• Non ci sono risultati.

I controlli sugli atti tra pubblico e privato

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I controlli sugli atti tra pubblico e privato"

Copied!
354
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Facol tà di Giu risp rudenza

Co rso di Lau rea Ma gistra le in Giu risp rudenza

Rel atore:

Prof. And rea Perti ci

Candida to :

Luca Pi eretti

(2)

2

INDICE SOMMARIO

-

Premessa

-

Introduzione: I controlli

Nozioni generali………..………..9

Concetto aperto di controllo………..17

-

Capitolo Primo

I controlli nello stato

1.1Il controllo preventivo di legittimità………...37

1.2Il controllo successivo sulla gestione………44

1.3Monitoraggio e controllo della spesa ed effettività della copertura……….54

1.4Il controllo sugli enti sovvenzionati………..58

1.5Il rendiconto generale dello stato………..…...62

(3)

3

-

Capitolo Secondo

Il controllo della ragioneria generale dello stato

2.1Ruolo amministrativo e struttura organizzativa………73

2.2Finalità ed obiettivi………..75

2.3Le funzioni della RGS………76

2.4Il profilo storico della RGS………79

2.5L’aumento delle competenze……….82

2.6La riforma del bilancio ed il processo di integrazione europeo………84

2.7Versante dei controlli………..……..85

2.8Ruolo………..………88

-

Capitolo Terzo

Il controllo della Corte dei Conti

3.1Normativa di riferimento e sua evoluzione………….……….….…….93

3.2Formazione storica dell’istituto……….……….94

3.3Prospettiva Costituzionale………..97

3.4Giurisprudenza della Corte Costituzionale (in materia di controllo – in materia di giurisdizione)………...101

3.5Funzioni di controllo……….110

(4)

4

3.7Dubbi sull’oggetto della funzione di controllo………...118 3.8Conclusioni in prospettiva……….……..130

-

Capitolo Quarto

Il controllo sulle Regioni e sugli Enti Locali

4.1 Il controllo sulle regioni nel precedente sistema

costituzionale……….136

4.2 Il controllo sugli enti locali nel precedente sistema

costituzionale……….…139

Collocazione istituzionale dell’organo di controllo………..………139

Titolarità della funzione……….…...142

I controlli sugli atti nella disciplina della legge Scelba n. 62 del 1953.………144

I controlli sugli atti dopo la legge n. 142 del 1990 e le modifiche di cui alla legge n.127 del 1997………147

Il T.U. n. 267 del 2000………..155

4.3 il controllo sulle regioni e sugli enti locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione……….157

(5)

5

Dalla municipalizzazione alla statizzazione……….165

Dalla statizzazione all’Agenzia di diritto pubblico……….167

4.5 Effetti della riforma Dualismo segretario/direttore generale……….…………171

La nomina fiduciaria, ovvero lo spoil system……….…..174

Convenzioni di segreteria………..178

4.6 Funzioni e problematiche oggi………..180

-

Capitolo Quinto

I “controlli” dell’amministrazione sugli atti dei cittadini

5.1Le funzioni del SUAP……….185

L’art. 38 del D.L. 25 giugno 2008, n.112………188

5.2ambito di applicazione del SUAP……….189

5.3l’organizzazione del SUAP……….……193

5.4I procedimenti di competenza del SUAP……….198

5.5Controllo notarile………208

(6)

6

5.7Precisazione sulla qualifica di pubblico ufficiale………213

5.8La funzione notarile………..214

Funzione di certificazione………..218

Funzione di adeguamento………..…..220

5.9Limiti della funzione: gli atti vietati………..……….228

5.10 Controllo pubblico della funzione: la vigilanza………235

-

Capitolo Sesto

Linee evolutive del sistema dei controlli

6.1 Linee di riforma della pubblica amministrazione - evoluzione normativa dagli anni ’90………237

6.2 Il management pubblico……….…..242

6.3 Il controlli nel nuovo contesto amministrativo………..246

6.4 Il riassetto del sistema dei controlli interni………..252

6.5 Il controllo di gestione Dalla cultura dell’atto alla cultura del risultato……….……258

6.6 Le quattro tipologie del controllo interno………..…..261

(7)

7

6.8 Il controllo dei revisori dei conti………..267

6.9 Il nucleo di valutazione………..273

Il controllo di gestione……….276

Il controllo strategico………308

La verifica dello stato di attuazione dei programmi e la salvaguardia degli equilibri di bilancio………315

Osservazioni critiche sull’art. 100 della Costituzione……….320

Profili evolutivi……….328

L’auditing……….334

-

Conclusione………348

(8)

8

PREMESSA

Questa tesi ha come obiettivo quello di analizzare il concetto di controllo cercando di ricostruire origini ed evoluzione dei principali sistemi del nostro ordinamento. Inizierò spiegando la scelta di fondo di utilizzare un concetto atecnico di controllo, scelta che come altre potrò giustificare meglio nella conclusione di questo lavoro. Passerò poi all’analisi di varie tipologie di strumenti di controllo, molto diversi tra loro, il cui accostamento credo possa mettere in risalto la coesistenza e talvolta il conflitto tra esigenze e ispirazioni diverse nell’attività della pubblica amministrazione. Concludendo cercherò di sottolineare lo stretto legame fra attività normativa e controlli non solo intesi come controlli di legalità ma anche di gestione nonché l’importanza della struttura dell’ordinamento giuridico in cui sono inseriti, considerando i vari profili valutati nel corso della trattazione e cercando di individuarne criticità e spunti di cambiamento.

(9)

9

INTRODUZIONE: I CONTROLLI

Nozioni generali

Secondo quanto è stato affermato da M. Giannini “il controllo come istituto generale è connaturato con l’ organizzazione stessa degli ordinamenti giuridici e non ha data di nascita”1. Il termine controllo è stato usato sia dal legislatore che in dottrina per indicare attività talvolta molto eterogenee. La stessa nozione di “controllo sulla pubblica amministrazione”, se finora è stata intesa, in conformità al significato etimologico del termine, come ricomprendente qualsiasi attività di riscontro o vigilanza attuata alla stregua di un precedente parametro di valutazione ed in vista di una possibile misura sanzionatoria, viene sempre più spesso estesa fino ad includere le fattispecie concettualmente diverse del controllo-direzione o indirizzo, in cui la verificazione è funzionale all’esercizio della potestà di direzione. Sono state principalmente le esigenze provocate dalle tecniche contemporanee d’amministrazione (gestione per obiettivi, sistemi di programmazione di bilancio, ecc.) mutuate dal management privato, a far assumere al controllo questo nuovo contenuto, che si caratterizza come attività rivolta a confrontare i risultati di una gestione con gli obiettivi prefissati, il tutto in un processo continuo che permetta di tener conto di questi risultati per

(10)

10 riaggiustare i programmi in funzione delle possibilità e delle circostanze sopravvenute. Ma è stata anche l’inidoneità dei controlli tradizionali, sprofondati nel formalismo e divenuti incompatibili per la loro lentezza con le esigenze di un’amministrazione moderna, a spingere alla ricerca di nuovi sistemi di controllo e a tentare, pur tra gli inevitabili insuccessi, il trapianto di tecniche ideate per operare in contesti organizzativi ben diversi. Fondamentale classificazione dei controlli sull’amministrazione statale è quella che distingue i controlli interni, che l’amministrazione – intesa sia come singolo ministero che come potere esecutivo nel suo complesso – esercita su se stessa, dai controlli esterni, provenienti da organismi ad essa estranei. Tra i controlli interni, all’inizio ha avuto la maggiore diffusione il controllo c.d. gerarchico esso costituisce infatti un attributo tipico dei poteri di supremazia gerarchica e cioè quello di poter controllare l’azione dei subordinati per garantire il miglior funzionamento dei servizi2. Spesso nell’esercizio di questa funzione l’autorità gerarchicamente sovraordinata gode dell’ausilio di appositi corpi ispettivi – quali si riscontrano, ad esempio, nell’amministrazione della pubblica istruzione o delle finanze – incaricati di compiere accertamenti in loco. Un’altra forma di controllo interno da tempo radicatasi nella nostra esperienza istituzionale è quello di bilancio; esso è stato introdotto in molti ordinamenti simili al nostro nel periodo storico tra

