Recentemente anche la disciplina del contratto a tempo determinato è stata interessata dall’introduzione di una fattispecie sanzionatoria amministrativa che coinvolge l’autonomia collettiva (40). Invero, prima con la legge 16 mag-gio 2014, n. 78, ed attualmente con l’articolo 23 del decreto legislativo n. 81/2015, è stata introdotta una specifica sanzione amministrativa per la vio-lazione del limite quantitativo del ricorso al lavoro a termine.
Nel dettaglio, il testo dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015, riprendendo il contenuto dell’articolo 1, comma 1, del decreto le-gislativo n. 368/2001, come modificato dalla legge n. 78/2014, dispone: «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi non possono essere
(39) In www.fareapprendistato.it.
(40) In relazione al ruolo, in generale, della contrattazione collettiva nella disciplina del
con-tratto a tempo determinato, cfr. G.ZILIO GRANDI, M.SFERRAZZA, In attesa della nuova
sunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione». La legge, al comma 2 di detto articolo, prevede una serie di eccezioni alla regola. La violazione del limite legale, o di quello contrattuale, di assunzioni a termine determina l’applicazione della sanzione amministrativa, prevista dal comma 4 dell’articolo 23, decreto legislativo n. 81/2015, di importo pari:
a) al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superio-re a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei la-voratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
b) al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superio-re a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei la-voratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno. Un utile studio ha evidenziato che la riforma del contratto a termine pro-mossa dal decreto-legge n. 34/2014 ha posto alcuni dubbi interpretativi che interessano il rapporto tra legge e contrattazione collettiva (41). Le questioni riguardano, tra l’altro, la clausola di contingentamento legale che fissa al 20% il tetto massimo di contratti a termine e che va a sovrapporsi alle per-centuali già fissate dalla contrattazione. L’esame effettuato dal gruppo di ri-cercatori sulla contrattazione collettiva di rilevanza nazionale e aziendale dimostra che il problema è tutt’altro che teorico. Solamente 3 contratti col-lettivi (Bancari, Agenzie per il lavoro, Metalmeccanici) sui 15 considerati non prevedono clausole di contingentamento del lavoro a termine. Negli al-tri settori, il limite percentuale oscilla da un minimo del 7% (Eletal-trici) ad un massimo del 35% (Autotrasporti). Analogamente, sono 13 i contratti azien-dali ad aver introdotto una clausola di contingentamento alla stipula di con-tratti a termine, con percentuali che oscillano da un minimo dell’8% ad un massimo del 25%. Con riferimento al tetto del 20%, secondo lo studio, con-siderata l’apertura della legge in favore della fonte pattizia e l’assenza di pre-visioni contrarie, il rinvio deve considerarsi dinamico e quindi assorbe quan-to definiquan-to dalle parti in sede negoziale precedentemente all’entrata in vigore del decreto-legge n. 34/2014 (42). Conseguentemente, la disciplina contrat-tuale dovrebbe prevalere anche se difforme al precetto legale.
(41) ADAPT, La riforma del lavoro a termine alla prova della contrattazione, Working Paper
ADAPT, 2014, n. 153.
(42) Per una puntuale analisi della contrattazione nazionale ed aziendale in merito alle
clau-sole di contingentamento del contratto a termine si rimanda a P.TOMASSETTI, Riordino delle
tipologie contrattuali e contrattazione collettiva, in M.TIRABOSCHI (a cura di), Le nuove regole del
lavo-ro dopo il Jobs Act. Commento sistematico dei decreti legislativi nn. 22, 23, 80, 81, 148, 149, 150 e 151 del 2015 e delle norme di rilievo lavoristico della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità per il
Il tema rileva anche nel diritto sanzionatorio, giacché occorre stabilire quale parametro deve essere considerato ai fini dell’applicazione della sanzione, se solo il limite legale ovvero anche quello convenzionale. In tal senso, la solu-zione proposta dallo studio menzionato è pienamente condivisibile, posto che il rinvio in questione è senz’altro da ritenersi dinamico, cioè alla fonte contrattuale come tale e non ad un determinato negozio, com’è proprio del rinvio statico. A questo conclusione conduce il favor del legislatore per la contrattazione collettiva – proveniente, peraltro, solo dai sindacati rappre-sentativi –, inteso ad incentivare l’istituto negoziale in sé, quale categoria astratta e non già quale singolo patto.
