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In questo senso, cfr. G. CAIANIELLO, Controlli della Corte dei conti sulle entrate e sulla gestione dei beni mobili dello Stato, in Riv. amm., 1994, 385 ss.
45 La legge 14 gennaio 1994, n. 20, rappresenta - secondo quanto già osservato - la faticosa, contrastata, non lineare conclusione di un lungo iter legislativo inteso a definire una riforma del sistema dei controlli della Corte dei conti. Il controllo preventivo di legittimità viene opportunamente delimitato, quanto ad ambito di operatività e riqualificato in senso “funzionale”. Ma è soprattutto in riferimento al controllo successivo sulla gestione che la legge n. 20/1994 delinea le novità più sostanziali. L’art. 3, 4° comma, legge n. 20/1994 attribuisce alla Corte dei conti, “anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria”. Va, intanto, notato che il controllo successivo non è limitato allo Stato, ma è esteso al settore pubblico nella sua globalità, sia pure avendo a base la decisione di bilancio ed il rendiconto generale dello Stato, perché la legge n. 20/1994 recepisce la dizione “amministrazioni pubbliche”, di cui al d.lgs. n. 29/1993, che riassume l’insieme dei soggetti del settore pubblico, non esclusi le Regioni e gli enti locali (ma con l’avvertenza che la riforma del Titolo V della Costituzione e l’abrogazione degli artt. 125 e 130 modifica radicalmente i termini e le modalità dei controlli), e tutti gli enti pubblici, gli organismi del sistema scolastico, le università, i soggetti pubblici del Servizio sanitario nazionale. Quanto agli enti territoriali, in modo particolare, è da osservare che
46 l’abrogazione degli artt. 125 e 130 non fa comunque venire meno
l’esigenza, pure sanzionata a livello costituzionale, del
coordinamento della finanza pubblica, che trova ulteriore fondamento nel Patto di stabilità e crescita posto dai Trattati europei, che vincola lo Stato a garantire il rispetto dei parametri imposti dal Trattato di Maastricht. Le norme della legge n. 20/1994 si applicano dunque al controllo sulle amministrazioni statali, in senso innovativo rispetto alla precedente disciplina; al controllo sugli enti pubblici, integrando il regime della legge n. 259/1958; al controllo sugli enti locali, ex art. 3, 7° comma, integrando le disposizioni della legge n. 51/1982; al controllo,sul rendiconto generale dello Stato, integrando le norme di cui agli artt. da 38 a 43 del t.u. n. 1214/1934; alle Regioni, giusti i criteri ed i limiti definiti dall’art. 3, 5° comma. Come già ricordato, inoltre, la Corte, sempre in sede di controllo successivo, è chiamata a verificare il costo del lavoro nella pubblica amministrazione ed a riferire al Parlamento “sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale pubblico” sulla base di un raffronto tra spesa per il personale e risultati di gestione in ciascuna amministrazione, ai sensi dell’art. 32, d.lgs. n. 546/1993, che sostituisce l’art. 65, d.lgs. n. 29/1993. Rientrano, infine, nel controllo successivo sulla gestione i controlli, alla Corte attribuiti da leggi speciali, in materia di gestioni universitarie, di ripianamento delle unità sanitarie locali, di protezione civile, di cooperazione allo
47 sviluppo, di edilizia penitenziaria, di fondi di rotazione e di gestioni fuori bilancio. L’art. 3, 4° comma, della legge n. 20/1994 prevede che la Corte dei conti verifichi la legittimità e la regolarità delle gestioni; incidentalmente, la legittimità di singoli atti; ed accerti, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa. Quanto al profilo della legittimità e regolarità della gestione, si tratta del controllo tradizionalmente svolto dalla Corte in sede di controllo consuntivo, tenuto conto che la Corte si è ormai orientata a considerare la gestione nel suo complesso, piuttosto che singoli atti gestori: ciò che oggi è sicuramente imposto dalla legge n. 20/1994. Più discutibile (ma ormai superato per successiva abrogazione) appariva invece il richiamo all’accertamento, sia pure in via incidentale, della legittimità di singoli atti: se anche si volesse vedere in questa attività una espressione della concezione “funzionale” del controllo di legittimità, non per questo verrebbe meno il sospetto di una confusione concettuale tra diverse forme di controllo (sulla gestione e di legittimità), rafforzata da un’altra dizione equivoca della norma, che sembra confondere il controllo “in corso di esercizio” (cioè il controllo concomitante, che sempre maggiore spazio va assumendo, specie nel mondo anglosassone) con il controllo successivo, che è, ovviamente, realizzato in epoca diversa