(11)

11 le due guerre mondiali, con la finalità essenziale di porre un freno alla spesa pubblica, limitando l’autonomia di spesa dei singoli ministri a favore di uno di loro preposto ad una amministrazione finanziaria (del bilancio, delle finanze o del tesoro). Questo controllo si esercita primariamente nella formazione del bilancio, prima che sia sottoposto al parlamento. Sempre fra i controlli interni una rilevanza particolare ai fini amministrativi e contabili è da riconoscere a quello esercitato dalle Ragionerie centrali, regionali oggi soppresse e provinciali, in base alle direttive della Ragioneria generale dello Stato, sul rispetto delle norme in materia di conservazione del patrimonio dello Stato, dell’esatto accertamento delle entrate e della regolare gestione dei fondi di bilancio. Negli ultimi anni il nostro ordinamento ha conosciuto un’ulteriore e più ampia e generalizzata – forma di controllo interno, di tipo gestionale, esercitato da ogni amministrazione al proprio interno3; tale ultima forma di controllo interno è stata, da ultimo, sistemata e regolamentata dal dlgs 30 luglio 1999, n.286. In seguito all’entrata in vigore di detta normativa, tutte le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia, devono dotarsi di “strumenti” adeguati a: A) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); B) verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa al

(12)

12 fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione); C) valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza) D) valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo strategico)” (art.1 del dlgs in esame). I controlli esterni si presentano in forme e con caratteri diversi a seconda dei soggetti che li pongono in essere. Rientra tra questi, in primo luogo, il controllo esercitato dal Parlamento, mediante l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi dello Stato e gli altri strumenti, propri del sindacato parlamentare (inchieste, interrogazioni, interpellanze, ecc.) rivolti a condizionare l’azione del governo ed a rendere operante la sua responsabilità politica. Esterno è, poi, naturalmente anche il controllo esercitato dagli organi giurisdizionali, sia ordinari che amministrativi; esso si esercita attraverso la risoluzione di controversie tra l’amministrazione e gli amministrati e può comportare l’annullamento o la disapplicazione di atti amministrativi lesivi di diritti o interessi legittimi degli stessi. Infine, controllo esterno è quello esercitato dalla Corte dei Conti che rappresenta, ovunque sia stata prevista, anche se con le inevitabili diversità nelle modalità di funzionamento e nella collocazione istituzionale e

(13)

13 configurazione giuridica, il massimo organo di controllo della pubblica amministrazione. Nell’ambito dei controlli esterni fondamentale è la distinzione tra controlli sugli atti e controlli sugli organi o le persone: nel primo caso oggetto del riesame sono i singoli atti compiuti dall’organo; nel secondo è il comportamento delle persone fisiche preposte agli uffici o la condotta dell’organo come tale che viene fatta oggetto del sindacato. I controlli sugli atti mirano ad evitare la formazione o l’efficacia di atti illegittimi o inopportuni; i controlli sugli organi mirano ad influenzare il comportamento degli amministratori titolari degli organi, cui può accadere di essere sospesi, rimossi o sottoposti a scioglimento da parte del soggetto controllante. I controlli sugli atti a loro volta, si possono distinguere in

- Preventivi - Successivi - Di legittimità - Di merito

Preventivi sono i controlli che vengono esercitati prima che l’atto sia formato o dopo la formazione dell’atto stesso, ma prima della sua esecuzione. Successivi sono i controlli che intervengono dopo che l’atto ha già dispiegato in tutto o in parte i suoi effetti e mirano a impedirne, eventualmente, l’ulteriore produzione. La distinzione tra controlli di legittimità e di merito attiene invece alla diversità del

(14)

14 parametro alla cui stregua è operato il riesame dell’atto da parte dell’organo di controllo: nel primo caso tale parametro è costituito dalle norme di legge o di regolamento; nel secondo da criteri di opportunità o di buona amministrazione. All’assoluta oggettività del primo parametro fa riscontro la parziale soggettività del secondo, che lo stesso controllore contribuisce a formulare. In altri termini:

- Il controllo di legittimità mira ad accertare la presenza nell’atto di vizi di legittimità, che si riassumono nella formula della “violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere”;

- Il controllo di merito comporta un’indagine più penetrante, in quanto estesa ad accertare, oltre ai vizi suddetti, anche quelli desumibili dalla semplice inopportunità o idoneità dell’atto.

II controllo di legittimità rappresenta tradizionalmente un cardine del nostro ordinamento. A garanzia formale del corretto svolgimento dell’attività amministrativa esso mira a garantire come abbiamo detto la conformità di ogni singolo provvedimento ai precetti di norme giuridiche. Tuttavia, fin dal secolo scorso si era osservato che un controllo rigido su tutti gli atti si risolveva in un dispendio di energie, creava dispersione e riduceva il controllo a mera formalità, soprattutto con riferimento agli enti locali. Sul versante del controllo di merito, per quanto riguarda la gestione finanziaria, all’interno dell’amministrazione, uno specifico potere viene attribuito alla

(15)

15 Ragioneria centrale di ciascun ministero. Da una siffatta connotazione dei controlli, peraltro di dubbia efficacia, è scaturito il discusso problema della duplicità dei controlli. La pretesa duplicazione dei controlli è tuttavia, almeno a giudizio di alcuni, apparente. Non tanto per l’argomento, formale, che solo il controllo della Corte dei conti ha rilevanza costituzionale, ma soprattutto per la differente finalità di tali controlli. Esterno, pubblico ed indipendente, quello della Corte, che opera in posizione neutrale, a tutela obiettiva dell’ordinamento giuridico. Interno, limitato al contenimento della spesa pubblica, quello della Ragioneria: sicché le due aree di controllo non formano sistema, ancorché questa soluzione appaia per più versi auspicabile. Distinguere nettamente i due controlli non significa, però, negare la loro coesistenza, che può, come di fatto avviene, condizionare i tempi dell’azione amministrativa. Tuttavia, la compresenza di più controlli può giovare all’efficienza ed alla correttezza dell’azione amministrativa; purché i controlli formino sistema, vale a dire non siano ripetitivi, ma differenziati e pur

omogenei rispetto al buon andamento della pubblica

amministrazione: secondo uno schema che risulta tuttavia incompiuto, ad oggi, nel nostro ordinamento.

Abbiamo indicato sopra nella sospensione, rimozione e scioglimento le più importanti manifestazioni del controllo sugli organi, dobbiamo ora accennare ai principali provvedimenti cui dà luogo l’esercizio del

(16)

16 controllo sugli atti. Innanzitutto, le autorizzazioni e le approvazioni, che sono entrambe espressione di un controllo preventivo esteso al merito. Le differenze, peraltro, tra i due atti, almeno in teoria (la pratica ci offre anche esempi di autorizzazioni ex post, concesse in sanatoria), sono nette: mentre l’autorizzazione, infatti, rimuove un limite posto da una norma giuridica all’esercizio di un potere, con l’approvazione, invece, si attribuisce efficacia ad un atto già compiuto e perfetto, ma inefficace. Il carattere preventivo dell’autorizzazione deriva dal fatto che precede il realizzarsi dell’atto, in quanto rientra tra i presupposti oggettivi del suo procedimento di formazione: l’approvazione, invece, costituisce un controllo preventivo perché precede e condiziona l’esecuzione dell’atto.

