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La questione della generalizzazione della criminalità femminile

La criminalità e la devianza femminile: questioni aperte In questo capitolo intendo approfondire in maniera più sistematica alcune

2.3 La questione della generalizzazione della criminalità femminile

La questione della tipicità dei reati femminile, introduce la domanda: chi sono le donne devianti e perché deviano? La risposta varia a seconda dell’approccio teorico alla devianza e viene definito chiaramente da Chesney Lynd come problema della generalizzazione, ovvero della validità e della applicabilità al femminile delle teorie della criminalità maschile (Chesney Lynd, 1988).

Nel capitolo precedente ho messo in evidenza come le norme sociali e culturali abbiano per le donne un peso spesso maggiore di quelle giuridiche. Poichè poi le norme sociali riflettono una visione della donna fortemente ancorata a quelli che sono ritenuti ruoli naturali, le donne finiscono per essere ancora più soggette alla natura che alla cultura: “la donna rimane figlia della Natura piuttosto che della civiltà; la cultura è passata nel suo sangue assai meno che in quello dell’uomo e più di lui sente il bisogno di evadere (Niceforo, 1952: 106). Di conseguenza “la gamma di comportamenti riconosciuti come legittimi è, per la donna, molto ridotta e si esplica sempre nello spazio e nella sfera ad essa deputati. Chi valica il confine è fuori dalla norma che per la donna non è norma sociale, ma la natura stessa che la fa essere ciò che deve essere e che non le consente di essere qualcosa di diverso, pena la sua esclusione dalla sfera naturale” (Chesler, 1972: 18).

Sonia Ambroset sostiene che i positivisti hanno parlato della specificità femminile “al maschile” e hanno quindi fondato una criminologia femminile a partire dalle loro concezioni bio-antropologiche. Attualmente è necessario identificare questa specificità utilizzando conoscenze che fanno parte della storia delle donne e che da esse sono state elaborate (Ambroset, 1984) e, per questo motivo prende in considerazione tre concetti fondamentali per mettere in evidenza e comprendere la specificità femminile: norma, identità e

controllo.

Per quanto riguardo la norma la specificità femminile consiste nel fatto che per le donne storicamente il referente principale, più che per gli uomini, è stata la norma sociale o morale più che la norma giuridica a tal punto che era prevista l'istituzionalizzazione anche per le donne che, pur non commettendo reati, si allontanavano dalle norme sociali. Anche per quanto riguarda la norma giuridica le donne presentano una loro specificità: minore imputabilità e

normativo quotidiano con cui si intende il ruolo fondamentale che le donne

svolgono nel processo di trasmissione e controllo delle regole del vivere quotidiano (Ambroset, 1984). Nel prendere in considerazione la popolazione femminile, qualsiasi analisi non può prescindere dallo studio della vita quotidiana, nella casa, nella famiglia, nelle reti di amicizie e conoscenze nell'attività lavorativa: “le donne, a differenza degli uomini, hanno del quotidiano un’esperienza particolarmente significativa e contraddittoria: da una parte a esse ne è di fatto demandata la gestione, dall’altra è questo l’ambito nel quale ha origine, si perpetua e si rafforza la loro subalternità” (Ambroset, 1984: 17).

È importante quindi cogliere la complessità, la non ovvietà di questo spazio per comprendere i processi di costruzione sociale che si esprimono nella vita di tutti i giorni, nella vita quotidiana definita da Gallino come “l'insieme delle attività, delle conoscenze di senso comune, delle relazioni sociali, delle tecniche, degli usi, delle rappresentazioni, delle credenze, degli affetti, degli oggetti, degli strumenti con i quali gli esseri umani riproducono giorno per giorno, in gran parte con atti privati, le loro condizioni di esistenza, e con esse quelle delle istituzioni della società in cui vivono. La sfera della quotidiano è la ripetitività finalizzata alla pura riproduzione dell'esistente, senza residui o surplus utilizzabili per uno scambio materiale con altri” (Gallino, 1978: 745).

In questa definizione si esclude il lavoro svolto al di fuori delle mura domestiche anche se in realtà questo è strettamente collegato al modo in cui viene vissuta la realtà della famiglia e della casa, partendo dal presupposto che proprio il privato è il punto di partenza del modo di vivere il lavoro esterno.

Per la Ambroset il lavoro esterno è subalterno a quello domestico anche se nella dimensione sociale si trasferisce tutta la ambiguità e contraddittorietà, come anche le potenzialità, che caratterizzano la vita in famiglia. Di conseguenza il luogo privilegiato di riproduzione di tutto il sistema sociale è il quotidiano, che per le donne si esplica principalmente nell'ambiente domestico.

Per quanto riguarda il tema dell’identità, la specificità femminile è data dal fatto che la costruzione dell'identità femminile passa attraverso il quotidiano sia che si esplichi nel privato sia nel sociale: se si considerano i processi attraverso cui si costruisce l'identità (auto-identificazione e etero- identificazione) nel processo di costruzione dell'identità femminile la sua specificità è che, storicamente, anziché condurre all'autonomia consolidava la passività e la dipendenza delle donne.

