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La scelta di un approccio

Nel documento Ragazze trasgressive in cerca di identità (pagine 127-131)

Per una epistemologia della differenza nella ricerca criminologica

4.4 La scelta di un approccio

Di fronte ai limiti e ai vantaggi delle prospettive illustrate, quale approccio epistemologico diventa possibile? Come è possibile produrre un sapere che sia consapevole delle strutture di potere e di come operano, che tenga conto delle differenze e dia l'opportunità di ricomporle in un'identità collettiva, senza riproporre una visione “essenzialista”?

Alla luce di questo percorso forse l’alternativa consiste nell’effettuare le scelte non più in maniera acritica, ma con la consapevolezza di cosa si privilegia e cosa si sacrifica, pensando ad una visione che non si esaurisce nella sola disciplina scientifica, nella criminologia, ma un disegno più ampio del tipo di società, e di relazioni in essa, a cui aspira. Senza una visione del mondo in cui si ripensano e ridefiniscono i rapporti fra femminilità e mascolinità non è possibile definire un approccio epistemologico, senza dei valori che guidano la ricerca, con la consapevolezza di come questi valori siano diventati i nostri, non è possibile fare una scelta.

Per la Naffine, un ruolo centrale lo deve avere la teoria e la critica femminista, non solo come critica in negativo, ma anche come capacità di

costruzione: “Feminist theory must always function in two directions if it is to effectively challange patriarchal knowledge...On the one hand, it must engage in what could be called a negative or reactive project – the project of challenging what currently exists, or criticizing prevailing social, political, and theoretical relations. Without this negate or anti-sexist goal feminist theory remains unanchored in and unrelated to the socio-theoretical status quo. It risks repeating problems of the past, especially patriarchal assumptions, without recognizing them as such. But it remains simply reactive, simply a critique [...] to say something is not true, valuable, or useful without posing alternatives is, paradoxically, to affirm that it is true, and so on. Thus coupled with this negative project [...] must be a positive, constructive project: creating alternatives, producing feminist, not simply ant-sexist theory. Feminist theory must exist as both critique and construct (Naffine, 1997: 142).

Morris rispetto alla criminologia femminista si pone in maniera più critica, chiedendosi cosa significa costruire una criminologia femminista: significa che le criminologhe devono essere femministe? Che le donne devono studiare le donne? È l'oggetto di studio (le donne delinquenti) ad attribuire la definizione femminista o l'appartenenza dichiarata e aperta delle studiose/studiosi? O dipende dal metodo di studio?

La sua risposta è orientata al considerare le molteplici forme di violenza e di oppressione che, a volte in maniera congiunta e a volte in maniera indipendente, sono in atto per supportare l’egemonia delle elite: “Feminism informs me in a number of ways. It makes me anti-positivist, aware of the sexism of conventional wisdom, conscious of the need to make women visible and reject the supposed neutrality of the discipline. I know whose side I am on; I know what is to be afraid, to feel oppressed. My concern, therefore, lies unequivocally with women and I'm writing explicitly as a woman...but my intention is not merely to insert women into discussion about crime or the criminal justice system. Although this book is about women, and the experiences of women are central to it, it is also both correction of, and a complement to, the criminology of men. The study of women and crime ultimately contributes to our knowledge about crime...I'm not proposing an

androgynous criminology because that would ignore gender, but rather a criminology which considers gender important alongside such factors as race, age and class simultaneously (Morris, 1987: 17-18).

Una risposta può essere di non porre il tema della devianza femminile come una questione femminile, ma come un’attenzione alla dimensione di genere (inteso come genere femminile e maschile) e considerando come questa si rapporta con altre dimensioni fondamentali in relazione all’identità: in primis la classe sociale, la razza e l’età.

Il genere dovrebbe stare a monte delle domande, caratterizzare l’impostazione della ricerca, imporre un rapporto diverso tra definizione dei problemi e definizione delle soluzioni.

Anche se nella società attuale e dentro le culture che la abitano la differenza sessuale è un criterio ordinatore fondamentale, per quanto spesso implicito, nascosto, a volte negato e delegittimato, è importante definire e distinguere le donne e gli uomini, per quanto diverse tra loro siano le donne e diversi tra loro gli uomini, e viceversa, per quanto possano molte donne e molti uomini essere, rispetto a certe caratteristiche (condizioni sociali, atteggiamenti culturali, ecc.), più simili tra loro che rispetto agli appartenenti dello stesso genere.

Se questo non significa che possiamo intendere gli uomini e le donne come due gruppi sociali, né possiamo imputare loro due culture, significa però che il criterio ordinatore, la differenza sessuale, può essere reso esplicito sia nel senso di renderlo visibile, sia in quello di interrogarne dimensioni, contenuti e conseguenze. Oggi, si può assumere la valenza fortemente esplicativa della variabile sesso/genere rispetto alle opportunità, alle scelte e alle traiettorie di vita, nel senso forte che questa è una variabile che attraversa le età, le condizioni sociali, le appartenenze culturali. Ciò è vero sia in senso oggettivo che soggettivo: ossia l’essere uomini o donne è una componente fondamentale, comunque la si declini, della propria identità, anche se questo non significa che questa identità sia data una volta per tutte: anche l’identità maschile cambia, se non altro sotto la spinta del mutamento di quella femminile: ma sembra che non ci sia ancora un processo consapevole e

politico di mutamento.

Una questione molto importante, che si riprenderà in seguito, è infatti proprio il processo di ridefinizione in atto dell’identità femminile in relazione al tema della criminalità e della devianza femminile, processo che conduce ad interpretare l’identità femminile oggi, per molte, come esito di una scelta, come percorso consapevole di attribuzione di senso proprio a caratteristiche finora significate sostanzialmente da altri.

Capitolo 5 La ricerca empirica

Come si riflette il dibattito epistemologico in maniera concreta nella pianificazione della ricerca empirica? Come assumere nella progettazione della ricerca, nella esposizione teorica, nella tematizzazione dei concetti, nelle scelte metodologiche e tecniche?

Ho progettato il piano della ricerca sul campo con l’obiettivo di ampliare la nostra conoscenza su un fenomeno scarsamente conosciuto e poco investigato privilegiando un approccio sociologico al tema della devianza femminile.

Data l’ampiezza delle tematiche e degli interrogativi sollevati, ho ritenuto necessario circoscrivere l’ambito della ricerca empirica focalizzandola sulla devianza delle adolescenti in quanto è proprio sulle ragazze che vengono messi in evidenza con ansia i maggiori cambiamenti. Ho ritenuto necessario circoscrivere l’ambito della ricerca anche territorialmente, definendo come unità il territorio della Provincia di Ravenna.

Il primo passo è stato quello di verificare le dimensioni del fenomeno partendo dai dati forniti dalle statistiche ufficiali per avere conferma di ciò che è stato ampiamente illustrato nella prima parte, e cioè che le statistiche ufficiali non costituiscono una fonte attendibile. Il quadro che emerge è infatti molto limitato sia dal punto di vista quantitativo, nel senso che il numero oscuro è, come da letteratura, molto elevato, sia qualitativo, cioè della tipologia di comportamenti che prende in considerazione.

Nel documento Ragazze trasgressive in cerca di identità (pagine 127-131)