Altro atto di controllo è il visto: esso aveva natura non diversa dall’approvazione nei casi in cui era attribuito alla competenza del prefetto ed esteso al merito; è espressione, invece, di un controllo di sola legittimità il visto della corte dei conti sugli atti del governo. Da ricordare, infine, l’annullamento, che rappresenta lo strumento per l’esercizio del controllo generale di legittimità sugli atti degli enti locali. Una posizione a sé stante riveste il controllo sostitutivo che consegue alla inerzia, alla impossibilità di funzionare o al cattivo funzionamento dell’organo controllato e comporta la sostituzione dell’organo di controllo o di un suo delegato nel compimento di uno o più atti di competenza dell’organo controllato o nell’esercizio

(17)

17 esclusivo di tutte le sue attribuzioni. Quando la sostituzione è parziale e si concretizza nell’esclusione della legitimatio ad agendum dell’organo controllato, il controllo sostitutivo viene fatto rientrare tra i controlli sugli atti; oggetto del controllo considerandosi, anziché un atto positivo, l’omissione di un atto obbligatorio. La sostituzione totale, che comporta la esclusione della legittimatio ad officium dei titolari degli organi ordinari sostituiti da organi straordinari, più che un nuovo controllo rappresenta l’effetto dell’intervenuto esercizio del controllo sulle persone.

Concetto aperto di controllo

Da quanto detto finora è evidente che il concetto di controllo ha molte sfaccettature e il moltiplicarsi degli organi con attribuzioni assimilabili al controllo, l’istituzione di appositi controlli esterni di funzionalità ma soprattutto l’effettivo irrompere del controllo di gestione impongono di seguire una concezione ampia e atecnica. Diritto e controllo sono infatti due concetti in qualche modo inscindibili e allo stesso tempo contrapposti. Il controllo è limite e presupposto di qualunque diritto e senza di esso non potremmo nemmeno parlare di diritto. Per questo motivo il concetto generale di controllo è un concetto molto ampio e che si concretizza in organi, strumenti, forme che sono le più varie ed eterogenee e che dipendono da fattori altrettanto vari quali la forma di stato, la forma

(18)

18 di governo la tradizione giuridico-politica e spesso anche la storia di un ordinamento. Gli ordinamenti hanno creato varie tipologie di sistemi di controllo che a loro volta caratterizzano e modificano la struttura dell’ordinamento stesso, basti pensare alla elaborazione di un principio cardine del nostro ordinamento come quello della separazione dei poteri e alla sua evoluzione, alle differenze che si possono avere nell’ambito di ordinamenti democratici fra sistemi di civil law e di common law. Cercando di analizzare (per forza di cose in modo parziale) la questione dei sistemi di controllo in senso lato non possiamo che iniziare dal testo costituzionale che affermando innanzitutto i principi fondamentali sottolinea indirettamente l’essenzialità di sistemi che rendano effettivi tali diritti e che, forse cosa ancor più difficile, non debbono incidere sul contenuto degli stessi con il rischio altrimenti di stravolgere l’intero sistema. Il tratto caratteristico del costituzionalismo contemporaneo è infatti l’idea che i diritti fondamentali debbano essere intesi non solo come limiti morali o politici all’esercizio del potere politico ma anche come parte integrante del diritto positivo e debbano essere circondati da una serie di garanzie specificamente giuridiche4. Questa idea ha palesemente influenzato la struttura e, almeno in parte, l’effettivo funzionamento degli ordinamenti giuridici contemporanei (gli ordinamenti degli stati occidentali, a partire dalla seconda metà del

4

(19)

19 Novecento), tramite l’introduzione di costituzioni scritte, rigide e garantite: costituzioni che, tra le altre cose, riconoscono, positivizzano diritti fondamentali, e istituiscono meccanismi specificamente giuridici per assicurarne la protezione anche, e anzi primariamente, nei confronti di possibili violazioni da parte del legislatore, e dello stato in generale. I diritti fondamentali prima proclamati in Dichiarazioni e Carte dei diritti dal valore più politico e programmatico che specificatamente giuridico, o relegati nei discorsi dei filosofi, dei moralisti e dei rivoluzionari, sono adesso collocati dentro il diritto positivo, e anzi al vertice stesso della gerarchia delle fonti del diritto5. Da qui la configurazione di un nuovo modello di ordinamento giuridico – lo stato costituzionale – e l’adozione di un nuovo paradigma sia teorico che normativo di riflessione giuridica – il

neocostituzionalismo6. Il panorama giuridico del

neocostituzionalismo e dello Stato costituzionale è dunque caratterizzato dalla centralità dei diritti, e dall’esplicita proclamazione di diritti e di valori etico-politici in documenti giuridici. Da questo panorama emergono alcuni elementi peculiari, e talvolta anche paradossali. Innanzitutto, i diritti fondamentali sono parte del diritto (sono diritti giuridici positivi), ma allo stesso tempo non sono nella piena disponibilità degli organi di produzione giuridica: i diritti

5

S. Rodotà, Repertorio di fine secolo, pp. 26-34

6

Sul paradigma neocostituzionalistico nella filosofia del diritto contemporanea: S. Pozzolo, Neocostituzionalismo e positivismo giuridico

(20)

20 fondamentali sono di solito proclamati in documenti (costituzioni rigide, convenzioni internazionali ecc.) posti ad un livello apicale nella gerarchia delle fonti del diritto, vincolando così la produzione giuridica dei gradi inferiori, inclusa quella di tipo legislativo. Inoltre, i diritti presenti nei documenti costituzionali sono molti ed eterogenei, sono fraseggiati in termini assai ampi e indeterminati (e talvolta accompagnati dalla previsione di possibili, e altrettanto ampie, deroghe), sono spesso reciprocamente incompatibili, e raramente o mai sono tra loro ordinati in relazioni gerarchiche o di priorità, ma anzi sono posti espressamente su un piano di parità quantomeno formale. Infine, mentre molti diritti sono espressamente qualificati, nei documenti giuridici che li proclamano, come “inviolabili”, nella pratica del trattamento giurisdizionale e legislativo dei diritti fondamentali è invece considerato del tutto pacifico assoggettare quei diritti a “ragionevoli” limitazioni, per evitare che la loro tutela interferisca eccessivamente con altri diritti fondamentali, o anche con ulteriori esigenze come interessi pubblici e collettivi, e così via. Si potrebbe pensare che questi elementi peculiari e talvolta paradossali del linguaggio e della pratica dei diritti fondamentali negli stati costituzionali contemporanei (la loro natura di vincolo per il legislatore, ma la possibilità e talvolta la necessità che il legislatore “amministri” i diritti; la loro quantomeno potenziale conflittualità; la proclamata inviolabilità dei diritti e la loro “ragionevole” limitabilità,

(21)

21 e così via) trovino origine in difetti o errori di tecnica redazionale magari dovuti all’imperizia, alla foga retorica o alla demagogia dei padri costituenti. In realtà si tratta di fenomeni strettamente legati al

carattere intrinsecamente pluralista delle costituzioni

contemporanee, e dunque pressoché inevitabili nella costituzione di una società pluralista e democratica7. La presenza di un catalogo di diritti fondamentali in una costituzione lunga,rigida e garantita comporta alcune conseguenze notevoli: innanzitutto, i diritti proclamati nel testo costituzionale in maniera generale e astratta devono essere applicati a casi concreti; in secondo luogo, tali diritti devono essere protetti contro ingerenze, limitazioni, lesioni provenienti da organi pubblici e in primo luogo dal legislatore. Ebbene: a chi spetta l’amministrazione dei diritti fondamentali – a chi spetta, cioè, effettuare le operazioni attinenti all’applicazione ed implementazione giuridica dei diritti? Si tratta di un aspetto non secondario nell’ambito di una teoria dei diritti, quantomeno di una teoria dei diritti giuridici, e non semplicemente morali8. Poiché il diritto è sempre diritto positivo, diritto che esiste grazie a decisioni di soggetti dotati di autorità, una teoria giuridica dei diritti non può prescindere dall’aspetto della gestione dei diritti stessi, dei soggetti e delle istituzioni che quei diritti devono applicare, concretizzare,

7

G. Silvestri, Linguaggio della Costituzione e linguaggio giuridico: un rapporto complesso, p 251; R. Bin, che cos’è la costituzione? pp. 22 ss.

