• Non ci sono risultati.

L’oggetto della funzione di controllo

La funzione di controllo, come è noto, è ascrivibile alle funzioni amministrative cosiddette neutre. Essa si articola in diverse attività, tutte accomunate dal fatto che vengono svolte da un organo

115 pubblico in base a poteri che la legge gli attribuisce: è questo il principio di tipicità. Queste attività hanno ad oggetto la valutazione o il giudizio circa le attività amministrative (qui le funzioni di controllo possono essere intese come attività di secondo grado) svolte da una pubblica Amministrazione (controlli intersoggettivi o esterni), ovvero dalla stessa pubblica Amministrazione attraverso altri suoi organi od uffici (controlli interorganici o interni). Il tutto avviene con riferimento a parametri predeterminanti a fronte dei quali effettuare, appunto, la valutazione o il giudizio. Quello che differenzia le diverse specie di attività di controllo è, da una parte il tipo di parametro che deve essere utilizzato nella attività stessa (ai fini della valutazione o del giudizio), e dall’altra parte, gli esiti cui l’attività può dare luogo con oggetto l’attività controllata ovvero la posizione soggettiva del suo autore. I controlli di legittimità si distinguono per il parametro utilizzato, costituito dalla conformità dell’attività controllata alla normativa che la concerne; e tra essi si evidenziano (segnatamente per quanto qui interessa) i controlli di legittimità (o di regolarità) finanziaria e contabile che riguardano la legittimità di singoli atti sotto il profilo della spesa che essi dispongono in capo all’ente. Si tratta di uno dei profili che la questione della legittimità di un atto amministrativo presenta, con riferimento al parametro normativo rappresentato dalle prescrizioni vincolanti in materia di spesa degli enti pubblici e dei soggetti ad essi equiparati. Da essi si distinguono i

116 controlli sulla (o di) gestione, laddove il parametro di riferimento è costituito dai criteri di corretta gestione amministrativa (di enti ed aziende) a loro volta variabili a seconda del tipo di ente od azienda di cui si tratta, della missione attribuita, del tipo di utenza cui i servizi sono rivolti e così via. Questi criteri di corretta gestione non sono in genere normativamente stabiliti, ma si ricavano dall’esperienza nonché dall’elaborazione delle discipline aziendalistiche (e di scienza dell’amministrazione). Appare superfluo avvertire che la legittimità dell’attività dell’ente, e dei singoli suoi atti, è elemento importante di valutazione nell’ambito del controllo di gestione ma l’oggetto di tale controllo è assai più ampio; e diverso nei parametri di riferimento: un ente può risultare operante in piena legittimità, guardando nei singoli atti nei quali si articola la sua azione, e ciò nondimeno evidenziare una pessima gestione. I controlli sulla gestione hanno ad oggetto una attività complessivamente intesa, mentre i controlli di legittimità hanno ad oggetto singoli atti giuridici (e relativi procedimenti). In ordine agli esiti cui l’attività di controllo può dare luogo si distinguono i controlli collaborativi dai controlli repressivi. I primi si hanno quando la valutazione o il giudizio circa l’attività controllata si traduce in segnalazioni e raccomandazioni (come tali non vincolanti) rivolte ad organi (in posizione di vertice, di direzione politica) degli stessi enti controllati, affinché questi possano esercitare correttamente i loro compiti di direzioni o di indirizzo circa l’attività degli uffici cui il

