L’art. 130, co. 1 Cost. (ora abrogato) disponeva che “un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali”. Il comma successivo disciplinava il controllo di merito, da esercitarsi “in casi determinati dalla legge … nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione”.
Seppur, come noto, la posizione dei Comuni e delle Province nell’impianto originario della Costituzione diverga rispetto a quella della Regione – l’autonomia di quest’ultima trovava il proprio riconoscimento e i propri limiti all’interno della stessa Carta costituzionale mentre per gli altri enti locali la definizione della sua latitudine era rimessa all’intervento del legislatore statale – deve sottolinearsi che gli stessi “non sono enti regionali, cioè enti satelliti della Regione”, con
117 Il conflitto di attribuzione, infatti, può essere proposto – art. 39, co. 2 L. 31 marzo 1953, n. 87 – entro
sessanta giorni dalla notificazione, pubblicazione (ipotesi problematica) ovvero avvenuta conoscenza dell’atto ritenuto lesivo della sfera di competenza riservata dalla Costituzione allo Stato. Sul conflitto di attribuzione: Paladin L., Diritto costituzionale, Cedam, 1995, pag. 785. Stringenti sono, altresì, i termini per l’impugnativa giurisdizionale presso gli organi di giustizia amministrativa: l’art. 29 D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 prevede un termine decadenziale di sessanta giorni.
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56 l’ovvia conseguenza che il dettato costituzionale – nel rimettere i controlli ad un organo della Regione – appariva lesivo della loro autonomia nonché foriero di interferenze da parte di “interessi politici periferici”, quando sarebbe stato forse preferibile – attesa la natura neutra e vincolata dell’attività di controllo – rimettere la stessa ad un organo espressione dello Stato- comunità, quale la Corte dei conti119.
La riserva legislativa aveva trovato attuazione con la L. 10 febbraio 1953, n. 62 (c.d Legge Scelba), recante norme in tema di “Costituzione e funzionamento degli organi regionali”. Questa disciplina era caratterizzata da una amplissima latitudine dell’ambito dei controlli, estesi a tutti gli atti degli enti locali, sia amministrativi che – sull’assunto della genericità della formulazione dell’art. 130 Cost. (il controllo di esercita sugli “atti”) – di diritto privato (ad es., contratti)120.
Le perplessità sollevate dalla dottrina sulla stessa disposizione costituzionale trovarono puntuale conferma nella legislazione attuativa qualora si consideri che inizialmente l’organo di controllo – lungi dall’avere una connotazione neutra – era composto in maggioranza da cittadini eletti dal Consiglio regionale (tra i quali veniva nominato il Presidente), oltre che da rappresentanti dello Stato (con l’eccezione di un magistrato amministrativo), la qual cosa lo rendeva soggetto “alle più diverse sollecitazioni del mondo politico locale e dell’amministrazione centrale, con ovvi riflessi sull’autonomia dei giudizi di controllo”121.
La L. 8 giugno 1990, n. 142, oltre ad espungere dall’ordinamento il controllo di merito, si caratterizza per la limitazione degli atti assoggettati al controllo preventivo di legittimità alle sole deliberazioni del Consiglio e, se dichiarate urgenti, della Giunta (controllo necessario) nonché alle deliberazioni di Giunta che essa stessa intendesse sottoporre a controllo (controllo facoltativo). Era, inoltre, previsto un controllo su richiesta, scritta e motivata, di una minoranza di qualificata di consiglieri sulle deliberazioni di Giunta ritenute illegittime, nei limiti delle illegittimità denunciate.
119 Sandulli A. M., I controlli di legittimità nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, pag. 582, per il
quale “sottrarre allo Stato-amministrazione il controllo di legittimità sui minori enti territoriali può significare infatti far transitare quegli enti da un asservimento agli interessi politici del centro a un asservimento agli interessi politici periferici”.
120 Sandulli A. M., I controlli di legittimità nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, pag. 584. 121
D’Auria G., I Controlli, in Trattato di Diritto Amministrativo, a cura di Sabino Cassese, Tomo secondo, Giuffrè, 2003, pag. 1500.