48 e, soprattutto, con criteri e parametri affatto peculiari. L’aspetto più innovativo della legge di riforma è però quello incentrato sull’accertamento e sulla misurazione della efficienza e della efficacia della gestione. La Corte è, infatti, ora chiamata, “anche in base all’esito di altri controlli” - ed il riferimento è essenzialmente ai controlli interni “di gestione”: sicché la Corte; si configura come organo di controllo di secondo grado – ad accertare “la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa” (art. 3, 4° comma). Spetta alla Corte, per l’assolvimento di questa funzione, definire annualmente, ex art. 3, 4° comma, “i programmi ed i criteri di riferimento del controllo” e verificare “il funzionamento dei controlli interni ad ogni amministrazione”. Nell’ applicazione della nuova normativa la Corte dei conti ha adottato, da questo punto di vista, una soluzione interlocutoria (sez. controllo Stato, delibera n. 29/1994), che ha affidato la definizione dei programmi e dei criteri del controllo agli uffici del controllo preposti a ciascuna amministrazione statale, non vi è dubbio che l’efficacia complessiva del controllo sulla gestione dipenderà, in larga misura, dalla capacità autonoma della Corte di definire, sull’esempio di quanto già fanno analoghe Istituzioni di altri Paesi, un proprio “manuale del controllo sulla gestione” . Va, tuttavia, segnalato che la Corte dei conti ha
49 assunto, su questo punto, un atteggiamento piuttosto rigido, nel rispetto formale della lettera della legge. A parere della stessa Corte, infatti (sez. contr. enti, 1995/1996), il controllo successivo sulla gestione non deve svolgersi, di regola, in base a parametri elaborati dallo stesso organo di controllo, ma in forza di criteri di riferimento del controllo. In altri termini, secondo la Corte, al fine di evitare interferenze con le amministrazioni attive, ed in ragione di un’asserita non piena conoscenza dei canoni operativi delle stesse amministrazioni, la Corte non può creare o integrare parametri, che, viceversa, devono preesistere ed essere determinati a livello delle stesse amministrazioni e dei relativi organi di controllo interno.
Si ammette, tuttavia, che il controllo esterno non può essere meramente ripetitivo, di quello interno (come non può esserne sostitutivo, in caso di mancanza). Riconosciuto - ed è appena ovvio — che la Corte non può, per la sua stessa posizione “esterna” di organo di controllo “sulla” gestione, interferire con i criteri gestionali dell’amministrazione attiva, deve però anche essere sottolineato che rinunziare alla definizione di propri parametri e criteri di controllo per rifarsi pedissequamente a quelli elaborati dall’amministrazione da assoggettare a verifica implica, quanto meno, riconoscere alla stessa amministrazione il potere di decidere “come” vuole essere controllata. Permane, insomma, la sensazione di un equivoco. Obiettivi e risultati non possono non essere definiti altro che a livello
50 legislativo o di dirigenza amministrativa. Ciò detto, però, non è dato di capire come la Corte, ove non definisca suoi parametri e criteri di controllo, possa poi - giusto il disposto dell’art. 3, 4° comma, legge n. 20/1994 – verificare la congruità, “il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione”. La stessa Corte costituzionale ha accompagnato, con la sua giurisprudenza, il descritto processo evolutivo dei controlli, sulla premessa che spetta al legislatore ordinario la concreta determinazione della disciplina del controllo e dell’opportuno equilibrio tra controllo preventivo e controllo sulla gestione e sui risultati21. È stato, infatti, chiarito che il controllo successivo sulla gestione non è assimilabile alla funzione giurisdizionale, ma si configura come un controllo di carattere empirico, non rispondente tanto a precisi parametri normativi quanto a canoni di comune esperienza, sulla base di conoscenze scientifiche utilizzabili ai fini di una revisione dell’attività amministrativa22. Ma non basta: in riferimento al controllo sugli enti ex art. 100 della Costituzione, la Corte costituzionale ha ribadito che non è preclusa al legislatore la introduzione di forme di controllo diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 100 della Costituzione anche se in effetti la Corte costituzionale, nella sua sentenza, faceva riferimento anche agli ormai abrogati artt. 125 e 130. Posto che la Corte dei conti è divenuta, nel tempo, “garante
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Corte Cost. 17 luglio 1989, n. 406, in www.cortecostituzionale.it.
