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Controllo sociale e trattamento della donna criminale

La criminalità e la devianza femminile: questioni aperte In questo capitolo intendo approfondire in maniera più sistematica alcune

2.6 Controllo sociale e trattamento della donna criminale

Il termine controllo sociale appare alla fine dell'800 come sinonimo di difesa sociale, inteso come diritto della società di difendersi dai criminali. Si sviluppano poi diverse linee di interpretazione. In una prima declinazione di questo concetto il controllo sociale comprendere tutti i fenomeni e i processi che contribuiscono a regolare il comportamento umano stabilendo rapporti tra più soggetti in vista del mantenimento dell'ordine sociale che include: la morale, il diritto, l'educazione... in pratica tutti gli elementi che definiscono la cultura e contribuiscono alla interazione sociale

In una seconda definizione, il controllo sociale comprende tutti i modi e i mezzi mediante i quali le persone si influenzano a vicenda dall’influenza

diretta di un gruppo sui suoi membri o di un soggetto sull'altro, all’influenza dei gruppi di potere e/o classi sulla collettività, all’influenza delle istituzioni come la legge su tutti i membri della società.

Infine, una terza definizione considera l'essenza del controllo sociale nella reazione al comportamento deviante. In questa accezione, il controllo sociale esiste in quanto esiste un atto deviante e comprende “l'insieme delle reazioni formali e informali, coercitive e persuasive che sono previste e/o messe in atto nei confronti del comportamento individuale e collettivo, ritenuto deviante e dirette a stabilire e mantenere l'ordine sociale in tale unità” (Cesareo, 1983: 189). Se consideriamo questa definizione in un’ottica processuale è necessario considerare i seguenti passaggi: definizione giuridica del comportamento deviante, la presa di decisione nei confronti del deviante e l'attuazione di un provvedimento.

La specificità femminile già precedentemente citata in tema di controllo sociale consiste nel fatto che spesso non viene distinto dalla socializzazione, tanto che nel caso delle donne spesso la socializzazione e il controllo sociale sono considerati due processi non distinguibili (Ambroset, 1984: 33). Parsons ha definito la socializzazione come l'insieme dei meccanismi medianti i quali i soggetti agenti acquistano gli orientamenti necessari per lo svolgimento dei loro ruoli nel sistema sociale, mentre i meccanismi del controllo sociale sono coinvolti nell'equilibrio tra la generazione delle motivazioni contrapposte al ristabilimento del processo stabilizzato di interazione (Parsons, 1965: 490).

Per le donne il controllo sociale si attua spesso attraverso la socializzazione perchè l'acquisizione di un ruolo per le donne è un processo meno elastico in cui la deviazione è meno tollerata rispetto all'uomo. Nel caso delle donne esiste sempre un ruolo considerato naturale che è quello di madre. Poiché la sopravvivenza sociale dipende da questa funzione specificatamente femminile la società si assicura di prevenire qualsiasi forma di devianza da questo. Inevitabilmente il processo di socializzazione finisce con il coincidere con un processo di controllo sociale: “Per le donne, come per i minori, il controllo sociale agiva direttamente su comportamenti che oggi definiremo devianti, mentre per gli uomini la condizione che veniva a determinare una

reazione sociale istituzionale era il fatto di avere compiuto un reato (Ambroset, 1984: 34).

La definizione di controllo sociale che ne individua l'essenza nella reazione al comportamento deviante si rivela particolarmente efficace nell'analisi della criminalità femminile. In particolare:

• la definizione legale di un comportamento deviante spesso è la prima fase del controllo sociale e nel caso delle donne è scollegata da quelle che sono le definizioni sociali;

• la fase di etichettamento è la seconda fase nel processo del controllo sociale e si avvia sia nel caso dell’infrazione di una norma giuridica sia di una consuetudine o norma sociale. In questo fase del controllo sociale emrge il ruolo delle donne in quanto la scoperta della deviazione, ad esempio nella vita quotidiana, è una loro prerogativa e, analogamente, hanno sempre più assunto funzioni strategiche nello svelare la devianza, assistenti sociali, psichiatre, insegnanti, anche se sempre in ruoli in cui l'azione di controllo sociale è difficilmente distinguibile da quello di assistenza e protezione. In questa fase il controllo sociale si esplicita non solo nell’individuare il comportamento e nel definirlo tale, ma cnhe nell’identificare la reazione possibile. Possiamo distinguere tre tipi di reazione: a) reazione valutativa, che consiste in ciò che i membri del gruppo ritengono dovrebbe accadere a chi compie un determinato atto. In questo caso le donne sono sempre state più rigide e severe soprattutto se la devianza è attuata da altre donne b) reazione legale, operata tramite l'applicazione delle leggi dai soggetti ufficialmente investiti da questa responsabilità e in questo ambito le donne sono state per lungo tempo escluse c) reazione di attesa, che riguarda le credenze popolari relative a ciò che realmente capiterà;

