• Non ci sono risultati.

4.1 Le obbligazioni.

In riferimento alle obbligazioni pecuniarie, la sentenza n. 2317 afferma che, in tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod.civ., che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione. La sentenza n. 11196 definisce una controversia relativa alle obbligazioni propter rem: la Corte ribadisce che, laddove l’assunzione, a carico del proprietario del fondo, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte di quelle di urbanizzazione secondaria (cui è subordinata l'autorizzazione per la lottizzazione) costituisce un'obbligazione propter rem che si trasferisce su coloro che sono proprietari al momento del rilascio della concessione edilizia e che ben possono essere soggetti diversi da quelli che stipularono la convenzione, tuttavia, la natura reale dell'obbligazione non riguarda le persone che utilizzano le opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione, senza avere con essi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa concessione edilizia, sono tenuti a pagare al comune concedente, per loro conto, i relativi oneri di urbanizzazione.

In tema di obbligazioni solidali deve ricordarsi la sentenza n. 21482, chiamata a risolvere il quesito se le obbligazioni verso l’amministrazione finanziaria derivanti da una divisione ereditaria hanno natura solidale o meno, e in caso che se ne riconosca la natura solidale, da quale momento uno dei coobbligati solidali può legittimamente lamentare di aver subito un danno a causa del comportamento degli altri condebitori.

La Corte afferma che alle obbligazioni verso l’Amministrazione finanziaria si applicano le norme ordinarie in tema di solidarietà passiva. Ne consegue che l’Amministrazione può agire verso uno qualsiasi dei coobbligati per l’intero, ed essi hanno tutti il potere e il dovere di attivarsi per estinguere l’obbligazione per l’intero.

Solo il debitore che ha pagato l’intera somma dovuta può agire in regresso nei confronti degli altri, anche per il risarcimento degli eventuali danni che il comportamento passivo degli altri condebitori può avergli procurato.

In tema di delegazione, la sentenza n. 19090 chiarisce che in caso di assunzione dell'obbligazione da parte del delegato al pagamento, ai sensi dell'art. 1268 cod. civ., non sono richiesti speciali requisiti di forma, potendosene ammettere l'integrazione anche in virtù di accordi conclusi per facta concludentia ed in via progressiva se alla dichiarazione del delegante o del delegato o del delegatario si aggiunge quella delle altre parti in un momento successivo.

4.2 Il principio di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni.

In tema di obbligazioni e contratti si segnala una costante ed allargata valorizzazione del principio di buona fede, in sede di interpretazione e di esecuzione del contratto.

Tale principio (che costituisce anche principio ispiratore della materia cui è tenuto ad uniformarsi il giudice di pace nei giudizi di equità: vedi sentenza n. 12644), fondato non solo sulle norme codicistiche ma su un dovere di solidarietà di fondamento costituzionale, impone alle parti il rispetto di canoni comportamentali di collaborazione e di non aggravamento della posizione della controparte anche dopo l’esecuzione della prestazione, finchè l’altra parte ne abbia interesse, e fino alla fase eventuale di tutela giudiziale del credito. La più importante affermazione di tale principio è contenuta nella sentenza a sezioni unite n. 23726 in tema di parcellizzazione dei crediti. Rivedendo in sede di esame di una questione di massima di particolare importanza il proprio precedente orientamento (vedi sentenza n. 108 del 2000), alla luce di una più accentuata valorizzazione del principio di buona fede anche nella fase della tutela giudiziale del credito e dell’affermazione del canone del giusto processo, le Sezioni Unite affermano che non è consentita al creditore la frammentazione in plurime e distinte domande dell’azione giudiziaria per l’adempimento di una obbligazione pecuniaria. La sentenza varrà a stroncare una pratica diffusa quanto iniqua, secondo la quale un inadempimento relativo ad un’unica fornitura poteva dar luogo ad una molteplicità di domande giudiziali, in cui il credito veniva spezzettato portando ad un aumento esponenziale dell’esborso da parte del debitore, a fronte di molteplici liquidazioni a suo carico di spese legali ed esecutive.

La valorizzazione del principio di buona fede si è tradotta spesso, nel corso dell’anno, in una rafforzata tutela del cittadino nei confronti del gestore di servizi pubblici, o dell’operatore professionale. Sotto questo profilo vanno ricordate la sentenza n. 23304 della terza sezione e alcune sentenze in materia di contratti bancari. Con la sentenza n.