51 imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico”, va anzi evidenziato proprio che la Corte dei conti ha semmai anche il compito di definire annualmente i programmi ed i criteri di riferimento del controllo. Conformemente a quanto statuito con la sentenza n. 29/1995, la Corte costituzionale ha perciò stabilito che “la definizione periodica di criteri di riferimento ... concerne, in correlazione con il contenuto delle nuove funzioni, i parametri di giudizio che la stessa Corte dei conti è tenuta ad osservare. E ciò avendo riguardo ai modelli operativi nascenti dalla comune esperienza e razionalizzati nelle conoscenze tecnico-scientifiche delle discipline economiche, aziendali, e statistiche, nonché della contabilità pubblica, in vista dell’accertamento della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, come pure della valutazione comparativa dei costi, modi e tempi dello svolgimento dell’attività stessa ... Del pari diretta a razionalizzare l’attività di controllo è la parallela previsione che impone di definire annualmente i programmi di attività ... perché il controllo sulla gestione non può indirizzare le verifiche alla generalità delle pubbliche Amministrazioni, ma deve necessariamente svolgersi a campione ...”23. Da questo punto di vista, è da rilevare e sottolineare, giuste le osservazioni della Corte costituzionale, che suonano ad esplicito riconoscimento di queste peculiarità, che il controllo
52 successivo sulla gestione non è fenomeno esclusivamente giuridico. Al contrario, i suoi parametri non possono che essere, fondamentalmente, oggetto di elaborazione di altre discipline. In sintesi, la Corte dei conti, nel definire i suoi “programmi e criteri di riferimento del controllo” dovrà ricostruire “gli obiettivi ed i parametri posti a base delle decisioni di indirizzo, programmatiche, di ripartizione delle risorse”, acquisire tutte le informazioni necessarie alla ricomposizione del sistema decisionale, chiarendone i parametri normativi e programmatici: ciò che consentirà di definire le “aree gestionali e amministrative da esaminare”. A quel punto sarà possibile definire anche “i parametri per i controlli sulla gestione integrando i parametri ‘esogeni’ desunti dalle norme e dai programmi legislativi e di governo per le aree gestionali e per le attività amministrative selezionate nel programma”: il tutto sulla base di “metodologie e combinazioni di strumenti di analisi predefiniti in via generale”, costruiti in riferimento alla contabilità finanziaria ed alla contabilità economica della gestione, fondata su un sistema di indicatori economici, di costo, di rendimento e di risultato. La misurazione e la valutazione dei risultati dovranno quindi essere raffrontate “con la verifica del grado di soddisfazione degli utenti e dei cittadini destinatari delle attività amministrative e dei servizi”24. È, inoltre, nei poteri della Corte “chiedere alle amministrazioni
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53 pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia ed effettuare ispezioni e accertamenti diretti” o delegati ad altre amministrazioni, a corpi ispettivi o ad esperti; e “chiedere alle amministrazioni pubbliche non territoriali il riesame di atti ritenuti non conformi a legge” (art. 3, 8° comma).
A fronte di questa sua attività, “la Corte riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai Consigli regionali sull’esito del controllo eseguito”; invia le sue relazioni alle amministrazioni interessate, alle quali formula altresì, in ogni momento, le proprie osservazioni, con corrispettivo obbligo di queste ultime di comunicare alla Corte ed agli organi elettivi le misure conseguenzialmente adottate (art. 3, 6° comma). Analoghi poteri la Corte si vede attribuiti, pur nel rispetto dei principi autonomistici, nei confronti delle Regioni, in riferimento alle quali è previsto un controllo della gestione sul perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma (art. 3, 5° comma). La legge n. 20/1994 rappresenta, in sintesi, una notevole evoluzione nel concetto stesso dei controlli. Ma che la legge sia del tutto soddisfacente non sembra potersi sostenere. Se obiettivo della riforma era il superamento non equivoco dei controlli di legittimità, e della loro storica preponderanza, non si può dire che la legge abbia raggiunto completamente il suo intento. Le “due anime” della Costituzione, insomma, continuano a trovare un loro eco nelle “due
54 anime” della legge n. 20/1994. Al di là delle non poche incongruenze lessicali e concettuali della riforma (largo spazio ai profili di legittimità, ancorché in chiave “funzionale”; confusione tra controllo concomitante e controllo successivo; un uso improprio di nozioni quali economicità, efficienza ed efficacia che invece, nella letteratura internazionale, hanno ormai un significato preciso ed univoco), lo stesso concetto di controllo sulla gestione non appare limpidamente delineato. Molto dipende, allora, dalla capacità della Corte dei conti, soprattutto a livello di elaborazione dei programmi e dei criteri di riferimento del controllo. Contro la tesi di chi sostiene che programmi e criteri del controllo devono essere fissati per legge, l’esperienza dei Paesi più evoluti dimostra che il controllo, a fronte delle troppe e troppo diversificate aree da controllare, è tanto più efficace quanto più è lo stesso organo di controllo, certo nell’ambito di indicazioni normative, a scegliere, adattandoli al caso, gli “strumenti” (standards, criteri, parametri, indicatori...) con i quali effettuare il controllo. Necessariamente si dovrà, infatti, prendere atto che la nozione di controllo non è più riassumibile in chiave esclusivamente giuridica: i suoi confini sono oggi delineati piuttosto da altre discipline e l’esercizio del controllo presuppone competenze non solo giuridiche di cui la Corte, nella sua attuale composizione, non dispone.
1.3 Monitoraggio e controllo della spesa ed effettività della