117 controllo si riferisce. I secondi sono caratterizzati dal fatto che, se la valutazione o il giudizio sulla attività controllata sia di segno negativo (ad esempio, la spesa risulta illegittima), il controllo si traduce nell’adozione di misure di carattere repressivo. Tali misure hanno ad oggetto gli atti risultati illegittimi, il cui controllo cioè abbia dato esito negativo. Di conseguenza si può avere l’annullamento o l’inefficacia dell’atto, oppure l’adozione di misure sanzionatorie nei confronti degli autori degli atti stessi, ad esempio mediante sanzione pecuniarie a loro carico o la rimozione dei titolari degli organi che hanno adottato gli atti riconosciuti illegittimi, o ancora la loro denunzia all’autorità giudiziaria per i provvedimenti di conseguenza. In questo quadro, si situano le funzioni di controllo attribuite dalla Costituzione e dalle leggi alla Corte dei conti. Questa materia necessariamente va trattata anche sotto il profilo de jure condendo, (cioè in merito al diritto che dovrebbe essere formulato) data l’esigenza di cui si è avvertito, di una ridefinizione dell’ordinamento a seguito delle intervenute modifiche costituzionali. I controlli della Corte, anzitutto, si ascrivono, come è evidente, a quelli a carattere esterno (si tratta anzi dei controlli tipici di questa categoria); e sicuramente ascritti alle funzioni c.d. neutre, caratterizzate, com’è noto, dalla provenienza dell’attività da un organo in posizione di indipendenza, nonché “dalla collocazione dell’attività stessa in una posizione di estraneità e di indifferenza assoluta rispetto agli interessi

118 al cui regolamento è diretta”. A questo tipo di controlli si riferisce la sentenza della Corte Costituzionale61. La Corte è organo di rilevanza costituzionale, formato da magistrati, collocato in un posizione di terzietà a fronte degli enti controllati; anche se si tratta di Amministrazioni dello Stato, dato che l’imputazione dell’Istituto alla persona giuridica Stato, ha un valore squisitamente formale, e produce l’unica conseguenza nel fatto che degli eventuali danni prodotti a terzi nell’ambito dell’attività della Corte (da magistrati e dipendenti) risponde lo Stato (e non le regioni o altri pubblici poteri) nei modi e con i limiti della responsabilità civile62. La Corte è un potere dello Stato ai sensi dell’art. 134 Cost. e non è sottoposta ad alcun altro organo o ente. E la sua ascrizione ad organo della Repubblica (perciò, non dello Stato) adesso anche nei sensi di cui all’art. 114, è da ritenere pacifico, come si è visto, nella giurisprudenza costituzionale.

3.7 Dubbi sull’oggetto della funzione di controllo

Ma qual’é l’oggetto, costituzionalmente stabilito, di questa funzione di controllo attribuita alla Corte, a quali tipi di attività essa si riferisce, quali sono i soggetti destinatari? Su questo punto occorre fare delle distinzioni. Nell’impostazione originaria del testo costituzionale, di cui si è visto il processo formativo, i controlli della Corte sono previsti

61

Corte Cost. 18 novembre 1976, n. 226, in www.cortecostituzionale.it.

119 solo con riferimento allo Stato (art. 100) e con oggetto la legittimità degli atti del Governo e la gestione del bilancio. La Corte invero si configura in tale contesto, come organo ausiliario del Governo, nell’amministrazione di pertinenza statale. Come organo dello Stato. Gli enti del governo territoriale, per le ragioni che si sono mostrate, nell’originario testo della Costituzione sono sottoposti a controlli, sempre di carattere esterno e ascritti a quelli di legittimità, imputati ad organi diversi dalla Corte. Ancora, il tipo di controlli che la Costituzione, con riferimento agli atti del Governo, riserva alla Corte è di legittimità senza ulteriori limitazioni; si estende cioè, secondo l’antica tradizione confermata peraltro dalla legislazione recente (Legge n. 20/94, che si limita a restringere l’ambito degli atti che vi sono sottoposti) a tutta l’area della legittimità e non solo a quella della legittimità finanziaria e contabile. Ma il principio intorno al quale ruota l’attribuzione alla Corte della funzione di controllo, come si è visto, è quello della corretta spendita del pubblico danaro, della sana gestione finanziaria dello Stato (delle risorse appartenenti alla collettività). L’estensione del controllo di legittimità al di là di questo ambito che la Costituzione tuttavia conferma, è da ritenere frutto del recepimento dell’antica disciplina piuttosto che della applicazione del principio costituzionale ripetutamente evidenziato. Il controllo sulla gestione compare in Costituzione nella forma del controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato (usando in ciò la tradizionale

