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8. DIRITTO DEL LAVORO

8.5 Diritto alla qualifica e mansioni

Sotto il profilo più generale dell’approccio al tema del diritto alla qualifica del lavoratore subordinato, la Corte ribadisce (con le sentenze n. 17896 e n. 5128) la necessità che il procedimento logico-giuridico, tramite il quale pervenire alla determinazione dell’inquadramento, si articoli in tre fasi distinte: accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, raffronto dei risultati di tali due indagini.

Sempre in tale più ampia prospettiva, trova, altresì, riaffermazione (sentenza n. 16015) l’orientamento il quale esclude che, nel nostro ordinamento, possa desumersi, in base agli artt. 3 e 36 Cost., un principio che imponga al datore di lavoro, nell’ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di retribuzione e/o di inquadramento a tutti i

lavoratori svolgenti le medesime mansioni. Peraltro, con la sentenza n. 1421, si è ritenuto che, comunque, il principio di irriducibilità della retribuzione, dettato dall'art. 2103 cod. civ., opera anche in relazione a fattispecie in cui il lavoratore percepisca una retribuzione superiore a quella prevista dal C.C.N.L. rispetto alle mansioni in concreto svolte e rimaste invariate anche nelle modalità del loro espletamento, qualora il rapporto sia regolato anche dal contratto individuale, se più favorevole; sicché, per ritenere annullabile quest’ultimo occorre che sia dedotto ed accertato, con relativo onere incombente sul datore di lavoro, che lo stesso sia stato determinato da errore e venga specificato l'oggetto dell'erronea rappresentazione dei fatti con i necessari connotati per renderla rilevante, con la conseguenza che, in difetto di tale rappresentazione, non può che valere la suddetta regola generale della irriducibilità della retribuzione.

Con la sentenza n. 7731, si è precisato che, ai fini dell’inquadramento nella qualifica superiore (nella specie, quella di capo ufficio del ruolo legale di azienda privata), la violazione dei principi della correttezza (art. 1175 cod. civ.) e della buona fede (art.

1375 cod. civ.) può configurarsi solo nell'ipotesi in cui vengano lesi diritti soggettivi già riconosciuti in base a norme di legge, riguardando le modalità di adempimento degli obblighi a tali diritti correlati; mentre le stesse regole non sono suscettibili di determinare obblighi aggiuntivi che non trovino, ai sensi dell'art. 1173 cod. civ., la loro fonte nel contratto, nel fatto illecito o in ogni altro atto o fatto idoneo a produrlo in conformità dell'ordinamento giuridico. Analogamente, in fattispecie relativa a pretesa qualifica superiore in forza di indicazione contenuta in bando di concorso per l’accesso al posto, poi abolita dal contratto collettivo integrativo stipulato successivamente alla pubblicazione del bando medesimo, la sentenza n. 15039 ha affermato che, ove sussista un obbligo (previsto, appunto, dal contratto collettivo) sulla cui portata non sorgono incertezze, e tale obbligo venga adempiuto, non vi è ragione di invocare i principi di buona fede e di correttezza che non operano come fonti autonome ed ulteriori di diritti se non nei limiti della previsione contrattuale.

La Corte, poi, con la sentenza n. 8596, riprende la linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite del 2006 (n. 25033), consolidando, anzitutto, l’indirizzo secondo cui l’art. 2103 cod. civ., quanto alla regolamentazione delle mansioni del lavoratore ed al divieto del declassamento di dette mansioni, consente un bilanciamento del diritto del

datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente con quello del lavoratore al mantenimento del posto; sicché, in costanza di scelte imprenditoriali legittime (come quelle di esternalizzazione dei servizi o di loro riduzione a seguito di processi di riconversione o ristrutturazione aziendali), l’adibizione del lavoratore a mansioni anche inferiori a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con la predetta norma, se essa rappresenti l’unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. E sempre nel solco delle Sezioni Unite innanzi richiamate si collocano le sentenze n. 16190 e n. 6043, che riaffermano la possibilità da parte della contrattazione collettiva (nella specie, quella relativa ai dipendenti postali), entro i limiti segnati dalla conformità all’art. 2103 cod. civ. (e cioè al divieto di indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità), di porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale che consentano la fungibilità funzionale tra le mansioni al fine di sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica.

Lo stesso principio è stato affermato dalla sentenza n. 5285, anche in riferimento ai dipendenti assunti sotto il precedente regime pubblicistico dell’Amministrazione Postale.

In tema, poi, di assegnazione definitiva delle mansioni superiori a un dipendente postale con funzioni di direzione di un ufficio classificato come unità di media rilevanza, che non aveva ultimato il periodo necessario, a causa del declassamento dell’ufficio dopo il decorso di cinque dei sei mesi previsti dalla contrattazione collettiva, la sentenza n. 9263 ha precisato che, nel caso di ristrutturazioni o riconversioni produttive, si esprime con la massima ampiezza la libertà dell'imprenditore, tutelata dall'art. 41 Cost., che garantisce allo stesso, tra l’altro, un’autonoma scelta sulla collocazione territoriale delle strutture produttive della sua impresa, nonché sulla distribuzione del personale tra dette strutture, scelte che egli può liberamente effettuare senza subire alcun sindacato sulla loro “razionalità” e

“adeguatezza economica”.