8

B. Celano, Diritti fondamentali e poteri di determinazione nello stato costituzionale di diritto.

(22)

22 eseguire. Negli stati costituzionali contemporanei, per il concorrere di vari fattori che potrebbero essere compendiati nell’espressione

“costituzionalizzazione dell’ordinamento giuridico”,

l’amministrazione dei diritti fondamentali si presenta come “distribuita” tra vari soggetti, dotati di diversa legittimazione politica o tecnica: in particolare la Corte costituzionale, il legislatore, e i giudici comuni. A causa della presenza dei diritti fondamentali nel diritto positivo, l’amministrazione dei diritti fondamentali diventa dunque non solo una questione di scelte politiche, né solo una questione attinente alla legittimazione morale o alla critica etico-politica del potere pubblico: diventa invece, almeno in parte, un problema di argomentazione giuridica9. Inoltre, e in conseguenza, si determina una rimodulazione dei rapporti di potere (potere di creazione normativa) tra organi legislativi e giudiziari: in un radicale superamento dell’immagine del giudice come mero funzionario applicatore della volontà legislativa, il potere giudiziario si pone adesso in potenziale concorrenza con il potere legislativo nel campo dell’amministrazione dei diritti fondamentali, potendo, a seconda dei casi, reinterpretare, disapplicare, o annullare le leggi alla luce di esigenze di tutela di diritti fondamentali10. Si apre così il problema della legittimazione democratica della tutela giurisdizionale dei diritti

9

Cfr. A. Pace, Metodi interpretativi e costituzionalismo

10

Cfr. M. Kumm, Costitutional Rights as Principles: On the Structure and Domain of Costitutional Justice, p 574

(23)

23 fondamentali, e più in generale della judicial review of legislation della possibilità, cioè, che la legge, adottata da un organo politico democraticamente legittimato, sia sottoposta a scrutinio ed eventualmente annullata o disapplicata da un organo di tipo giurisdizionale (corte costituzionale in caso di controllo accentrato di costituzionalità, qualsiasi giudice nel caso di controllo diffuso) che è invece dotato di minore, o nulla, legittimazione democratica11. I critici della judicial review sostengono infatti che i diritti fondamentali dovrebbero essere amministrati esclusivamente dai legislatori democraticamente eletti e politicamente responsabili, invece che da funzionari dotati di competenza tecnica ma carenti di legittimazione democratica; mentre i fautori del controllo giurisdizionale delle leggi rispetto alla loro conformità ai diritti costituzionali, affermano che la funzione dei diritti consiste nel tutelare gli individui e le minoranze, e quindi è proprio nei confronti delle contingenti maggioranze politiche che tali diritti devono essere innanzitutto tutelati; e dunque la legittimazione democratica dei giudici deriva non dal voto popolare, ma esattamente dalla loro capacità di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini (diritti che sono considerati coessenziali alla democrazia)12. La differenza fra queste due posizioni, si noti, non riguarda l’importanza o il valore morale dei diritti fondamentali, ma piuttosto il problema del loro trattamento specificamente giuridico: i

11

Cfr. A. Pintore, I diritti della democrazia

12

(24)

24 critici della judicial review pensano che per assicurare l’integrità dei diritti fondamentali, e la loro compatibilità con la democrazia, i diritti non debbano essere gestiti dai giudici ordinari o costituzionali – e, prima ancora, sono contrari all’idea che i diritti debbano essere formulati in un testo costituzionale, anziché essere di volta in volta individuati e modellati con una libera discussione svolta in

Parlamento, la sede della politica rappresentativa. La

costituzionalizzazione dei diritti, sostengono i critici della judicial review, per un verso banalizza i diritti e li irrigidisce nei tecnicismi propri dell’argomentazione giuridica, e per altro verso va a detrimento del valore dell’autonomia dei cittadini stessi (perché i diritti vengono usati per invalidare le scelte politiche dei legislatori democraticamente eletti dai cittadini). Una delle componenti essenziali, presenti in tutte le costituzioni moderne, è quindi la disciplina dei diritti e delle libertà. Essa costituisce un elemento fondamentale per la definizione anche della forma di stato in quanto influenza in modo determinante i rapporti tra lo Stato e la società civile. Ma la vera novità delle costituzioni moderne è non solo (e non tanto) di aver allargato il catalogo delle libertà e dei diritti ma di aver potenziato gli strumenti di garanzia anche dei “vecchi” diritti. Strumenti di garanzia che hanno lo scopo di servire da controllo in senso lato del rispetto delle funzioni dei vari organi costituzionali e della tutela sostanziale dei diritti affermati nella costituzione. In

(25)

25 questo senso possiamo prendere in considerazione alcuni istituti come ad esempio la Riserva di legge che è lo strumento con cui la Costituzione regola il concorso delle fonti nella disciplina di una determinata materia. L’obiettivo è di evitare che, in materie particolarmente delicate, manchi una disciplina legislativa capace di vincolare il comportamento degli organi del potere esecutivo. Essa perciò, è una regola circa l’esercizio della funzione legislativa: impone al legislatore di disciplinare una determinata materia, impedendogli di lasciare che essa venga disciplinata, in tutto o in parte, da atti che stanno ad un livello gerarchico più basso della legge. È dunque evidente che la riserva di legge acquista un significato preciso soltanto dove vi sia una Costituzione rigida, perché solo in questo caso i limiti posti dalla Costituzione alla funzione legislativa possono imporsi al legislatore e, se violati, causare l’illegittimità della legge prodotta. Insomma, è attraverso la riserva di legge (ed alcuni tipi di riserva, in particolare) che si produce, nei sistemi a Costituzione

rigida, quella maggior complessità e differenziazione

dell’ordinamento giuridico che si cerca poi di spiegare e rappresentare con l’introduzione del “criterio della competenza”. Il meccanismo della riserva opera in modi diversi bisogna infatti distinguere innanzitutto tra riserve di legge e riserve a favore di atti diversi dalla legge, come la riserva a favore della legge costituzionale o la riserva a favore dei regolamenti parlamentari. Ma una

(26)

26 differenziazione che ci interessa nell’ambito del discorso che stiamo facendo è la distinzione tra la riserva di legge formale ordinaria e le riserve alle fonti primarie (legge ordinaria e fonti equiparate) la prima impone che sulla materia intervenga il solo atto legislativo prodotto attraverso il procedimento parlamentare con esclusione quindi degli altri atti equiparati alla legge formale stessa. La ratio di questa riserva è evidente: sono riservate alla approvazione parlamentare tutte quelle leggi che rappresentano strumenti attraverso i quali il Parlamento controlla l’operato del Governo. È il governo a stipulare i trattati internazionali e a chiedere al Parlamento di autorizzarne la ratifica da parte del Presidente della Repubblica (art. 80); è il Governo a predisporre i bilanci e a chiederne l’approvazione al Parlamento (art. 81); è il Governo a emanare provvedimenti urgenti che si sostituiscono alla legge, e a chiedere al Parlamento di approvarli e trasformarli in legge (art. 77.2); mentre è necessariamente il Parlamento a decidere se e quali poteri legislativi delegare al Governo (artt. 76 e 77.1) e quali poteri conferirgli in caso di guerra (art. 78). In tutti questi casi il Parlamento esprime con la legge la sua partecipazione ad un procedimento decisionale che ha il Governo come protagonista: gli atti con forza di legge essendo atti del Governo se non vi fosse una riserva di legge formale potrebbero essere approvati dallo stesso soggetto che li ha posti in essere. Per evitare ogni possibilità di confusione tra controllore e controllato, la

(27)

27 Costituzione impiega in tutti questi casi l’espressione “le camere…con legge”, individuando così non solo l’atto, ma anche l’organo a favore del quale opera la riserva.