120 terminologia); nonché sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. E questo tipo di controllo è di carattere collaborativo, anche qui secondo la tradizionale impostazione: la Corte infatti riferisce alle Camere “sul risultato del riscontro eseguito”. Sulle singole gestioni finanziarie la Corte attraverso i c.d. referti riferisce via via al Parlamento affinché possa essere esercitato il potere ispettivo e di indirizzo sull’attività del Governo (il quale, a sua volta, secondo l’antico schema cavouriano, collegialmente e singolarmente risponde dell’andamento dell’amministrazione: art. 95 cost.). La legge n. 20/1994 non ha fatto altro che completare questo disegno, estendendo il contenuto del controllo di gestione al di là dell’area strettamente finanziaria, e più incisivamente estendendo la platea dei soggetti cui il controllo si riferisce a tutte le Amministrazioni pubbliche; ivi comprese le regioni, come risulta espressamente dal testo (art. 3, 6° co.) che è stato ritenuto dalla Corte costituzionale conforme a Costituzione; come si è visto. E proprio con riferimento a questa estensione dell’ambito del controllo, la Corte costituzionale ha stabilito il nuovo principio della natura della Corte dei conti come organo della Repubblica, cui perciò il controllo su tutte le gestioni pubbliche (e non invece solo su quelle statali secondo lo schema dell’art. 100) può legittimamente (e si direbbe doverosamente) essere attribuito dalla legge. Dall’art. 100 Cost. perciò emerge una complessa funzione di controllo affidata alla

121 Corte dei conti, nei confronti delle Amministrazioni dello Stato e degli enti statali, ascrivibile ad entrambe le specie sopra ricordate, e tutta incentrata sulla esigenza della sana gestione finanziaria che investe tutti i “pubblici uffici” tenuti nel loro operare, nonché nella loro organizzazione, al rispetto del principio del buon andamento. Diversamente si pone l’assetto dei principi costituzionali con riferimento agli enti del governo territoriale, per i quali la Costituzione prevedeva controlli di legittimità sui singoli atti, affidati ad organi (che la legge avrebbe dovuto definire) rispettivamente dello Stato (a fronte delle Regioni) e delle regioni (a fronte degli enti locali). Le norme costituzionali relative sono state abrogate (e in conseguenza sono cadute le leggi di attuazione ed è stato soppresso il sistema di controlli da esse previsto), fondamentalmente per la ragione che quel sistema di controlli faceva capo ad organi posti in posizione tale da non assicurarne l’imparzialità (e in qualche modo ancora ispirati ad un principio di tutela dell’ente superiore verso l’ente inferiore). Esso perciò si poneva in contrasto con la posizione di autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti del governo territoriale (nei quali al pari che nello Stato si articola la Repubblica: art. 114). Ma questa scelta costituzionale in nessun modo comporta la sottrazione degli enti del governo territoriale al vincolo del rispetto dei principi di sana gestione finanziaria che investono tutti i pubblici uffici, senza alcuna eccezione. L’assenza di una chiara norma come

122 l’art. 100 con riferimento a questi enti, non significa sottrazione al vincolo del principio ma significa che è affidato alla legge stabilire termini e modalità della relativa funzione di controllo, nonché individuare l’organo cui la funzione stessa deve essere imputata (che per lo Stato, viceversa è dalla Costituzione direttamene individuato nella Corte dei conti).

Sul punto si apre un delicato problema di politica legislativa, solo in parte affrontato dalle leggi che si sono succedute in questi anni (prima e dopo la riforma costituzionale del 2001). Occorre rilevare che un trattamento del tutto differenziato delle Amministrazioni dello Stato (i cui principali atti di spesa sono sottoposti al controllo puntuale della Corte) rispetto alle Amministrazioni regionali e locali (i cui atti di spesa sono sottratti a qualsiasi tipo di controllo puntuale) non si giustifica né sul piano costituzionale né su quello dell’opportunità politica. Veramente, come s’è detto, ed è da ritenere pacifico, tutte le pubbliche Amministrazioni, ad ogni livello di governo siano esse situate, sono soggette ai medesimi obblighi circa l’attività di spendita del pubblico danaro (che è patrimonio della collettività), ovvero più in generale circa la loro gestione finanziaria. E questi obblighi, com’è noto, negli ultimi anni sono divenuti più stringenti a seguito dell’entrata in vigore della complessa normativa europea e