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57 Successivamente, per esigenze di contrasto alla criminalità organizzata, venne introdotta – art. 16, co. 1 bis L. 19 marzo 1990, n. 55 – la possibilità per il Prefetto di richiedere l’esercizio del controllo preventivo di legittimità sulle deliberazioni degli enti locali aventi ad oggetto acquisti, alienazioni, appalti e, in generale, tutti i contratti.
La L. 15 maggio 1997, n. 127, poi trasfusa nel D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, segna una fase importante nell’evoluzione dei controlli di legittimità sulle autonomie locali, con: a) la riduzione degli atti assoggettati al controllo preventivo di legittimità, limitato agli statuti dell’ente, ai regolamenti di competenza del consiglio (esclusi quelli – interni – attinenti alla autonomia organizzativa e contabile; l’esclusione vale, altresì, per gli atti generali), ai bilanci annuali e pluriennali, relative variazioni – escluse quelle adottate in via d’urgenza dalla Giunta – e al rendiconto sulla gestione122; b) l’attribuzione al difensore civico comunale e provinciale, se istituito, dell’esercizio
del controllo a richiesta, con la precisazione che la “misura” del controllo non era costituita dall’annullamento dell’atto, quanto da un semplice “invito” all’amministrazione a rimuovere le illegittimità riscontrate; in tal caso, la deliberazione acquistava efficacia se confermata dalla maggioranza assoluta dei componenti il consiglio comunale o provinciale.
Deve, inoltre, sottolinearsi che il controllo del comitato regionale assumeva una valenza limitata alla legittimità formale ed esteriore dell’atto, come si evince dal tenore letterale dell’art. 133, co.1 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per il quale il controllo di legittimità comporta la verifica della conformità dell’atto alle norme vigenti e alle norme statutarie, ma solo “per quanto riguarda la competenza, la forma e la procedura”, con esclusione, pertanto, della possibilità di annullamento motivata “in relazione ai principi generali dell’ordinamento”123, motivata
sull’assunto che, da un lato, la nuova normativa recava la soppressione dell’inciso riferito ai suddetti principi, chiaro segno della volontà del legislatore di espungerli dal novero dei vizi rilevanti in sede di controllo, dall’altro, il riferimento a norme specificamente indicate, ossia chiaramente individuate, senza che residui spazio alcuno per riferimenti a principi superiori.
Assume, inoltre, notevole interesse la limitazione prevista dallo stesso articolo all’esame del bilancio preventivo e del rendiconto, dove il controllo si fermava al dato esteriore della
122 Cons. Stato, I, 14 ottobre 1998, n. 219 (con nota di commento di Sciullo G., La riforma del controllo sugli
atti delle amministrazioni locali al vaglio del Consiglio di Stato), in Le Regioni, 1999, pagg. 155 e 171.
123 Cons. Stato, I, 14 ottobre 1998, n. 219 (con nota di commento di Sciullo G., La riforma del controllo sugli
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58 “coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché con i documenti giustificativi allegati alle stesse” (co. 2), senza alcuno scrutinio in ordine alla sana gestione finanziaria e al rispetto degli equilibri di bilancio, parametri destinati ad assumere un peso crescente nella legislazione successiva, seppur rimessi a organi di controllo interni o a soggetti imparziali quali la Corte dei conti124.
L’armonia con la Costituzione e, in particolare, con il disegno pluralista in essa contenuto, si esprime nell’attenuazione della invasività dei controlli, da un lato, limitati ad atti fondamentali, evitando così di “ingessare” l’attività amministrativa, dall’altro, evitando la pervasività propria di un sindacato potenzialmente in grado di “imporre” valutazioni politiche o, comunque, interpretazioni giuridiche espressione di altri ordinamenti (statale o regionale), pericolo insito nel contemplare tra i parametri di giudizio i “principi generali dell’ordinamento”, per non parlare della previsione di vizi di legittimità maggiormente “fluidi”, quale l’eccesso di potere.