Un altro strumento di controllo in senso lato è costituito dalla Riserva di Giurisdizione meccanismo che rafforza assai spesso la riserva assoluta di legge, perché serve a ridurre ulteriormente lo spazio di valutazione discrezionale lasciato all’autorità pubblica. La riserva di giurisdizione condiziona ogni provvedimento restrittivo delle libertà individuali ad una previa autorizzazione (o, in casi d’urgenza, ad una pronta convalida) da parte del giudice: meccanismi di questo tipo sono previsti dagli articoli 13.2, 13.3, 14.2, 15.2, 21.3, 21.4.

La Tutela Giurisdizionale come abbiamo visto parlando dei controlli in generale costituisce probabilmente il controllo in senso lato di maggior rilievo in quanto essa è in grado di spostare (a seconda di come viene concepita, delle garanzie che gli sono riservate, delle tipologie di giurisdizioni previste dall’ordinamento ecc.) il baricentro del potere di un ordinamento e il livello di garanzia di un effettivo controllo sulla applicazione del diritto alle vicende che si svolgono nell’ambito dell’ordinamento stesso. “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” questa disposizione dell’art. 24.1 della Costituzione garantisce la più ampia possibilità di ricorrere al giudice per ogni violazione dei propri diritti, sia essa

(28)

28 perpetrata dagli apparati pubblici che da altri soggetti privati. Il diritto alla difesa è un completamento indispensabile delle norme costituzionali che riconoscono i diritti e le libertà, che senza di quello risulterebbero svuotate di significato giuridico. È inutile dilungarsi sull’evidente funzione di controllo in senso lato degli apparati giurisdizionali ma conviene porre qui l’accento su un altro elemento proprio di tutti gli organi di controllo ma che negli organi giurisdizionali è ancor più palese e cioè sulla necessità che essi siano circondati da un solido sistema di garanzie che renda effettiva la funzione di controllo. Si pensi a principi quali la naturalità e la precostituzione del giudice (art. 25.1); l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici (articoli 101.2, 104.1, 107, 108); il principio del contraddittorio che la Corte costituzionale ha sempre considerato implicito nello stesso diritto di difesa; il principio per cui “contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale…è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”; il principio di presunzione d’innocenza sino a condanna definitiva (art. 27.2). Ed è quindi perfettamente comprensibile la tensione politica che suscitano i temi collegati all’estensione di questo tipo di garanzie, in direzione, per esempio, dell’affermazione piena del principio della parità delle armi tra le parti e dell’utilizzabilità processuale delle prove assunte fuori dal contraddittorio. Ma fra le garanzie previste in materia giurisdizionale quelle forse più significative dal punto di vista

(29)

29 del “controllo” sono l’inamovibilità dei magistrati che “non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso”, l’accesso alla carica mediante concorso che dovrebbe selezionare e verificare l’idoneità alla funzione da espletare, e nella prospettiva del cittadino l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e il diritto a ricorrere in cassazione contro le sentenze e i provvedimenti che incidano sulla libertà personale previsti dall’art. 111. Un altro esempio di strumento di controllo è quello contenuto nell’art. 28 della Costituzione il quale ha introdotto nel nostro ordinamento il principio della responsabilità personale verso i terzi dei pubblici dipendenti, con la seguente formula: i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Anche se il testo letterale di questa norma non si segnala per particolare chiarezza ed ha dato luogo a contrastanti interpretazioni (13), un punto è risultato pacifico: la volontà del Costituente di chiamare a rispondere direttamente i pubblici agenti

13

Si vedano, ad esempio, le diverse interpretazioni dei seguenti autori: ESPOSITO, La responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici secondo la Costituzione, in Riv. Trim. diritto pubblico, 1951, 350; CASETTA, L’illecito degli enti pubblici,Torino, 1953

(30)

30 degli illeciti compiuti in danno di terzi. È questo un principio del tutto nuovo nel nostro ordinamento; nel sistema precostituzionale, infatti, dei fatti illeciti compiuti da funzionari o dipendenti in occasione e per motivi di servizio rispondeva esclusivamente la pubblica amministrazione di appartenenza, e ciò in applicazione rigorosa della teoria organica sul rapporto di servizio che lega all’ente pubblico il suo dipendente (concepito come rapporto di immedesimazione soggettiva, tale da comportare l’assorbimento della personalità dell’impiegato in quella della persona giuridica per cui agisce). Solo se l’illecito era stato compiuto per motivi del tutto personali o addirittura in attuazione di un disegno criminoso, allora, venendo meno la possibilità di riferire l’azione del dipendente all’ente, unico responsabile era considerato (come, del resto, avviene ancora in questi casi) il primo. Il fondamento di questa innovazione è stato concordemente individuato nel desiderio di rafforzare il senso di responsabilità dei pubblici agenti, che avrebbero trovato una remora dai comportamenti illeciti nella minaccia di sempre possibili e dirette sanzioni. Si usciva da un periodo in cui erano stati compiuti frequenti soprusi ad opera di rappresentanti dei pubblici poteri nei confronti di privati cittadini e la norma ha voluto riconoscere il diritto di chiunque, leso da un atto della pubblica autorità, di agire direttamente contro l’autore del fatto lesivo; in adesione, del resto, anche a quanto già previsto in molte legislazioni straniere. La norma

(31)

31 costituzionale, per quanto inevitabilmente formulata in termini concisi, enuncia direttamente alcuni elementi essenziali della fattispecie di illecito prevista. Innanzitutto essa individua espressamente il soggetto dell’illecito, attraverso l’espressione “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici”. Questa formula è tale da ricomprendere, senza esclusioni di sorta, tutti coloro che, a qualsiasi titolo, si trovano in rapporto di servizio con un ente pubblico. Non sono consentite eccezioni, né per quanto riguarda il soggetto pubblico del rapporto (Stato, regione, provincia, comune, altro ente locale ecc.), né la natura delle funzioni cui dia luogo (giurisdizionali o amministrative, direttive o subordinate, ecc.). Infatti, da un lato, l’aggiunta generica degli “enti pubblici” allo “Stato” non permette di limitare il riferimento alla pubblica amministrazione, con l’esclusione degli enti pubblici economici; dall’altro, l’avere menzionato oltre ai “funzionari”, cioè coloro che esercitano una funzione pubblica sia pure a titolo onorario, anche i “dipendenti” in genere, ha avuto l’effetto di estendere l’ambito della norma a qualsiasi persona fisica che comunque si ponga al servizio di un ente pubblico (14). Per quanto concerne la condotta imputabile, l’art. 28 si limita a dire che la responsabilità consegue agli “atti compiuti”, senza dire neppure a quale titolo riferibili ai loro autori. Ora, nonostante

14

L’interpretazione sostenuta nel testo è condivisa dalla prevalente dottrina; si confrontino: CASETTA, op. cit., p. 266; ALESSI, Responsabilità del funzionario e responsabilità dello Stato in base all’art. 28 della Costituzione; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, 1969, p. 633.

(32)

32 l’estrema concisione della formula usata, si può ritenere che l’espressione “atti compiuti” individui tanto le azioni che le omissioni e sia gli atti amministrativi che le operazioni materiali (15). In relazione, poi, al criterio di imputazione della condotta lesiva, si pensa, anche se l’art. 28 non contiene alcun espresso riferimento al riguardo, che, sia pure implicitamente, il costituente abbia adottato per la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici il criterio soggettivo o della colpevolezza. Questa opinione si fonda soprattutto sulla ratio legis: il fondamento del principio della personale responsabilità dei pubblici agenti va ravvisato, e sul punto concordano gli interpreti, nell’esigenza di rafforzare il senso di legalità dei funzionari e dipendenti. L’innovazione costituzionale, pertanto, persegue una finalità essenzialmente sanzionatoria e come tale, in conseguenza, si riferisce soltanto a quei comportamenti dei pubblici agenti che siano stati non solo ingiustamente dannosi, ma anche in senso lato colpevoli. In altre parole, se si è voluta introdurre, accanto alla responsabilità dell’amministrazione, anche la diretta responsabilità dell’agente, non lo si è fatto per meglio garantire il risarcimento del danneggiato, che era assicurato integralmente anche prima dalla possibilità di convenire in giudizio la pubblica amministrazione, né al fine di sollevare quest’ultima, anche se solo in parte, dalle conseguenze degli illeciti dei suoi agenti, perché

15

In questo modo si è espresso il legislatore ordinario nello statuto degli impiegati civili dello Stato.