23304 si è affermato che se la banca, per un disguido, non dà comunicazione al gestore telefonico dell’avvenuto pagamento di una bolletta, è il gestore, e non l’utente, che deve attivarsi per verificare se il pagamento sia in effetti avvenuto. E’ contrario a buona fede il comportamento del gestore che, non avendo ricevuto notizia dalla banca del pagamento, effettui immediatamente il distacco della linea telefonica senza verificare se il pagamento sia stato eseguito.

Un’importante applicazione del principio di buona fede nell’interpretazione e nell’esecuzione dei contratti è contenuta nella sentenza n. 15669 in materia di contratti bancari e fallimento, secondo la quale lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario per effetto del fallimento del cliente non estingue con immediatezza ogni rapporto obbligatorio fra le parti, sussistendo anche per l'epoca successiva una serie di obbligazioni, ancora di derivazione contrattuale e corrispondenti posizioni di diritto soggettivo; in particolare la pretesa del curatore, che subentra nell'amministrazione del patrimonio fallimentare, ai sensi degli artt. 31 e 42 legge fall., è un diritto che promana dall'obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà, declinandosi in prestazioni imposte dalla legge (ai sensi dell'art.1374 cod.civ.), secondo una regola di esecuzione in buona fede (ex art.1375 cod.civ.) che aggiunge tali obblighi a quelli convenzionali quale impegno di solidarietà (ex art. 2 Cost.), così imponendosi a ciascuna parte l'adozione di comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte.

Infine, la sentenza n. 15883 precisa che il principio secondo cui la buona fede si presume non è limitato al possesso di beni (art. 1148 cod. civ.), ma si estende all'ambito contrattuale, per cui non spetta al creditore provare la propria buona fede, bensì al debitore dimostrare il contrario (fattispecie in cui la società opponente a precetto, intimata per un credito portato da assegno bancario, aveva, tra l'altro, dedotto che il creditore non aveva provato la buona fede nel possesso del titolo).

Si segnala la importante sentenza n. 26724 nella quale le Sezioni Unite hanno stabilito che la violazione dei doveri di informazione del cliente e del divieto di effettuare operazioni in conflitto di interesse con il cliente o inadeguate al profilo patrimoniale del cliente stesso, posti dalla legge a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, non danno luogo ad una nullità del contratto di intermediazione finanziaria per violazione di norme imperative. Le suddette violazioni, se realizzate nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto, danno luogo a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo di risarcimento del danno; se riguardano, invece, le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto, danno luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento (o inesatto adempimento), con la conseguente possibilità di risoluzione del contratto stesso, oltre agli obblighi risarcitori secondo i principi generali in tema di inadempimento contrattuale.

4.3 La tutela del consumatore.

Nel corso dell’anno si sono avute alcune interessanti pronunce in ordine ai contratti del consumatore. Ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della “tutela forte” di cui alla disciplina degli articoli 1469 bis e segg. cod. civ., (in fattispecie precedente all’introduzione del codice del consumo) la Corte ha precisato con sentenza n. 13377 che la qualifica di “consumatore” spetta solo alle persone fisiche, quindi non alle società. A sua volta, la persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice

“consumatore” soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività. Infatti, deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che invece utilizzi il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del “professionista” non è pertanto necessario che il contratto sia posto in essere nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, essendo sufficiente - come si evince dalla parola

“quadro”, di cui al secondo comma dell'articolo 1469 bis cod. civ. - che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale (v. anche sentenza n. 4208). In applicazione di tale principio, con la

sentenza n. 13083 ha affermato che non si applica la disciplina più favorevole al consumatore di cui agli artt. 1469 bis e segg. c.c. al contratto di fornitura di banche dati giuridiche, concluso da un consulente legale con il gestore delle banche dati, in quanto l’oggetto del contratto è inerente all'attività professionale dell’acquirente.