123 nazionale sul c.d. patto di stabilità63che, a partire dalla legge finanziaria del 199964, si estende anche al settore interno nei rapporti tra centro e periferia, ed istituisce a carico di tutti gli enti, a partire dalle regioni e dagli altri enti del governo territoriale, specifici obblighi di riduzione dei disavanzi, e complessivamente, di gestione della contabilità e del bilancio65. D’altro canto l’art. 119 Cost., nel testo introdotto con la riforma del 2001, prevede all’ultimo comma una norma immediatamente operativa e vincolante (a prescindere dalla futura legge di coordinamento della finanza pubblica, attuativa delle altre parti dell’art. 119), secondo la quale tutti gli enti del governo territoriale, quindi anche le regioni, “possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”. Trattandosi di una norma che specificamente viene ad incidere sulla gestione finanziaria degli enti, si pone il problema di assicurarne il rispetto. E sul punto la legge finanziaria del 2003 ha sancito la nullità degli atti e dei contratti adottati dagli enti del governo territoriale ricorrendo all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento. E ha previsto, in capo alle Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, uno specifico potere sanzionatorio nei confronti degli

63

art. 104 Tratt. C.E.; Reg. CE. 77/1997 n. 1466 e n. 1467; Risol. Cons. Eur. (Amsterdam) 17.6.1997.

64 Legge 23 dicembre 1998 n. 448, art. 28.

65 successivamente, art. 30, Legge 23 dicembre 1998 n. 448; art. 53, Legge 23 dicembre 2000

124 amministratori che abbiano assunto le relative delibere66. Dalla legislazione più recente emerge un orientamento (avallato come si è visto dalla giurisprudenza costituzionale) inteso ad individuare nella Corte dei conti l’autorità preposta al controllo della gestione finanziaria di tutto il settore pubblico, e perciò anche degli enti del governo territoriale. Si badi, questa scelta, non è affatto dovuta; e il legislatore potrebbe istituire una apposita autorità (purché munita di tutti i caratteri dell’indipendenza) cui imputare la funzione. Ma, allo stato, occorre prendere atto che la scelta è stata compiuta in favore della Corte dei conti, anche se non ancora, si direbbe, in modo organico e sulla base di una consapevole presa in considerazione dei nuovi principi costituzionali di cui alla riforma del 2001. La legge di attuazione sinora adottata67 affronta, come è noto, la questione, pur non esaurendone tutti gli aspetti laddove conferisce alla Corte (attraverso le Sezioni regionali di controllo) la verifica del “rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Unione Europea”, nonché “il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la sana gestione finanziaria degli enti locali e il

66

Legge 27 dicembre 2002 n. 289, art. 30, 15° co.

67

Legge 5 giugno 2003, n. 131 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 132 del 10 Giugno 2003, in www.camera.it.

125 funzionamento dei controlli interni”; confermando la natura collaborativa di detta funzione di controllo68. Da varie norme delle leggi finanziarie degli ultimi anni, emerge un complessivo orientamento inteso ad attribuire alla Corte ulteriori e specifici poteri di controllo che indubbiamente si collocano nell’ambito della funzione di controllo della gestione finanziaria di tutti gli enti pubblici (e soggetti equiparati: di tutto il settore pubblico), a prescindere dalla posizione di autonomia costituzionale ad essi riservata. A volte in queste leggi emerge tuttavia una preoccupante confusione tra funzioni di controllo e funzioni giurisdizionali della Corte. La legge finanziaria per il 200369 stabilisce la trasmissione “agli organi di controllo e alla competente procura della corte dei conti” dei provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere da tutte le Amministrazioni pubbliche, e perciò anche dalle regioni e dagli enti locali. Norma questa riconosciuta legittima dalla Corte costituzionale, come si è visto, la quale tuttavia non considera che la trasmissione imposta dalla norma è alla Procura della Corte oltre che agli organi di controllo (tra i quali è da ritenere compresa la stessa Corte dei conti) e quindi pone una ingiustificata sovrapposizione tra funzione giurisdizionale e funzione di controllo70. La stessa legge finanziaria

68 Legge 5 giugno 2003, n. 131, art. 7, 7° co. e ss. 69

Legge 27 dicembre 2002, n. 289 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2002 - Supplemento Ordinario n. 240 in www.camera.it.

