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Il positivismo e la neutralità della scienza criminologica

Nel documento Ragazze trasgressive in cerca di identità (pagine 117-121)

Per una epistemologia della differenza nella ricerca criminologica

4.1 Il positivismo e la neutralità della scienza criminologica

La criminologia nasce e si definisce come disciplina specifica in un contesto in cui il modello conoscitivo e interpretativo era quello positivista, nella criminologia come in tutte le contemporanee scienze sociali, e in un contesto in cui la comunità scientifica era costituita inevitabilmente e quasi esclusivamente da uomini.

scientifico e in quanto tale non era ritenuto influenzabile dalla visione del mondo del ricercatore. La convinzione era di potere garantire neutralità scientifica, sospendere i propri pregiudizi nell'analisi di un problema o di una questione, che fosse possibile che l'identità di chi realizzava uno studio non lo influenzasse. Nella criminologia, così come nella sociologia e in generale nelle scienze sociali, gli uomini si sono dedicati alla ricerca considerando come oggetto di studio altri uomini senza ritenere che la loro appartenenza di genere potesse in qualche modo riflettersi nei loro studi: le scelte non erano vissute come tali ma come se non potesse essere diversamente.

Lombroso e Ferrero costituiscono in questo panorama un'eccezione, nel senso che normalmente i criminologi uomini si erano dedicati esclusivamente allo studio degli uomini, non in quanto uomini ma in quanto criminali, e visto che i criminali erano principalmente uomini, questo era il logico punto di partenza della disciplina senza che i motivi per cui venivano studiati solo gli uomini venissero presi in considerazione. Le donne erano invisibili non in quanto criminali, ma in quanto donne e lo era ugualmente la loro invisibilità. Le donne erano assenti come criminali, come non criminali e come vittime: “criminology was simply the study of criminal man, but criminal man could be studied without reference to his gender. By necessary implication, man were beings whose gender was not crucial to their identity; it was only women who constitued a particular sex” (Naffine, 1997: 20). Lombroso e Ferrero costituiscono un'eccezione nel senso che hanno ampliato l’oggetto di studio, senza, ovviamente, mettere in discussione il metodo: la differenza fra uomini e donne è un fatto, è una differenza biologica naturale e come tale è stata affrontata.

Una prima corrente di criminologhe ha, nonostante le critiche rivolte alle tesi e alle teorie di Lombroso e Ferrero, comunque assunto il punto di partenza dell'approccio positivista, inserendo la differenza di genere, senza però contestare o mettere in discussione i presupposti epistemologici: “the concern was that women had been left out of the researches of scientists and result was a necessarily skewed and distorced science. It accounted for men and explained their behaviour in a rigorous and scientific way, but it did not

accounted for women, though it purported to do so” (Naffine, 1997: 30). Le studiose positiviste, the feminist empiricists, hanno inserito la questione femminile e del genere accettando però l'assunto centrale della epistemologia positivista, kantiana, che le cose hanno una loro esistenza indipendente: i fenomeni naturali, e al loro pari i fenomeni sociali possono essere studiati come fatti, in maniera scientifica e neutrale.

“Feminist empiricism endeavours to develop a scientific understanding of women as the missing subjects of criminology, to document their lives both as offenders and as victims” (Naffine, 1997: 30) mettendo in evidenza la visione stereotipata relativa alla condizione femminile nella criminologia tradizionale e rendendo visibili le donne delinquenti.

Emerge un primo livello di consapevolezza relativo alla appartenenza di genere che si traduce nel dare visibilità alle donne nelle indagini e nella critica agli stereotipi sulla natura femminile senza però mettere in discussione il fatto che sia possibile fare ricerca in maniera neutrale, rimuovendo gli effetti e i condizionamenti della propria identità e senza sviluppare una riflessione su come l’appartenenza di genere possa riflettersi nelle o condizionare le attività della ricerca.

Questo ha comunque consentito a Loraine Gelsthorpe e Allison Morris (1990) di mettere in evidenza la misoginia della teoria criminologica e delle politiche e le pratiche del sistema giudiziario o a Carol Smart, già ampiamente citata, in Women, Crime and criminology: a feminist critique del 1977, di sviluppare una critica fondamentale su come le donne sono state considerate nella teoria criminologica e come le pratiche del sistema giudiziario le hanno discriminate. La Smart sostiene che gli studi sperimentali possono fare luce sul fenomeno solo se partono da un orientamento nuovo nello studio della criminalità femminile mentre fino ad oggi la donna e il crimine sono stati trattati come un settore separato all’interno della criminologia, un capitolo specifico, una volta finito il quale si ricomincia ad occuparsi di questioni “reali, importanti”: la criminalità e la delinquenza maschile garantendo alla criminologia di restare indifferente alla critica femminista (Smart, 1981: 14).

momento in cui era funzionale trasformarla in un evidente problema sociale su cui scatenare ondate di moral panic: vi è infatti ragione di pensare che “se i rappresentanti del controllo sociale e dei mezzi di comunicazione di massa si sensibilizzassero a questo “nuovo problema”, i loro successivi interventi potrebbero portare ad una crescita dei tassi di criminalità e ad un progressivo aumento di segnalazioni relative a reati, a violenze o ad atti delinquenziali a carico di donne o di ragazze (Smart, 1981: 14).

Propone quindi la formulazione di una prospettiva alternativa, quella storica: “Se la criminalità femminile venisse considerata in una prospettiva storica allora il tema delle donne e crimine non apparirebbe tanto un nuovo problema quanto una sfaccettatura dell’umano comportamento, ricorrente sotto diversi aspetti in ogni momento storico (Smart, 1981: 15). Anche la Smart, che pure fornisce un contributo fondamentale alla criminologia si colloca in questa corrente, cercando di evidenziare i limiti della criminologia maschile e di verificare come le teorie elaborate sugli uomini possano adattarsi anche a spiegare la devianza e la criminalità femminile, questione nota come “the generalizability problem” (Daly e Chesney-Lynd, 1988): “the point of this exercise was to adapt to the female case, theories of crime which purported to be gender neutral but were in fact always highly gender specific”(Naffine, 1997: 32).

Il ruolo fondamentale svolto da questa corrente criminologica è stato quello di fornire un importante contributo critico alla disciplina in particolare ad alcuni ambiti quali la vittimizzazione (portando alla luce quanto le donne siano vittime di crimini in particolare stupro e violenza) e lo studio del controllo sociale delle ragazze ma con il limite che ancora viene data per scontata la distinzione fra i due sessi considerandolo un fatto naturale, per cui “other feminists have paid far greater attention to the means by which the sexes are constituted as separate categories, refusing to treat them as brute facts of life, as pre-given or essential things in the world” (Naffine, 1997: 35). Per le criminologhe positiviste la teoria fino ad oggi sviluppata è insufficiente in relazione alle donne e per avere una visione oggettiva è necessario applicare la ricerca criminologica ugualmente a uomini e donne.

Nel documento Ragazze trasgressive in cerca di identità (pagine 117-121)