Sul piano sanzionatorio, la violazione da parte di una azienda della clausola di contingentamento regolata dal contratto collettivo di riferimento, do-vrebbe dare luogo alla sanzione amministrativa, in ragione del fatto che la contrattazione collettiva, nell’esercizio del rinvio legale, si sostituisce alla norma di legge e individua un nuovo standard (43). Quest’ultimo, per le aziende rientranti nel relativo campo di applicazione, o perché iscritte alla associazione datoriale firmataria o perché applicano il contratto collettivo volontariamente, ha “forza di legge” e quindi assorbe anche il regime san-zionatorio previsto dal legislatore in caso di violazione della fonte eterono-ma.
Dal punto di vista del modello integrativo funzionale, la fattispecie in argo-mento si presenta, pertanto, nel suo ordinario paradigma del rapporto legge suppletiva-deroga contrattuale. Come da regola generale di cui all’articolo 51 del decreto legislativo n. 81/2015, i contratti collettivi che derogano al limite
2016), Giuffrè, 2016, 345 ss. Questa dottrina, in merito alle interazioni tra legge e
contratta-zione collettiva ad opera del c.d. Jobs Act, individua le seguenti ipotesi: 1) deregolacontratta-zione le-gale e regolazione contrattuale in concorso, ovvero clausole della contrattazione collettiva che modifichino o integrino il precetto legale in assenza di una espressa riserva di legge in favore dell’autonomia collettiva (es. causali per la stipula di contratti a termine o clausole flessibili per la gestione del part-time), oppure che regolino o rinviino a istituti abrogati (es.
job sharing); 2) ipotesi di regolazione contrattuale e successiva regolazione legale in concorso,
ovvero clausole della contrattazione collettiva relative a un istituto solo successivamente normato dalla legge, con la quale contestualmente l’autonomia collettiva viene abilitata alla modifica del medesimo, tra cui rientra la fattispecie trattata nel testo delle clausole di tingentamento per il lavoro a termine; 3) ipotesi di regolazione legale e deregolazione con-trattuale in concorso, ovvero clausole della contrattazione collettiva che regolino istituti in attuazione di deleghe legali rimosse dal mutato quadro normativo (es. assunzione di lavora-tori in somministrazione in costanza di riduzione oraria).
(43) M.TIRABOSCHI, P.TOMASSETTI, Il nuovo lavoro a termine alla prova dei contratti collettivi, in
M.TIRABOSCHI (a cura di), Jobs Act: il cantiere aperto delle riforme del lavoro. Primo commento al d.l.
20 marzo 2014, n. 34 convertito, con modificazioni, in l. 16 maggio 2014, n. 78, ADAPT University
di contingentamento legale possono appartenere anche al secondo livello. Nella circolare n. 18/2014, il Ministero del lavoro ha confermato che la san-zione amministrativa prevista per il superamento del limite quantitativo per l’utilizzo di contratti a tempo determinato si applica anche al caso di supe-ramento del limite contrattuale. Essendo “aperta” la clausola di salvaguardia della contrattazione collettiva, la facoltà di deroga può orientarsi sia verso l’aumento sia verso la diminuzione del limite legale (44); inoltre, può preve-dere anche periodi diversi da quello legale per il calcolo della percentuale (45). Ne deriva il problema, non trascurato in dottrina, di verificare se siano punibili le violazioni tanto del limite maggiore che di quello inferiore al limi-te legale (46). Come già osservato, nel documento di prassi ministeriale non è reiterata la tesi, sostenuta nella circolare n. 8/2005 in tema di orario di lavo-ro, della funzione scriminante delle clausole contrattuali con conseguente applicazione “ovvia” del solo limite legale ai fini sanzionatori. In considera-zione della precedente presa di posiconsidera-zione del Dicastero, il più recente silen-zio sul punto genera non lievi dubbi applicativi, perché delle due l’una: o si ritiene che la successiva circolare abbia superato la precedente impostazione, ed allora la clausola contrattuale può sempre modificare anche in peius – per il datore – il precetto di legge, oppure si deve ritenere estensibile l’assunto
(44) Così anche A.PIZZOFERRATO, Il contratto a termine dopo il Jobs Act – atto I: l’insostenibile
ruolo derogatorio libero della contrattazione collettiva, in F.CARINCI (a cura di), La politica del lavoro
del Governo Renzi. Atti del X Seminario di Bertinoro-Bologna del 23-24 ottobre 2014, ADAPT
Uni-versity Press, 2015, 215, il quale, però, ritiene il limite di contingentamento derogabile in assoluto – seppure in chiave critica in relazione alla sua ardua compatibilità con i vincoli comunitari – sino alla sua eliminazione da parte dell’autonomia collettiva; contra P.