(33)

33 nell’ordinamento precostituzionale esisteva già la possibilità di rivalsa verso gli autori del danno, ma soltanto per indurre i funzionari e dipendenti pubblici ad evitare i comportamenti arbitrari o negligenti e sottoporli lato senso a una ulteriore forma di controllo. Per quanto il significato attuale attribuito alla disposizione sia alquanto ridotto, l’esistenza di forme di responsabilità penale e amministrativa a carico dei funzionari pubblici, e la responsabilità civile solidale dello Stato, costituiscono indubbiamente una garanzia dei diritti soggettivi, sia per il suo valore deterrente sia per la tutela risarcitoria che viene assicurata. Quello della responsabilità è, infatti, uno dei caratteri distintivi del pubblico impiego, che non potrebbe essere superato da nessuna riforma all’insegna della c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro del personale pubblico. La responsabilità, appunto, accanto all’imparzialità del medesimo personale pubblico ed alla personalizzazione della p.a., sono gli elementi caratterizzanti il pubblico impiego16, in un certo senso ancora più rilevanti del dominio della legge sull’organizzazione amministrativa ai sensi dell’art. 97 Cost. L’art. 28 Cost. si sta rivelando, però, uno strumento assai duttile, anche quale chiave di lettura di taluni processi di riforma che hanno investito le nostre istituzioni dai primi anni novanta dello scorso secolo. In fondo, personalizzazione della p.a. e responsabilità dei dipendenti vanno di pari passo. Vengono in rilievo a questo

(34)

34 proposito una serie di istituti che valorizzano l’organizzazione personale, da quelli relativi alla dirigenza pubblica ai poteri del difensore civico, laddove sia istituito, nei confronti delle strutture burocratiche al fine di far perseguire efficienza e buon andamento all’attività amministrativa. Soprattutto, viene in considerazione la previsione sul responsabile del procedimento e sui rispettivi compiti, intesa, a tutta evidenza, a far risaltare competenze e connesse responsabilità. Anzi, nella prospettiva della personalizzazione della p.a., la disciplina sul procedimento amministrativo appare essere l’attuazione più coerente dell’art. 28 Cost. Sempre in questa ottica e nel medesimo contesto può ricordarsi che la legge del 1990 fu preceduta da quella sulla responsabilità dei giudici di due anni prima, individuata a quel tempo e presentata come rimedio avverso la giustizia lenta. Anche la legge sulla responsabilità dei giudici ha dovuto non solo e non tanto tipizzare le ipotesi di illecito, quanto porre in primo piano le persone reali dei giudici autori delle attività poste in essere. Si vuol dire che nei più diversi settori responsabilità delle organizzazioni pubbliche e personalizzazione delle relative strutture vanno di pari passo e rispondono al medesimo intento. Appunto la presenza dell’art. 28 Cost. induce a guardare con sospetto a quelle previsioni che limitano o addirittura esonerano da responsabilità i dipendenti: il riferimento è alle norme dei contratti collettivi che tendono a tenere indenne il funzionario di quanto lo

(35)

35 stesso sia stato costretto a pagare a terzi in conseguenza di fatti illeciti riconducibili alle mansioni espletate17. In realtà, la responsabilità civile della p.a. si trasforma tendenzialmente in responsabilità erariale a carico di amministratori e funzionari. Sul punto va, anzi, ricordato che la giurisprudenza contabile si è mostrata assai poco incline a riconoscere la legittimità di atti che addossino all’ente pubblico i costi per l’assicurazione della responsabilità erariale dei soggetti pubblici, ritenuta assolutamente personale18. D’altra parte, di troppa responsabilità la p.a. potrebbe anche soffocare19: l’esposizione a responsabilità produrrebbe alla fine legalismo, inerzia ed inefficacia, oltre ad incentivare il ricorso a diffusi strumenti di assicurazione. Preoccupazione diversa, ma non meno incisiva, è che l’affermazione di una forte responsabilità a carico dei funzionari finisca per tutelare gli interessi forti a scapito di quelli più deboli o di quelli adespoti o diffusi, quali sono tipicamente quelli ambientali, i quali non hanno abbastanza vigore per imporsi di fronte agli interessi di derivazione imprenditoriale (con i noti riflessi, oltretutto, su quelli occupazionali).

17 A. CARIOLA, La nozione costituzionale, cit., 234. 18

Tra le tante Corte conti, Friuli-Venezia Giulia, 19 ottobre 2000, n. 489; Corte conti, Lombardia, 9 maggio 2002, n. 942; Corte conti, Umbria, 10 dicembre 2002, n. 553; Corte conti, Puglia, 7 febbraio 2004, n. 95; Corte conti, Sicilia, 25 ottobre 2006, n. 3054.

19

Cfr. sul punto G. CORSO, Il responsabile del procedimento, in F. Trimarchi, a cura di, Il procedimento amministrativo fra riforme legislative e trasformazioni dell’amministrazione, Milano, 1990, 64.

(36)

36 Abbiamo preso in considerazione solo alcuni esempi di “strumenti di controllo” in senso lato che troviamo nella nostra Costituzione e che costituiscono la base e la garanzia del funzionamento effettivo dei controlli in senso stretto. Questo per cercare di evidenziare che i singoli controlli, come la maggior parte degli istituti giuridici, necessitano di essere contestualizzati e inseriti nel tessuto normativo di un ordinamento al fine di poterne saggiare a pieno l’effettiva utilità e la sostanziale funzionalità.

(37)

37

CAPITOLO PRIMO

I CONTROLLI NELLO STATO

1.1 Il controllo preventivo di legittimità

Ai sensi dell’art. 100, 2° comma, della Costituzione “la Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultalo del riscontro eseguito”. Le norme sulla organizzazione dell’attività di controllo sono contenute nel t.u. delle leggi sulla Corte dei conti (r.d. n. 1214/1934), nella legge n. 259/1958 (controllo sulla gestione degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria), nella legge n. 51/1982 (controllo sulla gestione degli enti locali) e, da ultimo, nella legge n. 20/1994, come modificata dal d.l. n. 543/1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 639/1996. Organo centrale del controllo preventivo di legittimità sugli atti (e sulla gestione) delle amministrazioni pubbliche, esclusi gli enti a finanza derivata e gli enti locali, è la sezione di controllo, presieduta dal Presidente della Corte e costituita dai presidenti di sezione preposti al coordinamento e da tutti i magistrati assegnati agli uffici di controllo (art. 3, 10° comma,

(38)

38 legge n. 20/1994, come modificato dall’art. 5, legge n. 639/1996). La sezione opera, secondo le circostanze, in adunanza plenaria ed in quattro collegi determinati annualmente con riferimento a tipologie del controllo o materie. Per l’adunanza plenaria è prevista una composizione con 35 magistrati, oltre il Presidente, designati all’inizio di ogni anno. Le sezioni riunite della Corte possono anche decidere di sottoporre a controllo, per un periodo determinato, con deliberazione motivata, atti altrimenti sottratti al controllo preventivo di legittimità (singoli atti di notevole rilievo finanziario), in relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevata in sede di controllo successivo (art. 3, 3° comma, lett. l, legge 20/1994). Ai fini della competenza, va rilevato che il potere di negare il visto agli atti assoggettati al controllo è devoluto alla sezione, quale organo collegiale. Il controllo di legittimità sugli atti, già demandato alla competenza di un Consigliere delegato, coadiuvato dall’ufficio di controllo, è oggi, infatti, riconosciuto, ai sensi dell’art. 3, 10° comma, legge n. 20/1994, in capo a tutti “i magistrati assegnati agli uffici di controllo” che hanno, appunto, il diritto di partecipare alla “sezione del controllo” e di essere inseriti nei collegi fissati annualmente. Nei casi in cui la sezione ritenga di negare il visto, gli atti possono essere registrati con riserva dalla Corte, a seguito di una procedura ispirata

al principio del contraddittorio con l’amministrazione.