Sempre in tema di tutela del consumatore e di clausole vessatorie, è interessante la fattispecie esaminata dalla sentenza n. 19366. Il giudice di merito aveva dichiarato vessatoria ed inefficace, per contrasto con l’art. 1469 bis, terzo comma, n.13 c.c., la clausola di un contratto di somministrazione di carburante g.p.l. ad uso domestico che consentiva alla società petrolifera di aumentare unilateralmente il prezzo già fissato in conformità alle norme previste dai provvedimenti legislativi in materia, a seguito di eventuali modifiche del prezzo nazionale e della misura degli oneri fiscali del carburante, senza consentire all’acquirente-consumatore di recedere dal contratto anche se il prezzo finale del carburante fosse divenuto eccessivamente elevato rispetto a quello originario. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato l’inefficacia della clausola in quanto vessatoria, ricostruendo l’interpretazione corretta da dare alla norma ed affermando che l'incremento eccessivo e non giustificato del prezzo rispetto a quello iniziale - in quanto non suppone necessariamente che, nell'economia complessiva del rapporto, ne risulti per forza alterato l'aspetto funzionale dell'adeguatezza delle rispettive prestazioni - non incide sulla causa del contratto e non determina lo squilibrio tra le rispettive prestazioni, ma assume la diversa qualificazione di presupposto di legittimazione dell'azione di recesso, per cui gli aumenti del prezzo, autorizzati ad iniziativa unilaterale del professionista, possono essere praticati ad libitum sino alla soglia dell'eccesso, la quale, se non è stata definita in anticipo dalle parti, deve essere verificata dal giudice in sede di contestazione dell'efficacia della clausola. La Corte ha poi precisato che la disposizione recata dall'art. 1469-bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. non si applica allorché le parti abbiano stipulato clausole di indicizzazione in aumento del prezzo del bene o del servizio, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabile la disposizione di cui all'art. 1469 bis, terzo comma, n. 13 cod. civ. , indipendentemente dalla verifica di sussistenza dell'elemento dell'eccessività del nuovo prezzo reclamato e versato al professionista rispetto a quello originariamente pattuito,ed indipendentemente dalla

verifica di sussistenza dell'ipotesi di esclusione di cui al comma settimo dell'art. 1469 bis cod. civ.).

4.4 Il contratto.

In tema di conclusione del contratto, la sentenza n. 14657 puntualizza che la norma di cui al quarto comma dell'art. 1326 cod. civ. – secondo cui, quando il proponente richieda una forma determinata per l'accettazione, questa non ha effetto se prestata in forma diversa – non attiene all'ipotesi della forma convenzionale vincolata prevista dall'art.1352 cod.civ., essendo quest'ultima posta nell'esclusivo interesse dello stesso proponente, il quale può pertanto rinunciare al rispetto di detta forma ritenendo sufficiente un'adesione manifestata in modo diverso; pertanto, il difetto di forma non può essere invocato dalla controparte per contestare il perfezionamento del contratto.

In tema di interpretazione del contratto, la sentenza n. 12721 ha chiarito che per non soggiacere al sindacato di legittimità quella data dal giudice non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solamente una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili) non è consentito alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra. In applicazione del suindicato principio la S.C. ha escluso, sulla base dell’esame della polizza e di un modello a stampa, che l’assicurazione contro i danni da incendio stipulata dal conduttore di immobile adibito a deposito di idrotermosanitari, accessori idraulici e ferramenta, si estendesse nella specie anche ai danni riportati dallo stesso immobile, ritenendola limitata ai beni ivi ricoverati.

In tema di rappresentanza e conflitto d'interessi, e in particolare in riferimento all'atto concluso dal rappresentante della società fidejubente che sia rappresentante anche della società garantita, la sentenza n. 15879 puntualizza che l'incompatibilità tra le esigenze dei due enti integra una causa di annullabilità ai sensi dell'art. 1394 cod.

civ. per vizio della volontà negoziale, conosciuto o conoscibile dal terzo anche in ragione dell'estraneità della fidejussione agli scopi sociali della garante.

In materia di vizi della volontà, possono ricordarsi principalmente due sentenze. La prima, emessa in materia fallimentare (n. 5273) è contenuta una importante messa a

punto sulla portata della eccezione di dolo. La exceptio doli generalis seu praesentis attiene al dolo esistente al momento in cui viene intentata l’azione nel processo – diversamente dalla exceptio doli specialis seu praeteriti, che concerne il dolo al tempo della conclusione del negozio – e costituisce rimedio generale, diretto ad impedire l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento, che permette il rigetto di domande giudiziarie pretestuose o palesemente malevole, intraprese, cioè, allo scopo di arrecare pregiudizio, contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui, qualora sussistano elementi oggettivi comprovanti che la parte ha agito in violazione del criterio di buona fede e di correttezza, in contrasto con la finalità normalmente insita nell’esercizio del diritto di cui è titolare. In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha escluso che l’esercizio dell’azione diretta ad ottenere l’inefficacia dei pagamenti effettuati nel corso della procedura concorsuale, allo scopo di realizzare la par condicio creditorum, possa essere paralizzata mediante la exceptio doli generalis, trattandosi di azione sorta a seguito ed in conseguenza dell’apertura di detta procedura, che non può configurare esercizio fraudolento dei diritti derivanti dal contratto, indipendentemente dall’atteggiamento soggettivo dell’imprenditore.