CAMPANELLA, Vincoli e sanzioni nel ricorso al contratto a termine: forma e tetti agli organici, ivi, 183,
che nega la possibilità di deroghe migliorative per il datore di lavoro: in tale ottica, i limiti pattizi potrebbero abbassare il limite legale, ma non innalzarlo o eliminarlo del tutto.
(45) Parte della dottrina (A. PRETEROTI, Il contratto di lavoro a tempo determinato, in G.
SANTORO PASSARELLI (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Privato e
pubblico, Utet, 2017, 404) segnala che la contrattazione potrebbe intervenire anche per
riferi-re il limite quantitativo alle singole unità produttive piuttosto che all’azienda nel suo com-plesso.
(46) Per la soluzione affermativa cfr. P.CAMPANELLA, op. cit., 183. Secondo F. CARINCI, Jobs
Act, atto I. La legge n. 78/2014 fra passato e futuro, Working Paper ADAPT, 15 ottobre 2014,
n. 164, 31 ss., è dubbio che la sanzione amministrativa in argomento, in forza della lettera della legge e della natura della medesima sanzione, possa essere applicata con riguardo alla
violazione di un contratto collettivo. Secondo M.BROLLO, La nuova flessibilità “semplificata”
del lavoro a termine, in ADL, 2014, n. 3, I, 588, nota 31, la sanzione sembrerebbe fare
riferi-mento solo allo sforariferi-mento del tetto legale del 20% dato che il rinvio letterale è «all’art. 1, comma 1», ma la stessa A. segnala che la norma fa «salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7», cioè i tetti individuati dai «contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sin-dacati comparativamente più rappresentativi».
della circolare n. 8/2005 anche al regime sanzionatorio del novellato con-tratto a termine e sanzionare il superamento del solo limite legale o di quello superiore contrattuale. Fa propendere per la prima soluzione la considera-zione esplicita, contenuta nella circolare citata, circa l’assenza di vincoli per la contrattazione con la conseguente possibilità di derogare il limite legale sia verso l’alto che verso il basso. Avendo il Dicastero precisato l’ampiezza dello spazio di deroga della contrattazione, il silenzio sulla punibilità del da-tore che violi una clausola negoziale di diminuzione del limite legale non può che essere ritenuto significativo. In ogni caso, è certamente da esclude-re, per evidente contrasto con il principio di eguaglianza ex articolo 3 Cost., l’ipotizzabilità di un trattamento differenziato delle ipotesi sanzionatorie previste per i tempi di lavoro rispetto a quella del tempo determinato.
Deve osservarsi che la questione riveste notevole rilevanza pratica, poiché la contrattazione collettiva delle varie categorie prevede spesso limiti di con-tingentamento che derogano il limite legale verso il basso. Ad esempio il CCNL Elettrici contempla il limite del 7%, quello Tessili e abbigliamento prevede il limite del 10% dei lavoratori a tempo indeterminato per le azien-de fino a 70 dipenazien-denti; ed addirittura il 5% per le azienazien-de con oltre 70 di-pendenti; il CCNL Carta aziende industriali prevede il 16% in media annua dei dipendenti occupati a tempo indeterminato in azienda al 31 dicembre dell’anno precedente; il CCNL Cemento aziende industriali contempla il 12% dei dipendenti a tempo indeterminato per ciascuna unità produttiva. Anche nel livello decentrato il fenomeno è tutt’altro che trascurabile: l’integrativo aziendale Sgm prevede la percentuale dell’8%, quello Flame spray del 10%, quello Peg Perego del 15%, e così via (47).
In ultimo, va posto il problema se la contrattazione possa tout court eliminare il limite di contingentamento, sia nel senso di non prevedere alcun limite, sia in quello di rimuovere un limite precedentemente fissato (48). Sul punto può sostenersi che tale eventualità, pur concepibile sul piano letterale, deve esse-re esclusa per due fondamentali ragioni, una ineesse-rente al sistema sanzionato-rio, l’altra al più generale contesto del diritto comunitario. Dal primo punto di vista, è evidente che la possibilità di eliminazione dei limiti quantitativi crea profili di contrasto con il principio di riserva di legge, nella misura in cui l’autonomia collettiva – sostituendosi al legislatore nella valutazione dei
(47) Si rimanda allo studio ADAPT, op. cit.
