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Gisela Konopka e la continuità con la tradizione liberale

Gisela Konopka ha scritto nel 1966 il saggio The adolescent girl in

conflict, frutto dello studio e dell'analisi delle conversazioni private e personali

dell'autrice con giovani delinquenti internate in istituti e di numerose relazioni di operatori sociali, che costituiscono la parte più estesa del lavoro, dove vengono descritte le miserie e la solitudine delle ragazze.

La Konopka si schiera dalla parte delle ragazze sottolineando le loro tristi vicende ma anche gli errori commessi nel loro trattamento o cura, riscuotendo un notevole successo, proprio per il suo aperto interesse all’assistenza delle ragazze, nel settore degli interventi sociali e delle professioni assistenziali.

La Konopka sostiene che nel comportamento trasgressivo delle ragazze, compresa la promiscuità sessuale, è possibile scorgere un vero e proprio disadattamento individuale le cui radici risiedono nella loro insoddisfazione e trascuratezza, da parte dell'ambiente familiare, in poche parole nel loro bisogno di amore: solitudine, paura, sfiducia negli adulti, scarsa considerazione di sé sono i fattori che portano al senso di isolamento e alla disperazione alla base della devianza e senza i quali per la Konopka è difficile che una donna possa delinquere.

Questa spiegazione ha le sue origine nella crescente influenza delle teorie psicologiche che ha cominciato a sostituire quelle biologiche, nella tradizione liberale che esalta i bisogni individuali con la benevola intenzione di provvedere a trattamenti più efficaci e nell’assunto per cui l'emotività è uno dei punti deboli innati del sesso femminile.

In particolare la Konopka sottolinea come le ragazze hanno in comune la paura e la mancanza di rispetto verso gli adulti e le figure autoritarie ed educative, una bassa autostima, un profondo senso di isolamento, mancanza di

comunicazione con gli altri e individua quattro concetti alla base di questi comuni problemi:

• le ragazze non sono preparate ad affrontare il momento della pubertà che per loro si rivela particolarmente delicato. Le ragazze della classe media hanno più opportunità di parlare con gli adulti dei cambiamenti biologici a cui vanno incontro; questo riguarda anche i primi rapporti sessuali e la gravidanza;

• le ragazze delle famiglie più povere hanno problemi di identità più intensi rispetto a quelli dei ragazzi, aggravati dalla presenza di modelli femminili spesso umiliati e maltrattati da quelli maschili, o da ruoli maschili completamente assenti. Questo produce secondo la Konopka una incapacità di relazionarsi con entrambi i sessi, da una parte è evidente un forte legame con i pari, soprattutto fra ragazze, dall’altra un’incapacità di sviluppare relazioni eterosessuali considerando inconsapevolemente le relazioni omosessuali più sicure;

• i cambiamenti dei ruoli femminili rendono le ragazze impreparate a ruoli diversi da quelli di madre e moglie, anche perchè la società stessa non è ancora pronta ad accettare questi cambiamenti. Ad esempio, le mentre ragazze sono educate a partecipare alla vita pubblica e ad assumer il loro posto nel lavoro, si scontrano molto spesso con discriminazioni e spesso rifiutano le loro capacità intellettuali; questo produce un conflitto di natura intensa nel periodo dell’adolescenza in cui le ragazze devono già affrontare altri conflitti nel loro processo di maturazione;

• mancanza di autorità degli adulti.

La Konopka sottolinea l'evidente mancanza di amore nella vita famigliare delle ragazze e concepisce questa carenza come fattore scatenante l'instabilità emotiva e la conseguente delinquenza soprattutto sessuale. É implicito che per diventare delinquenti si debba essere insicure o squilibrate e che le ragazze ben adattate, “normali”, non possano diventarlo senza pensare che “l'instabilità emotiva può essere un criterio per l'internamento piuttosto che un fattore di predisposizione alla delinquenza” (Smart, 1981: 80).

manifesti del disadattamento individuale di cui viene messa in evidenza la specificità e la singolarità nonchè l'importanza dei problemi e delle insufficienze personali. La Konopka considera i problemi sociali come aggravanti o cause dirette dei disadattamenti personali senza però mettere in discussione la struttura della società che li genera e senza considerare il comportamento delinquente come una scelta razionale all'interno di un determinato contesto. La Konopka “sembra ammettere che le ragazze internate rappresentino effettivamente tutte le ragazze delinquenti, continuando a trattare le vicende dei loro casi e i loro problemi individuali come caratteristiche esemplari di tutta la delinquenza. Come in tutti i precedenti studi sulla delinquenza maschile, è implicito che tutti i devianti provengono da famiglie povere o disgregate, con guida parentale insufficiente e carenze educative (Smart, 1981: 78)”.

In continuità con la tradizione liberale non si pone il problema della definizione sociale dei concetti di delinquente e criminale e, ammettendo che le ragazze così “etichetatte” siano realmente delinquenti, accetta la definizione legale di delinquenza senza fare riferimento al modo in cui certi membri della società vengono definiti delinquenti o confermati nel loro status di criminali.

“La Konopka usa la capacità di descrivere un avvenimento o un processo come se esso non fosse passibile di interpretazioni individuali o culturali. Essa tratta i soggetti del suo studio come fatti indiscutibili, realmente accaduti e di per se evidenti ad ogni osservatore (Smart, 1981: 78)”. Alla fine la devianza risulta un problema individuale e non un fenomeno strutturalmente prodotto e la causa della delinquenza viene frequentemente definita come patologia fisica o mentale (“è malato, è malata”).

Dal punto di vista metodologico la critica principale che le viene rivolta riguarda la sua adesione e conformità alla metodologia positivista: “la Konopka sostiene che è possibile penetrare una situazione sociale nell'intento di trarne informazioni, senza che le informazioni così raccolte vangano influenzate dai rilievi biografici dell'intervistatore, delle sue effettive conoscenze o dalle procedure interpretative di cui tutti fanno necessariamente uso per dare un senso ad un incontro sociale” (Smart C., 1981: 79).

Nel suo studio l'autrice omette di spiegare i propri criteri interpretativi e lo fonda su selezioni di materiali e osservazioni personali che vengono fatte passare per situazioni oggettive e fattuali. Purtroppo l'osservazione dei fatti non è non-problematica, i fatti non hanno un'esistenza indipendente dal mondo. Un fatto sociale non è un'entità sostanzialmente indipendente, ma il risultato di un processo che implica l'interpretazione di un evento e la conoscenza del contesto sociale in cui lo specifico evento si è verificato.