Infine, per quanto riguarda il controllo sociale, la Ambroset sottolinea come in ogni dinamica di controllo sociale ognuno di noi è coinvolto nel ruolo di controllore e controllato. Anche se gli studi al riguardo non sono numerosi, la specificità femminile emerge nel fatto che le donne hanno sempre svolto un ruolo fondamentale come agenti del controllo: hanno da sempre sorvegliato, punito, educato sia attraverso il processo di socializzazione primaria all'interno della famiglia e nella scuola, sia attraverso le istituzioni e l'acquisizione di ruoli pubblici adibiti al controllo, avendo la possibilità, anche inconsapevole, di contribuire sia alla conservazione sia al mutamento delle dinamiche del controllo sociale in un ruolo che le ha viste più come dure conservatrici che decise innovatrici.

A differenza di quello che generalmente si pensa, sono state adottate nei confronti delle donne misure di controllo sociale non solo informale ma anche istituzionale già a partire dal XIV secolo. Il controllo istituzionale a quelli che oggi vengono definiti comportamenti devianti è precedente alla sua formulazione teorica e proprio la loro esistenza ha contribuito a fissare la definizione e le forme della devianza femminile. Le prostitute sono state senza dubbio le donne più perseguitate: a partire dal XIV secolo gli istituti esistenti erano totalmente destinate alla prostitute per quelle che volevano convertirsi,

per quelle che non potevano più esercitare la loro attività tanto che alcuni ordini di religiose sono nati proprio dalla conversione di prostitute.

Come ho già sottolineato nel paragrafo precedente, spesso il controllo istituzionale veniva esercitato non tanto sulla base di fatti accaduti, ma sulla base di quelli che sarebbero potuti accadere in un’ottica, potremmo dire, di prevenzione: le ragazze orfane, povere, a rischio, diremmo oggi, in altre parole le ragazze delle classi più povere, costituivano la categoria per cui la prostituzione non solo era una possibilità ma una realtà operante, ed era ritenuto necessario rinchiuderle non per ciò che erano ma per quello che sarebbero potute diventare: “Non era quindi il comportamento in sé che veniva colpevolizzato ma la non accettazione del proprio status e del proprio ruolo” (Ambroset, 1984: 41). Lo stesso rischio correvano le donne sole, quelle che non avevano un uomo accanto, pericolose perchè potevano sedurre uomini rispettabili, fare scelte moralmente sconvenienti ed esibire una libertà che poteva suscitare l’invidia e il desiderio di imitazione di altre donne.

Anche le ragazze ricche venivano controllate perchè anch'esse dovevano adeguarsi alla regole che il loro status imponeva e alle aspettative relative al loro ruolo sociale: ragazze il cui futuro era segnato dal matrimonio per la definizione del loro status sociale e potremmo dire oggi della loro identità. Affinchè fosse il migliore possibile era necessario prepararsi acquisendo gli strumenti necessari da impiegare secondo canoni convenzionali.

Esistevano istituti per ragazze ricche in cui questi compiti venivano insegnati, fondati principalmente da religiose o nobildonne e gestiti da monache. Il loro scopo principale era confermare la validità delle norme che regolavano la vita delle donne sostenendo il ruolo di moglie e di madre. L'opera rieducativa ed educativa si concretizzava soprattutto attraverso l'insegnamento della religione e solo dopo la seconda metà dell'800 gli istituti cominciarono ad essere gestiti anche da donne laiche e l'opera educativa venne ad assumere caratteristiche differenti con un'importanza maggiore per l'opera preventiva di protezione dell'infanzia.

É fondamentale sottolineare che in questi istituti il controllo sociale è sempre stato gestito concretamente e quotidianamente dalle donne stesse

fossero monache, aristocratiche, ex ricoverate pentite...“ed è un fatto che le donne controllori erano molto severe nei confronti delle donne ristrette ed utilizzavano quotidianamente ogni sorta di ricatto affettivo ed emotivo per raggiungere il loro scopo di riadattamento sociale” (Ambroset, 1984: 46).

Il controllo è stato per lungo tempo esercitato dalle donne in maniera assolutamente acritica e solo all'inizio del '900 si assiste ai primi cambiamenti promossi in primo luogo proprio dalle donne che avevano un reale interesse nello sperimentare approcci differenti da quelli usati dagli uomini nella comprensione di un problema che le riguardava molto da vicino. Contemporaneamente al processo di de-istituzionalizzazione, si modifica il controllo esercitato sulle donne con nuove figure professionali e nuove modalità di intervento fra cui:

• la condanna condizionale (1904): sospensione della condanna per un certo tempo trascorso il quale se non sono stati commessi altri reati la condanna non si esegue più, in caso contrario si aggiunge a quella nuova;

• la libertà vigilata: far sorvegliare il colpevole di un reato all'esterno dell'istituto o del carcere, nel suo ambiente di vita;

• l’affidamento familiare: ritenuto particolarmente adatto per le ragazze perchè più facilmente controllabili dalle famiglie affidatarie e perchè potevano svolgere compiti ad esse adeguati (cameriere, balie...)