• l’ultima fase riguarda l'attuazione del provvedimento individuato da parte delle agenzie formali e informali deputate a farlo. Per le donne il provvedimento principale è stata l'istituzionalizzazione con una prospettiva riabilitativa, considerandole non come colpevoli ma come malate che, se sottoposte a opportuni trattamenti, saranno condotte alla guarigione. La

Smart, sostiene che nella maggior parte degli istituti di pena femminili da lei considerati i metodi applicati finiscono per rafforzare i ruoli tradizionali e stereotipati della donna nella nostra cultura. Le detenute normalmente hanno l'opportunità di imparare a cucire, cucinare e ad eseguire altri lavori domestici (potevano, adesso fanno anche cose diverse) con l'obiettivo di ridurre la recidiva. Il ragionamento pare il seguente: poichè viene individuato un nesso fra la presenza di caratteristiche non naturali (non passive, non gentili e poco premurose...) e criminalità, rinforzando le caratteristiche naturali femminili e consolidandole si previene la devianza. In questo modo, le teorie criminologiche sulla devianza femminile possono servire a legittimare gli orientamenti del sistema penale, fornendo giustificazioni scientifiche al trattamento delle donne devianti come casi individuali di malattia, come comportamenti irrazionali, irresponsabili e ampiamente inintenzionali, una specie di disadattamento individuale in una ben ordinata società del consenso (Smart, 1981: 164).

Il secondo provvedimento è stato il processo di medicalizzazione della devianza femminile, in sintonia con tutte le teorie che vedono la donna delinquente meno consapevole dell'uomo nell'agire delinquenziale. Quanto detto sul controllo sociale e la specificità femminile è confermato già dagli studi sulle adolescenti a partire dagli anni ‘60 che mettono in evidenza come la maggior parte delle detenute era stata incarcerata per “the big five: running away from home, incorregibility, sexual offenses, probation violation and truancy” (Vedder and Sommerville, 1973: 60). Si tratta di status

offenses, atti non criminali ma di offese alla moralità. Chesney-Lind, nei suoi

studi più recenti sul trattamento delle adolescenti nel sistema penale americano, conferma che “girls charged with status offenses were often more harshly treated than their male or female counterparts charged with crimes” (Chesney-Lind, 2004: 54) e sottolinea la presenza di un doppio binario nel sistema di giustizia minorile negli Stati Uniti all’interno della stessa popolazione femminile: le ragazze nere sono incarcerate o poste in scuole di formazione, le bianche finiscono in strutture private per adolescenti

con problemi mentali2.

Mentre il diritto penale è tenuto ad essere applicato equamente indipendentemente dal tipo di reato, questa prescrizione è stata per molto tempo disattesa nel caso di uomini e donne, il sesso, ma anche lo stato coniugale, hanno spesso interferito nella definizione penale di un reato, nell'accertamento della colpevolezza e nella tutela della vittima e dell'imputato (es. stupro, infanticidio).

Secondo la Smart infatti “le stesse forze dell'ordine subiscono nelle loro azioni l'influenza delle stesse leggi che hanno il dovere di applicare, esiste ancora un'ampia area discrezionale in cui atteggiamenti individuali o di gruppo acquistano importanza nel trattamento dell'imputato o della vittima...all'interno di queste aree discrezionali che le opinioni stereotipate sulla donna, combinate con le volgarizzazioni delle teorie sulla criminalità femminile e con i doppi- standards di moralità, possono produrre varie forme di discriminazione contro le donne” (Smart, 1981: 148).

È interessante riproporre come conclusione a questo capitolo alcune considerazioni della Smart (1981), per la quale le teorie sociali sono troppo spesso attività astratte, indipendenti e remote dal mondo sociale che tentano di capire e spiegare. Di conseguenza il lavoro teorico è raramente considerato in rapporto ai suoi effetti sui fenomeni sociali esaminati. Questo anche nel caso della criminologia in cui pochi studi sono dedicati al problema dei rapporti tra teorie sociali sulla criminalità femminile, concetti sulla donna criminale, sistema sociale e trattamento delle donne devianti. Il processo mediante il quale le teorie sociali possono influenzare o modificare le nostre conoscenze e i nostri atteggiamenti relativi alla criminalità non è di per sé evidente. Tuttavia le teorie criminologiche hanno spesso riprodotto i paradigmi predominanti sulle donne (come irrazionali, prepotenti e nevrotiche) anche nelle spiegazioni sulla devianza femminile e hanno poi a loro volta influenzato i concetti generali sulla donna criminale.

2 Nel 1974 Juvenile Justice and delinquency prevention Act in cui si deistituzionalizzano le status offenses ha inevitabilmente portato ad una caduta dei tassi di criminalità e devianza femminile delle adolescenti.

Capitolo 3