La seconda (n. 235), particolarmente interessante per la fattispecie dedotta in causa, afferma che si verifica l'ipotesi della violenza, invalidante il negozio giuridico qualora uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dal comportamento posto in essere dalla controparte o da un terzo e risultante di natura tale da incidere, con efficienza causale, sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio. Ne consegue che non costituisce minaccia invalidante il negozio, ai sensi dell'art. 1434 e segg. cod. civ., la mera rappresentazione interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di annullamento per violenza di una serie di atti intervenuti tra due coniugi in prossimità della separazione personale, con cui la moglie trasferiva al marito la proprietà di una villa, la comproprietà di una barca e alcune quote di partecipazione societaria, sul presupposto che l'attrice si fosse determinata a compiere gli atti di trasferimento in quanto temeva che il marito, venuto a conoscenza della sua

infedeltà coniugale, potesse chiedere la separazione con addebito ed ottenere l'affidamento del figlio minore, ma in mancanza di elementi obiettivi dai quali risultasse il comportamento tenuto in concreto dal marito per indurre la moglie a cedergli i beni, estorcendole il consenso al fine di realizzare un vantaggio ingiusto).

In tema di contratto preliminare e di rapporti tra il preliminare e il definitivo , può ricordarsi la sentenza n. 233, secondo la quale, ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto; se le parti hanno inteso far sopravvivere alcune clausole contenute nel preliminare alla stipula del definitivo, devono darne la prova con atto scritto posto in essere contemporaneamente alla stipula del definitivo.

A proposito della diffida ad adempiere, con la sentenza n. 23315 dell'8 novembre 2007 la terza sezione ribadisce la posizione della corte di legittimità, avversata in dottrina, secondo la quale anche se il contraente ha manifestato la sua volontà di sciogliersi dall’impegno contrattuale comunicando alla controparte la diffida ad adempiere, l’effetto risolutorio è ancora nella disponibilità dell’intimante, che conserva la facoltà di ritrattare tale diffida.

A proposito della cessione del contratto, la sentenza n. 6157 puntualizza che la cessione, che si configura come negozio plurilaterale, si perfeziona con l’accordo raggiunto da tutti i partecipanti, rimanendo però irrilevante che il ceduto manifesti il consenso successivamente alla cessione intervenuta tra cedente e cessionario ed anche che non abbia preso visione del contratto di cessione tra questi intercorso, a meno che non invochi un vizio del consenso determinato da tale circostanza.

Diverse sono le sentenze che contengono principi interessanti sul tema sempre dibattuto delle clausole vessatorie. A proposito di clausole vessatorie inserite in un contratto di appalto di opera pubblica, la sentenza n. 19949 ha puntualizzato che la disciplina delle clausole contrattuali vessatorie prevista dall'art. 1341, secondo comma, cod. civ., che si applica quando l'amministrazione appaltante predisponga unilateralmente la singola clausola, non è operante allorché i contraenti richiamino nella sua interezza il capitolato generale d'appalto come parte integrante del contratto, ricorrendo, in siffatta ipotesi, non la figura del contratto di adesione (con la conseguente soggezione a specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose),

bensì del contratto a relazione perfetta, in cui il riferimento al capitolato deve essere considerato come il risultato di una scelta concordata, diretta all'assunzione di uno schema al quale le parti si riportano con una formula denotante, sia pure in modo sintetico, l'effettiva conoscenza ed accettazione di tutte le clausole ivi contenute. La sentenza n. 18525 precisa invece che, nel caso di contratto per il quale non sia prescritta la forma scritta, l'obbligo della specifica approvazione scritta di cui all'art.

1341 cod. civ., rimane limitato alla sola clausola vessatoria e può dirsi soddisfatto anche attraverso la sottoscrizione apposta dopo il richiamo, che può essere espresso nella sola forma numerica e/o di titolo, alla clausola in questione, in quanto tale richiamo permette al sottoscrittore di conoscerne il contenuto (fattispecie relativa a contratto assicurativo contenente una clausola compromissoria ed una deroga alla competenza territoriale, recante una sola sottoscrizione in calce allo specchietto riepilogativo intitolato “approvazione espressa”. La Cassazione, rilevato che, secondo l'art. 1888 cod. civ., il contratto assicurativo deve rivestire la forma scritta ad probationem e che nella specie non era in discussione la sua esistenza, ha ritenuto

valida la sottoscrizione). Infine, ancora in tema di clausole vessatorie, può ricordarsi la

valida la sottoscrizione). Infine, ancora in tema di clausole vessatorie, può ricordarsi la