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7. DIRITTO COMMERCIALE

7.3 Privative industriali e beni immateriali

La Corte ha iniziato a svolgere la propria funzione nomofilattica nelle prime pronunce relative alle controversie decise dalle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale. Con riguardo al nuovo criterio di competenza territoriale introdotto dall'art. 4 del d.lgs. n. 168 del 2003, istitutivo delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale presso tribunali e corti d'appello, l’ordinanza n. 2203 ne ha stabilito l’applicazione a decorrere dal 1 luglio 2003, ai sensi dell'art. 6 d.lgs. cit., mentre in coerenza con la regola generale di cui all'art. 5 cod.proc.civ., restano assegnate al giudice competente in base alla normativa previgente le controversie già pendenti e iscritte al ruolo alla data del 30 giugno 2003.

Precisando la nozione di marchio debole, la sentenza n. 14787 ha precisato che tale qualificazione del segno distintivo non incide sull'attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull'intensità della tutela che ne deriva: a differenza del marchio forte, per il quale sono illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l'identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l'idea fondamentale in cui si riassume,

caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante; per il marchio debole bastano ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte. Appare così ammissibile, per la sentenza n. 14684, la brevettabilità di una lettera dell’alfabeto come marchio d'impresa, dubitabile anteriormente alla riforma di cui al d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, ma più contestabile a seguito della nuova formulazione dell'art. 16 del r.d.

21 giugno 1942, n. 929, che include espressamente le lettere tra i segni suscettibili di registrazione, purché idonei a svolgere una funzione distintiva dei prodotti e dei servizi di un'impresa, e salvi i limiti di cui agli artt. 18 e 21 del r.d. cit.: le lettere dell'alfabeto, infatti, pur costituendo, in sé e per sé considerate, segni normalmente destinati ad una funzione comunicativa quali strumenti di linguaggio, possono essere utilizzate – come accade per le lettere di una lingua straniera - come segni identificativi di prodotti o attività. La funzione distintiva, in ogni caso, dev'essere intesa come idoneità ad individuare un prodotto rispetto ad un altro, mentre è estranea alla funzione del marchio – per la medesima pronuncia - la capacità d'indicare il produttore: l'azione di contraffazione mira infatti a tutelare la distintività insita nel collegamento che si crea tra segno e prodotto.

È stata poi conferita precisione d’indirizzo alla questione della registrabilità come marchio anche della ditta e della denominazione sociale, applicandosi i generali principi elaborati in ordine alla capacità distintiva e alla novità dei marchi, in quanto rispondenti alla ratio di assicurare al segno distintivo originalità e, appunto, novità, e perciò la indispensabile attitudine alla sua funzione: secondo la sentenza n.7651 a tale esito si perviene, per analogia, in difetto di un'espressa disciplina.

A sua volta il preuso locale di un marchio non registrato attribuisce al preutente la facoltà di continuare ad usarlo nel medesimo ambito territoriale anche dopo la registrazione da parte di terzi di un marchio simile od eguale, ma non anche il diritto di vietare al successivo registrante l'utilizzazione del marchio nella zona di diffusione locale: osservando, infatti, la sentenza n. 14787 il difetto di una norma che disciplini specificamente questo conflitto, a tale statuizione si può pervenire secondo un'interpretazione sistematica dell'art. 9 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929, alla luce delle altre disposizioni in tema di preuso (artt. 17 e 18), ma anche per il favor legis per il registrante, quale emerge sia dalla più intensa tutela (anche penale) riservata dall'ordinamento al marchio registrato, sia dalle disposizioni del d.lgs. 4 dicembre

1992, n. 480, attuative della disciplina comunitaria, le quali conducono a configurare, in materia, una sorta di “duopolio”, atto a consentire in ambito locale la coesistenza del marchio preusato e di quello successivamente registrato.

Con la sentenza n. 581, la Corte ha affrontato la questione delle condizioni per la configurabilità di un diritto di esclusiva sul software, evidenziando che la protezione del diritto d’autore nei programmi informatici si fonda, come per ogni altra opera, sul requisito dell’originalità che si rinviene anche quando il programma sia frutto di nozioni semplici se organizzate in modo autonomo e innovativo rispetto ai sistemi software preesistenti. Sempre in tema di diritto d'autore, la Corte ha stabilito che il provvedimento di sequestro, di cui all'art. 161 della legge 22 aprile 1941, n. 633, può avere eccezionalmente effetti nei confronti dei terzi, da intendersi secondo la sentenza n. 2873 in modo restrittivo, a tale stregua riconoscendosi soltanto quei soggetti rispetto ai quali la necessità di esecuzione del provvedimento non poteva essere nota o che non potevano essere individuati al momento della proposizione del procedimento cautelare.

7.4 Società di persone.

La sentenza n. 26012 del 2007 s’inserisce nell’alveo di pronunce della Suprema Corte che tendono a valorizzare la soggettività giuridica delle società di persone ed a separare nettamente la sfera giuridico-patrimoniale del socio da quella della compagine sociale. In particolare la Corte risolve positivamente il problema della validità della fideiussione rilasciata dal socio a garanzia di un debito della società di persone, riformando la decisione del giudice di secondo grado che ne aveva statuito la nullità, reputando che non vi fosse giustificazione causale nell’assunzione di una garanzia personale che pone a carico del socio gli stessi obblighi già derivanti dall’assoggettamento ex lege alla responsabilità patrimoniale illimitata per i debiti sociali. La Corte, con un’approfondita indagine delle disposizioni codicistiche che valorizzano l’alterità del patrimonio sociale (ed in particolare di quelle attributive dei poteri di rappresentanza e legittimazione a soggetti determinati), rispetto a quello personale del socio, riconosce la validità ed efficacia di tale fideiussione, precisando però che il principio non può trovare applicazione nel caso in cui la fideiussione sia prestata in favore di una società di perone successivamente assoggettata a concordato preventivo. La procedura concorsuale, secondo quanto stabilito dall’art. 184 l.f.

previdente, si estende ai soci che, conseguentemente, possono rispondere solo per la quota concordataria. Deve pertanto escludersi l’applicazione al socio fideiussore del secondo comma della disposizione sopra citata, secondo il quale i creditori garantiti da fideiussione stipulata prima della sottoposizione della società a concordato preventivo devono essere soddisfatti per intero: la norma, secondo la Corte e in adesione all’orientamento non uniforme ma prevalente, riguarda solo le garanzie assunte dai terzi e non quelle rinvenibili in capo ai soci.