126 prevede la nullità degli atti di indebitamento per spese diverse da quelle di investimento, in violazione del citato ultimo comma dell’art. 119, Cost.; e in conseguenza l’irrogazione di sanzioni pecuniarie a carico degli amministratori disposte dalle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti71. La legge finanziaria per il 200572 prevede la trasmissione alla Corte dei conti (è da intendere, alle Sezioni regionali di controllo della Corte) degli atti con i quali gli enti locali provvedono all’affidamento di incarichi di studio, di ricerca o di consulenza, a soggetti estranei alla pubblica amministrazione73. Nell’ambito di un disegno più organico, la legge finanziaria per il 200674 ha conferito poteri di controllo alle Sezioni regionali della Corte, nei confronti degli enti locali, che completano il disegno della Legge La Loggia. Anzitutto è prevista una relazione annuale da inviare alle Sezioni regionali della Corte dei conti, da parte degli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali, con oggetto il bilancio di previsione ed il rendiconto di ciascun esercizio. Si badi questo obbligo grava sugli enti locali, ivi compresi tuttavia gli enti del Servizio sanitario nazionale, ma non sulle regioni. La relazione deve essere predisposta sulla base di criteri e linee guida definite dalla

71 Legge 27 dicembre 2002, n. 289 art. 30, 15° co. 72

Legge 30 dicembre 2004, n. 311 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 306 del 31 dicembre 2004- Supplemento Ordinario n. 192 in www.camera.it.

73

Legge 30 dicembre 2004, n. 311 art. 1. 11° e 42° co.

74

Legge 23 dicembre 2005, n. 266 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( legge finanziaria 2006 )” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 211 in www.parlamento.it.

127 stessa Corte dei conti. La relazione “deve dare conto del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamente dall’art. 119 ult. co. Cost., e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alla quale l’Amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione”. Le Sezioni regionali ove accertino, anche sulla base di dette relazioni, “comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sulla adozione da parte dell’ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità interno”75. La stessa legge prevede la trasmissione “alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione”, degli atti di spesa di importo superiore a 5 mila Euro, relativi ad incarichi di consulenza, a convegni, mostre ed altre manifestazioni pubblicitarie76. Si tratta di una normativa, ancora poco chiara nella sua portata, che consolida la funzione del controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali (ma non delle regioni), in capo alla Corte dei conti: con una puntualizzazione assai più incisiva rispetto alla normativa sul controllo di gestione già introdotta dalla legge n. 20/94, e sviluppata nella Legge n. 131/03. È dubbio se si tratti ancora di un controllo

75

Legge 23 dicembre 2005, n. 266 art. 1, 166° co., e ss

128 meramente collaborativo, ovvero se esso assuma aspetti repressivi. E non né chiaro quale sia l’effetto che la “pronuncia” della Corte, ove abbia contenuto negativo, produca in ordine agli atti adottati dall’ente che siano stati riscontrati finanziariamente illegittimi. Sembra sia da ritenere che in ordine ad essi si imponga in capo all’ente l’esercizio del potere di annullamento di ufficio (c.d. annullamento doveroso in sede di autotutela). Che un atto riscontrato illegittimo, in sede di controllo successivo, ad esempio perché privo di copertura finanziaria, possa restare in vita e continuare a produrre i suoi effetti, produrrebbe una evidente “stortura” nell’ordinamento (fondato sul principio di legalità). E la giurisprudenza amministrativa ritiene, a sua volta, che il rilievo della illegittimità di un atto in sede di controllo successivo, produca il “doveroso riesame della fattispecie” da parte dell’Amministrazione competente al fine dei conseguenti provvedimenti di “autotutela”77. Né è chiaro il rapporto tra questa funzione di controllo e l’esercizio dell’azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti in sede

giurisdizionale. Che l’esito della “pronuncia” negativa e

l’accertamento circa la successiva mancata adozione delle “misure correttive” sembra proprio condurre all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dirigenti dell’ente controllato. Ciò che ripropone il delicato problema del

129 rapporto tra le due funzioni, che debbono viceversa restare distinte.

Documenti correlati