato con la pronuncia n. 2137 nel senso che il contenuto della pattuizione deve essere univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso d’interesse anche quando sia stato previsto un tasso variabile. In quest’ultimo caso, è necessario il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari mentre non sono sufficienti generici riferimenti che non consentano di comprendere né sotto il profilo soggettivo (tasso praticato da uno specifico istituto di credito o indicato in un accordo interbancario) né sotto il profilo oggettivo (tasso relativo ai clienti ordinari o “prime rate” o riferibile ad una specifica tipologia di contratti) qual’è il parametro applicabile. L’attenzione sulla trasparenza nella

determinazione degli interessi passivi praticati dalla banca riguarda anche la fase relativa al calcolo e alla specificazione del saldo. Nella pronuncia già esaminata n.

10692 è stata evidenziata l’insufficienza probatoria dell’estratto notarile delle scritture contabili, contenente esclusivamente il saldo quando sia stata accertata la nullità della pattuizione degli interessi extralegali e sia conseguentemente indispensabile procedere ad una completa riformulazione delle poste di dare ed avere mediante l’applicazione del tasso legale degli interessi con capitalizzazione annuale a partire dall’apertura del conto attraverso la produzione di tutti gli estratti delle operazioni eseguite.

10692 è stata evidenziata l’insufficienza probatoria dell’estratto notarile delle scritture contabili, contenente esclusivamente il saldo quando sia stata accertata la nullità della pattuizione degli interessi extralegali e sia conseguentemente indispensabile procedere ad una completa riformulazione delle poste di dare ed avere mediante l’applicazione del tasso legale degli interessi con capitalizzazione annuale a partire dall’apertura del conto attraverso la produzione di tutti gli estratti delle operazioni eseguite.