7.5 Società per azioni.

In tema di presidenza dell'assemblea della s.p.a., la sentenza n. 19160 ha ritenuto inderogabile la norma organizzativa di cui all'art. 2371 cod. civ., la quale stabilisce che, in caso di assenza o impedimento del presidente, tale funzione spetti ad un consigliere scelto dallo stesso c.d.a., poiché per tale ipotesi subordinata la scelta è deferita alla maggioranza degli intervenuti. La sentenza n. 9909 ha affrontato il problema della limitazione procedurale della proclamazione del risultato: essa segna il momento conclusivo del procedimento di votazione in ordine ad ogni singola proposta sulla quale l'assemblea dei soci è stata chiamata ad esprimersi, non essendo dunque consentito, nella medesima riunione, procedere ad una seconda votazione sulla stessa proposta, salvo che in presenza di specifici ed accertati vizi della precedente votazione, i quali ne legittimano la rinnovazione, purché nel verbale ne sia dato puntualmente atto.

L'attribuzione all'amministratore di compensi sproporzionati o in misura eccedente i limiti della discrezionalità imprenditoriale, può essere oggetto d’impugnativa della delibera dell'assemblea della società di capitali per abuso o eccesso di potere, sussistendo il profilo della violazione del dovere di buona fede in senso oggettivo o di correttezza, in quanto l’atto persegue in prevalenza interessi personali estranei al rapporto sociale, con ciò danneggiando gli altri partecipi al rapporto stesso: quanto ai criteri – secondo la sentenza n. 15942 – occorre avere riguardo alla natura e alla ampiezza dei compiti dell'amministratore ed al compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni, e, in funzione complementare, alla situazione patrimoniale e all'andamento economico della società.

Quanto all’azione sociale di responsabilità, prevista dall'art. 2393 cod. civ., in una fattispecie precedente l'entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2003, la sentenza n. 11658 ha affermato che essa può formare oggetto di rinuncia e transazione, dunque, ai sensi dell'art. 806 cod. proc. civ., è anche deferibile al giudizio arbitrale. Ulteriore specificazione è stata approntata dalla sentenza n. 9901 che ha escluso che l'amministratore convenuto in giudizio, unitamente ad altri soggetti, con l'azione sociale di responsabilità, possa giovarsi, ai sensi dell'art. 1304 cod. civ., della transazione intervenuta tra la società ed i coobbligati solidali, qualora la transazione non sia stata autorizzata dall'assemblea con deliberazione adottata senza il voto contrario della minoranza qualificata prevista dall'art. 2393 cod. civ., trattandosi di un requisito prescritto a garanzia di tali soci.

Quanto all’azione del socio o del terzo danneggiato, esperibile ex art. 2395 cod. civ., la sentenza n. 8359 puntualizza che non rileva che il danno sia stato arrecato al socio o al terzo dagli amministratori nell'esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze e si tratta comunque di azione di natura extracontrattuale, un'applicazione dell'ipotesi disciplinata dall'art. 2043 cod. civ.

Facendo applicazione per la prima volta dell'art.148, comma 2, del d.lgs. n. 58 del 1998, in tema di nomina del collegio sindacale nelle s.p.a., è stata ritenuta illegittima dalla sentenza n. 19160 la modifica statutaria che attribuisca al consiglio di amministrazione il diritto di presentare una propria lista di candidati, con possibile integrale copertura dei posti disponibili, ciò implicando la violazione del diritto dei soci di minoranza di ottenere l'elezione di un loro candidato quale componente effettivo.

In tema di responsabilità solidale dei sindaci di s.p.a., integra violazione dei doveri di controllo, posti dall'art. 2407 cod. civ., l'omessa vigilanza circa il compimento da parte dell'organo amministrativo di irregolarità di gestione per operazioni non riportate nella contabilità: la sentenza n. 18728 ha applicato il principio negando anche ogni automatica liceità dei finanziamenti a favore delle società collegate poi fallite, se non risultano i vantaggi per la società amministrata, delle operazioni che la depauperavano, occorrendo un interesse economicamente e giuridicamente apprezzabile non coincidente con la logica dell'operazione interna al gruppo d'imprese.

In ordine alla validità ed efficacia delle deliberazioni aventi ad oggetto l’azzeramento e la ricostituzione del capitale sociale la sentenza n. 8221 ha stabilito che le regole contenute negli artt. 2446 e 2447 cod.civ. sono poste non solo a tutela dei scoi ma anche dei terzi. Conseguentemente ha ritenuta invalida la delibera di azzeramento e reintegrazione del capitale sociale fondata su una situazione patrimoniale non aggiornata e assunta sulla base di una determinazione delle perdite al lordo delle riserve enunciando il principio della corrispondenza temporale della situazione patrimoniale eventualmente integrata dall’ultimo bilancio di esercizio sulla base della quale si decide l’operazione di ricapitalizzazione e la data di convocazione dell’assemblea.