(39)

39 ritenga di accogliere i rilievi formulati in sede di rilievo istruttorio, modificando l’atto o ritirandolo, ha anche il diritto di presentare deduzioni e di esporre alla sezione il proprio parere a mezzo di suoi funzionari. L’iter procedurale può essere alterato “ove si renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza”, perché, in tale ipotesi, può essere omessa l’audizione dell’amministrazione e la questione può essere dal Presidente deferita direttamente alla sezione, sia pure previa comunicazione alla stessa amministrazione ed al Ministero del tesoro, per consentire, anche in questo caso, la presentazione di eventuali deduzioni scritte ed orali. Vi sono, però, situazioni ed ipotesi nelle quali la Corte deve opporre un “rifiuto assoluto di registrazione” sicché il provvedimento in esame risulta annullato. Ai sensi dell’art. 25 de t.u. n. 1214/1934, il rifiuto assoluto scatta in riferimento ad un impegno od ordine di pagamento che ecceda la somma stanziata nel relativo, capitolo di bilancio o, a giudizio della Corte, sia imputabile ai residui piuttosto che alla competenza e viceversa, ovvero ad un capitolo diverso da quello indicato nell’atto del ministro che lo ha emesso; a decreti di nomine e promozioni di personale di qualsiasi ordine e grado, disposte oltre il limite dei rispettivi organici; ad ordini di accreditamento a favore di funzionari delegati al pagamento delle spese, emessi per un importo eccedente i limiti stabiliti dalla legge. La farraginosità di questa procedura, causa non ultima dei “tempi

(40)

40 lunghi” della pubblica amministrazione, è oggi, peraltro, almeno in una certa misura, superata grazie alla legge n. 20/1994. Sul piano degli atti da assoggettare al controllo, innanzitutto, sotto un duplice profilo. Intanto, la non chiara dizione “atti del Governo”, di cui all’art. 100, 2° comma, della Costituzione trova finalmente una definizione legislativa, nel senso che il controllo preventivo di legittimità della Corte non si esercita su atti aventi forza di legge: ciò che sottrae al controllo della Corte dei conti i decreti legge ed i decreti legislativi, giusta anche la previsione normativa di cui alla legge n. 400/1988, revocata in dubbio, sotto il profilo della correttezza costituzionale (asserita violazione dell’art. 100 e delle prerogative della Corte dei conti sugli “atti del Governo”) dalla Corte dei conti, ma confermata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 406/1989. In secondo luogo, la legge n. 20/1994 individua tassativamente, per categorie, gli atti da assoggettare ancora a controllo preventivo di legittimità (salvo la ricordata richiesta da parte della stessa Corte o del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 3, 1° comma, lett l, legge n. 20/1994) e quindi ne delimita l’ambito, con ciò ponendo fine alla prassi consolidata secondo cui tutti gli atti del Governo dovevano sottostare al controllo preventivo di legittimità. Anzi, proprio la individuazione di tipologie di atti ritenuti meritevoli di controllo preventivo può indurre a ritenere corretta la tesi che si vada affermando una concezione “funzionale” anche del controllo di

(41)

41 legittimità, in un certo senso ancorata ai “presupposti programmatici e di indirizzo” posti dalla Costituzione, e quindi nell’ottica di un superamento del tradizionale riesame di atti monadi in chiave di legalità formale. Sul piano dei “tempi”, inoltre, dal momento che la legge n. 20/1994, come modificata dalla legge n. 639/1996, ha previsto termini brevi e certi, “i provvedimenti sottoposti al controllo preventivo divengono efficaci se il competente ufficio di controllo non ne rimetta l’esame alla sezione di controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento”, salvo che lo stesso ufficio non chieda chiarimenti o elementi integrativi di giudizio, perché in tal caso il termine è interrotto. Decorso tale termine, il provvedimento diviene esecutivo, salvo appunto giudizio integrativo della Corte (art. 3, 2° comma, legge n. 20/1994).

Di particolare interesse è la istituzione, ad opera della Corte, con delibera 10 giugno 1997, di una sezione del controllo per gli affari comunitari e internazionali, composta dal Presidente della Corte e da sei magistrati. Tale sezione opera sul presupposto di un rapporto di collaborazione con la Corte dei conti europea per le finalità stabilite dai Trattati U.E. ed in base agli accordi di collaborazione tra le due Istituzioni. La sezione riferisce annualmente al Parlamento ed ai Consigli regionali sui risultati dei controlli eseguiti sulle amministrazioni e sugli organismi responsabili della gestione di fondi comunitari, ai fini di una valutazione complessiva delle politiche

(42)

42 comunitarie. Svolge, inoltre, le funzioni di controllo previste da accordi internazionali sulla gestione di organismi non nazionali cui l’Italia aderisce. L’attività di riscontro della Corte non si esaurisce nella verifica della legittimità degli atti, operata in fase preventiva. Vi è, infatti, un controllo a carattere successivo che riguarda ancora il singolo atto ed anche tutte le operazioni connesse alla sua esecuzione oltre che gestioni complesse. Vengono, in primo luogo, assoggettati a controllo successivo gli atti di tutte le aziende ed amministrazioni autonome specificamente individuate dalla legge, i cui bilanci sono allegati a quello dello Stato. Sono, inoltre, sottoposti a controllo successivo i titoli di spesa relativi a stipendi, pensioni ed altri assegni fissi; le contabilità di tesoreria, inerenti ai mandati diretti ed agli ordini di accreditamento; le gestioni fuori bilancio. Il sindacato della Corte su questi atti o gestioni si svolge, di massima, con le stesse modalità del controllo preventivo; ma, com’è ovvio, il visto, in queste ipotesi, non condiziona l’efficacia dell’atto, che i suoi effetti ha già prodotto. La sua apposizione comporta la dichiarazione di regolarità del conto e della gestione; la sua ricusazione ha conseguenze ripristinatorie, in vista di una ricostituzione, per quanto possibile, della situazione giuridica e finanziaria anteriore all’atto, e comporta la eventuale instaurazione di un procedimento giurisdizionale di responsabilità. La Corte esercita, inoltre, una funzione di vigilanza su due distinti momenti della gestione contabile

(43)

43 pubblica. Ai sensi dell’art. 13 del t.u. n. 1214, la Corte, innanzitutto, “vigila sulla riscossione delle pubbliche entrate”; ed a mente dell’art. 34 è stabilito che alla Corte vengano trasmessi “i prospetti delle riscossioni e dei pagamenti che si fanno dagli agenti del Governo nel corso dell’esercizio” ed “i conti delle casse dello Stato con la indicazione dei valori e del modo col quale sono rappresentati”. La Corte dei conti ha tuttavia sempre interpretato in senso restrittivo tale sua funzione, limitando l’ambito del suo intervento alla fase della riscossione delle entrate ed escludendo ogni suo intervento nella fase precedente dell’accertamento. La Corte ha così ristretto, in via interpretativa, l’ambito della propria legittimazione, incentrando la sua attività essenzialmente sulla individuazione di eventuali responsabilità gestorie degli agenti: sicché la vigilanza sulle entrate è stata svuotata di spessore ed il controllo è stato esercitato in modo scarsamente incisivo. Ne consegue che per le entrate tributarie si procede ad un semplice riesame dei conti riassuntivi ed a formulare osservazioni e rilievi; per le altre entrate extratributarie e patrimoniali, la vigilanza si esaurisce in riscontri occasionali, su singoli atti contabili dei procedimenti di spesa. Ancora l’art. 13 del t.u. dispone, poi, che la Corte “vigila perché sia assicurata la regolarità della gestione degli agenti dello Stato, in denaro e in materia”. È, questa, un’ipotesi di vigilanza generica che la legge demanda alla Corte non già su singoli atti, ma sull’attività di gestione della