Peraltro, con la sentenza n. 251, si è ritenuto che, ove il datore di lavoro abbia natura giuridica privata, l’art. 2103 cod. civ. consenta in ogni caso il diritto alla promozione

alla categoria superiore, anche se, in base a norme regolamentari o convenzionali, l'ente datore di lavoro sia tenuto a ricoprire i posti vacanti mediante procedure selettive interne (in ipotesi, per anzianità e merito), giacché le dette norme, proprio perché convenzionali, non sono tali da poter costituire idonea fonte derogatrice rispetto all’art.

2103 cod. civ. Nell’ipotesi, poi, di bando per la qualificazione professionale dei dipendenti (nella specie, della S.p.A. Ferrovie dello Stato), ai fini del passaggio ad un livello superiore, si è affermato (sentenza n. 20729) che l’eventuale violazione da parte del datore di lavoro di un obbligo di comunicare l’esclusione dalla selezione non incide sulla validità ed efficacia del provvedimento di esclusione, ma rileva soltanto ai fini della diversa domanda di risarcimento dell'eventuale danno.

Sotto il correlato profilo del danno da perdita di chance in relazione a procedura finalizzata all’acquisizione, da parte del lavoratore, della superiore qualifica professionale, la sentenza n. 14820 è tornata sul tema dell’individuazione della chance, ribadendo che essa consiste nella mera possibilità di conseguire la promozione

a seguito della positiva partecipazione al concorso e va considerata come un'entità patrimoniale a sé stante, suscettibile di autonoma valutazione giuridica ed economica, sicché è onere del preteso creditore dimostrare, pur se solo in modo presuntivo, il danno conseguente alla lesione di tale chance, tramite il ricorso ad un calcolo delle probabilità che evidenzi i margini di possibile raggiungimento del risultato sperato, mentre è legittima, da parte del giudice di merito, una valutazione equitativa di tale danno, commisurata al grado di probabilità del risultato favorevole.

In riferimento all’ipotesi di reiterata assegnazione del lavoratore (nella specie, dipendente postale) a mansioni superiori per periodi inferiori singolarmente considerati al termine previsto dall'art. 2103 cod. civ., ma superiori per cumulo di più di esse, si è precisato (sentenza n. 9550), che siffatta modalità di adibizione può rivelare un intento del datore di lavoro meramente elusivo della disposizione finalizzata alla cosiddetta promozione automatica; intento elusivo che può essere escluso in forza della prova, il cui onere è a carico dello stesso datore di lavoro, che ad analoghe modalità si è fatto ricorso nella gestione delle assegnazioni provvisorie per assicurare la vacanza del posto da coprire obbligatoriamente per il tramite della procedura concorsuale o selettiva, e per il periodo necessario alla definizione di essa.

Si è così puntualizzato che la presunzione di preordinazione utilitaristica intesa ad

evitare la promozione non opera allorchè le applicazioni siano concomitanti allo svolgimento di una procedura concorsuale per la copertura del posto, circostanza che costituisce anzi presunzione di sussistenza di una esigenza organizzativa reale, idonea ad evitare il maturare del diritto al superiore inquadramento.

Non di rado, nel corso di quest’anno, la Corte ha avuto modo, poi, di soffermarsi su problematiche riguardanti la qualifica dirigenziale, sia in relazione al settore del lavoro privato, che, segnatamente, di quello pubblico.

Quanto al dirigente privato, viene ribadita la portata dei contenuti propri di siffatta qualifica, la quale, essendo caratterizzata dall’esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide sull'andamento dell'intera azienda o che attiene ad un autonomo settore produttivo della stessa, pur non essendo necessaria la preposizione all'intera azienda (sentenza n. 15489), implica lo svolgimento di compiti coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti, di qualsiasi livello (sentenza n. 16015).

In riferimento al dirigente pubblico, con la sentenza n. 3929 si è affermato che, nel sistema del lavoro pubblico c.d. “privatizzato”, la qualifica dirigenziale non esprime più una posizione lavorativa inserita nell'ambito di una “carriera” e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l'idoneità professionale del dipendente, che tale qualifica ha conseguito mediante il contratto di lavoro stipulato all'esito della prevista procedura concorsuale; sicché, il dirigente svolge le funzioni inerenti alla qualifica solo per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale attraverso un provvedimento al quale accede un contratto individuale abilitato a definire il corrispondente trattamento economico, il tutto in vista di determinati obiettivi.

Peraltro, la sentenza n. 9328 ha puntualizzato che la rilevanza delle specifiche attribuzioni regolate dal contratto di incarico non impedisce, ove vi sia la prova della pienezza, quantitativa e qualitativa, dello svolgimento delle mansioni assegnate, l’applicazione della disciplina relativa all'esercizio dell'espletamento di fatto di mansioni superiori.