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Otto Pollak

Lo studio di Pollak The criminality of woman del 1961 rivela l'influenza della sociologia, della psicologia e della psicoanalisi sulla criminologia ed ha il pregio di introdurre il problema della rappresentazione sociale della

criminalità femminile (Bertelli,1994: 197).

Pollak inizia il suo studio partendo dalla considerazione che la criminalità femminile è stato un ambito di ricerca trascurato e comunque orientato principalmente alla sua dimensione quantitativa e alla apparente mancanza di proporzione fra uomini e donne delinquenti. La maggior parte si è concentrata sull'analisi dei dati statistici, sulle statistiche ufficiali relative alla criminalità, da cui emerge una notevole differenza numerica a cui sono state fornite diverse interpretazioni: alcuni sostengono che esiste una differenza rispetto alla conformità-devianza connessa al sesso, affermando implicitamente che le donne che commettono dei crimini tradiscono in qualche modo la loro femminilità entrando in un terreno prettamente maschile. Altri fanno riferimento alla condizione sociale femminile ed in particolare al fatto che gli ambiti di azione femminili sono più limitati rispetto a quelli maschili attendendosi, parallelamente ad un mutamento della condizione sociale della donna, anche un incremento della criminalità femminile.

Pollak sostiene che le statistiche ufficiali sulla criminalità non sono attendibili, “because they undertake to measure something which is designed to escape observation and thus to escape measurement” (Pollak, 1977: 150). In particolare Pollak sostiene che un crimine per essere annoverato fra le statistiche ufficiali deve possedere tre caratteristiche: a) deve essere considerato high injurious dalla società b) deve essere un atto pubblico c) deve indurre la massima cooperazione della vittima con la legge. Questi sono i criteri che Pollak utilizza nella sua indagine sulle statistiche che lo conducono ad affermare che il modo con cui le donne commettono dei crimini non soddisfa queste caratteristiche; di conseguenza il numero di crimini commessi da donne non viene il larga parte registrato dalle statistiche ufficiali.

La mancanza di forza fisica e sociale fa sì che “to woman indirection and deceit are one of her most promising weapons for the achievement of her goals” (Pollak, 1977: 151). Inoltre, le donne sono fisiologicamente in grado di nascondere i loro reali sentimenti e stati d'animo come accade nella sfera dei rapporti sessuali, a differenza degli uomini che sono biologicamente portati a manifestare il loro reale stato d'animo. Questa loro capacità è una caratteristica

che socialmente viene valutata in maniera positiva, il chè ha portato le donne stesse a considerarla un comportamento appropriato. Per ragioni biologiche e culturali le donne sono quindi più abili a fingere, a mentire e possiedono di conseguenza una capacità fondamentale per chi commette dei crimini, quella cioè di non venire scoperti.

Pollak accanto a questa che definisce “the masked character of female crime” (Pollak, 1977: 1), individua anche un atteggiamento di protezione verso le donne da parte dei soggetti deputati al controllo sociale (poliziotti, giudici,...) che sono nella maggior parte uomini: “men hate to accuse women and thus indirectly to send them to their punishment, police officers dislike to arrest them, district attorneys to prosecute them, judges and juries to find them guilty” (Pollak, 1977: 151). Pollack definisce questo atteggiamento chivalry.

Inoltre, i ruoli sociali che le donne occupano (presenza in ambito domestico e lavoro di cura) forniscono loro meno occasioni e opportunità sia di commettere crimini, sia di commettere crimini in cui le vittime sono soggetti disponibili a cooperare con le forze dell'ordine (ad esempio sono le avvelenatrici per eccellenza vista la loro dimestichezza con la preparazione dei cibi!!!9: “the imposition of restrained behaviour upon women in our culture often forces them into the role of the istigator rather than the direct prepetrator of the crime, thus remove them from apparent connection with the offense” (Pollak, 1977: 151).

Infine, “the condemnation of the illicit sex conduct in our society has delivered men who engage in such conduct as practically helpless victims into hands of women offenders” (Pollak, 1977: 151), raramente l'uomo che è stato con una prostituta si rivolgerà alle forze dell'ordine perchè gli ha rubato il portafogli [!!!!]. In generale i crimini sessuali, leggi la prostituzione, sono anche per Pollak quelli più frequentemente commessi dalle donne.

Da tutte queste considerazioni, sia psicologiche sia culturali, Pollak può sostenere che il fenomeno della criminalità femminile è stato largamente sottostimato e che con l’incremento della presenza femminile fuori dall'ambiente domestico e i cambiamenti in atto dei ruoli sociali, si verificherà sia un aumento dei crimini sia della loro visibilità.

É interessante che per Pollak gli essere umani sono essenzialmente e prima di tutto organismi biologici “but one who can never be studied outside social environment. The individual being born into society cannot be thought of as separated from it” (Pollak, 1977: 157). Nei fattori che conducono alla criminalità femminile prende in considerazione sia elementi biologici (mestruazioni, menopausa...) sia fattori sociali fra cui il double standard di moralità (la violazione della moralità in ambito sessuale è maggiormente disapprovata se condotta da una donna) sia i ruoli tradizionali culturalmente accettati per le donne.