(44)

44 amministrazione contabile. A tale scopo, l’art. 36 prevede che devono essere trasmesse alla Corte le relazioni dei funzionari incaricati di compiere ispezioni presso gli agenti che hanno maneggio di denaro e di altri valori dello Stato. Per questa via si realizza, in forma alquanto embrionale, un controllo sulla efficienza e sulla funzionalità dell’apparato amministrativo. Resta, peraltro, che anche sul versante delle entrate la cultura tradizionale ha determinato una sorta di “totale diserzione” da parte della Corte dei conti, in funzione di una “concezione fondata sulla identificazione del controllo con un’attività esclusivamente volta a far valere divieti”. Per questa via, il t.u. del 1934 finisce con il negare “la cittadinanza nel mondo dei controlli al sindacato sulle entrate, denominato Vigilanza, e disciplinato da un distinto gruppo di norme”: sicché si afferma l’idea di una funzione atipica, minore, del controllo sulle entrate, il cui concreto esercizio finisce quasi con l’atrofizzarsi. È solo con la legge n. 20/1994, art. 3, 4° comma, che si chiarisce la funzione della Corte dei conti in materia di entrate, anche sotto il profilo terminologico: comunque l’attività della Corte incide sulla gestione del bilancio ed è incontestabilmente di controllo, secondo criteri e parametri non dissimili da quelli concernenti il versante della spesa20.

1.2 Il controllo successivo sulla gestione

20

In questo senso, cfr. G. CAIANIELLO, Controlli della Corte dei conti sulle entrate e sulla gestione dei beni mobili dello Stato, in Riv. amm., 1994, 385 ss.

(45)

45 La legge 14 gennaio 1994, n. 20, rappresenta - secondo quanto già osservato - la faticosa, contrastata, non lineare conclusione di un lungo iter legislativo inteso a definire una riforma del sistema dei controlli della Corte dei conti. Il controllo preventivo di legittimità viene opportunamente delimitato, quanto ad ambito di operatività e riqualificato in senso “funzionale”. Ma è soprattutto in riferimento al controllo successivo sulla gestione che la legge n. 20/1994 delinea le novità più sostanziali. L’art. 3, 4° comma, legge n. 20/1994 attribuisce alla Corte dei conti, “anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria”. Va, intanto, notato che il controllo successivo non è limitato allo Stato, ma è esteso al settore pubblico nella sua globalità, sia pure avendo a base la decisione di bilancio ed il rendiconto generale dello Stato, perché la legge n. 20/1994 recepisce la dizione “amministrazioni pubbliche”, di cui al d.lgs. n. 29/1993, che riassume l’insieme dei soggetti del settore pubblico, non esclusi le Regioni e gli enti locali (ma con l’avvertenza che la riforma del Titolo V della Costituzione e l’abrogazione degli artt. 125 e 130 modifica radicalmente i termini e le modalità dei controlli), e tutti gli enti pubblici, gli organismi del sistema scolastico, le università, i soggetti pubblici del Servizio sanitario nazionale. Quanto agli enti territoriali, in modo particolare, è da osservare che

(46)

46 l’abrogazione degli artt. 125 e 130 non fa comunque venire meno

l’esigenza, pure sanzionata a livello costituzionale, del

coordinamento della finanza pubblica, che trova ulteriore fondamento nel Patto di stabilità e crescita posto dai Trattati europei, che vincola lo Stato a garantire il rispetto dei parametri imposti dal Trattato di Maastricht. Le norme della legge n. 20/1994 si applicano dunque al controllo sulle amministrazioni statali, in senso innovativo rispetto alla precedente disciplina; al controllo sugli enti pubblici, integrando il regime della legge n. 259/1958; al controllo sugli enti locali, ex art. 3, 7° comma, integrando le disposizioni della legge n. 51/1982; al controllo,sul rendiconto generale dello Stato, integrando le norme di cui agli artt. da 38 a 43 del t.u. n. 1214/1934; alle Regioni, giusti i criteri ed i limiti definiti dall’art. 3, 5° comma. Come già ricordato, inoltre, la Corte, sempre in sede di controllo successivo, è chiamata a verificare il costo del lavoro nella pubblica amministrazione ed a riferire al Parlamento “sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale pubblico” sulla base di un raffronto tra spesa per il personale e risultati di gestione in ciascuna amministrazione, ai sensi dell’art. 32, d.lgs. n. 546/1993, che sostituisce l’art. 65, d.lgs. n. 29/1993. Rientrano, infine, nel controllo successivo sulla gestione i controlli, alla Corte attribuiti da leggi speciali, in materia di gestioni universitarie, di ripianamento delle unità sanitarie locali, di protezione civile, di cooperazione allo

(47)

47 sviluppo, di edilizia penitenziaria, di fondi di rotazione e di gestioni fuori bilancio. L’art. 3, 4° comma, della legge n. 20/1994 prevede che la Corte dei conti verifichi la legittimità e la regolarità delle gestioni; incidentalmente, la legittimità di singoli atti; ed accerti, anche in base all’esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa. Quanto al profilo della legittimità e regolarità della gestione, si tratta del controllo tradizionalmente svolto dalla Corte in sede di controllo consuntivo, tenuto conto che la Corte si è ormai orientata a considerare la gestione nel suo complesso, piuttosto che singoli atti gestori: ciò che oggi è sicuramente imposto dalla legge n. 20/1994. Più discutibile (ma ormai superato per successiva abrogazione) appariva invece il richiamo all’accertamento, sia pure in via incidentale, della legittimità di singoli atti: se anche si volesse vedere in questa attività una espressione della concezione “funzionale” del controllo di legittimità, non per questo verrebbe meno il sospetto di una confusione concettuale tra diverse forme di controllo (sulla gestione e di legittimità), rafforzata da un’altra dizione equivoca della norma, che sembra confondere il controllo “in corso di esercizio” (cioè il controllo concomitante, che sempre maggiore spazio va assumendo, specie nel mondo anglosassone) con il controllo successivo, che è, ovviamente, realizzato in epoca diversa

Riferimenti

Documenti correlati

Filippis si legge « la partecipazione di un rappresentante dell’Anas, in seno al colle- gio sindacale delle societa` concessionarie, non puo` ritenersi incisiva per il

se il Ministro interrogato sia a cono- scenza dei fatti sopraesposti e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, in- tenda adottare per garantire un futuro

Sulla base dell'istruttoria della Segreteria Tecnica per le aree protette e del parere della relativa consulta tecnica, il Ministero del- l'Ambiente in data 27.12.95 inviava alla

quali iniziative urgenti e realmente efficaci intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di ridurre lo smog in Piemonte, per salvaguardare la salute pub- blica

50/2016, come derogate dalla normativa emergenziale in vigore, anche in relazione all'affidamento diretto in esame, effettuato con le procedure di somma urgenza

secondo quanto riportato oggi, 1 o ottobre 2008, dalla Cronaca di Roma del Corriere della Sera, in un articolo firmato da Clarida Salvatori, i fondi di oltre 4 milioni di euro, che

In data 30 gennaio 2018 veniva inviato al controllo preventivo della Sezione il decreto n. 13132 del 30/01/2018, con il quale il Prefetto di Reggio Calabria disponeva la proroga di

nell'ansia di portare elementi di prova alla tesi governativa sul numero dei partecipanti alle cosiddette elezioni del Parlamento della Padania, il sottosegreta- rio Parisi,