(48) In merito la dottrina è divisa: ad una prima impostazione favorevole alla possibilità di
azzeramento del limite di contingentamento (A.TREMOLADA, Il lavoro a termine e quello
som-ministrato: condizioni di legittimità e sanzioni civili, in M.BROLLO, C.CESTER, L.MENGHINI (a
cura di), op. cit.) si contrappone un’altra contraria (A.PANDOLFO, P.PASSALACQUA, Il nuovo
confini tra lecito ed illecito – obliteri una fattispecie sanzionatoria (cfr. supra cap. II, § 16). In relazione al secondo aspetto, l’ipotesi della rimozione del limite potrebbe sollevare una questione di compatibilità della disciplina normativa con il quadro comunitario di riferimento e segnatamente, con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (49). Tale ac-cordo, come del resto anche l’articolo 1 del decreto legislativo n. 81/2015, stabilisce che «i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavo-ratori». In tal senso, il Ministero del lavoro, nell’interpello n. 30/2014, ha escluso la possibilità di azzeramento del limite di contingentamento, sebbe-ne con riferimento alla sola contrattaziosebbe-ne di prossimità. Secondo la prassi ministeriale, i contratti di prossimità possono prevedere solo una diversa modulazione dei limiti di contingentamento, ma non rimuoverli del tutto, pena la violazione del diritto comunitario. Si deve in definitiva ritenere che, in assenza di limiti quantitativi nel contratto di riferimento, si applichi il li-mite legale (50). Pertanto, sono da ritenere illegittimi accordi come quello 21 agosto 2014 sul contratto a tempo determinato per gli studi professionali o società che amministrano condomini e patrimoni immobiliari o erogano servizi integrati agli edifici, che ammette le assunzioni a termine senza limiti quantitativi a fronte di ragioni oggettive, soggettive e di rioccupazione ivi elencate (51).
Come è stato condivisibilmente notato in dottrina, la struttura della sanzio-ne per la violaziosanzio-ne del limite di contingentamento rappresenta un’anomalia rispetto al sistema sanzionatorio amministrativo che, a norma dell’articolo 10 della legge n. 689/1981, si fonda su una sanzione pecuniaria consistente nel pagamento di una somma tra un minimo ed un massimo edittali (52). In effetti, tale struttura sanzionatoria, rapportata genericamente alla retribuzio-ne del lavoratore, rende incerti il calcolo e la effettiva determinazioretribuzio-ne della sanzione pecuniaria concretamente applicabile alla singola violazione.
Circa la ratio della nuova sanzione amministrativa, si è sottolineato che essa ha risolto il problema pratico di individuare i contratti da convertire, in
(49) La dottrina scorge quasi unanimemente il problema di compatibilità con il quadro
nor-mativo sovranazionale nell’ipotesi di eliminazione del limite di contingentamento. Si rinvia, tra gli altri, agli AA. di cui alle note precedenti.
(50) Così la nota della Direzione interregionale del lavoro della Lombardia 5 agosto 2015, n.
9117.
(51) Cfr. A.PIZZOFERRATO, op. cit., 213, nota 12.
(52) P. RAUSEI, Tra sanzioni civili e amministrative si gioca l’incertezza del contenzioso, in M.
TIRABOSCHI (a cura di), Jobs Act: il cantiere aperto delle riforme del lavoro. Primo commento al d.l. 20
zione all’ipotesi in cui il superamento della soglia sia determinato da una se-rie di assunzioni contestuali (53). Secondo questa dottrina, dal punto di vista considerato, non è irragionevole la previsione della sanzione amministrativa, anche perché la giurisprudenza della Corte di giustizia è ferma nel ritenere che le sanzioni per la violazione della direttiva comunitaria non debbano necessariamente consistere nella conversione, ma possano ben essere altre, l’unica condizione essendo che si tratti di misure proporzionate, effettive e sufficientemente dissuasive (54).
Secondo altro orientamento, il riferimento legislativo al dettato contrattuale determina una situazione particolare per le aziende che applicano più con-tratti collettivi, ad esempio, terziario per la rete di distribuzione e tessile per quella di produzione (55). In tali ipotesi, si debbono tenere distinte le posi-zioni del personale a cui si applica un contratto da quelle di coloro che, in-vece, hanno come riferimento l’altro accordo collettivo, con le conseguenti diverse percentuali del numero dei contratti a termine rispettivamente stipu-labili.