Pollak riconosce quindi che i fattori sociali sono un fattore importante nella costituzione della criminalità femminile, ciò nonostante l'attribuzione di una base biologica e fisiologica è dominante anche nel suo pensiero, con la conseguente concezione culturalmente stereotipata delle donne ed in particolare delle donne criminali.

Le donne all'interno delle organizzazioni criminali sono i cervelli, le istigatrici dei criminali, anziché le esecutrici materiali; possono strumentalizzare gli uomini nella realizzazione dei reati, riuscendo però ad evitare il proprio arresto. Pollak insiste sulla natura innatamente ingannevole del sesso femminile e della loro disposizione all'inganno con radici nella fisiologia, in particolare nella passività assunta dalla donna nel corso del rapporto sessuale che le consente, a differenza dell'uomo, di nascondere il mancato raggiungimento dell'orgasmo. Attraverso l'esperienza del rapporto sessuale le donne possono scoprire e acquisire fiducia nella propria capacità di ingannare gli uomini sotto ogni aspetto.

“Pollak assume l'esistenza di una funzione passiva nell'attività sessuale come base assertiva dell'ambiguo atteggiamento femminile verso l'onestà e l'inganno” (Smart, 1981: 64) ignorando che in molte situazioni, anche all'interno del matrimonio, molte donne sono costrette a rapporti sessuali senza consenso o eccitazione e trascurando lo squilibrio di potere tra uomini e donne e le diverse aspettative culturali circa l'accettabilità del comportamento in campo sessuale.

• la criminalità femminile è occultata dalle frequenti omissioni di denuncia da parte delle vittime quando i reati sono commessi da donne. Le vittime abituali delle donne sono gli amanti, i mariti, i figli, tutti reticenti a denunciare l'offesa subita, al contrario delle donne che si ritengono subito pronte a far ricorso alla polizia (ovviamente non considera le violenze subite dalle donne). Inoltre, i ruoli sociali femminili che le vedono professionalmente impegnate soprattutto come casalinghe, infermiere, assistenti famigliari, consentono loro di commettere reati in luoghi che possono essere facilmente coperti (abusi, furti, avvelenamenti...);

• il tasso di incriminazioni femminili è comparativamente più basso di quello delle incriminazioni maschili;

• polizia e tribunali dimostrano maggior clemenza verso le donne che verso gli uomini, per un senso di cavalleria (chivalry) nei riguardi delle donne. Gli uomini per Pollak si sono volontariamente ingannati sulla natura delle donne, le hanno trattato come essere docili e bisognosi di protezione proprio perchè ne temevano la ribellione, avendole costrette ad una posizione ingiusta nella società. Per questo auto-inganno Pollak arguisce che gli uomini avrebbero sempre stentato a credere che le donne possono essere criminali e quindi avrebbero evitato di denunciarle, di accusarle e di farle condannare per i molti reati in cui sarebbero coinvolte;

• la natura della donna è passiva, meno portata all'aggressività, istigatrice, lavora dietro le quinte e delega il maschio all'azione concreta quindi ha meno probabilità di essere scoperta.

Pollak infine analizza i dati relativi all'affidamento di donne colpevoli agli istituti statali e federali per assassini e omicidi nel 1940: fra gli internati donne l'11,9% lo era per omicidio, mentre fra gli internati uomini solo il 4,9% lo era per omicidio sostenendo che le donne compensano la loro relativa partecipazione a reati di lieve entità dimostrandosi più violente degli uomini. La Smart non nega la validità di questi dati ma l'interpretazione che fornisce è completamente diversa: a causa delle scarse opportunità di compiere atti illegali, un numero di donne inferiore a quello degli uomini compie furti o altri reati contro la proprietà, mentre sono molto più coinvolte in piccoli reati in cui

non è prevista l'incarcerazione, soprattutto se si tratta di donne incensurate (Smart, 1981: 67). È verosimile che per alcuni reati di lieve entità le donne in carcere siano sotto-rappresentate, mentre per i reati più gravi, in cui non è possibile evitare la detenzione, questo non si verifica, anzi il numero complessivo delle donne detenute, paragonato a quello dei maschi, contiene probabilmente più donne che uomini colpevoli di violenze gravi. La prova di Pollak può avere quindi una spiegazione opposta a quella da lui fornita sulla maggiore violenza delle donne devianti.

Corretta o meno, resta a Pollack il merito di avere compiuto un'analisi dei crimini maggiormente commessi dalle donne ricorrendo però ancora una volta a spiegazioni di tipo biologico nello spiegare le cause della criminalità individuando nelle fasi “generative” delle donne (mestruazioni, gravidanza e menopausa) i periodi in cui più frequentemente si commettono reati in quanto momenti di squilibrio biologico.